GPII 1978 Insegnamenti - A San Paolo fuori le Mura (Roma)

A San Paolo fuori le Mura (Roma)

Titolo: Nel pontificato di Paolo VI il carisma dell'Apostolo delle genti




1. Dopo la presa di possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano, che è la cattedrale del Vescovo di Roma, dopo la commovente visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore all'Esquilino, dove ho potuto, agli inizi del mio pontificato, esprimere tutta la mia fiducia e il mio completo abbandono nelle mani di Maria, Madre della Chiesa, oggi mi è dato di venire qui.

La Basilica di San Paolo fuori le Mura - uno dei quattro più importanti templi della Città Eterna - evoca pensieri e sentimenti particolari nel cuore di colui che, come Vescovo di Roma, è divenuto successore di san Pietro. La vocazione di Pietro - unica per volere di Cristo stesso - è unita con un singolare legame alla persona di Paolo di Tarso. Ambedue, Pietro e Paolo, si sono trovati qui a Roma al termine del loro pellegrinaggio terreno; ambedue sono venuti qui per lo stesso fine: dare testimonianza a Cristo. Entrambi per la stessa causa hanno subito qui la morte e, come narra la tradizione, ciò è avvenuto nello stesso giorno. Tutti e due costituiscono il fondamento di questa Chiesa che li invoca, ricordandoli insieme come suoi patroni. E benché Roma sia la cattedra di Pietro, tutti ci rendiamo conto di quanto profondamente negli inizi di questa cattedra, nelle sue fondamenta, sia iscritto Paolo: la sua conversione, la sua persona, la sua missione.

Il fatto che san Pietro si sia trovato a Roma, che sia venuto qui da Gerusalemme attraverso Antiochia, che qui abbia adempiuto il suo mandato pastorale, che qui abbia concluso la sua vita, era espressione di quella universalità del Vangelo, della cristianità, della Chiesa, di cui san Paolo, sin dagli inizi fu deciso e intrepido araldo. Nel momento della sua conversione da persecutore, noi sentiamo risuonare le parole: "egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele" (Ac 9,15).

Roma non fu l'unico traguardo della vita apostolica e del pellegrinaggio di Paolo di Tarso. Bisogna dire piuttosto che il suo obiettivo fu l'universum dell'impero romano di allora (come attestano i suoi viaggi e le sue lettere). Di questi viaggi Roma fu l'ultima tappa. Paolo arrivo qui già come prigioniero, messo in carcere per la causa a cui aveva dedicato tutto se stesso: la causa dell'universalismo, quella causa, che colpiva le basi stesse di una certa visione rabbinica del Popolo Eletto e del suo Messia. Sottoposto a giudizio proprio a ragione di questa sua attività, Paolo si era appellato come cittadino romano a Cesare. "Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai" (Ac 25,12). E così Paolo si trovo a Roma come prigioniero in attesa della sentenza di Cesare. Si trovo qui, allorché il principio dell'universalità della Chiesa, del Popolo di Dio della nuova alleanza era già stato sufficientemente affermato, ed anzi consolidato in modo irreversibile nella vita della Chiesa stessa. E allora Paolo, che all'inizio della sua missione, dopo la conversione, aveva considerato suo particolare dovere "videre Petrum" (vedere Pietro) poteva giungere qui a Roma per incontrarsi nuovamente con Pietro: qui, in questa città, in cui l'universalità della Chiesa ha trovato nella Cattedra di Pietro il suo baluardo per secoli e millenni.

Ben poco è quanto ho detto su Paolo di Tarso, Apostolo delle genti e grande Santo. Si potrebbe e si dovrebbe dire molto di più, ma per necessità debbo limitarmi a questi cenni.


2. Ed ora mi sia lecito parlare di quel Pontefice che scelse il nome dell'Apostolo delle genti: di Paolo VI. Le circostanze di tempo e di luogo mi spingono in modo particolare a parlare di lui. Ma, soprattutto, è questa un'esigenza del cuore: desidero infatti parlare di colui che a buon diritto considero non soltanto come mio predecessore, ma proprio come Padre. E di nuovo sento che potrei e dovrei parlare a lungo, ma anche qui, per la tirannia del tempo, il mio discorso dovrà essere breve. Desidero ringraziare tutti coloro che onorano la memoria di questo grande Pontefice. Desidero ringraziare i suoi concittadini di Brescia per il recente solenne atto dedicato alla sua memoria e desidero ringraziare il Cardinale Pignedoli per avervi partecipato. Non una volta soltanto torneremo su quanto egli opero e su ciò che egli era.

Perché egli scelse il nome di Paolo? (dopo molti secoli questo nome è rientrato nell'annuario dei Vescovi di Roma). Certamente perché riscontro una particolare affinità con l'Apostolo delle genti. Del resto il pontificato di Paolo VI non testimonia forse come egli fosse profondamente consapevole, a somiglianza di san Paolo, della nuova chiamata di Cristo all'universalismo della Chiesa e della cristianità secondo la misura dei nostri tempi? Non scrutava egli forse, con straordinaria penetrazione, i segni dei tempi di questa difficile epoca, come lo fece Paolo di Tarso? Non si sentiva egli chiamato, come questo apostolo, a portare il Vangelo sino ai confini della terra? Non conservava forse, come san Paolo, la

pace interiore anche quando "la nave fu travolta nel turbine e non poteva più resistere al vento" (cfr. Ac 27,15)? Paolo VI, Servo dei servi di Dio, successore di Pietro, che aveva scelto il nome dell'Apostolo delle genti, col nome ne aveva ereditato il carisma.


3. Venendo oggi nella Basilica di San Paolo desidero unirmi con nuovo legame d'amore e di unità ecclesiale con la comunità dei Padri Benedettini, i quali da secoli custodiscono questo luogo nella preghiera e nel lavoro.

Desidero inoltre come nuovo Vescovo di Roma visitare la parrocchia di cui la Basilica di San Paolo è la sede.

Questa antica e venerabile Basilica, infatti, che lungo i secoli è sempre stata meta di pellegrinaggi e che era fuori le mura di Roma, in questi ultimi decenni - a seguito dello sviluppo urbanistico della città - è stata costituita parrocchia, diventando in tal modo il centro della vita religiosa degli abitanti di questo settore.

E così qui abbiamo tre aspetti che, benché ben distinti fra loro, costituiscono altrettante facce della medesima realtà: Abbazia, Basilica, parrocchia, tre entità che si alimentano reciprocamente, donando ai fedeli copiosi frutti spirituali.

Estendo poi il mio saluto alle varie associazioni che collaborano sul piano pastorale con la parrocchia; saluto i catechisti, saluto con paterno affetto i religiosi e le religiose che svolgono la loro attività nell'ambito della parrocchia, con una particolare intenzione per coloro che prestano la loro opera al Pontificio Oratorio San Paolo, il quale promuove un'azione interparrocchiale a favore della gioventù. A tutti i fedeli il mio saluto cordialissimo, la mia benedizione e il mio incoraggiamento ad amare la loro parrocchia. E rivolgo, infine, un pensiero speciale ai sofferenti, sia perché afflitti da malattia, sia perché nelle angustie per mancanza di lavoro, assicurando loro un particolare ricordo nella preghiera.


4. "Gaudete in Domino semper: iterum dico vobis, gaudete...": "Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi". Queste parole della liturgia odierna, e cioè della terza domenica di Avvento, sono prese da san Paolo. Le stesse parole furono ripetute da Paolo VI nell'esortazione da lui pubblicata sulla gioia cristiana (cfr. "Gaudete in Domino": AAS 67 (1975) 289-322).

Mi unisco a loro due oggi con tutto il cuore e grido a voi, dilettissimi fratelli e sorelle: "iterum dico vobis, gaudete": "ve lo ripeto, rallegratevi"! "Dominus... prope est": "Il Signore è vicino"! Data: 1978-12-17 Data estesa: Domenica 17 Dicembre 1978


All'inaugurazione della scuola "San Paolo" (Roma)

Titolo: Portate nella società la dimensione dell'amore

Figli carissimi, rivolgo innanzitutto un saluto particolarmente cordiale a tutti voi qui presenti, per la calorosa accoglienza che mi avete riservato.

Sono lieto ed insieme onorato di essere oggi in mezzo a voi per inaugurare questa "Scuola Professionale San Paolo", che era stata ideata e voluta dal mio grande predecessore Paolo VI. Lui, non io, avrebbe dovuto essere qui al mio posto a coronare un intenso e personale interessamento per quest'opera di alto valore sociale, progettata già fin dal 1974 e ora giunta felicemente a compimento.

Questo è uno dei monumenti più vivi e significativi, innalzato alla sua acuta sensibilità per la promozione umana, intesa come necessaria conseguenza di un'adesione al Vangelo vissuta in pienezza. Con vero spirito di amore concreto dagli effetti duraturi, egli penso ai bisogni del popoloso Quartiere Ostiense e soprattutto ai suoi numerosi giovani. D'intesa con le competenti Autorità Regionali del Lazio fu scelto il particolare tipo di scuola e di costruzione, e si procedette poi ad edificare un istituto, che, con la sua capienza di 500 ragazzi, è convenientemente in grado di venire incontro alle locali necessità di Corsi specifici di Addestramento Professionale per meccanici, elettricisti ed elettrotecnici. Come sapete, la spesa non indifferente per la messa in atto del vasto e funzionale complesso è stata sostenuta dallo stesso Pontefice.

perciò, tanto l'edificio quanto la scelta attrezzatura della Scuola sono un munifico dono di questo insigne Papa, il quale sapeva bene, come ci ammaestra l'apostolo Paolo, che "la fede si fa operante mediante la carità" (Ga 5,6). Da parte loro, poi, i benemeriti Padri Giuseppini del Murialdo, che già dirigono il confinante Oratorio San Paolo, vi apportano la loro apprezzata gestione in qualità di esperti educatori della gioventù.

Io sono qui oggi per ricordare e riconoscere tutto ciò, per rendere il dovuto onore ed esprimere plauso a chi davvero ha fatto risplendere la luce delle sue buone opere davanti agli uomini (cfr. Mt 5,16), e per invitare le famiglie del Quartiere e specialmente gli Alunni della Scuola a benedire la memoria del Santo padre Paolo VI, il quale come Gesù "passo facendo del bene" (Ac 10,38). Sono qui anche per dirvi che questi nobili intenti sono da me condivisi pienamente. Quindi, anche se Paolo VI non è più tra noi, sappiate che il nuovo Papa fa propria la sua iniziativa e prega il Signore di volerlo aiutare a proseguire con lo stesso infaticabile zelo il medesimo impegno di carità efficace in favore soprattutto dei più bisognosi.

Ora non mi resta che formulare un fervido augurio a tutti i giovani, che qui apprendono un mestiere per la vita. So che l'anno scolastico è già iniziato dallo scorso ottobre. Ma sono ancora in tempo per raccomandarvi di imparare qui non solo un lavoro specializzato, utile a voi e alla vostra sussistenza, ma anche e soprattutto la dimensione dell'amore cristiano fraterno che sa donare e donarsi, così da portare alla società del nostro tempo un contributo non soltanto materiale, bensi di costruzione spirituale e interiore, senza di cui tutto sarebbe difettoso e labile.

In particolare vi raccomando, in questo periodo così prezioso della vostra giovinezza, ma anche così decisivo per la maturazione delle vostra personalità, di dedicarvi con generosità alla vostra formazione religiosa oltre che umana e professionale.

E la mia cordialissima benedizione apostolica accompagni tutti voi: studenti, insegnanti, e quanti prestano qui la loro opera ed hanno collaborato alla sua realizzazione; affinché questa Scuola cresca e porti frutti degni del suo venerato Fondatore, mediante l'apporto di tutti e con la necessaria grazia di Dio.

Data: 1978-12-17 Data estesa: Domenica 17 Dicembre 1978


Agli addetti alla vigilanza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Natale, momento di amore e di pace

Figli carissimi.

Sono lieto di trovarmi oggi qui con voi per un incontro breve, ma tanto più cordiale e festoso, per salutarvi con particolare effusione di sentimenti. Due sono i motivi che mi spingono a rivolgervi la mia parola.

Il primo consiste nel particolare servizio da voi svolto con infaticabile sollecitudine nell'ambito di questa Città del Vaticano. So quanto esso sia esigente e quanto senso di responsabilità richieda da ciascuno di voi.

Ebbene, io sono qui per ringraziarvi della vostra prestazione, della premura e della fatica con cui voi adempite il compito affidatovi. Il vostro impegno di vigilanza affinché tutto si svolga nella sicurezza e nell'ordine può diventare occasione e fonte per una vostra disciplina personale e quindi per un'autoeducazione umana e spirituale. In questo senso, non è forse inopportuno ricordare che il Vangelo invita tutti i cristiani ad un costante atteggiamento di feconda "vigilanza" nei confronti della venuta del Signore.

Il fatto di svolgere la vostra attività vicino alla Tomba di san Pietro, centro della cattolicità, è indubbiamente un grande onore e deve essere per voi anche un motivo di intima gioia, ma altresi di salutari riflessioni. Esso deve essere stimolo a vivere in pienezza la vita cristiana. Il vostro non è solo un impiego o un servizio qualsiasi; il vostro è un impegno che esige fede e coerenza, in modo che anche voi, nella vita quotidiana, possiate testimoniare le vostre convinzioni religiose e il vostro amore a Cristo, alla Chiesa, al Papa.

La mia visita e il mio saluto si ispirano oggi anche a un secondo motivo. Il Natale è ormai vicino. Tutti dobbiamo attendere il Signore ed essere pronti a riceverlo come si deve: con fede, con impegno, con gioia. Quando egli nacque a Betlemme, i primi ad accoglierlo e a rendergli omaggio furono dei pastori vigilanti; così scrive Luca: "alcuni pastori vegliavano di notte, facendo la guardia al loro gregge" (Lc 2,8). Questo è l'atteggiamento giusto, necessario a tutti. Anche voi, dunque, siete invitati ad essere come quei custodi di greggi o come quelle vergini prudenti, che all'arrivo dello sposo erano preparate per andargli incontro (cfr. Mt 25,6-10). A questa condizione, il Natale diventa davvero una "festa" nel senso pieno del termine, con riflessi conseguenti sulla vita di ogni giorno: quei pastori, infatti, dopo la visita a Gesù, "se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto" (Lc 2,20).

A questo punto, la mia parola si trasforma in un augurio, veramente sentito, per voi e per le vostre Famiglie. Questo prossimo Natale sia una vera occasione di amore, di pace, di intimità nelle vostre case: solo con queste realtà è possibile un'autentica e duratura prosperità umana e cristiana, che invoco di tutto cuore su di voi. E che il Signore vi protegga, vi ricompensi, vi incoraggi con l'abbondanza delle sue grazie, di cui vuol essere pegno la mia speciale benedizione apostolica.

Data: 1978-12-18 Data estesa: Lunedi 18 Dicembre 1978


Ai Vescovi dell'Europa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Collegialità episcopale e autonomie regionali

Cari fratelli.

Sono molto contento di ricevervi, poiché attribuisco una grande importanza a questa riunione plenaria del vostro Consiglio, al quale partecipano Vescovi delegati da ciascuna Conferenza episcopale di tutto il continente europeo.


1. Questa collaborazione si attua conformemente agli statuti che sono stati canonicamente approvati dalla Santa Sede il 10 gennaio 1977. Essa consiste nello scambio regolare delle informazioni, delle esperienze e dei punti di vista sui principali problemi pastorali che si pongono nei vostri paesi. Essa vi porta anche ad assumere insieme doveri che raggiungono una dimensione europea. E' un modo di incarnare la collegialità in cui l'insegnamento del Concilio Vaticano II può portare tutti i suoi frutti. La collegialità significa apertura reciproca e cooperazione fraterna dei Vescovi al servizio dell'evangelizzazione, della missione della Chiesa. Un'apertura e una cooperazione di questo tipo sono necessarie, non soltanto al livello delle Chiese locali e della Chiesa universale, ma anche al livello dei continenti, come testimonia la vitalità di altri organismi regionali - anche se gli statuti sono un poco differenti - come il Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM), il Simposio delle Conferenze Episcopali d'Africa e del Madagascar (SCEAM) e la Federazione delle Conferenze dei Vescovi dell'Asia (FABC), per citare solo le grandi assemblee. Il Papa e la Santa Sede si sentono in dovere di promuovere organismi di questo genere, a diversi livelli di cooperazione collegiale, pur considerando che le istanze regionali o continentali non si sostituiscono all'autorità di ciascun Vescovo, né di ciascuna Conferenza episcopale per quanto attiene alle decisioni, e che esse situano la loro ricerca nel quadro degli orientamenti più generali della Santa Sede, in stretto legame con il successore di Pietro. Nel presente caso, la dimensione europea sembra al Papa molto importante e anche necessaria.


2. Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CEEE) fra i suoi numerosi scambi e attività, ha preso una iniziativa importante: organizza, ogni tre anni, un Symposium dei Vescovi d'Europa. Quello previsto per quest'anno non ha potuto aver luogo a causa della morte dei miei due predecessori e dei successivi conclavi; la preparazione prosegue sul tema: la giovinezza e la fede. E' un tema molto importante: bisogna affrontarlo con molta obiettività e con la speranza degli apostoli che sanno che il messaggio di Cristo può e deve raggiungere i giovani di ogni generazione.

Ho avuto la fortuna di partecipare al Symposium del 1975 e di pronunciarvi un discorso. Desidero ricordare almeno qualche pensiero che allora aveva espresso Paolo VI ricevendoci. Si trattava di pensieri riguardanti l'Europa, la sua eredità cristiana e il suo avvenire cristiano. Ci aveva invitato a "risvegliare l'anima cristiana dell'Europa in cui si radica la sua unità"; a purificare e a ricondurre alla loro origine i valori evangelici ancora presenti ma disarticolati, orientati verso obiettivi puramente terreni; a risvegliare e fortificare le coscienze alla luce della fede predicata a tempo e fuori tempo; a convogliare il loro fuoco al di sopra di tutte le barriere... (cfr. AAS 67 (1975) 588-589).

Paolo VI, sulla linea di questi pensieri, ha costituito come patrono d'Europa san Benedetto, e ormai si avvicina il quindicesimo centenario della nascita di questo santo.


3. L'Europa non è la prima culla del cristianesimo. La stessa Roma ha ricevuto il Vangelo grazie al ministero degli apostoli Pietro e Paolo, che sono venuti qui dalla terra di Gesù Cristo. Ad ogni modo è vero che l'Europa, nel corso di due millenni, è divenuta come il letto di un grande fiume dove il cristianesimo si è riversato, rendendo fertile la terra e la vita spirituale dei popoli e delle nazioni di questo continente. E su questo slancio, l'Europa è diventata un centro di missione che ha irradiato gli altri continenti.

Il Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa costituisce una rappresentanza particolare degli Episcopati cattolici d'Europa. Noi dobbiamo augurarci che tutti gli Episcopati siano pienamente rappresentati in questa organizzazione, con la possibilità effettiva di parteciparvi. Solamente a queste condizioni l'analisi dei problemi essenziali della Chiesa e del cristianesimo può essere completa. Si tratta proprio dei problemi della Chiesa e del cristianesimo, affrontati anche in una prospettiva ecumenica. Poiché se è vero che non tutta l'Europa è cattolica, è pur vero che essa è quasi del tutto cristiana. Il vostro Consiglio deve diventare in qualche modo il vivaio dove nasce, si sviluppa e matura, non solo la coscienza di ciò che fu ieri il cristianesimo, ma anche la responsabilità di quello che dovrà essere domani.

Con questi sentimenti presento i miei auguri per il Natale e per il nuovo Anno, a ciascuno di voi, al vostro Consiglio, a tutti gli Episcopati che voi rappresentate e a tutte le nazioni di questo Continente, cui la Provvidenza ha legato la storia del cristianesimo in maniera così eloquente.

Data: 1978-12-19 Data estesa: Martedi 19 Dicembre 1978




Ai ragazzi e ai giovani nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoniare la vera gioia che fiorisce nei cuori puri

Cari ragazzi e ragazze, e cari giovani.

Anche questo mercoledi ha luogo l'abituale, ma cordiale e significativo incontro, in questa Basilica Vaticana, tra il Papa e voi tutti, così numerosi, festanti ed eloquenti nei vostri volti vivaci e nei vostri omaggi affettuosi.

Il Papa, che rappresenta la giovinezza di Cristo e della Chiesa, è sempre lieto d'incontrarsi con coloro che sono l'espressione della giovinezza della vita e dell'umanità! C'è tra noi, dunque, un'affinità di spirito; si afferma quasi un'esigenza di trattenerci come tra veri amici; si ravvisa un gusto di comunicare gioie, speranze, ideali; affiora vivo e spontaneo il desiderio del dialogo, che, da parte del Papa, si articola in insegnamento di verità e di bontà, in esortazione e incoraggiamento, in benevolenza e benedizione; mentre, da parte di voi, ragazzi e giovani, si manifesta nell'accoglienza libera e volenterosa di detti insegnamenti paterni, si esprime in promessa di tradurre in atto quanto vi vien detto, si concreta nell'impegno di essere testimoni tra i vostri coetanei, della vera gioia, che fiorisce in cuori buoni, puri, ricchi della grazia del Signore.

A questa grazia, che in una maniera del tutto particolare e commovente si manifesta nell'Incarnazione del Verbo di Dio, ossia nella nascita temporale di Gesù, oggi intendo richiamare la vostra attenzione, perché, anche voi, contemplando il grande mistero di amore e di luce, che irradia dal Celeste Bambino, possiate, come i pastori di Betlemme, tornare alle vostre case pieni di gioia, osannando a Dio nell'alto dei cieli per il dono ineffabile del suo Figlio Unigenito fatto agli uomini, e donando questa stessa gioia anche agli altri.

"Il Signore è vicino!" ci ripete la Liturgia con accenti sempre più vibranti e commossi, in questi giorni. Sinceramente dobbiamo dire che, se il cuore si allieta per questo annunzio, la mente si pone questa domanda: perché viene a noi il Signore? A tale quesito rispondo, riprendendo e completando il discorso sull'Avvento, iniziato nelle scorse settimane. In esso sono state tratteggiate tre grandi verità fondamentali: Dio che crea e in questa creazione rivela, nello stesso tempo, Se stesso; l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio "rispecchia" Dio nel mondo visibile creato; Dio elargisce la sua grazia, cioè vuole che "tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità". Egli vuole che ogni uomo diventi partecipe della sua verità, del suo amore, del suo mistero, affinché possa prendere parte alla sua stessa vita divina.

Che meraviglioso destino! Vivere di Dio e con Dio sempre, per essere felici in eterno insieme a lui! Dio, pero, non ci vuole salvi e felici in maniera incosciente o per forza, ma richiede la nostra cosciente e libera collaborazione, mettendoci di fronte all'"albero della scienza del bene e del male", ovvero ci propone una scelta, esige da noi una prova di fedeltà.

Ben sappiamo come Adamo ed Eva per primi e i loro discendenti poi, sul loro nefasto esempio, conobbero più la "scienza del male" che quella del bene.

Fece così la sua apparizione nel mondo il peccato originale, inizio e simbolo di tanti peccati, di immensa rovina, di morte fisica e spirituale. Il peccato! Il catechismo ci dice che esso è trasgressione al comandamento di Dio. Sappiamo bene che con esso si offende il Signore, si rompe l'amicizia con lui, si perde la sua grazia, si va fuori della giusta strada, incamminandosi verso la rovina. Iddio, mediante i suoi comandamenti, ci insegna praticamente come dobbiamo comportarci per vivere in maniera dignitosa, umana, serena; con essi ci inculca il rispetto dei genitori e dei superiori (IV comandamento), il rispetto della vita in tutte le sue manifestazioni (V comandamento), il rispetto del corpo e dell'amore (VI comandamento), il rispetto delle cose altrui (VII comandamento), il rispetto della verità (VIII comandamento). Il peccato è ignorare, calpestare, trasgredire queste regole sapienti e utili dateci dal Signore; ecco perché esso è disordine e rovina! Esso, infatti, con tante "voci" dentro e fuori di noi, ci tenta, ci spinge cioè a non credere a Dio, a non ascoltare i suoi paterni inviti, a preferire il nostro capriccio alla sua amicizia. Commettendo il peccato noi siamo lontani da Dio, contro Dio, senza Dio! L'Avvento ci dice che il Signore viene "per noi e per la nostra salute", cioè per liberarci dal peccato, per ridonarci la sua amicizia, per illuminare con la sua luce la nostra mente e riscaldare col suo amore il nostro cuore.

Gesù è prossimo a venire: nella notte di Natale andiamo incontro a lui per dirgli il nostro sincero e commosso "grazie", chiedendogli la forza di

mantenerci sempre lontani dal peccato e di rimanere costantemente fedeli al suo infinito amore.

Non posso separarmi da voi senza porgervi un cordiale paterno augurio: il Bambino di Betlemme, insieme alla sua e nostra dolcissima Madre, vi sorrida e ricolmi voi e tutti i vostri cari dei doni di letizia, di Pace e di Prosperità, vi conceda, infine, la sua celeste benedizione, di cui la mia è anticipo e segno.

Data: 1978-12-20 Data estesa: Mercoledi 20 Dicembre 1978



Messaggio per la Giornata della Pace - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per giungere alla pace, educare alla pace

A voi tutti che desiderate la pace! La grande causa della pace tra i popoli ha bisogno di tutte le energie di pace presenti nel cuore dell'uomo. E' a liberare e a ben indirizzare tali forze - ad "educarle" - che il mio predecessore Paolo VI, poco prima della morte, volle fosse dedicata la Giornata Mondiale 1979: "Per giungere alla pace, educare alla Pace".

Lungo tutto il corso del suo pontificato, Paolo VI cammino con voi sui sentieri difficili della pace. Egli condivideva le vostre angosce, quando essa era minacciata; soffriva con coloro che erano travolti dalle sventure della guerra; incoraggiava tutti gli sforzi per ristabilire la pace; conservava in tutte le circostanze la speranza, con energia indomabile.

Convinto che la pace è opera di tutti, egli lancio nel 1967 l'idea di una Giornata Mondiale della Pace, nel desiderio che voi ve ne appropriaste come di una vostra stessa iniziativa. Da allora, ogni anno, il suo Messaggio ha offerto ai responsabili delle nazioni e delle organizzazioni internazionali l'occasione per rinnovare ed esprimere pubblicamente ciò che legittima la loro autorità: il far progredire e far convivere pacificamente uomini liberi, giusti e tra loro fratelli. Le comunità più diverse si sono incontrate per salutare il bene inestimabile della pace e per confermare la loro volontà di difenderla e di servirla.

Io raccolgo dalle mani del mio venerato predecessore il bastone di pellegrino della pace. Sono anch'io in cammino, al vostro fianco, con in mano il Vangelo della pace: "Beati gli operatori di pace". Vi invito pertanto a celebrare, all'inizio del 1979, la Giornata Mondiale ponendola, secondo l'ultimo desiderio di Paolo VI, sotto il segno dell'educazione alla pace.


2. Giungere alla pace: è la sintesi e il coronamento di ogni nostra aspirazione.

La pace - come noi stessi intuiamo - è pienezza ed è gioia. Per instaurarla tra gli Stati, si moltiplicano i tentativi negli scambi bilaterali o multilaterali, nelle conferenze internazionali, e vi sono anche alcuni che assumono in prima persona iniziative coraggiose per stabilire la pace o allontanare la minaccia di una nuova guerra.


3. Si rileva, pero, al tempo stesso, che sia le persone singole sia i gruppi non finiscono mai di regolare i loro conflitti segreti o palesi. Sarebbe, dunque, la pace un ideale al di fuori della nostra portata? Lo spettacolo quotidiano delle guerre, delle tensioni, delle divisioni semina il dubbio e lo scoraggiamento.

Focolai di discordia e di odio sembrano addirittura essere attizzati artificialmente da certuni che non ne portano poi le conseguenze. E troppo spesso i gesti di pace sono ridicolmente impotenti a cambiare il corso delle cose, quando non sono sopraffatti e, infine, riassorbiti dalla logica dominante dello sfruttamento e della violenza.

Qui, ad esempio, la timidezza e la difficoltà delle riforme necessarie avvelenano le relazioni tra i gruppi umani, pur uniti tra loro da una lunga ed esemplare storia comune; nuove volontà di potenza propendono a ricorrere alla costrizione del numero o alla forza brutale, per sbloccare situazioni, sotto lo sguardo impotente, e a volte interessato e complice, di altri Paesi, vicini o lontani; i più forti come i più deboli non hanno più fiducia nelle procedure pazienti della pace.

D'altronde, la paura d'una pace mal sicura, esigenze d'ordine militare e politico, interessi economici e commerciali conducono alla creazione di arsenali o alla vendita di armi di spaventosa capacità distruttiva: la corsa agli armamenti prevale allora sui grandi compiti pacifici, che dovrebbero unire i popoli in una solidarietà nuova, fomenta sporadici ma sanguinosi conflitti ed accumula le più gravi minacce. E' vero: ad un primo sguardo, la causa della pace soffre di un handicap scoraggiante.


4. E tuttavia in quasi tutti i discorsi pubblici, a livello sia nazionale che internazionale, raramente si è tanto parlato di pace, di distensione, di intesa, di soluzioni ragionevoli dei conflitti, conformemente alla giustizia. La pace è diventata lo slogan che rassicura o che vuole sedurre. Questo è, in un certo senso, un fatto positivo: l'opinione pubblica delle nazioni non sopporterebbe più che si facesse l'apologia della guerra, e neppure che si corresse il rischio di una guerra offensiva.


5. Ma per raccogliere la sfida che s'impone a tutta l'umanità, di fronte al difficile compito della pace, non bastano le parole, sincere o demagogiche che siano. In particolare, a livello degli uomini politici, degli ambienti o dei centri da cui, più o meno direttamente, più o meno segretamente, dipendono i passi

decisivi verso la pace o, al contrario, il prolungamento delle guerre o delle situazioni di violenza, è necessario che penetri il vero spirito di pace. E' necessario, come minimo, che ci si trovi d'accordo nell'appoggiarsi su alcuni principi, elementari ma fermi, quali, ad esempio, i seguenti: gli affari degli uomini devono essere trattati con umanità, e non mediante la violenza; le tensioni, le liti e i conflitti devono essere regolati mediante negoziati ragionevoli, e non mediante la forza; le opposizioni ideologiche devono essere tra loro confrontate in un clima di dialogo e di libera discussione; gli interessi legittimi di determinati gruppi devono tener conto anche degli interessi legittimi degli altri gruppi parimenti implicati e delle superiori esigenze del bene comune; il ricorso alle armi non può essere considerato come lo strumento appropriato per risolvere i conflitti; i diritti umani imprescrittibili devono essere salvaguardati in ogni circostanza; non è permesso uccidere per imporre una soluzione.

Ogni uomo di buona volontà può ritrovare questi principi di umanità nella sua propria coscienza. Essi corrispondono alla volontà di Dio sugli uomini, e perché diventino salde convinzioni presso i potenti e presso i deboli, così da impregnare tutte le azioni, occorre ridare ad essi tutta la loro forza. E' necessaria una paziente e lunga educazione a tutti i livelli.


6. Per vincere questo spontaneo sentimento d'impotenza, il primo compito e vantaggio di un'educazione degna di questo nome è di rivolgere lo sguardo al di là delle tristi realtà immediate o, piuttosto, d'imparare a riconoscere, all'interno stesso delle esplosioni di violenza omicida, il cammino discreto della pace, che giammai si arrende, che instancabilmente guarisce le ferite, che conserva e fa progredire la vita. Allora, il cammino verso la pace apparirà possibile e desiderabile, deciso e già vittorioso.


7. Impariamo, anzitutto, a rileggere la storia dei popoli e dell'umanità secondo schemi più veri di quelli di una semplice concatenazione di guerre e di rivoluzioni. Certo il rumore delle battaglie domina la storia; ma sono le pause della violenza che hanno permesso di attuare quelle durature opere culturali, che fanno onore all'umanità. Anzi, se si son potuti trovare, nelle guerre e nelle rivoluzioni stesse, dei fattori di vita e di progresso, questi derivavano da aspirazioni di un ordine ben diverso da quello della violenza: aspirazioni di natura spirituale quali la volontà di veder riconosciuta una dignità comune a tutta l'umanità, di salvaguardare l'anima e la libertà di un popolo. Laddove tali aspirazioni erano presenti, esse operavano come elemento regolatore in seno ai conflitti, impedivano fratture irrimediabili, conservavano una speranza, preparavano una nuova favorevole occasione per la pace. Laddove, invece, mancavano o si alteravano nell'esaltazione della violenza, esse lasciavano libero il campo alla logica della distruzione, la quale ha condotto a durature regressioni economiche e culturali e alla scomparsa di intere civiltà. Voi, che siete responsabili dei popoli, sappiate educare voi stessi all'amore della pace, individuando e facendo emergere nelle grandi pagine della storia nazionale l'esempio di quei vostri predecessori, la cui gloria è stata di far germinare frutti di pace. "Beati gli operatori di pace...".


8. Oggi voi contribuirete all'educazione alla pace, dando il maggior rilievo possibile ai grandi compiti pacifici, che s'impongono alla famiglia umana. Noi vostri sforzi per giungere a una gestione ragionevole e solidale dell'ambiente e del patrimonio comuni dell'umanità, all'abolizione della miseria che opprime milioni di uomini, all'affermazione di istituzioni capaci di esprimere e far crescere l'unità della famiglia umana a livello regionale e mondiale, gli uomini scopriranno l'affascinante richiamo della pace, che è riconciliazione tra di loro e riconciliazione con il loro contesto naturale. Incoraggiando contro tutte le demagogie correnti la ricerca di forme di vita più semplici, meno abbandonate alle spinte tiranniche degli istinti di possesso, di consumo, di dominio, più disponibili ai ritmi profondi della creatività personale e dell'amicizia, voi aprirete per voi stessi e per tutti uno spazio immenso alle insospettate possibilità della pace.


9. Quanto è deprimente per l'individuo la sensazione che modesti sforzi in favore della pace, nella sfera ristretta delle responsabilità di ciascuno, sono resi vani dai grandi dibattiti politici mondiali, prigionieri di una logica di semplici rapporti di forza e di corsa agli armamenti, altrettanto è liberatore lo spettacolo di istanze internazionali sinceramente convinte circa le possibilità della pace e appassionatamente dedite a costruire la pace. L'educazione alla pace può allora beneficiare anche di un rinnovato interesse per gli esempi quotidiani dei semplici operatori di pace a tutti i livelli: sono quegli individui e quelle famiglie che, mediante il dominio delle proprie passioni, l'accettazione e il rispetto vicendevoli, raggiungono la pace interiore e la irradiano; sono quei popoli, spesso poveri e provati, la cui saggezza millenaria s'è plasmata attorno

al bene supremo della pace, popoli che hanno saputo resistere spesso alle ingannevoli seduzioni di progressi rapidi raggiunti con la violenza, convinti che simili guadagni avrebbero portato con sé i germi avvelenati di nuovi conflitti.

Si, pur non ignorando il dramma delle violenze, apriamo gli occhi nostri e quelli delle giovani generazioni a queste visioni di pace: esse eserciteranno un'attrattiva decisiva. Soprattutto, esse libereranno l'aspirazione alla pace, che è costitutiva dell'uomo. Queste energie nuove faranno inventare un nuovo linguaggio di pace e nuovi gesti di pace.


10. Il linguaggio è fatto per esprimere i pensieri del cuore e per unire. Ma, quando è prigioniero di schemi precostituiti, esso a sua volta trascina il cuore sulla sua propria china. Occorre, dunque, agire sul linguaggio per agire sul cuore e sventare le insidie del linguaggio stesso.

E' facile constatare fino a che punto l'ironia acerba e la durezza nei giudizi, nella critica degli altri e soprattutto dell'"estraneo", la contestazione e la rivendicazione sistematiche invadano le mutue relazioni parlate e spengano con la carità sociale la giustizia stessa. A furia di esprimere tutto in termini di rapporti di forza, di lotte di gruppi e di classi, di amici e nemici, si crea il terreno propizio alle barriere sociali, al disprezzo, persino all'odio e al terrorismo e alla loro apologia sorniona o aperta. Al contrario, da un cuore dedito al valore superiore della pace derivano la preoccupazione di ascoltare e di capire, il rispetto dell'altro, la dolcezza che è forza vera, la fiducia. Un tale linguaggio mette sulla via dell'obiettività, della verità e della pace. E' grande, a questo proposito, il compito educativo dei mezzi di comunicazione sociale, come ha pure notevole influenza il modo con cui ci si esprime negli scambi e nei dibattiti dei confronti politici, nazionali e internazionali. Voi, che siete responsabili delle nazioni e delle Organizzazioni Internazionali, sappiate trovare un linguaggio nuovo, un linguaggio di pace: esso aprirà da solo un nuovo spazio alla pace.


11. Sia il quadro aperto dalle visioni di pace, sia l'apporto offerto dal linguaggio di pace, devono esprimersi in gesti di pace. Mancando questi, le convinzioni si vanificano sul nascere e il linguaggio di pace diventa retorica condannata ad un rapido discredito. Possono essere molto numerosi gli operatori di pace, sol che prendano coscienza delle loro possibilità e responsabilità. E' la pratica della pace che porta alla pace: a coloro che cercano il tesoro della pace, essa insegna che tale tesoro si rivela e si offre a coloro che realizzano modestamente, giorno per giorno, tutte quelle forme di pace, di cui sono capaci.


12. Genitori ed educatori, aiutate i fanciulli e i giovani a fare l'esperienza della pace nelle mille azioni quotidiane, che sono a loro portata, nella famiglia, nella scuola, nel gioco, nel cameratismo, nel lavoro di gruppo, nelle competizioni sportive, nelle molteplici forme di conciliazione e riconciliazione necessarie.

L'"Anno Internazionale del Fanciullo", che le Nazioni Unite hanno indetto per il 1979, dovrebbe attirare l'attenzione di tutti sul contributo originale dei fanciulli stessi alla pace.

Giovani, siate dei costruttori di pace! Voi siete operatori a pieno titolo in questa grande opera comune. Resistete alle comodità che addormentano nella triste mediocrità e alle violenze sterili con cui talvolta certi adulti, che non sono in pace con se stessi, vogliono strumentalizzarvi. Seguite le strade sulle quali vi spinge il vostro senso della gratuità, della gioia di vivere, della compartecipazione. Voi amate investire le vostre energie nuove - che sfuggono agli apriorismi discriminatori - negli incontri fraterni al di là delle frontiere, nell'apprendimento delle lingue straniere che facilitano la comunicazione, nel servizio disinteressato ai Paesi più poveri. Voi siete le prime vittime della guerra che spezza il vostro slancio. Voi siete la magnifica occasione per la pace.


13. Uomini impegnati nella vita professionale e sociale, spesso è difficile per voi realizzare la pace. Non c'è pace senza giustizia e senza libertà, senza un coraggioso impegno per promuovere l'una e l'altra. La forza che allora si esige deve essere paziente senza rassegnazione né scoraggiamento, ferma senza provocazione, prudente per preparare attivamente l'auspicato progresso, senza dissipare le energie infiammate di indignazione violenta, che subito si spengono.

Contro le ingiustizie e le oppressioni, la pace è costretta ad aprirsi una strada adottando un'azione risoluta. Ma questa azione deve già portare l'impronta del fine a cui si indirizza, e cioè una migliore accettazione reciproca delle persone e dei gruppi. Essa troverà una regolazione nella volontà di pace che sgorga dalle profondità dell'uomo, nelle aspirazioni e nella legislazione dei popoli. E' questa capacità di pace, coltivata e disciplinata, che illumina nel trovare, di fronte alle tensioni e agli stessi conflitti, le tregue necessarie a svilupparne la logica feconda e costruttiva Ciò che avviene nella vita sociale interna dei Paesi ha una considerevole ripercussione - per il meglio e per il peggio - sulla pace tra le nazioni.


14. Ma - conviene ancora insistervi - questi molteplici gesti di pace rischiano di essere scoraggiati e in parte annullati da una politica internazionale, che non trovi, al suo livello, la stessa dinamica di pace. Uomini politici, responsabili dei popoli e delle organizzazioni internazionali, io vi esprimo la mia stima sincera ed offro il mio pieno sostegno ai vostri sforzi, spesso sfibranti, per mantenere o ristabilire la pace. Anzi, cosciente che ne va di mezzo la felicità e addirittura la sopravvivenza dell'umanità e persuaso della grave responsabilità che mi incombe di fare eco all'appello fondamentale di Cristo: "Beati gli operatori di pace", oso incoraggiarvi ad andare più lontano. Aprite nuove porte alla pace! Fate tutto ciò che è in vostro potere per far prevalere la voce del dialogo su quella della forza. Che tutto ciò trovi un'applicazione, anzitutto, a livello interiore: come possono i popoli promuovere veramente la pace internazionale, se essi stessi sono prigionieri di ideologie, secondo cui la giustizia e la pace non si ottengono se non riducendo all'impotenza coloro i quali, già per principio, vengono considerati indegni di essere costruttori del loro proprio destino o collaboratori validi del bene comune? Nei colloqui con le parti contrarie, siate persuasi che l'onore e l'efficacia non si misurano sul metro dell'inflessibilità nella difesa degli interessi, ma sulla capacità di rispetto, di verità, di benevolenza e di fraternità fra le parti, in una parola sulla loro umanità. Fate gesti di pace, anche audaci, che rompano con le concatenazioni fatali e con il peso delle passioni ereditate dalla storia; poi tessete pazientemente la trama politica, economica e culturale della pace. Create - l'ora è propizia e il tempo stringe - delle zone di disarmo sempre più vaste.

Abbiate il coraggio di riesaminare in profondità l'inquietante problema del commercio delle armi. Sappiate scoprire a tempo e sistemare con serenità i conflitti latenti, prima che essi scatenino le passioni. Date dei quadri istituzionali adatti alle solidarietà regionali e mondiali. Rinunziate a strumentalizzare, per conflitti d'interesse, valori legittimi e anche spirituali che vi si degradano, inasprendoli. Vigilate perché la legittima passione nel comunicare le idee si eserciti per la via della persuasione, e non sotto la pressione delle minacce e delle armi.

Facendo coraggiosi gesti di pace, voi farete emergere le autentiche aspirazioni dei popoli e troverete in esse come dei potenti alleati per lavorare allo sviluppo pacifico di tutti. Voi educherete voi stessi alla pace, desterete in voi ferme convinzioni e una nuova capacità d'iniziativa a servizio della grande causa della pace.


15. Tale opera di educazione alla pace - tra i popoli, nel proprio Paese, nel proprio ambiente, in se stessi - è proposta a tutti gli uomini di buona volontà, come ricorda l'enciclica "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII. Essa è, in gradi diversi, a loro portata. E poiché "la pace sulla terra... non può né fondarsi né consolidarsi se non nel rispetto assoluto dell'ordine stabilito da Dio" (cfr. Giovanni XXIII, "Pacem in Terris": AAS 55 (1963) 257) i credenti trovano nella loro religione lumi e inviti e forze per lavorare nell'educazione alla pace. Il genuino sentimento religioso non può che promuovere la vera pace. I pubblici poteri, riconoscendo - com'è loro dovere - la libertà religiosa, favoriscono lo sbocciare dello spirito di pace nel profondo del cuore e nell'ambito delle istituzioni educative, promosse dai credenti. I cristiani, da parte loro, sono specificamente educati da Cristo e da lui avviati ad essere operatori di pace: "Beati quelli che operano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9 cfr. Lc 10,5 ecc.). Al termine di questo messaggio, è comprensibile che io rivolga una particolare attenzione ai figli della Chiesa, per incoraggiare il loro contributo alla pace e situarlo nel grande Disegno di Pace rivelato da Dio in Gesù Cristo. L'apporto specifico dei cristiani e della Chiesa all'opera comune sarà tanto più sicuro quanto più si nutrirà alle loro proprie sorgenti, alla loro propria speranza.


16. Cari fratelli e sorelle in Cristo, l'aspirazione alla pace che voi condividete con tutti gli uomini, corrisponde alla chiamata iniziale di Dio a formare un'unica famiglia di fratelli, creata a immagine dello stesso Padre. La Rivelazione insiste sulla nostra libertà e sulla nostra solidarietà. Le difficoltà che incontriamo nel cammino verso la pace, sono legate in parte alla nostra debolezza di creature, i cui passi sono necessariamente lenti e graduali; sono aggravate dai nostri egoismi, dai nostri peccati di ogni genere, dopo quel peccato di origine, che ha segnato una rottura con Dio, determinando una rottura anche tra i fratelli.

L'immagine della Torre di Babele descrive bene la situazione. Ma noi crediamo che Gesù Cristo, con il dono della sua vita sulla croce, è diventato la nostra Pace: egli ha abbattuto il muro di odio, che separava i fratelli nemici (cfr. Ep 2,14).

Risuscitato ed entrato nella gloria del Padre, egli ci associa misteriosamente alla sua Vita: riconciliandoci con Dio, egli ripara le ferite del peccato e della divisione e ci rende capaci di inscrivere nelle nostre società un abbozzo di

quell'unità che ristabilisce in noi. I più fedeli discepoli di Cristo sono stati operatori di pace, fino a perdonare ai loro nemici, fino ad offrire talvolta la propria vita per essi. Il loro esempio traccia la via per un'umanità nuova, che non si accontenta più di compromessi provvisori, ma realizza la più profonda fraternità. Noi sappiamo che il nostro cammino verso la pace sulla terra, senza perdere la sua consistenza naturale né le sue proprie difficoltà, è inglobato entro un altro cammino, quello della "salvezza", che trova compimento in una eterna pienezza di pace, in una comunione totale con Dio. E così il Regno di Dio, che è Regno di pace, con la sua propria sorgente, i suoi mezzi e il suo fine, permea già tutta l'attività terrena senza dissolversi in essa. Questa visione di fede ha una profonda incidenza sull'azione quotidiana dei cristiani.


17. Certamente, noi avanziamo lungo i sentieri della pace con le debolezze e tra gli incerti tentativi di tutti i nostri compagni di strada. Noi soffriamo con essi per le tragiche assenze di pace; ci sentiamo spinti a rimediarvi ancora più risolutamente, per l'onore di Dio e per l'onore dell'uomo; non pretendiamo di trovare nella lettura del Vangelo formule già pronte per realizzare - al giorno d'oggi - questo o quel progresso nella pace. Noi, pero, troviamo quasi in ogni pagina del Vangelo e della storia della Chiesa, uno spirito, quello dell'amore fraterno, che educa potentemente alla pace. Noi troviamo nei doni dello Spirito Santo e nei Sacramenti, una forza, alimentata alla sorgente divina. Noi troviamo nel Cristo una speranza. Gli insuccessi non potranno rendere vana l'opera per la pace, anche se i risultati immediati si rivelano fragili, anche se siamo perseguitati a causa della nostra testimonianza in favore della pace. Il Cristo Salvatore unisce al suo destino tutti coloro che lavorano con amore per la pace.


18. La pace è opera nostra: essa esige, da parte nostra, un'azione coraggiosa e solidale. Ma la pace è insieme e prima di tutto un dono di Dio: essa esige la nostra preghiera. I cristiani devono essere in prima linea tra coloro che pregano ogni giorno per la pace, e devono anche educare a pregare per la pace. Essi ameranno pregare con Maria, Regina della Pace.

A tutti, cristiani, credenti e uomini di buona volontà, io dico: Non abbiate paura a puntare sulla pace, a educare alla pace! L'aspirazione alla pace non sarà giammai delusa. Il lavoro per la pace, ispirato dalla carità che non tramonta, produrrà i suoi frutti. La pace sarà l'ultima parola della Storia.

Data: 1978-12-21 Data estesa: Giovedi 21 Dicembre 1978



GPII 1978 Insegnamenti - A San Paolo fuori le Mura (Roma)