GPII 1978 Insegnamenti - A un gruppo di lavoratori cristiani - Il diritto al lavoro e alla giustizia sociale


1. So che da tempo attendevate questa udienza del Papa. Volevate già incontrarvi con Papa Giovanni Paolo I, di venerata memoria, il quale - mi dicono - era un po' di casa nel grande stabilimento di Porto Marghera. Il Signore l'ha chiamato a sé dopo un pontificato tanto breve, ma così intenso da lasciare un'immensa commozione nel mondo. Ed ecco a voi il nuovo Papa, che è particolarmente lieto di ricevere oggi questa folta rappresentanza dell'Industria Italiana qualificata e ben conosciuta nel mondo intero. Vi saluto tutti di gran cuore e vi ringrazio della gioia che mi procurate con la vostra visita.


2. Come sapete, anch'io sono stato un lavoratore: per un breve periodo della mia vita, durante l'ultimo conflitto mondiale, anch'io ho fatto un'esperienza diretta del lavoro in fabbrica. Conosco, quindi, ciò che significa l'impegno della fatica quotidiana alle dipendenze di altri; ne conosco la pesantezza e la monotonia; conosco i bisogni dei lavoratori e le loro giuste esigenze e legittime aspirazioni. E so quanto è necessario che il lavoro non sia mai alienante e frustrante, ma sempre corrispondente alla superiore dignità spirituale dell'uomo.


3. Vi è noto, altresi, quanto la Chiesa, seguendo l'esempio del divin Maestro, abbia sempre stimato, protetto e difeso l'uomo e il suo lavoro, dalla condanna della schiavitù fino all'esposizione sistematica della "Dottrina sociale cristiana", dall'insegnamento della carità evangelica quale precetto supremo, fino alle grandi encicliche sociali, come la "Rerum Novarum" di Leone XIII, la "Quadragesimo Anno" di Pio XI, la "Mater et Magistra" di Giovanni XXIII, la "Populorum Progressio" di Paolo VI. Essa, in mezzo ai travagli e alle tribolazioni della storia umana, ha sempre difeso il lavoratore, propugnando l'urgenza di un'autentica giustizia sociale, unita alla carità cristiana, in un clima di libertà, di rispetto reciproco, di fratellanza. A questo proposito, vorrei solo ricordare il Radiomessaggio di Papa Giovanni XXIII ai lavoratori polacchi, il 26 maggio 1963, pochi giorni prima di morire: "Non ci risparmieremo fatica, fino a quando avremo vita, affinché si abbiano per voi sollecitudini e cure. Abbiate fiducia nell'amore della Chiesa e ad essa affidatevi tranquilli, nella certezza che i suoi pensieri sono pensieri di pace e non di afflizione".


4. Ed ora che diro io a voi, lavoratori cristiani, che diro in particolare, che possa servirvi come ricordo del nostro incontro? Prima di tutto, auspico vivamente che il lavoro sia un reale diritto per ogni persona umana. La situazione nazionale e internazionale oggi è talmente difficile e complicata che non si può essere semplicisti. Ma poiché sappiamo che il lavoro è vita, serenità, impegno, interesse, significato, dobbiamo augurarlo a tutti.

Chi ha un lavoro, sente di essere utile, valido, impegnato in qualche cosa che dà valore alla propria vita. Il non avere un lavoro è psicologicamente negativo e pericoloso, tanto più per i giovani e per chi ha la famiglia da mantenere. Pertanto, mentre dobbiamo ringraziare il Signore se abbiamo un lavoro, dobbiamo anche sentire la pena e l'affanno dei disoccupati e, per quanto ci è possibile, studiarci di venire incontro a queste dolorose situazioni. Non bastano le parole! Bisogna aiutare concretamente, cristianamente! Mentre faccio appello ai responsabili della società, mi rivolgo anche a ciascuno di voi direttamente: impegnatevi anche voi, perché tutti possano avere un lavoro! In secondo luogo, esorto all'attuazione della giustizia sociale. Anche qui i problemi sono molti, sono enormi; ma mi appello alla coscienza di tutti, ai datori di lavoro e ai lavoratori. I diritti e i doveri sono da entrambe le parti e, perché la società possa mantenersi nell'equilibrio della pace e del benessere comune, è necessario l'impegno di tutti per combattere e vincere l'egoismo.

Impresa certo difficile, ma il cristiano deve farsi uno scrupolo di essere giusto in tutto e con tutti, sia nel remunerare e nel proteggere il lavoro, sia nello spendere le proprie forze. Egli, infatti, dev'essere un testimone di Cristo dappertutto, e perciò anche sul lavoro.

Infine, vi invito alla santificazione del lavoro. Non sempre il lavoro è facile, piacevole, soddisfacente; talvolta può essere pesante, non valutato, non ben retribuito, perfino pericoloso. Bisogna allora ricordare che ogni lavoro è una collaborazione con Dio per perfezionare la natura da lui creata, ed è un servizio ai fratelli. Bisogna, perciò, lavorare con amore e per amore! Allora si sarà sempre contenti e sereni, e, pur se il lavoro stanca, si prende la croce insieme con Gesù Cristo e si sopporta la fatica con coraggio.

Carissimi lavoratori e lavoratrici! Sappiate che il Papa vi ama, vi segue nelle vostre fabbriche e nelle vostre officine, vi porta nel cuore! Tenete alto il nome "cristiano" sui luoghi del vostro lavoro, insieme con quello della vostra, anzi della nostra Italia! Con la mia apostolica benedizione.

Data: 1978-12-09 Data estesa: Sabato 9 Dicembre 1978


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pace per la Terra Santa, per il Libano, per l'Iran




1. Nel tempo dell'Avvento la Chiesa si unisce in modo particolare a Maria santissima. Ella, infatti, è per noi di grande esempio in quell'attesa della venuta di Cristo, che pervade tutto questo periodo. In lei tale attesa, dal momento stesso dell'Incarnazione del Verbo, assume una forma concreta: diventa maternità. Sotto il suo cuore verginale pulsa già la nuova vita: la vita del Figlio di Dio, che divento uomo nel suo grembo. Maria è tutta Avvento! Ed ecco la vediamo recarsi, dopo l'annunciazione, dalla Galilea verso il meridione, per visitare la sua parente Elisabetta in Ain-Karin. Là, proprio sulla soglia della casa di Elisabetta e di Zaccaria, verranno pronunciate le parole, che noi ripetiamo ogni volta che salutiamo Maria: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto è il frutto del seno tuo".


2. In questo momento il nostro pensiero e il nostro cuore si rivolgono a quelle regioni. Seguiamo Maria da Nazaret verso il meridione, mentre davanti a noi si stende il panorama della sua terra, di quel suolo che sarebbe divenuto la patria del Messia. Verso questa Terra Santa vanno in pellegrinaggio intere generazioni di cristiani, per ritrovarsi sulle orme del Salvatore.

Mi ritorna alla mente l'immensa gioia con la quale i Vescovi, radunati nella seconda sessione del Concilio Vaticano II, accolsero le parole di Papa Paolo VI, il quale, nel discorso tenuto alla chiusura di quella sessione, aveva loro annunziato che si sarebbe recato - per la prima volta - come pellegrino in Terra Santa.

Oh! come vorrei poter ripetere, in questo istante, le sue parole! Come vorrei soffermarmi sul monte della Trasfigurazione, da dove vorrei trovarmi in quelle stesse vie, in cui il Popolo di Dio camminava a quel tempo, salire sulla cima del Sinai, dove ci furono dati i Dieci Comandamenti! Come vorrei, con amore e umiltà, percorrere tutte le vie fra Gerusalemme, Betlemme e il lago di Genezaret! Come vorrei soffermarmi sul monte della Trasfigurazione, da dove appare il massiccio del Libano: "Il Tabor e l'Ermon cantano il tuo nome" (Ps 89,88).

Questo era ed è il mio più grande desiderio, fin dagli inizi del mio pontificato. Sono riconoscente per le istanze e i suggerimenti che mi sono venuti in proposito. Ma pur con rammarico, devo, almeno per ora, rinunciare a questo pellegrinaggio, a questo particolare atto di fede, il cui significato può essere più profondamente compreso dal Vescovo di Roma, che è successore di Pietro.

Infatti Pietro proviene proprio di là: è dalla Terra di Cristo e di Maria che egli è venuto a Roma.


3. Intanto vi prego, carissimi fratelli e sorelle, raccomandiamo al Signore, nella nostra preghiera, questa parte della terra, così strettamente connessa con la storia della nostra salvezza.

Preghiamo per la Terra Santa.

Preghiamo per il Libano, che già da molti anni è duramente provato dalla guerra e dalle distruzioni.

Raccomandiamo al Signore la missione speciale affidata al Cardinale Paolo Bertoli, che si è recato in questi giorni in Libano.

Preghiamo per la pace nel Medio Oriente.

Raccomandiamo al Signore anche l'Iran, che nelle ultime settimane è diventato teatro di lotte e inquietudini.

Sappiamo che la Madre di Cristo è circondata da grande venerazione anche da parte dei nostri fratelli Musulmani.

Preghiamola, affinché si mostri per la terra dei suoi antenati, come per tutte le terre confinanti, Madre e Regina della Pace! (Recitata la preghiera, prende nuovamente la parola:) Desidero ora rivolgere un saluto agli iscritti all'ALMA, l'associazione religiosa dei marchigiani residenti in Roma, qui convenuti per pregare col Papa in occasione della festa della Madonna di Loreto, celeste patrona della loro regione. Nel ricordo dell'illustre Basilica, nella quale una speciale Cappella è dedicata alla Polonia, e del vicino Cimitero di guerra, in cui riposano i resti di tanti miei connazionali, di cuore benedico i fedeli presenti e la loro terra d'origine.

Data: 1978-12-10 Data estesa: Domenica 10 Dicembre 1978


Alla parrocchia di Sant'Anna - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano




1. "Vobis... sum episcopus, vobiscum sum christianus" ("Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano"). Queste parole di sant'Agostino trovarono forte eco nei testi del Concilio Vaticano II, nel suo magistero. Esse mi vengono in mente proprio oggi, mentre visito la parrocchia di Sant'Anna, parrocchia della Città del Vaticano. Questa, infatti, è la mia parrocchia. Ho dimora stabile sul suo territorio come i miei Venerati predecessori, e anche come voi, venerabili fratelli Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, sacerdoti e voi, cari fratelli e sorelle, miei comparrocchiani. Qui, in questa chiesa, posso ripetere, in modo particolare, le parole che sant'Agostino rivolgeva ai suoi fedeli nell'anniversario della sua ordinazione episcopale: "Sed et vos sustinete me, ut secundum praeceptum apostolicum, invicem onera nostra portemus et sic adimpleamus legem Christi... Ubi me terret quod vobis sum, ibi me consolatur quod vobiscum sum. Vobis enim sum episcopus, vobiscum sum christianus. Illud est nomen officii, hoc gratiae; illud periculi est, hoc salutis": "Ma anche voi sostenetemi, perché, secondo il comando dell'Apostolo, portiamo i pesi gli uni gli altri, e così adempiamo la legge di Cristo... (Ga 6,2). Se mi atterrisce l'essere per voi, mi consola l'essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano.

Quello è nome di ufficio, questo grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza" (S. Agostino, "Sermo" 340, 1: PL 38, 1483).

Infatti, la verità che ognuno di noi - voi, venerabili e cari fratelli, e io - siamo "cristiani" è la prima sorgente della nostra gioia, del nostro nobile e sereno orgoglio, della nostra unione e comunione.

"Cristiano": quale significato ha questa parola e quale ricchezza essa contiene! Per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani ad Antiochia, come leggiamo negli "Atti degli apostoli", quando descrivono gli avvenimenti del periodo apostolico in questa città (Ac 11,26). Cristiani sono coloro che hanno ricevuto il nome da Cristo; coloro che portano in sé il suo mistero; coloro che appartengono a lui, con tutta la loro umanità; coloro che, con piena consapevolezza e libertà, "acconsentono" perché lui incida nel loro essere umano la dignità dei figli di Dio. Cristiani! La parrocchia è una comunità di cristiani. Comunità fondamentale.


2. La nostra parrocchia vaticana è dedicata a sant'Anna. Come è noto, fu il nostro predecessore Pio XI, con la costituzione apostolica "Ex Lateranensi pacto", in data 30 maggio 1929, a dare una particolare fisionomia religiosa alla Città del Vaticano: il Vescovo Sacrista, carica che fin dal 1352 da Clemente VI era stata affidata all'Ordine di sant'Agostino, veniva nominato Vicario Generale della Città del Vaticano; la chiesa di Sant'Anna, già da tempo curata dai solerti Padri Agostiniani, veniva eretta parrocchia. Sua Santità Paolo VI di venerata memoria, poi, col Motu Proprio "Pontificalis Domus" del 28 marzo 1968, eliminava il titolo di "Sacrista", lasciando tuttavia intatto l'ufficio, che veniva mantenuto sotto la denominazione di "Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano".

Un paterno ed affettuoso saluto desidero, pertanto, indirizzare al mio Vicario Generale e ai suoi immediati collaboratori; al Parroco; agli zelanti Padri, che dimostrano tanta dedizione per la cura pastorale della parrocchia e per il decoro delle varie Cappelle del Vaticano; agli altri religiosi e alle religiose, che svolgono il loro operoso e meritorio servizio per la Santa Sede; a tutti i parrocchiani e alle parrocchiane di questa singolare Comunità.


3. Avevo tanto desiderio di visitare "la mia parrocchia" già agli inizi del mio pontificato, come una delle prime fra le parrocchie della diocesi di Roma. Sono lieto che questo si realizzi proprio nel tempo dell'Avvento.

La figura di sant'Anna ci ricorda, infatti, la casa paterna di Maria, Madre di Cristo. Là Maria è venuta al mondo, portando in sé quello straordinario mistero dell'immacolata concezione. Là era circondata dall'amore e dalla sollecitudine dei suoi genitori: Gioacchino e Anna. Là "imparava" da sua madre, proprio da sant'Anna, come essere madre. E benché, dal punto di vista umano, ella avesse rinunciato alla maternità, il Padre Celeste, accettando la sua donazione totale, La gratifico della maternità più perfetta e più santa. Cristo, dall'alto della Croce, trasferi in un certo senso la maternità della sua genitrice al suo discepolo prediletto, e parimenti la estese a tutta la Chiesa, a tutti gli uomini.

Quando dunque come "eredi della promessa" (cfr. Ga 4,28 Ga 4,31) divina, ci troviamo nel raggio di questa maternità, e quando risentiamo la sua santa profondità e pienezza, pensiamo allora che fu proprio sant'Anna la prima a insegnare a Maria, sua figlia, come essere madre.

"Anna" in ebraico significa: "Dio (soggetto sottinteso) ha fatto grazia". Riflettendo su questo significato del nome di sant'Anna, così esclamava

san Giovanni Damasceno: "Poiché doveva avvenire che la Vergine Madre di Dio nascesse da Anna, la natura non oso precedere il germe della grazia; ma rimase senza il proprio frutto perché la grazia producesse il suo. Doveva nascere infatti quella primogenita, dalla quale sarebbe nato il primogenito di ogni creatura" ("Sermo" VI, "De Nativ. B.M.V.", 2: PG 96, 663).

Mentre oggi veniamo qui, noi tutti, parrocchiani di Sant'Anna in Vaticano, a lei rivolgiamo i nostri cuori e, per mezzo suo, a Maria, figlia e madre, ripetiamo: "Mostrati Madre per tutti, / offri la nostra preghiera, / Cristo l'accolga benigno, / lui che si è fatto tuo Figlio".

Nella seconda domenica dell'Avvento queste parole sembrano riacquistare un particolare significato.

Data: 1978-12-10 Data estesa: Domenica 10 Dicembre 1978


Ai presidenti di Argentina e Cile - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Appello per la fraterna convivenza dei due popoli

Signor Presidente.

Desidero indirizzare la mia attenzione all'imminente incontro fra i signori Cancellieri di Argentina e Cile, con la viva speranza di vedere superata la controversia che divide i vostri rispettivi paesi e che tanta preoccupazione desta nel mio animo.

Dio voglia che il colloquio spiani il cammino verso una ulteriore riflessione che, impedendo passi che potrebbero essere suscettibili di conseguenze imprevedibili, consenta di proseguire l'esame sereno e responsabile del contrasto.

Potranno così avere la meglio, le esigenze di giustizia, di equità e prudenza, fondamento sicuro e stabile della convivenza fraterna dei vostri popoli, rispondendo alla vostra profonda aspirazione alla pace interna ed esterna, sulla quale poter costruire un futuro migliore.

Il dialogo non pregiudica i diritti e amplia il campo delle possibilità ragionevoli, rendendo onore a quanti hanno il coraggio e la saggezza di continuarlo instancabilmente contro tutti gli ostacoli.

Sarà una sollecitudine benedetta da Dio e sostenuta dal consenso dei vostri popoli e dal plauso della Comunità internazionale.

Il mio richiamo è suggerito dall'affetto paterno che sento per queste due Nazioni tanto amate e dalla fiducia che nasce dal senso di responsabilità di cui fino ad oggi hanno dato prova, e di cui mi aspetto una nuova testimonianza.

Con i miei migliori voti e la mia benedizione.

Data: 1978-12-12 Data estesa: Martedi 12 Dicembre 1978




Ai giovani nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vivere con impegno gli anni della giovinezza

Cari ragazzi e ragazze, e cari giovani.

E' una vera gioia vedervi qui dinanzi a me, salutarvi con tutta l'effusione del cuore, e trattenermi brevemente con voi, in un dialogo semplice e affettuoso. Quasi vorrei che il tempo non passasse, per esortarvi a vivere con impegno questi anni della vostra giovinezza, e per invitarvi ad essere dei testimoni intrepidi della vostra fede nel mondo di oggi. Partecipo così, in qualche modo, alla gioia dei vostri genitori, quando nell'interno della casa vi vedono attorno alla tavola, vi parlano, e vi danno i loro consigli e i loro suggerimenti, preparandovi in tal modo alla vita. C'è sempre una speciale attrattiva in voi giovani, per quella vostra istintiva bontà non contaminata dal male, e per la vostra particolare disposizione ad accogliere la verità e a praticarla. E poiché Dio è verità, voi amando e accogliendo la verità, siete i più vicini al cielo.

Voi sapete che ci troviamo, ora, nel periodo dell'Avvento. "Avvento" significa - come ho detto nelle scorse settimane - "venuta": è il tempo in cui ci prepariamo alla venuta del Redentore. Gesù, infatti, è nato una sola volta; ma la Chiesa, che è nostra madre nella vita soprannaturale, ce ne fa ricordare ogni anno la nascita non solo per adorarlo e ringraziarlo, ma per avere gli stessi doni che porto ai pastori e ai Magi: e cioè la grazia, l'amore verso Dio, la bontà verso il prossimo, l'umiltà verso tutti.

"Avvento", dunque, è la venuta di Gesù, e l'attesa di questa venuta.

Forse qualcuno dei più piccoli di voi attende il Natale per i doni che i genitori gli prepareranno. Questo non è un male. Ma dovete attenderlo specialmente per i doni della grazia, che è la cosa più importante nella vita.

Prepararvi bene alla festa del Natale. Come? come ci indica la Chiesa nelle Letture della sua Liturgia. Ascoltatemi.

Voi sapete che Dio ha creato tutte le cose, compreso l'uomo. Egli, inoltre, sottomise al potere dell'uomo i campi, i frutti, il sole, la pioggia, gli animali, e tutto quello che gli era necessario. Sicché, tutto quello che l'uomo era ed aveva, era dono dell'amore di Dio: proprio come avviene nelle vostre famiglie, dove i vostri genitori non solo vi danno la vita, collaborando con Dio, ma tutto quello che serve alla vostra vita. Non avrebbero dovuto, Adamo ed Eva, esser fedeli a Dio? Certo. E invece, disobbedirono, e perdettero la sua amicizia.

Dio allora li caccio dal paradiso terrestre, come voi ben sapete dalla Bibbia.

Poveri uomini, cacciati dal paradiso, senza Dio, e condannati all'inferno! Ma il Signore li amava, come i vostri genitori amano ciascuno di voi.

Allora penso di salvarli mandando un Redentore, e cioè Gesù Cristo, suo Figlio.

Egli sarebbe venuto, avrebbe insegnato la via della verità, e poi sarebbe morto per riparare il peccato degli uomini. Vedete, allora, la bontà di Dio: egli ha punito Adamo ed Eva e i loro discendenti; ma ha promesso subito la salvezza per mezzo del Redentore.

Il Signore, pero, non mando subito il Salvatore. E durante questo lungo periodo, gli uomini sono vissuti attendendo e desiderando il Redentore! E i profeti, specialmente Isaia, come tennero viva questa speranza! Come pregavano perché il Redentore venisse presto! Ebbene, è la stessa cosa che deve fare anche ciascuno di voi in questo tempo dell'Avvento: desiderare che Gesù venga nel Natale, che ci dia la sua grazia, che ci ami sempre, che ci aiuti a vincere il peccato. Ma nello stesso tempo, dovete essere migliori, e rendervi degni di Dio che viene. Quindi in questo periodo dovete sforzarvi di essere più religiosi, più obbedienti, più studiosi, più impegnati, più puri.

A tutti fin d'ora auguro un buon Natale, e vi prego di portare questo mio augurio ai vostri genitori e ai vostri cari. E mentre estendo il mio saluto a quanti vi hanno qui accompagnati, vi imparto di cuore la mia benedizione.

Data: 1978-12-13 Data estesa: Mercoledi 13 Dicembre 1978


Al Ministro bulgaro degli Affari Esteri - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Interesse per gli sviluppi sociali e religiosi della Bulgaria

Signor Ministro.

Sono felice di dare il benvenuto a Vostra Eccellenza e alla di lei consorte e agli onorevoli membri del suo seguito. Desidero accogliervi nello spirito della promessa fatta, ormai parecchi anni fa, dal mio predecessore di venerata memoria, Papa Giovanni XXIII, al termine della sua missione di Rappresentante pontificio in Bulgaria, quando dichiaro che, ovunque si sarebbe trovato, le porte della sua casa sarebbero sempre state aperte per accogliere un Bulgaro.

Sono anche il successore di Papa Paolo VI, e in quanto tale mi è gradito ricordare la visita che gli fece tre anni fa Sua Eccellenza il Signor Todor Jivkov, Presidente del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare di Bulgaria.

Quella visita segno l'inizio di uno scambio aperto di vedute e getto, per così dire, le basi di una ricerca comune e non sterile di soluzioni dei diversi problemi riguardanti i rapporti tra la Chiesa e lo Stato in Bulgaria.

E' con attenzione, Signor Ministro, che seguo il progresso sociale, culturale e spirituale del nobile popolo bulgaro, giustamente legato alla propria storia e alle proprie tradizioni, che determinano la sua identità e sono la base della sua sovranità nazionale. Come pastore universale della Chiesa cattolica non dimentico che il numero dei suoi figli che si trovano in Bulgaria - di rito latino e bizantino - è molto ridotto.

Tuttavia sono felice non solo di sapere che essi restano fedeli alla loro Chiesa, ma anche che danno l'esempio compiendo i loro doveri di cittadini, e che portano il loro efficace contributo allo sviluppo della nazione alla quale sono fieri di appartenere. Questo è ai miei occhi una conseguenza naturale della ricca eredità spirituale e culturale trasmessa al popolo bulgaro dai santi Cirillo e Metodio. Grazie ai fondamenti posti da questi due apostoli, e anche all'ammirevole testimonianza di molti altri vescovi e preti, è stato possibile mostrare che la fede cristiana e la cultura, lungi dall'essere estranee l'una all'altra o di contrapporsi, si arricchiscono a vicenda. E' per questa ragione che guardo con interesse le diverse iniziative prese congiuntamente dagli organismi bulgari e vaticani designati a questo scopo, in vista di favorire atti di collaborazione concreta in campo culturale.

Mi rallegro, Signor Ministro, dei progressi già raggiunti per dare alla Chiesa cattolica in Bulgaria la possibilità di adempiere ai compiti che le sono affidati, e mi auguro vivamente che i problemi ancora in corso di esame possano essere risolti in modo soddisfacente. Voi sapete che la Chiesa cattolica non cerca - nemmeno in Bulgaria - di ottenere dei privilegi, ma ha bisogno, come in qualsiasi altro luogo, di spazio vitale per compiere la sua missione religiosa e per poter anche lavorare secondo la sua natura specifica e con i suoi propri mezzi - per lo sviluppo integrale e pacifico di ogni uomo e di tutti gli uomini.

Il nostro pensiero va anche ai Pastori e ai fedeli della venerabile Chiesa ortodossa bulgara, di cui ricordo con piacere e riconoscenza la partecipazione, con l'invio di una delegazione speciale, alla cerimonia inaugurale del mio pontificato.

Voglia, Signor Ministro, trasmettere i miei voti sinceri al Signor Presidente della Repubblica di Bulgaria. Sono anche felice di esprimerle, nei riguardi di tutto il popolo bulgaro che mi è così caro, i miei voti di pace e di prosperità materiale e spirituale, nella giustizia e nell'amore fraterno.

Data: 1978-12-13 Data estesa: Mercoledi 13 Dicembre 1978


Al Consiglio Generale del Sinodo dei Vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il ruolo della famiglia nel mondo di oggi

Venerabili fratelli.

Sono pieno di gioia a motivo dell'incontro con voi. Infatti il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi è un gruppo a me caro e familiare, è in effetti l'ambito in cui io, per così dire, sono cresciuto. Mi sia lecito ricordare che dopo l'ultima sessione terminata nel mese di ottobre 1977 del Sinodo dei Vescovi, io sono stato eletto per la seconda volta in tre anni come membro del medesimo Consiglio.

Se in base ad un altra deliberazione, che il Collegio dei Cardinali fece quest'anno il 16 ottobre, il mio mandato in tal senso e stato estinto, ciononostante sento uno stretto legame con codesto Consiglio, per questo motivo - è bello ripetere ciò che ci dà motivo di gioia - sono particolarmente lieto di trovarmi alla vostra presenza. Una parte non piccola degli obiettivi che vi proponete sono frutto della mia esperienza personale.

Tale esperienza invero manifesta la dottrina del Concilio Vaticano II sulla forma collegiale dei Vescovi. Questa collegialità è richiesta ogni giorno di più alla stessa vita della Chiesa in questo tempo.

Questo risuono nel primo discorso di Giovanni Paolo I, che pronuncio queste parole: "Salutiamo tutti i Vescovi della Chiesa di Dio, che "uno per uno rappresentano la loro Chiesa, tutti poi insieme al Papa rappresentano tutta la Chiesa nel vincolo della pace, dell'amore e dell'unità" (LG 23) e la cui forma collegiale vogliamo saldamente rinvigorire" (Giovanni Paolo I, Allocuzione: AAS 70 (1978) 696-697); proprio questo, poche settimane dopo, è stato confermato dal suo successore nella prima allocuzione, con queste espressioni: "In modo particolare poi esortiamo a... tenere sempre più presente ciò che il vincolo collegiale porta con sé; perciò i Vescovi sono uniti strettamente al successore del beato Pietro e tutti tra di loro sono concordi per adempiere ai compiti insigni loro affidati nell'interpretare il Vangelo, nel santificare con gli strumenti della grazia, nel guidare con l'arte pastorale tutto il Popolo di Dio.

Questa forma collegiale senza dubbio riguarda anche il congruo progresso degli istituti, in parte nuovi, in parte conformi alle odierne necessità, con i quali si raggiunge la maggiore unità possibile degli animi, dei propositi, delle opere nella edificazione del corpo di Cristo... Per quanto riguarda ciò, facciamo innanzitutto menzione del Sinodo dei Vescovi" (Giovanni Paolo II, Allocuzione, AAS 70 1978) 922).

Il principio enunciato dal Concilio sulla forma collegiale, senza dubbio può essere reso evidente in molteplici modi e può essere portato ad effetto. Di questo argomento ha trattato il mio insigne predecessore Paolo VI, parlando ai Padri riuniti per il Sinodo straordinario nell'anno 1969: "Pensiamo di aver dimostrato - disse - quanto grande sia il nostro desiderio che questa collegialità dei Vescovi abbia una funzione promotrice nella stessa situazione e azione della vita, sia istituendo lo stesso Sinodo dei Vescovi, sia dando la propria approvazione alle Conferenze Episcopali, sia nei particolari ministeri della nostra Curia Romana eleggendo alcuni fratelli nell'episcopato e Pastori di anime, che vivono nei territori delle loro diocesi. Se ci assisterà la grazia divina e la concordia fraterna renderà più facili i nostri rapporti reciproci, si potrà estendere più ampiamente l'esercizio di questa collegialità sotto altre forme canoniche... il Sinodo... anche varrà ad illuminare con consentanee regole canoniche quale sia e come cresca la collegialità dei Vescovi, e nello stesso tempo potrà anche avvalorare le direttive del Concilio Vaticano I e II sul potere del successore del Beato Pietro e dello stesso collegio dei Vescovi con a capo il Sommo Pontefice" (Paolo VI, Allocuzione AAS 61 (1969) 717-718). Di questi argomenti hanno trattato tutte le sessioni precedenti; e sono questioni che hanno certamente un'importanza fondamentale per realizzare, nella stessa prassi della vita, il proposito di rinnovamento della Chiesa, che è contenuto nella dottrina del Concilio Vaticano II.

Questo è chiaramente il significato delle questioni trattate nelle ultime due sessioni ordinarie del Sinodo dei Vescovi; la questione più importante e in un certo senso il cardine di tutto sembra essere l'evangelizzazione, cui fa seguito subito la catechesi, mediante la quale quella, in primo luogo, si può attuare. Il frutto del Sinodo celebrato nel 1974 fu l'esortazione apostolica di Paolo VI "Evangelii Nuntiandi"; il frutto invece del Sinodo del 1977 non è ancora stato pubblicato, spero che possa essere pubblicato all'inizio del prossimo anno.

Abbiamo certamente bisogno di documenti del genere che nascono dalla vita della Chiesa, feconda ma talvolta difficile, e che a loro volta portano un nuovo fermento alla stessa vita.

Siete certamente consapevoli dell'importanza della questione, che è la tesi del Sinodo del 1980 e che ha questo titolo: "Il ruolo della famiglia cristiana nel mondo di oggi". Questo argomento non è separato dai precedenti, ma procede nella stessa direzione. Si deve tuttavia osservare che la famiglia non è solo "oggetto" di evangelizzazione e di catechesi, ma anche, ed è di fondamentale importanza, è il suo "soggetto fondamentale". Questo si deduce da tutta la dottrina del Concilio Vaticano II sul Popolo di Dio e sull'apostolato dei laici.

Questo stesso argomento è come il campo specifico, dove la medesima dottrina si tramuta in prassi e dove, di conseguenza, si opera il rinnovamento della Chiesa secondo le intenzioni del medesimo Concilio.

Dovrete prevedere e sostenere certo un imponente lavoro, venerabili fratelli! Vi ringrazio moltissimo della vostra sollecitudine, innanzitutto ringrazio il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, il Vescovo Ladislao Rubin e i singoli esimi colleghi del Consiglio della segreteria Generale. E non voglio dimenticare i periti e gli ufficiali, che nella medesima Segreteria svolgono i loro compiti. Vi esorto tutti a continuare questo nobile lavoro, con il quale si contribuisce non poco in questa età al rafforzamento e alla crescita della Chiesa.

Abbracciandovi con affetto particolare, vi imparto molto volentieri la benedizione apostolica, pegno dell'aiuto celeste.

Data: 1978-12-16 Data estesa: Sabato 16 Dicembre 1978


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il presepio: scuola di semplicità, di povertà, di umiltà

Oggi mi rivolgo specialmente ai ragazzi e alle ragazze che sono venuti in piazza San Pietro a portare la statuina di Gesù Bambino perché sia benedetta dal Papa prima di essere deposta nel presepio preparato a casa.


1. Siate benvenuti, figliuole e figliuoli carissimi! Vi saluto con vera letizia, specialmente per il gesto così spiritualmente significativo, che avete accettato di compiere con tanto entusiasmo.

La prima rappresentazione plastica del presepio è nata, come sapete, dalla geniale intuizione di san Francesco d'Assisi: profondamente colpito e commosso dall'umiltà dell'Incarnazione, nella notte di Natale del 1223 fece predisporre a Greccio, da un fedele e pio amico di nome Giovanni, tutto l'occorrente: paglia, fieno, la mangiatoia e un bue e un asinello in carne e ossa.

"Vorrei rappresentare - disse il Santo - il Bambino Gesù nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva nel fieno fra il bue e l'asinello" (Tommaso da Celano, "Vita Prima", 84). Sul luogo vennero vari frati; uomini e donne giunsero festanti dai casolari della regione, portando ceri e fiaccole per illuminare quella notte nella quale, come nota ancora il biografo, "s'accese splendida nel cielo la Stella che illumino tutti i giorni e i tempi". Un sacerdote celebro l'Eucaristia e Francesco d'Assisi, che era diacono, canto con la sua voce forte e dolce, limpida e sonora, il Santo Vangelo.


2. Da Greccio, che, diventato come una nuova Betlemme, la rappresentazione del presepio, sgorgata dal cuore di un Santo, capace di realizzare nella vita la poesia più sublime, si diffuse in tutta l'Italia, nell'Europa, nel mondo intero, conservando intatto, nelle diverse espressioni delle culture e del folklore, il messaggio fondamentale, autenticamente evangelico, che Francesco voleva che giungesse alle anime dalla contemplazione del presepio, scuola di semplicità, di povertà, di umiltà. La società contemporanea non è sempre, purtroppo, fautrice e messaggera di tali atteggiamenti, che vengono talvolta considerati addirittura come debolezze o come frustrazioni della personalità umana. Eppure il Figlio di Dio, per venire incontro all'uomo, per camminare accanto a lui, per salvarlo ha scelto la rinunzia al fulgore degli attributi della sua Persona divina, la totale mancanza dei mezzi e degli strumenti umani, la lotta alla superbia e alla tracotanza.


3. Mentre benedico le vostre statuine, carissimi figliuoli, penso con serena speranza a voi, al bene immenso che voi, proprio perché siete piccoli, potete fare nell'ambito della vostra famiglia, della scuola, delle associazioni, della stessa società: non per nulla Gesù stesso vi ha scelti come i modelli per coloro che vogliono partecipare al suo Regno (cfr. Mt 18,4 Mc 10,15).

Portate a casa, con grande cura, la statuina di Gesù Bambino, anche come segno dell'amore del Papa per voi e per le vostre famiglie; deponetela nel vostro presepio con intensa fede, con quella fede con cui Maria santissima, la Madre di Dio, depose il neonato Gesù nella mangiatoia (cfr. Lc 2,7); invitate il papà, la mamma, i fratelli e le sorelle, tutta la vostra famiglia, a stringersi in questi giorni della Novena di Natale attorno al presepio, per recitare insieme le preghiere imparate sulle ginocchia materne, per cantare i dolci canti popolari, così carichi di umano e cristiano sentimento.

Gesù Bambino, presente nel presepio della vostra casa, sia il segno concreto di una fede limpida e schietta, che illumini, orienti e diriga la vita vostra e quella dei vostri cari.

Ed ora, mentre perdura ancora il tempo dell'Avvento ed incomincia la sua ultima settimana, vi presento una mia richiesta. Durante questa settimana vi invito a pregare in modo particolare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.

Come chiediamo a Dio che la terra produca il raccolto, così, e ancora di più, dobbiamo pure chiedere che le anime portino i frutti particolarmente necessari alla vita spirituale di tutta la Chiesa. C'è un grande bisogno di sacerdoti, di missionari, di suore, di missionarie, di catechiste, di infermiere che curino i malati.

Ritornando a casa, ricordatevi di ciò che vi dico; e più di una volta inginocchiatevi in preghiera insieme con il Papa e con tutti per chiedere: Gesù, manda operai nella tua messe (cfr. Mt 9,38). Con tale preghiera, mi aiuterete molto. Gesù che vi ama particolarmente, cari ragazzi e ragazze, più facilmente ascolterà le preghiere del Papa e di tutto il Popolo di Dio, se voi, si, proprio voi, pregherete insieme con tutti noi.

Data: 1978-12-17 Data estesa: Domenica 17 Dicembre 1978



GPII 1978 Insegnamenti - A un gruppo di lavoratori cristiani - Il diritto al lavoro e alla giustizia sociale