GPII 1979 Insegnamenti


GIOVANNI PAOLO II


INSEGNAMENTI 1979








Omelia in San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un anno di pace

Testo:

1. Anno 1979. Il primo giorno del mese di gennaio; il primo giorno dell'anno nuovo.

Entrando oggi per le porte di questa Basilica, vorrei insieme con voi tutti, carissimi fratelli e sorelle, salutare questo anno, vorrei dirgli: benvenuto! Lo faccio nel giorno dell'ottava della Natività.

Oggi è già l'ottavo giorno di questa grande festa, che, secondo il ritmo della liturgia, conclude e inizia ogni anno.

L'anno è la misura umana del tempo. Il tempo ci parla del "trascorrere", al quale è sottoposto tutto il creato. L'uomo è consapevole di questo trascorrere.

Egli passa non soltanto nel tempo, ma parimenti "misura il tempo" del suo trascorrere: tempo fatto di giorni, settimane, mesi e anni. In questo fluire umano c'è sempre la tristezza del congedo dal passato e, insieme, l'apertura al futuro.

Proprio questo congedo dal passato e questa apertura al futuro sono iscritti, mediante il linguaggio e il ritmo della liturgia della Chiesa, nella solennità del Natale del Signore.

La nascita parla sempre di un inizio, dell'inizio di ciò che nasce. Il Natale del Signore parla di un singolare inizio. In primo luogo parla di quell'inizio che precede qualsiasi tempo, del principio che è Dio stesso, senza inizio. Durante questa ottava siamo stati nutriti ogni giorno del mistero della perenne generazione in Dio, del mistero del figlio generato eternamente dal Padre: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato" (Credo).

In questi giorni siamo stati, poi, in modo particolare, testimoni della nascita terrestre di questo Figlio. Nascendo a Betlemme da Maria Vergine come Uomo, Dio-Verbo, accetta il tempo. Entra nella storia. Si sottopone alla legge del fluire umano. Chiude il passato: con lui ha fine il tempo di attesa, cioè l'antica alleanza. Egli apre l'avvenire: la nuova alleanza della grazia e della riconciliazione con Dio. E' il nuovo "Inizio" del tempo nuovo. Ogni nuovo anno partecipa di questo Inizio. E' l'anno del Signore. Benvenuto anno 1979! Dall'inizio stesso sei misura del tempo nuovo, iscritta nel mistero della nascita di Dio!

2. In questo primo giorno dell'anno nuovo tutta la Chiesa prega per la pace. Fu il grande Pontefice Paolo VI a fare del problema della pace il tema della preghiera del Capodanno per la Chiesa intera. Oggi, seguendo la sua nobile iniziativa, riprendiamo questo tema con piena convinzione, fervore e umiltà. Infatti, in questo giorno che apre l'anno nuovo, non è possibile formulare augurio più fondamentale proprio di questo augurio di pace. "Liberaci dal male"! Recitando queste parole della preghiera di Cristo è ben difficile dar loro diverso contenuto da quello che si oppone alla pace, che la distrugge, che la minaccia. Preghiamo dunque: Liberaci dalla guerra, dall'odio, dalla distruzione delle vite umane! Non permettere che uccidiamo! Non permettere che siano usati quei mezzi che sono al servizio della morte e della distruzione e la cui potenza, il cui raggio di azione e di precisione oltrepassano i limiti finora conosciuti. Non permettere che siano mai usati! "Liberaci dal male"! Difendici dalla guerra! Da qualsiasi guerra.

Padre, che sei nei cieli, Padre della vita e datore della pace. Ti supplica il Papa, figlio di una Nazione che, durante la storia, e particolarmente nel nostro secolo, è stata fra le più provate dall'orrore, dalla crudeltà, dal cataclisma della guerra. Ti supplica per tutti i popoli del mondo, per tutti i paesi e per tutti i continenti. Ti supplica in nome di Cristo, Principe della pace.

Come sono significative le parole di Gesù Cristo, che ogni giorno ricordiamo nella liturgia eucaristica: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi" (Jn 14,27).

E' questa dimensione di pace, la dimensione più profonda, che solo Cristo può dare all'uomo. E' la pienezza della pace, radicata nella riconciliazione con Dio stesso. La pace interiore in cui compartecipano i fratelli mediante la comunione spirituale. Questa pace, prima di tutto, noi imploriamo. Ma, consapevoli che "il mondo" da solo - il mondo dopo il peccato originale, il mondo nel peccato - non può darci questa pace, la imploriamo allo stesso tempo per il mondo. Per l'uomo nel mondo. Per tutti gli uomini, per tutte le Nazioni, di lingua, cultura e razze diverse. Per tutti i continenti. La pace è la prima condizione del vero progresso. La pace è indispensabile, affinché gli uomini e i popoli vivano nella libertà. La pace è, in pari tempo, condizionata - come insegnano Giovanni XXIII e Paolo VI - dalla garanzia che a tutti gli uomini e popoli sia assicurato il diritto alla libertà, alla verità, alla giustizia e all'amore.

"La convivenza fra gli esseri umani - insegna Giovanni XXIII - è... ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità... Ciò domanda che siano riconosciuti i reciproci diritti e vicendevoli doveri. Ed è inoltre una convivenza che si attua secondo giustizia o nell'effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; che è vivificata e integrata dall'amore, atteggiamento d'animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di essere portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere le responsabilità del proprio operare" (Giovanni XXIII, PT 18; cfr. Paolo VI, PP 44).

La pace dunque bisogna sempre impararla. Bisogna, di conseguenza, educarsi alla pace, come dice il messaggio per il primo giorno dell'anno 1979.

Bisogna impararla onestamente e sinceramente a vari livelli e nei vari ambienti, iniziando dai bambini delle scuole elementari, fino a coloro che governano. A quale stadio di questa universale educazione alla pace ci troviamo? Quanto rimane ancora da fare? Quanto bisogna ancora imparare?

3. Oggi la Chiesa venera particolarmente la Maternità di Maria. Questa è come un ultimo messaggio dell'ottava del Natale del Signore. La nascita parla sempre della Genitrice, di colei che dà la vita, di colei che dà l'uomo al mondo. Il primo giorno dell'anno nuovo è la giornata della Madre.

La vediamo quindi - come in tanti quadri e sculture - col Bambino tra le braccia, col Bambino al seno. Madre, colei che ha generato e nutrito il Figlio di Dio. Madre di Cristo. Non vi è immagine più conosciuta e che parli in modo più semplice del mistero della nascita del Signore come quella della Madre con Gesù fra le braccia. Non è forse questa immagine la sorgente della nostra singolare fiducia? Non è proprio essa che ci permette di vivere nella cerchia di tutti i misteri della nostra fede, e, contemplandoli come "divini", considerarli nello stesso tempo così "umani"? Ma c'è ancora un'altra immagine della Madre con il Figlio tra le braccia. Essa si trova in questa Basilica: è "la Pietà": Maria con Gesù tolto dalla croce; con Gesù che è spirato davanti ai suoi occhi, sul monte Golgota, e dopo la morte torna fra quelle braccia, sulle quali a Betlemme fu offerto come Salvatore del mondo.

Vorrei, quindi, oggi unire la nostra preghiera per la pace con questa duplice immagine. Vorrei collegarla a questa Maternità, che la Chiesa venera in modo particolare nell'ottava del Natale del Signore.

Perciò dico: "Madre, che sai cosa significa stringere nelle braccia il corpo morto del Figlio, di colui al quale hai dato la vita, risparmia a tutte le madri di questa terra la morte dei loro figli, i tormenti, la schiavitù, la distruzione della guerra, le persecuzioni, i campi di concentramento, le carceri! Conserva loro la gioia della nascita, del sostentamento, dello sviluppo dell'uomo e della sua vita. Nel nome di questa vita, nel nome della nascita del Signore, implora con noi la pace, la giustizia nel mondo! Madre della pace, in tutta la bellezza e maestà della tua maternità, che la Chiesa esalta e il mondo ammira, ti preghiamo: Sii con noi in ogni momento! Fa' che questo nuovo anno sia un anno di pace, in virtù della nascita e della morte del Tuo figlio!".

Amen.

Data: 1979-01-01

Data estesa: Lunedì 1 Gennaio 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Buon anno nella luce della Vergine Maria

Testo: All'inizio di un nuovo anno, con quale altra parola potrei rivolgermi a voi, carissimi, che non sia una parola d'augurio? "Buon anno", dunque a voi, miei fratelli e sorelle! A voi che siete venuti in questa piazza per testimoniare con la vostra presenza l'affetto che nutrite per il Papa, e "buon anno" a tutti coloro che sono qui presenti con lo spirito. Il Papa vorrebbe poter varcare le soglie di tutte le case, specialmente di quelle dove la povertà, la malattia e la solitudine fanno sentire il loro peso - non esclusi gli ospedali e le carceri - e portare ovunque una parola di conforto, di incoraggiamento, di speranza.

"Buon anno" a tutti, nella luce che s'irradia dal volto dolcissimo della Vergine Maria, che la Liturgia ci invita, oggi, a venerare nel mistero della sua Maternità divina. "Concepit de Spiritu Sancto", concepi per opera dello Spirito Santo, diremo tra poco nell'"Angelus", e la nostra mente sarà invitata a riflettere sul momento decisivo dell'incarnazione del Verbo di Dio. Quel momento solenne, anche se tanto umile e nascosto, ci pone in atteggiamento di pensosa ammirazione e di istintivo rispetto di fronte al momento iniziale dell'esistenza terrena di ogni essere umano.

Nel primo giorno di questo nuovo anno, io voglio rivolgere uno speciale saluto a tutti coloro che nasceranno nel corso dei prossimi mesi, a quanti riceveranno il dono della vita nell'anno del Signore 1979. Possano essi trovare il calore affettuoso di cuori che li attendono e che sanno gioire per il prodigio meraviglioso di una nuova vita.

Oggi si celebra la Giornata mondiale della pace.

E' un tema, questo della pace, che se sta a cuore ad ogni essere umano responsabile e generoso, suscita una particolare vivissima sollecitudine nell'animo del Papa, il quale sa di essere posto da Cristo come pastore dell'umanità intera. A questo proposito, oggi voglio raccomandare alla vostra preghiera due situazioni delicate, per le quali la Santa Sede ha ritenuto suo dovere avviare specifiche iniziative: intendo alludere alla tormentata vicenda del Libano, in cui tanto sangue, troppo sangue, è già stato versato, e alla più recente controversia insorta tra Argentina e Cile circa le Isole del Canale di Beagle. Le missioni inviate dalla Santa Sede hanno avuto, tanto in un caso quanto nell'altro, una cordiale accoglienza sia da parte delle autorità che da parte della popolazione. E' necessario ora che la preghiera di tutti ottenga da Dio copiosi doni di lungimiranza, di equilibrio, di coraggio, perché le strade della pace possano essere percorse e la meta di una soluzione equa e onorevole possa essere quanto prima raggiunta.

In questo giorno, poi - giorno che dovrebbe essere di gioia per tutti -, il mio pensiero va alle vittime dei sequestri, che ancora sono trattenute con ingiusta violenza lontane dalle loro famiglie. Mi rattrista in particolare la situazione di chi, essendo in giovane età, è maggiormente esposto ai traumi psicologici di una simile drammatica esperienza. Per loro, tutti noi, qui riuniti, eleviamo a Dio la nostra preghiera, confidando che la caratteristica atmosfera, di cui sono soffusi questi giorni, valga a risvegliare nei cuori dei loro oppressori sentimenti di doverosa resipiscenza e di rinnovata umanità.

Preghiamo, fratelli e sorelle.

Data: 1979-01-01

Data estesa: Lunedì 1 Gennaio 1979.








Nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La famiglia al centro del bene comune della società

Testo: Carissimi.

Come nelle scorse settimane, sono presenti a quest'incontro col Papa moltissimi giovani appartenenti ad associazioni cattoliche o a gruppi che collaborano con i propri parroci. Vedo presenti anche numerose religiose venute a Roma per partecipare al Convegno della Federazione Italiana Religiose Educatrici, e partecipano, inoltre, numerosi pellegrinaggi, fra i quali merita una particolare menzione quello della diocesi di Molfetta, guidato dal proprio Vescovo. A tutti rivolgo il mio cordiale benvenuto, il mio affettuoso saluto e il mio vivo ringraziamento per la loro visita.

La soave stagione liturgica, iniziata con la Notte Santa, ci dà la possibilità di riflettere su qualche aspetto del mistero del Verbo Incarnato; e oggi vogliamo accentrare la nostra attenzione sulla Famiglia di Nazaret, la cui festa abbiamo recentemente celebrato.

Famiglia santa, quella di Gesù, Maria e Giuseppe, soprattutto per la santità di Colui per il quale essa fu formata famiglia umana, perché in essa riconosciamo presenti elementi propri di tante altre famiglie.

E' veramente povera, come ci viene additata dal Vangelo, questa famiglia, sia al momento della nascita del Figlio di Dio, sia nel periodo dell'esilio in Egitto a cui fu costretta, sia a Nazaret dove vive modestamente col lavoro delle proprie mani.

In Gesù, Maria e Giuseppe è mirabile l'esempio di solidarietà umana e di comunione con tutte le altre famiglie, nonché d'inserimento nel più largo contesto umano, che è la società. A quel divino modello deve rifarsi ogni altra famiglia umana, e vivere insieme con essa, per risolvere i non facili problemi della vita coniugale e familiare. Tali problemi, profondi e vivi, richiedono di essere affrontati con azione solidale e responsabile.

Come a Nazaret, così in ogni famiglia Iddio si fa presente e si inserisce nella vicenda umana. La famiglia, infatti, che è l'unione dell'uomo e della donna, è per sua natura diretta alla procreazione di nuovi uomini, i quali vanno accompagnati nell'esistenza attraverso una diligente opera educativa nella loro crescita fisica, ma soprattutto spirituale e morale. La famiglia è, pertanto, il luogo privilegiato e il santuario dove si sviluppa tutta la grande ed intima vicenda di ciascuna irripetibile persona umana. Incombono, quindi, sulla famiglia doveri fondamentali, il cui generoso esercizio non può non arricchire largamente i principali responsabili della famiglia stessa facendo di essi i cooperatori più diretti di Dio nella formazione di uomini nuovi.

Ecco perché la famiglia è insostituibile e, come tale, va difesa con ogni vigore. Bisogna far di tutto affinché la famiglia non sia sostituita. Ciò è richiesto non soltanto per il bene "privato" di ogni persona, ma anche per il bene comune di ogni società, Nazione e Stato. La famiglia è posta al centro stesso del bene comune nelle sue varie dimensioni, appunto perché in essa viene concepito e nasce l'uomo. Bisogna far tutto il possibile affinché questo essere umano sin dall'inizio, dal momento del suo concepimento, sia voluto, atteso, vissuto come un valore particolare unico e irripetibile. Egli deve sentire che è importante, utile, caro e di grande pregio, anche se invalido o minorato; anzi per questo ancor più caro.

Questo è l'insegnamento che scaturisce dal mistero dell'Incarnazione.

Un'ultima considerazione desidero presentare alla vostra riflessione, prendendo lo spunto dalla sofferta difficoltà - angosciosissima per una madre - in cui Maria viene a trovarsi per non essere in grado di offrire un tetto al suo nascituro. Il grande misterioso evento della maternità in tante donne può suscitare motivi di sofferenza, di dubbio e di tentazione. Il "si" generoso, quello che la donna deve dire di fronte alla vita che le è sbocciata in seno - un "si", accompagnato spesso dal timore di mille difficoltà comporta sempre un atto interiore di confidenza in Dio e di fiducia nell'uomo nuovo che deve nascere. Con senso fraterno di carità e di solidarietà non dobbiamo mai lasciare sola, specie se vacillante e dubbiosa, una donna che si prepara a dare alla luce un nuovo uomo che sarà, per ciascuno di noi, un nuovo fratello. Dobbiamo cercare di darle ogni aiuto necessario nella sua situazione: dobbiamo sorreggerla e offrirle coraggio e speranza.

A tutti esprimo i miei più fervidi auguri di ogni bene all'inizio di questo nuovo anno, mentre di cuore invoco su tutti la protezione del Signore e imparto la benedizione apostolica.

Data: 1979-01-03

Data estesa: Mercoledì 3 Gennaio 1979.





Ordinazione episcopale di Monsignor Macharski - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'Epifania, festa della vitalità della Chiesa

Testo:

1. "Alzati (Gerusalemme)... perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te", grida il profeta Isaia (Is 60,1), nel secolo VIII prima di Cristo, e noi ascoltiamo le sue parole oggi nel secolo XX dopo Cristo e ammiriamo, veramente ammiriamo, la grande luce, che promana da queste parole. Isaia attraverso i secoli si rivolge a Gerusalemme che doveva diventare la città del Grande Unto, del Messia: "Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere... I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio... Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore" (Is 60,3-64 Is 60,6). Abbiamo davanti agli occhi questi tre - così dice la tradizione - Re Magi che vengono in pellegrinaggio da lontano con i cammelli e portano con sé non soltanto oro e incenso, ma anche mirra: i doni simbolici con i quali sono andati incontro al Messia che era atteso anche oltre le frontiere di Israele. Non ci meravigliamo dunque quando Isaia, in questo suo dialogo profetico con Gerusalemme condotto attraverso i secoli, ad un certo punto dice: "palpiterà e si dilaterà il tuo cuore" (Is 60,5). Parla alla città come se essa fosse un uomo vivente.

Pellegrinaggio a Betlemme.

2. "Palpiterà e si dilaterà il tuo cuore". Nella notte di Natale, trovandomi insieme con quanti partecipavano alla liturgia eucaristica di mezzanotte qui in questa Basilica, chiesi a tutti di essere con il pensiero e con il cuore più là che qua; più a Betlemme, sul luogo della nascita di Cristo, in quella grotta-stalla nella quale "il Verbo si fece carne". E oggi chiedo a voi lo stesso.

Perché li, proprio li, in quel luogo, a sud di Gerusalemme, sono venuti dall'Oriente quegli strani pellegrini, i Re Magi. Hanno attraversato Gerusalemme.

Li conduceva una stella misteriosa, la stella, luce esteriore che si spostava nel firmamento. Ma ancora di più li conduceva la fede, luce interiore. Giunsero. Non li meraviglio quello che trovarono: né la povertà, né la stalla, né il fatto che il Bambino giaceva in una mangiatoia. Arrivarono e prostratisi "lo adorarono". Poi aprirono i loro scrigni e offrirono in dono al Bambino Gesù oro e incenso di cui proprio parla Isaia, ma gli offrirono anche mirra. E dopo aver compiuto tutto ciò, fecero ritorno al loro paese.

Per questo pellegrinaggio a Betlemme, i Re Magi dall'Oriente sono diventati l'inizio e il simbolo di tutti coloro che mediante la fede raggiungono Gesù, il bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, il Salvatore inchiodato alla croce. Colui che, crocifisso sotto Ponzio Pilato, deposto dalla croce e sepolto in una tomba ai piedi del Calvario, il terzo giorno risuscito.

Proprio questi uomini, i Re Magi, tre, come vuole la tradizione, dall'Oriente sono divenuti l'inizio e la prefigurazione di quanti, da oltre le frontiere del Popolo eletto della vecchia alleanza, hanno raggiunto e sempre raggiungono il Cristo mediante la fede.

La sfida di Dio

3. "Palpiterà e si dilaterà il tuo cuore", dice Isaia a Gerusalemme. Infatti bisognava dilatare il cuore del Popolo di Dio per contenere in esso i nuovi uomini, i nuovi popoli. Proprio questo grido del profeta è la parola chiave dell'Epifania. Bisognava continuamente dilatare il cuore della Chiesa, quando entravano in essa sempre nuovi uomini; quando, sulle orme dei pastori e dei Re Magi, dall'Oriente arrivavano a Betlemme sempre nuovi popoli. Anche ora bisogna sempre dilatare questo cuore, a misura degli uomini e dei popoli, a misura delle epoche e dei tempi. L'Epifania è la festa della vitalità della Chiesa. La Chiesa vive la sua coscienza della missione di Dio, che si attua per suo tramite. Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a renderci conto che la "missione" è il nome proprio della Chiesa, e in un certo senso ne costituisce la definizione. La Chiesa diventa se stessa quando compie la sua missione. La Chiesa è se stessa, quando gli uomini - come i pastori e i Re Magi dall'Oriente - raggiungono Gesù Cristo mediante la fede. Quando in Cristo Uomo e per Cristo ritrovano Dio.

L'Epifania dunque è la grande festa della fede. Partecipano a questa festa sia coloro che sono già arrivati alla fede, sia coloro che si trovano sulla strada per arrivarci. Partecipano ringraziando per il dono della fede, così come i Re Magi, colmi di gratitudine, si sono inginocchiati dinanzi al Bambino. A questa festa partecipa la Chiesa, che ogni anno diventa più consapevole della vastità della sua missione. A quanti uomini bisogna ancora portare la fede! Quanti uomini bisogna riconquistare alla fede che essi hanno perso, e ciò, a volte, è più difficile della prima conversione alla fede. Pero la Chiesa, consapevole di quel grande dono, del dono dell'Incarnazione di Dio, non può fermarsi mai, non può mai stancarsi. Continuamente deve cercare l'accesso a Betlemme per ogni uomo e per ogni epoca. L'Epifania è la festa della sfida di Dio.

In questo giorno solenne sono venuti a Roma i rappresentanti della popolazione e dell'arcidiocesi di Cracovia, per presentare un dono a Gesù Bambino, dono che si esprime nell'ordinazione episcopale del nuovo Arcivescovo di Cracovia.

E' un dono della fede, dell'amore e della speranza. Consentitemi di parlare loro nella mia lingua materna.

Saluto ai polacchi

4. Anche tutti noi polacchi qui riuniti, figli della Chiesa di Cristo, che da mille anni è radicata nelle nostre anime, celebriamo la festa della manifestazione. La circostanza è insolita. Siamo venuti a Roma, ci troviamo nella Basilica di San Pietro. Il primo Papa polacco nella storia della Chiesa celebra il divino Sacrificio e consacra il Vescovo suo successore alla Cattedra di San Stanislao a Cracovia. Ciò accade all'inizio dell'anno 1979, a 900 anni dal martirio dello stesso san Stanislao, il quale alle soglie del millennio annuncio ai nostri padri Gesù Cristo, nato a Betlemme, crocifisso "sotto Ponzio Pilato" e risorto dai morti. Con la parola di questa profezia, con la forza del Vangelo li ha condotti alla fede, e lo stesso hanno fatto i Vescovi e i sacerdoti della nostra patria nel corso dei secoli, e continuano a farlo anche ora.

Penso, cari fratelli e sorelle, miei cari connazionali, penso cari Vescovi e sacerdoti, che la nostra presenza qui oggi sia un atto di ringraziamento particolare per la fede che ha illuminato tutti questi secoli della nostra storia e che non cessa di illuminare il nostro tempo, il nostro tempo non comune, in cui è particolarmente necessario diventare adulti nella responsabilità della fede, del grande dono del Dio Incarnato, dell'Epifania. E attraverso questo ringraziamento deve maturare il nuovo frutto di questo dono, di questa Epifania, nelle anime delle generazioni future che verranno dopo di noi. Attraverso il servizio di ciascuno di noi. Attraverso il tuo servizio, Francesco, nuovo Metropolita di Cracovia.

Perciò diciamo insieme al profeta, insieme a Isaia: "Alzati, Gerusalemme... la gloria di Dio si è riversata su di te... i popoli accorrono alla tua luce...". Alzati! Non sussulti, ma si allarghi il tuo cuore! In questa luce

5. Alzati Gerusalemme! "Palpiterà e si dilaterà il tuo cuore". Raccolti insieme con coloro che sono venuti dall'Oriente, con i Re Magi, ammirabili testimoni della fede in Dio incarnato, là presso la mangiatoia di Betlemme, dove ci siamo diretti con il pensiero e con il cuore; ci ritroviamo di nuovo qua in questa Basilica. Qui in modo particolare, nel corso dei secoli, si è compiuta la profezia di Isaia.

Da qui si è diffusa la luce della fede per tanti uomini e per tanti popoli. Di qua, attraverso Pietro e la sua Sede, è entrata e sempre entra una moltitudine innumerevole in questa grande comunità del Popolo di Dio, nell'unione della nuova alleanza, nei tabernacoli della nuova Gerusalemme.

E oggi che cosa di più può augurare il successore di Pietro a questa Basilica, a questa sua nuova Cattedra, se non che essa serva all'Epifania? Che in essa e per essa gli uomini di tutti i tempi e del nostro tempo, gli uomini provenienti dall'Oriente e dall'Occidente, dal Nord e dal Sud, riescano ad arrivare a Betlemme, ad arrivare a Cristo mediante la fede.

Allora, dunque, ancora una volta prendo in prestito le parole di Isaia per formulare gli auguri "Urbi et Orbi" e dire: "Alzati! palpiterà e si dilaterà il tuo cuore!".

Alzati! e semina la forza della tua fede! Cristo ti illumini continuamente! Gli uomini e i popoli camminino in questa luce. Amen.

Data: 1979-01-06

Data estesa: Sabato 6 Gennaio 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il diritto fondamentale della libertà religiosa

Testo:

1. Nella festività dell'Epifania, la Chiesa ringrazia Dio per il dono della fede a cui hanno partecipato e partecipano tanti uomini, popoli e nazioni.

E proprio quei tre, secondo la tradizione, uomini dell'Oriente, i Re Magi, che arrivarono a Betlemme, sono fra i primi testimoni e portatori di questo dono. In essi la fede, intesa come apertura interiore dell'uomo, come la risposta alla luce, all'Epifania di Dio, trova la sua limpida espressione. In questa apertura a Dio l'uomo eternamente aspira alla realizzazione di se stesso. La fede è l'inizio di questa realizzazione, e ne è la condizione.

Ringraziando Dio per il dono della fede, lo ringraziamo in pari tempo per la luce: per il dono dell'Epifania e per il dono dell'apertura del nostro spirito alla luce divina. Tale è anche il significato della festa attraverso la quale la Chiesa esprime, per così dire, fino alla fine, la gioia del Natale, della nascita di Dio.2. Da più di cento anni, l'uomo credente è stato messo sotto una grave accusa. La religione, secondo le parole dell'accusa, "aliena l'uomo", cioè lo priverebbe di ciò che è sostanzialmente umano.

E' stata compiuta una divisione radicale tra ciò che è "sostanzialmente umano" e ciò che è "trascendentale". Nei tempi moderni è stata ripetuta la vecchia formula "altiora te non quaeras" ("non cercare le cose a te superiori").

Contrariamente a questa accusa e a questo divieto, i Re Magi dall'Oriente si affrettarono ad andare a Betlemme. E insieme con essi, tanti, tanti altri uomini. Tutti essi testimoniano che ciò che è "sostanzialmente umano" si esprime non nella formula citata, ma in un'altra parimenti vecchia: "altiora te quaeras" ("cerca le cose a te superiori").

E' possibile sentenziare di quanto è "sostanzialmente umano" senza ricorrere all'esperienza piena dell'uomo? Chi ha il diritto di affermare che questa piena esperienza dell'uomo si esprime proprio nella formula "altiora te non quaeras"? Chi ha il diritto di affermare che la piena realizzazione dell'uomo equivale con la sua chiusura e non, invece, proprio con la sua apertura, e cioè a quell'"altiora te quaeras"!?

3. Nei nostri tempi si fa spesso ricorso al principio della libertà religiosa. E giustamente. Questo è uno dei più fondamentali diritti dell'uomo. Il Concilio Vaticano II ha dedicato alla libertà religiosa uno dei suoi documenti. Sempre più spesso questo diritto occupa nei documenti legislativi un posto chiave. Ma rimane ancora molto da fare per il funzionamento corretto di questo principio nella vita sociale, pubblica, statale, internazionale. E qui non esiste un'altra strada, rimane unicamente questa: bisogna liberare l'uomo credente dall'accusa di alienazione. Appunto questa accusa è la causa dei grandi danni recati agli uomini nel nome del "progresso" dell'uomo.

Bisogna lasciare andare i Re Magi a Betlemme. Insieme con loro cammina ogni uomo che riconosce come definizione della sua umanità la verità dell'apertura del suo spirito a Dio, la verità che si esprime nella frase "altiora te quaeras"! Non si può imporre agli uomini una formula opposta. Non si può, secondo tale formula, "altiora te non quaeras", comprendere e interpretare il principio stesso della libertà religiosa, nella vita sociale e pubblica, perché allora lo si deformerebbe.

Oggi la Chiesa ringrazia Dio della fede, del dono dell'Epifania e, nello stesso tempo, del dono dell'apertura.

Tutta la Chiesa chiede e opera in questa direzione affinché il duplice dono, che sta alla base di tante questioni e vicende umane, trovi diritto di cittadinanza nella vita dei singoli, delle Nazioni, degli Stati, dei continenti; nella vita dell'umanità intera.

Data: 1979-01-07

Data estesa: Domenica 7 Gennaio 1979.





Nella Cappella Sistina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La prima Messa in polacco della Radio Vaticana

Testo: Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.

Con grande commozione celebro l'Eucaristia nella mia lingua nativa.

Faccio questo nella Cappella Sistina, in questo posto dove il 16 ottobre 1978 ho udito la nuova chiamata di Cristo Signore e l'ho accettata nello spirito di obbedienza di fede verso il mio Salvatore e di piena fiducia verso la Madonna Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Oggi, per la prima volta, nello stesso posto celebro l'Eucaristia nella mia lingua nativa approfittando dell'invito della Radio Vaticana la quale d'ora in poi ogni domenica trasmetterà la Santa Messa in lingua polacca per tutti coloro che hanno difficoltà a prendere parte alla Messa in altro modo. Esprimo allora la mia grande gioia e il ringraziamento a Dio per questo avvenimento che realizza il desiderio espresso da tempo dai miei connazionali in Polonia e in tutto il mondo. Si sa che nei diversi Paesi del mondo la lingua dei nostri padri non cessa di essere la lingua per la preghiera di molta gente. Sono contento di questo, che oggi, grazie alle onde radiofoniche, posso raggiungerli con tutti questi qui presenti nella unità del sacrificio eucaristico.

Ho fiducia che, nella stessa maniera, potro incontrarmi e unirmi con i miei fratelli e sorelle anche in altre lingue. Questa unità nell'Eucaristia, nella liturgia della parola, nella liturgia del sacrificio fatto dal corpo e sangue di Gesù Cristo, io la considero come essenziale e fondamentale per il successore di Pietro, per questo apostolo al quale il Signore ha detto: "Quando tu ti convertirai, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32). Quando oggi, celebrando il sacrificio di Cristo, mi incontro con voi, carissimi connazionali, mi ricordo di quegli incontri annuali nei quali, come arcivescovo di Cracovia, ero onorato di ritrovarmi con i rappresentanti di tutte le parrocchie della nostra regale città.

Accadeva questo sempre nella festività dei tre Re Magi. Era nelle ore serali, durante la Messa nella cattedrale di Wawel. In quei momenti ci scambiavamo anche gli auguri per il nuovo anno. Oggi voglio ripetere questi auguri in circostanze così insolite. Ecco, si trovano in questo momento nella Cappella Sistina i rappresentanti dell'arcidiocesi di Cracovia e dei polacchi residenti a Roma, che ieri sono venuti qua per partecipare alla consacrazione episcopale del mio successore alla Sede dell'arcidiocesi di Cracovia. A loro tutti, e fra di essi in particolare al Metropolita di Cracovia, rivolgo i miei auguri, che prendo dallo stesso cuore dell'Eucaristia.

Sono contento della vostra presenza, carissimi fratelli e sorelle, che siete venuti dalle amate Cracovia e arcidiocesi; permettete che questi miei augurio li allarghi ancora di più: a tutta la nostra cara Patria, a tutti i connazionali, a tutti quelli che mi ascoltano in questo momento e anche a tutti coloro che adesso non possono ascoltarmi. Rivolgo questi miei auguri a tutte le famiglie, a tutte le generazioni, agli anziani, agli ammalati, ai sofferenti, agli uomini pieni di forza, ai genitori e agli educatori; nello stesso tempo, a tutta la gioventù e a tutti i bambini: agli uomini che lavorano duramente, fisicamente, agli scienziati e agli uomini di cultura.

Questi miei auguri li rivolgo a tutte le professioni senza eccezione.

Ogni anno, nel mese di gennaio ci siamo incontrati tra i diversi gruppi durante l'occasione dell'"oplatek" (il pane benedetto che in segno di unità le famiglie si scambiano spezzandolo tra loro; n.d.t.). In spirito faccio lo stesso davanti a tutti. Con questo gesto all'inizio del nuovo anno, con questo gesto della mano e del cuore voglio raggiungere tutta la Chiesa in Polonia, tutte le diocesi e le parrocchie, i religiosi e le religiose, tutti i sacerdoti, tutti i fratelli nell'episcopato con l'amato nostro Primate, prima di tutto. In spirito mi reco presso tutti i centri cattolici di studi superiori, presso tutti i seminari, tutti i noviziati, presso tutte le comunità giovanili, raccolte nei ritiri spirituali, nel lavoro per formare l'uomo nuovo in Gesù Cristo.

L'anno 1979 è l'anno del giubileo di san Stanislao: novecento anni dal suo martirio. Nel giubileo di questo patrono dei Polacchi, nei primi giorni dell'anno giubilare, auguro prima di tutto l'unità spirituale per la quale san Stanislao, il suo sacrificio prima e poi la sua canonizzazione, sono diventati la sorgente e l'ispirazione per i nostri antenati. Oggi abbiamo bisogno della stessa unità spirituale della nostra Patria dopo tante prove nel corso della sua storia.

Abbiamo bisogno dell'unità dello spirito e della forza dello spirito. E questi sono i miei più calorosi auguri. Desidero che questi auguri giungano a tutti.

Auguro che tutti coloro che sono al potere in Patria possano servire bene per il bene comune di tutta la nazione. La nazione per la quale con tutto il mio cuore desidero la pace; per la quale, come figlio suo, desidero tutto il bene; essa merita di essere rispettata nella grande famiglia delle Nazioni. Questa Chiesa ha vissuto per un millennio nel fedele e tenace servizio alla Nazione e oggi pure serve a questa Nazione.

Nella liturgia di oggi il profeta Isaia parla del futuro Messia di Cristo: "Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta, Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra; e per la sua dottrina saranno in attesa le isole" (Is 42,1-4).

Auguro a tutti che Cristo, Gesù Cristo, sia con voi nell'anno che è cominciato, anno 1979 dopo la sua nascita. "Anno Domini". Amen.

Data: 1979-01-07

Data estesa: Domenica 7 Gennaio 1979.

All'Ospedale del Bambin Gesù - Roma


GPII 1979 Insegnamenti