GPII 1987 Insegnamenti - Ai vescovi centrafricani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai vescovi centrafricani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dovete sempre più farvi carico della vostra Chiesa

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.


1. Ringrazio vivamente mons. Joachim N'Dayen che si è appena espresso a nome della Conferenza episcopale centroafricana, circa i sentimenti di comunione che uniscono le vostre Chiese particolari alla Sede di Roma. Rinnovo a ciascuno di voi i miei voti cordiali, specialmente a due nuovi pastori chiamati recentemente alla pienezza del sacerdozio, mons. Jérôme Martin per la diocesi di Berberati che gli era già familiare e mons. Edouard Mathos, ausiliario di Bossangoa. Nel corso del mio viaggio pastorale in Africa nell'agosto 1985, volli fermarmi anche brevemente a Bangui. Ero sensibile alle prove che il vostro paese aveva conosciuto, all'isolamento del quale poteva soffrire, alle speranze che la Chiesa nutriva, al lavoro apostolico che aveva intrapreso. Desideravo manifestare la stima e gli incoraggiamenti del successore di Pietro. E conservo un felice ricordo di questa tappa e della bella celebrazione eucaristica che ha riunito il popolo di Dio a Bangui. Spetta a voi prolungare con i sacerdoti e i fedeli, i frutti di questa visita.

Oggi siete voi che venite a Roma e mi date l'occasione di accogliervi con gioia. E' bene compiere insieme questo pellegrinaggio. Infatti, al di fuori delle assemblee plenarie della vostra conferenza, siete abbastanza lontani gli uni dagli altri, con dei mezzi di comunicazione difficili e un ministero impegnativo.

E' confortante anche per voi visitare la tomba degli apostoli Pietro e Paolo, di ravvivare la vostra comunione con tutto il collegio dei vescovi, nella persona del suo primo responsabile.


2. In questi cinque anni, celebrate nell'azione di grazie il centenario della prima evangelizzazione sulle rive dell'Oubangui. Questa Chiesa è nata grazie allo zelo missionario di pionieri coraggiosi venuti dall'Europa, impazienti di condividere con gli abitanti del vostro paese la buona novella della salvezza che avevano essi stessi ricevuto. Ponevano la loro speranza nello spirito Santo che operava nel loro ministero. I frutti sono stati numerosi. Accanto agli altri fratelli cristiani, le vostre sei diocesi comportano comunità cattoliche importanti per il loro numero e per la loro espansione. Molti di coloro che esercitano delle responsabilità nel paese hanno beneficiato della formazione umana e cristiana che la Chiesa ha permesso loro. Con voi penso con riconoscenza alle Congregazioni missionarie. I loro membri non hanno cessato di operare per costruire la Chiesa, per stimolare i cristiani centroafricani a diventare essi stessi degli evangelizzatori; possiamo citare tra gli altri gli Spiritini, i Cappuccini, i Comboniani, i Maristi, ai quali si aggiungono dei sacerdoti "Fidei donum".

Conosco anche il contributo prezioso che oggi viene portato da un numero di missionari laici volontari. Me ne compiaccio e auguro con voi che essi continuino il loro contributo sempre necessario. Essi evidentemente non perdono di vista che i centroafricani devono farsi sempre più carico della loro Chiesa. Dopo mons. Joachim N'Dayen, che esercita da tempo un ruolo di primo piano nella Conferenza episcopale e nel paese, siamo stati felici di poter nominare un secondo vescovo centroafricano, mons. Edouard Mathos. Auguriamo che il numero dei sacerdoti originari delle vostre diocesi aumenti affinché essi abbiano una parte sempre più grande nel ministero pastorale e nell'evangelizzazione. In stretta collaborazione con i laici, essi potranno favorire la migliore accoglienza del messaggio evangelico in una lingua che raggiunge il meglio della saggezza secolare della vostra regione.


3. Il Sinodo che si è appena concluso a Roma ha voluto incoraggiare l'apostolato multiforme dei laici che si è ben sviluppato da voi, soprattutto da una trentina d'anni. Le assisi del 1982 ne sono state una prova. Questi cristiani possono essere il fermento evangelico della società nella quale essi formano dei piccoli gruppi ben inseriti nel paese o nel quartiere urbano e legati alla parrocchia.

Preoccupati di non separare la fede dalla vita, molti laici s'impegnano attivamente nella comunità umana. In modo concreto, essi lavorano affinché ciascuno possa disporre di un'alimentazione adeguata, delle cure sanitarie, della formazione scolastica e tecnica di un impiego e di condizioni di vita migliori.

Questi sforzi sono in linea con ciò che il Sinodo ha recentemente esposto: "Il modello di santità dei laici deve integrare la dimensione sociale e la trasformazione della società secondo il piano divino" (Messaggio finale, n. 5).

Congratulandomi con la Chiesa per il suo contributo alla promozione del bene comune nella Repubblica Centroafricana, invito i cattolici ad essere sempre più presenti nella vita pubblica, al fine di contribuire all'autentico progresso della persona umana seguendo lo spirito del Vangelo.

Infatti per l'educazione cristiana delle coscienze, si tratta di promuovere il senso di giustizia, di verità, di onestà, del servizio disinteressato. Con il suo insegnamento sulla fede e sui costumi, con i movimenti cristiani la Chiesa è in grado di portare un aiuto efficace alla riflessione e all'azione. Pensiamo agli sforzi impiegati a questo proposito dalla Gioventù studentesca cristiana, dalla Gioventù agricola cristiana, dallo Scoutismo, dai movimenti dei Cuori Coraggiosi, dalle Anime Coraggiose, dalla Legione di Maria, dai gruppi di insegnanti.

La nostra preoccupazione di pastori è quella di provvedere alla migliore formazione dei cristiani e anche dei loro quadri: un approfondimento della fede, alla luce del Vangelo e della dottrina della Chiesa, una vita di preghiera senza la quale l'azione diventerebbe attivismo sociale o pura filantropia, una partecipazione frequente e ben preparata ai sacramenti.


4. Nello stesso tempo, i servizi di Chiesa ai quali i laici ben formati partecipano devono essere assicurati. A questo riguardo i catechisti o altri responsabili continuano ad avere un ruolo importante per la formazione dei catecumeni, per l'accompagnamento spirituale dei giovani e il sostegno della preghiera delle comunità. Voi avete messo loro a disposizione, in ogni diocesi, dei centri di formazione di grande valore.

Ciò non deve far dimenticare il dovere di annunciare esplicitamente il Vangelo a molti dei vostri compatrioti che non lo conoscono ancora. La missione non ha perso la sua urgenza. E' importante sviluppare presso i battezzati questo senso missionario.


5. Al servizio della formazione e dell'animazione dei laici, il ministero sacerdotale è evidentemente primordiale. Esprimete ai sacerdoti delle vostre diocesi i miei affettuosi incoraggiamenti, senza dimenticare tutti coloro che provengono da altri paesi e operano al loro fianco. Possano apprezzare sempre più la grazia del loro sacerdozio e la bellezza della loro missione per la salvezza dei loro fratelli e sorelle! Possano consacrare tutte le loro forze, il loro tempo e il loro cuore! Saranno allora in grado di suscitare un simile dono presso i giovani chiamati a unirsi a loro. Possano vivere nella stima reciproca e in armonia fraterna al di là delle divisioni d'origine e le differenze di metodi apostolici! Che trovino sempre nel loro vescovo un padre attento agli sforzi e alle difficoltà di ciascuno, un custode preoccupato della fedeltà degli uni e degli altri a insegnare la fede e celebrare i sacramenti come vuole la Chiesa. Un pastore incaricato di riunire nella comunione e di trascinare nello zelo apostolico! 6. Per la formazione dei seminaristi più grandi siete felici ora di disporre di un seminario filosofico a Bangui, in attesa forse del suo sviluppo. Vi auguro di trovare non solo le risorse necessarie, ma soprattutto il personale insegnante adeguato: la preparazione dei futuri sacerdoti deve essere tra gli sforzi prioritari. Essa condiziona l'avvenire. Vi siete anche molto interrogati sulle condizioni delle vocazioni alla vita consacrata, anche presso le giovani. In seguito a questa specie di revisione di vita coraggiosa, spero che gli educatori di queste vocazioni e i giovani arrivino a superare gli ostacoli segnalati e ad accettare la formazione esigente che corrisponde alla grazia della chiamata del Signore. Avete rilevato bene degli elementi positivi. Un numero più grande di religiose sarebbe una benedizione per il vostro paese. Le realizzazioni come quelle delle Piccole sorelle del Cuore di Gesù sono tra i segni promettenti.


7. Il risveglio e la perseveranza delle vocazioni sacerdotali e religiose sono resi difficili quando i giovani in generale sono smarriti di fronte alle tentazioni di ogni specie che minacciano le loro convinzioni. Bisogna spesso ravvivare le energie indebolite davanti a all'apatia o il lasciar andare dell'ambiente e soprattutto davanti a un avvenire professionale molto incerto.

Siete ben coscienti del dramma dei giovani, che avevo ricordato a Bangui. La famiglia, l'ambiente tradizionale e la scuola purtroppo non arrivano più a dare delle ragioni di vita. E la mancanza d'insegnamento religioso regolare a scuola crea un vuoto spirituale. I movimenti d'azione cattolica non sostituiscono un insegnamento della fede aperto a tutti. E' necessario inventare dei mezzi per formare e sostenere i giovani cristiani per ridonare loro la speranza.


8. Da voi come in tutti i paesi dell'Africa, la pastorale familiare è un obiettivo difficile e al tempo stesso primordiale. Le associazioni delle famiglie cristiane portano uno stimolo prezioso.

Conosco la preoccupazione che avete come pastori di aiutare i futuri sposi e le coppie a vincere gli ostacoli di alcuni costumi o alcune correnti moderne, a prepararsi liberamente ad accogliere la grazia del sacramento del matrimonio per un dono totale, esclusivo e fecondo. Il recente Sinodo ha sottolineato ancora il ruolo essenziale della famiglia, "vera Chiesa domestica, nella quale si prega insieme, si vive in modo esemplare il comandamento dell'amore e nella quale la vita è accolta e protetta" (Messaggio finale, n. 7).


9. Tutti sono chiamati alla santità: chierici, religiosi, laici. E' anche uno dei leitmotiv di questa assemblea sinodale. Bisogna che noi pastori abbiamo questa ambizione di santità per tutto il popolo che ci è affidato. L'autentica promozione degli uomini e delle donne si compie in questa santità che pervade la vita di tutti i giovani, sull'esempio della Vergine Maria, che ha saputo conformarsi alla volontà di Dio nella perfezione della fede e della carità.

Cari fratelli nell'episcopato che il Signore faccia fruttificare la fatica vostra pastorale in questo senso con i sacerdoti, i religiosi e le religiose e i laici delle vostre diocesi. Da parte mia benedico di cuore voi e tutti coloro che cooperarono con voi nel servizio del Vangelo.

1987-11-07 Data estesa: Sabato 7 Novembre 1987




Omelia all'ordinazione episcopale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il vescovo è l'amico intimo di Gesù

Testo:

, "Chiamati a sé i Dodici... Gesù li invio".


1. Si rinnova oggi, in questa basilica di San Pietro, la scena del Vangelo che abbiamo appena udita. La riviviamo tutti con intima commozione e con intatta gratitudine al Signore, presente qui come nel momento in cui egli strinse attorno a sé i Dodici per inviarli alla loro prima missione, e per dar loro quelle norme di comportamento pastorale, che l'evangelista Matteo fa seguire alla scena ora descritta.

La riviviamo noi, vescovi della Chiesa di Dio, che vi troviamo la prima origine di quel ministero, che per sola misericordia divina ci è stato affidato per continuare nel mondo, mediante il triplice "munus", l'opera affidata al collegio apostolico.

La rivivono i sacerdoti e i laici, ai quali la fede fa vedere presente in mezzo a loro, nella persona dei vescovi, lo stesso Signore Gesù Cristo, pontefice sommo (cfr. LG 21), e che esprimono questa convinzione nell'amore, nell'obbedienza, nella collaborazione.

La rivivi tu, e la rivivrai per sempre, caro fratello Giovanni Battista, che oggi, col rito dell'ordinazione episcopale, vieni chiamato anche tu più vicino a Gesù, in un modo particolare, personale, e sei da lui inviato come pastore a predicare il suo Vangelo, ad essere testimone della sua verità e della sua vita.

"Chiamati a sé i Dodici... Gesù li invio". Anche te Gesù stasera chiama a essere per sempre il suo apostolo, e ti invia tra i fratelli con la sua stessa "exousia", col suo stesso potere.


2. "Chiamati a sé...". Il sacramento dell'episcopato è anzitutto mistero di intimità con Cristo: "Chiamo a sé quelli che egli volle, ne costitui Dodici che stessero con lui", commenta l'evangelista Marco riferendo lo stesso episodio. E prima della passione, nell'effusione affettuosa dei sentimenti del suo Cuore, nell'ultima cena, quando Gesù istituisce l'Eucaristia e il Sacerdozio, rivolse ai Dodici quelle parole, che ciascuno di noi non si stanca di rimeditare: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Jn 15,15). E il culmine di quella vicenda terrena, che ha stretto a Gesù quegli uomini fin da quando egli li chiamo dalle occupazioni della vita quotidiana alla sua sequela, li volle con sé giorno e notte, esigendo l'assoluto distacco da ogni legame terreno, anche della famiglia, li ammaestro instancabilmente, li avvio alle prime esperienze di predicazione, li introdusse nella conoscenza dei misteri del regno dei cieli (cfr. Mt 13,11 Mc 4,11 Lc 8,10).

Il Vangelo proclamato oggi, che segna l'inizio ufficiale di questo rapporto di amicizia e di intimità, presenta a uno a uno gli apostoli come chiamati per nome: in realtà questa chiamata, personale e irripetibile, che è giunta e continua a giungere attraverso il tempo a tutte le vocazioni sacerdotali e religiose, maschili e femminili, assume per gli apostoli e per i loro successori un rilievo unico. Cristo si identifica in certo modo con loro, perché, per mezzo di loro, continua e prolunga la propria missione. La costituzione dogmatica "Lumen Gentium" lo ha detto stupendamente: "Egli infatti, sedendo alla destra di Dio Padre, non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici, ma in primo luogo per mezzo dell'eccelso loro ministero predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno incorpora, con la rigenerazione soprannaturale, nuove membra al suo corpo; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine" (LG 21).

Il vescovo, nella cui persona Gesù si fa presente alla Chiesa, deve essere perciò l'amico intimo di Gesù: deve a lui alzare giorno e notte il cuore appassionato e le mani tese alla preghiera e all'offerta, deve in lui trovare ogni bene; perché, come abbiamo cantato nel salmo responsoriale; "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; / su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce... / Se dovessi camminare in una valle oscura / non temerei alcun male, perché tu sei con me... / Abitero nella casa del Signore per lunghissimi anni".


3. "E li invio". L'episcopato è, lo sappiamo bene, il sacramento della missione.

"Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni", abbiamo oggi cantato nell'acclamazione al Vangelo: come Cristo è l'inviato del Padre, così gli apostoli sono gli inviati di Cristo (cfr. Jn 20,21); e i vescovi, successori degli apostoli, si collocano per diritto divino nella continuità, nel solco di questa missione, che risale direttamente a Cristo, e, mediante lui, al Padre. Essi sono inseriti in quella traiettoria misteriosa che, partita dal cuore del Padre con la venuta in terra del suo Verbo, ritorna a lui nel Cristo risorto, che gli reca i trofei dell'umanità redenta. Dal Padre, mediante Cristo, nella Chiesa; dalla Chiesa mediante Cristo, al Padre. Nell'abbraccio dello Spirito Santo.

I vescovi sono pertanto inviati in virtù di questo disegno d'amore, che ha per oggetto gli uomini; inviati per il triplice servizio del magistero, della santificazione e della guida per l'intero popolo di Dio; inviati come Cristo, che nella sinagoga di Nazaret fece propria la profezia di Isaia sul Servo di Jahvè, da noi ascoltata nella prima lettura: "Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione" (Is 61,1).

Inviati per insegnare: "Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a proclamare la libertà degli schiavi... a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,1-2). E Paolo ci ha detto nella seconda lettura: "annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza; noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore" (2Co 4,2 2Co 4,5).

Inviati per santificare: come ancora Paolo sottolinea: "investiti del ministero della nuova alleanza per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo... E Dio che disse "Rifulga la luce dalle tenebre" rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo" (cfr. 2Co 4,1 2Co 4,6).

Inviati per reggere e guidare il popolo di Dio, sempre secondo le parole del Servo di Jahvè: "mi ha mandato... a fasciare le piaghe dei cuori spezzati... per consolare tutti gli afflitti... Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore per manifestare la sua gloria" (Is 61,13).

Il triplice "munus" è esercitato unicamente in funzione del servizio, allo scopo di rendere perfetto il popolo di Dio, con la collaborazione dei fratelli presbiteri, e presentarlo a Dio come offerta pura e santa. Il vescovo non vive per sé, vive per gli altri; come il Servo di Jahvè, come il Cristo che porta la croce sulla quale grava il peso dei peccati del mondo, egli non pensa a se stesso, non cerca se stesso, ma si dona, si fa tutto a tutti (cfr. 1Co 9,22), uniformato, anzi identificato con Gesù, sacerdote eterno, per amare la Chiesa, per servirla, per essere in essa maestro, santificatore, pastore.


4. A questo sei ora destinato, carissimo fratello Giovanni Battista. Chiamato a maggiore intimità con Gesù; inviato direttamente da lui, come lui, è stato inviato dal Padre. Tu ami Cristo e la Chiesa, come ne hai dato continua prova negli anni di giovane sacerdote della diocesi di Brescia; di servitore della Santa Sede nelle nunziature apostoliche in Panama e in Iran, come nella Segreteria di Stato di assessore solerte e generoso nella stessa Segreteria di Stato, in un intenso periodo di collaborazione, della quale non ho potuto che rallegrarmi per la fedeltà, l'efficacia, lo spirito di sacrificio.

Ora ti ho destinato all'incarico di Segretario della Congregazione per i vescovi: è il Dicastero che, come suo compito principale, collabora col successore di Pietro presentando alla sua scelta e candidati all'episcopato, quali li delinea per la Chiesa universale il Vaticano II. La meditazione che stasera ci è stata offerta dalla liturgia della Parola è un programma che si propone anche a quel Dicastero. Collaborerai a questo grande scopo: aiutare il Papa a dare alla Chiesa vescovi santi, ai quali Cristo stesso confida, come dice il Concilio, "il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le genti, di santificare gli uomini nella verità, e di pascerli... (come) veri e autentici maestri della fede, pontefici e pastori" (CD 2).

Il Signore ti sarà vicino nei nuovi compiti. Lo senti in questa Basilica. Lo pregano i tuoi antichi e nuovi collaboratori. Lo pregano i tuoi cari e i pellegrini della tua diocesi natale di Brescia, terra di grandi e radicate tradizioni cristiane, nel campo ecclesiale e nell'apostolato laicale, tutti li saluto, insieme col vescovo mons. Foresti, lieto che possano partecipare a questo avvenimento, che dà nuovo lustro a quella storica Chiesa locale.


5. "Chiamati a sé i Dodici... Gesù li invio". Cristo continua a chiamare i vescovi alla sua intimità e a inviarli nel mondo. Egli, che non abbandona mai la sua Chiesa, associa ora più strettamente alla propria missione salvifica un nuovo membro del Collegio episcopale.

Invochiamo lo Spirito, perché porti a compimento questo suo grande dono; invochiamo Maria santissima, che in quest'Anno mariano rifulge più splendida, come la stella del terzo millennio, per precedere la Chiesa nel cammino della fede; invochiamo tutti i santi.

La grazia dell'ordinazione episcopale sta per essere diffusa nel cuore del nostro fratello. Gesù lo chiama, Gesù lo invia. Gesù ci chiama, Gesù ci invia.

"Abbiamo questo tesoro in vasi di creta" (2Co 4,7). Vieni Signore Gesù! "Non temero alcun male, perché tu sei con me". Amen, amen.

1987-11-07 Data estesa: Sabato 7 Novembre 1987




Ai familiari e diocesani di mons. Re - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rimanere fedeli alla propria eredità cristiana

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.

Mi è caro ritrovarmi stamattina qui con voi, venuti a far corona al carissimo mons. Giovanni Battista Re in occasione della sua ordinazione episcopale; è, per tutti, come un rivivere gli intensi momenti della cerimonia di ieri, in San Pietro. Tutti vi saluto con grande affetto: a cominciare dal vostro familiare e concittadino e condiocesano, fedele, generoso e fattivo servitore della Chiesa: in diocesi, in lontane sedi diplomatiche, nella Segreteria di Stato, e soprattutto negli ormai quasi otto anni in cui ha svolto l'incarico di assessore, prestando alla Santa Sede una collaborazione degna di ogni lode. Ora lo attende un lavoro non meno delicato e importante, a cui ho già accennato ieri nell'omelia, come segretario della Congregazione per i vescovi. Tutti gli siamo vicini con l'augurio e la preghiera, affinché il Signore lo assista anche nella nuova attività.

Con lui saluto in primo luogo i parenti, che vedono un membro della loro famiglia aggregato alla successione degli apostoli: un membro che non solo li onora, ma che anche li impegna ancora più strettamente a essere sempre autentici cristiani, nella gioiosa adesione quotidiana al Vangelo di Cristo. Saluto in modo particolare il venerando papà, che ha avuto questa straordinaria consolazione, e la sorella religiosa, delle Figlie della Carità Canossiane.

Infine mi è gradito porgere il mio benvenuto e ogni buon augurio ai figli di Borno e di Brescia, qui guidati dal vescovo mons. Bruno Foresti: la diocesi vede ora aggiungersi alla gloriosa schiera dei presuli originari di quella terra anche questo suo benemerito figlio. Dire Brescia, naturalmente, è soprattutto ricordare il mio predecessore Paolo VI, che fin da giovane sacerdote rimase inscindibilmente legato alla sua diocesi. E' un titolo di onore per tutti voi, ma anche e soprattutto un motivo di grande responsabilità.

Brescia ha tradizioni cattoliche di prima grandezza: l'attività sociale ispirata alla dottrina della Chiesa, la buona causa della stampa cattolica, l'associazionismo a tutti i livelli, con altre iniziative che sarebbe lungo ricordare nell'ambito di questo semplice incontro, hanno caratterizzato profondamente la sua storia e i suoi sviluppi. Restate fedeli a questa eredità, vivendo sempre la vostra fede cristiana in modo esemplare, e lasciando alle generazioni che salgono una via ben tracciata e sicura, su cui avanzare.

Con questi voti imparto di cuore la mia benedizione a mons. vescovo, al neo-arcivescovo e a tutti i presenti, mentre vi chiedo di portarla ai vostri cari, in pegno di grande benevolenza.

1987-11-08 Data estesa: Domenica 8 Novembre 1987




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La casa ove risuono il primo cantico alla celeste Regina

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Riprendiamo oggi la serie delle nostre considerazioni sui Santuari mariani. La riprendiamo portandoci col pensiero a quello che può ritenersi il principale Santuario mariano, perché ha il privilegio ineguagliabile di sorgere nella città in cui storicamente Maria visse la maggior parte della sua esistenza terrena: la Basilica dell'Annunciazione a Nazaret.

La grandiosa costruzione a due piani ingloba i resti dei precedenti edifici, che nel corso dei secoli sono stati elevati intorno a una grotta e alla primitiva abitazione in pietra ad essa addossata. Non molti anni fa gli archeologi, scavando dentro la grotta, hanno scoperto segni visibili dell'antica devozione popolare e, tra l'altro, un graffito tracciato sul muro della grotta stessa, risalente a un'epoca vicinissima a Gesù, ed espresso con la scritta in greco: "Kaire Maria". Sono le parole dell'arcangelo, riportate dal testo del Vangelo di Luca, e li tracciate a conferma della convinzione che proprio in quel luogo esse furono pronunciate.


2. L'espressione "Kaire", tradotta abitualmente con "Ave", significa propriamente "Rallegrati", e riecheggia gli annunzi di gioia messianica rivolti dai profeti alla "Figlia di Sion" (So 3,14), per rassicurarla circa la venuta del Signore in mezzo al suo popolo. L'arcangelo Gabriele annunzia il compimento della promessa a Maria, vera "Figlia di Sion", rivelando che la presenza nuova, in mezzo al popolo, di colui che salva acquisterà in lei la dimensione di un vero e proprio essere umano: "Piena di grazia" è il nome nuovo, datoLe per incarico di Dio stesso, e significa che Maria è e rimane stabilmente oggetto per eccellenza del favore divino, e a lei viene riservata una speciale vocazione nella storia della salvezza. Dalla realtà espressa con tale nome di grazia, che indica la singolare realtà di Maria, scaturiscono tutti gli altri suoi privilegi.

Le parole dell'arcangelo furono il primo cantico rivolto alla celeste Regina anche a nome di tutte le schiere angeliche, e i figli umani hanno voluto poi arricchirle per farne la preghiera mariana per eccellenza.


3. A Nazaret si visita anche la chiesa della Nutrizione, chiamata pure chiesa di San Giuseppe, e la sorgente detta Fontana della Vergine, alla quale attingeva fin d'allora la popolazione di Nazaret.

Invito tutti a recitare spesso durante il giorno l'Ave Maria quasi a voler attingere acqua alla sorgente della vera vita.

1987-11-08 Data estesa: Domenica 8 Novembre 1987




Nella parrocchia di San Melchiade al Labaro - Roma

Titolo: Lo Sposo non "entri alle nozze" lasciandovi fuori della porta

Testo:

[Omelia:] "Risorgeranno i morti in Cristo" (1Th 4,16).


1. Cari fratelli e sorelle, che cosa ci vuol dire la Chiesa nella liturgia della domenica odierna? Prima di tutto vuole rinnovare in noi la fede nella risurrezione della carne e nella vita eterna: questa fede che da generazioni professiamo con le parole del Simbolo degli apostoli.

Oggi, maestro di questa fede è innanzitutto san Paolo, il quale ci si rivolge con le parole della Prima Lettera ai Tessalonicesi (4,13: "Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza").

La grande moltitudine dei morti non forma soltanto l'eredità della morte. Essa è abbracciata dalla potenza della risurrezione di Cristo: "Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui" (1Th 4,14).


2. Queste parole, nella liturgia della domenica odierna, ci permettono di far riferimento alla solennità di Tutti i Santi e alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti, che la Chiesa ha celebrato nei primi giorni di questo mese. Tutto il mese di novembre è quindi un tempo dedicato alla particolare preghiera per i defunti nelle famiglie, nelle parrocchie, in tutta la Chiesa. E' una cosa molto importante per noi - vivi - rileggere ciò che i nostri defunti ci dicono, non soltanto mediante la loro morte, ma soprattutto nel loro essere fondamentalmente congiunti col mistero pasquale di Cristo: con la sua morte e risurrezione.


3. Che cosa ci dicono? Un'espressione particolare di questo mistero è la figura dello sposo del Vangelo odierno. La parabola delle dieci vergini che, conforme al costume nuziale israeliano, escono incontro allo sposo, contiene in sé un invito affinché noi guardiamo con gli occhi della fede anche alla morte umana, e più ancora alla vita umana, in quanto essa costituisce, in un certo senso, una preparazione alla morte.

Ecco, la morte non è soltanto una necessità biologica, un destino esistenziale e una predestinazione per ogni uomo, vivente su questa terra. La morte è contemporaneamente - alla luce della rivelazione e della fede - un grande incontro. E' l'incontro con lo Sposo. L'incontro in Cristo con Dio, che ha tanto amato ognuno di noi da dare il suo Figlio unigenito perché l'uomo non muoia ma abbia la vita eterna (cfr. Jn 3,16).

Da ciò attinge il suo senso cristiano la preparazione alla morte, e quindi, in un certo senso, tutta la vita dell'uomo sulla terra. Bisogna andare a questo "grande incontro" con la "lampada accesa" (cfr. Mt 25,7). Chi ci aiuta ad accendere questa lampada? La lampada della fede e dell'amore, la lampada del "grande incontro", la lampada della vita attraverso la morte? Lo Spirito Santo, che è stato dato alla Chiesa da Cristo, dallo Sposo, mediante la sua morte e risurrezione. E' lo Spirito che dà la vita.


4. Proprio questo vuole dire la Chiesa nella liturgia della odierna domenica a noi, viventi ancora su questa terra. Desidera dirci questo, in un certo senso, nel nome dei defunti dice dunque: non permettete che si verifichi una simile situazione: che lo Sposo venga mentre voi siete immersi nel sonno, e le vostre lampade sono rimaste senza luce! Non permettete che lo Sposo "entri alle nozze" in compagnia delle vergini sagge, lasciandovi fuori della porta a causa della pigrizia del vostro spirito! Non permettete che si debba dire: "Non vi conosco" (Mt 25,12). Non lo permettete! Non lo rischiate! In altre parole: "Vegliate... perché non sapete né il giorno né l'ora" (Mt 25,13).


5. Vegliate!... Che cosa vuol dire: vegliate? Sembra che proprio su questo ci voglia intrattenere ancora la Chiesa nella liturgia della domenica odierna. Che cosa significa "vegliate"? Si potrebbe pensare che "vegliare" significhi soltanto perseverare in attesa; ma questo sarebbe un modo piuttosto passivo che attivo.

Invece le parole della liturgia ci fanno capire che "vegliare" vuol dire, ancora di più, "cercare": cercare Dio, desiderare Dio.

La lettura tratta dall'Antico Testamento ci insegna che cosa significa desiderare la Sapienza, cercarla giorno e notte, faticare per trovarla (cfr. Sg 6,12-14). Il salmista poi parla direttamente della ricerca di Dio: "O Dio, tu sei il mio Dio, / all'aurora ti cerco, / di te ha sete l'anima mia, / a te anela la mia carne" (Ps 62,2).


6. Dunque: "vegliare" significa, si, perseverare in attesa, ma tale perseverare è possibile soltanto in base al principio del "cercare" Dio: in base al principio dell'intimo sforzo della fede, della speranza e della carità; in base all'aspirazione - e a questo lavoro particolare dello spirito umano, che permette di avvicinarsi a Dio e attingere in un certo senso, alla sovrabbondanza del suo Spirito, nel Cristo crocifisso e risorto.


7. Accogliete questo messaggio della liturgia della domenica odierna, cari fratelli e sorelle della comunità della parrocchia di San Melchiade, che partecipate numerosi a questa celebrazione, insieme col card. vicario al quale va il mio saluto cordiale.

La vostra parrocchia è una comunità nuova e tuttora in pieno sviluppo.

Forse non sono pochi tra di voi coloro che ricordano i primi insediamenti in questo territorio, quando ancora non esisteva un piano regolatore e mancavano quasi tutti i servizi necessari a un quartiere. Allora la borgata, cresciuta spontaneamente per l'affluenza di tante persone da varie regioni d'Italia, usava di una piccola cappella come povero e umile punto di riferimento. Era allora parroco mons. Marino Pallone scomparso di recente, al quale va la riconoscenza di quanti hanno potuto sperimentarne le doti di pastore zelante e generoso. Saluto il suo successore don Enrico Ghezzi e il giovane sacerdote che collabora con lui, auspicando che l'opera iniziata da chi li ha preceduti possa essere validamente proseguita.

La comunità si è, nel frattempo, accresciuta. Altre case sono sorte e ora già nuovi grandi edifici annunciano l'arrivo di altre persone, di altri fratelli con i quali fare comunione in seno all'unica Chiesa. Ecco, è questa chiesa di pietre, costruita poco più di dieci anni fa, che costituisce il segno della presenza in mezzo a voi di Cristo che convoca il suo popolo che ama gli uomini, che desidera far giungere loro la sua parola; di Cristo il quale vuole fare di tutti voi l'edificio di Dio, il suo regno spirituale e perfetto, una comunità di uomini che sa attendere il suo ritorno.

Sappiate formare attorno a Cristo una comunità unita e concorde, anche se provenite da differenti tradizioni religiose, da molteplici esperienze di vita parrocchiale. Tale fatto, invece di creare difficoltà per la formazione di una comunità omogenea e concorde, potrà essere un'autentica ricchezza, un motivo di convergenza e una ragione forte per la solidarietà spirituale. Ciò avverrà se vorrete moltiplicare le occasioni d'incontro e di conoscenza tra di voi.

Forse le prime famiglie, qui arrivate, trovarono nella fatica e nel lavoro l'incentivo alla loro solidarietà. Oggi c'è una missione da compiere per aiutare ogni uomo a non emarginarsi nel contesto di una convivenza più fortunata, ma non meno bisognosa di aiuti morali. Il Signore rivolge quindi a tutti voi l'appello di divenire tempio dello Spirito affinché siate per tutti l'eco della viva voce di Gesù nell'opera di evangelizzazione del vostro quartiere.

Saluto pertanto con affetto tutti coloro che servono la Chiesa nella catechesi, specialmente nella preparazione dei fanciulli e dei ragazzi alla Comunione e alla Cresima, dei giovani al sacramento del matrimonio, delle famiglie al Battesimo dei figli. Mi compiaccio anche per i gruppi della catechesi agli adulti e formulo voti affinché si moltiplichino tali gruppi di adulti, che insieme meditano la Sacra Scrittura.

Il mio particolare pensiero va ai giovani dell'Azione cattolica, ai ragazzi dell'ACR e a tutti coloro che dedicano tempo e impegno per la formazione della gioventù.

Saluto anche le suore collaboratrici della parrocchia, le Oblate del Sacro Cuore; le suore del Calvario, che curano l'asilo, e le suore di Maria SS.ma Consolatrice, che si dedicano alla Casa di riposo.

A tutti voi il mio incoraggiamento e la mia benedizione perché la missione che compite in questa zona di Roma sia confortata dalla grazia di Cristo.

Siate tutti missionari della voce del Signore che chiama ogni fedele a essere suo apostolo. E' mediante la vostra testimonianza che Gesù Cristo sollecita ogni uomo ad essere vigilante, a tenere accesa la lampada della sua fede, fino al giorno dell'incontro con Dio nell'eternità.


8. "così ti benediro finché io viva, / nel tuo nome alzero le mie mani" (Ps 62,5).

Cari fratelli e sorelle! Accogliete insieme con l'odierna visita del vescovo di Roma questo eloquente messaggio del mese di novembre: del mese di Tutti i Fedeli defunti, del mese di Tutti i Santi, del mese di Cristo-Re.

[Alla popolazione:] Vi saluto di cuore e ringrazio il vostro parroco per le sue parole introduttive. Qui è davanti a me un gruppo di parrocchiani maturi, anzi la generazione non solamente dei genitori, ma anche dei nonni e delle nonne.

Vorrei salutare cordialmente questa generazione che certamente ha contribuito molto alla costituzione e alla costruzione di questa comunità, di questa comunità parrocchiale e cristiana. Vi ringrazio e mi congratulo con voi per questo risultato, per questa chiesa moderna, che esprime la presenza della vostra comunità cristiana qui al Labaro, in questo luogo che ha anche la sua eloquenza storica. Si parla di tempi lontani. Avete scelto come patrono della vostra parrocchia san Melchiade Papa, che era un Papa di una grande transizione, quella tra i tempi pagani e i tempi cristiani, tra i tempi della persecuzione della Chiesa e i tempi della libertà che la Chiesa cristiana cattolica ha acquistato all'inizio del quarto secolo. Questo Papa lontano ci parla, attraverso i secoli, della continuità del Vangelo, dell'Eucaristia, della Chiesa di Cristo che cammina di secolo in secolo, di generazione in generazione con il popolo di Dio in Roma come anche in tutta la terra.

Vorrei salutarvi nel nome di tutte le parrocchie romane, ma vorrei anche salutarvi nel nome di tante altre Chiese in Europa e nel mondo che mi è dato di visitare. Tutti siamo legati, tutti siamo uniti, tutti siamo la stessa Chiesa di Cristo. Tutti siamo lo stesso corpo di Cristo. Ecco, questo voglio vivere insieme con voi, questa realtà della Chiesa, questo mistero della Chiesa e a questa esperienza vissuta deve servire la mia visita nella vostra parrocchia. Vi saluto di cuore e vi invito a partecipare all'odierna visita del Papa e poi a continuare con lo stesso coraggio, con lo stesso impegno nella costruzione spirituale della casa di Dio, della Chiesa, della parrocchia, del corpo mistico di Cristo. Voglio offrire adesso una benedizione insieme con il card. vicario a tutti i presenti, come anche a tutti i membri di questa comunità cristiana parrocchiale di San Melchiade de Papa.

[Ai bambini:] Saluto i bambini della scuola materna, quelli delle elementari, e mi domando chi vi conduce dalla materna alle elementari: sono i vostri genitori prima, poi le vostre suore, i maestri e i sacerdoti. Ma oltre a loro è Gesù Cristo che vi conduce per mano. E' lui che ci conduce al Battesimo per farci simili a lui perché con il Battesimo diventiamo figli di Dio. Lui Figlio di Dio, generato non creato, noi figli adottivi. Gesù ci conduce anche attraverso i nostri genitori e i nostri educatori dal Battesimo alla prima Comunione. Perché non basta che siamo chiamati figli di Dio, ma bisogna che ricevendo il suo corpo e il suo sangue diventiamo cristiani.

Voi vi preparate adesso alla prima Comunione, a partecipare all'Eucaristia, e questo vuol dire essere pienamente cristiani. Io mi congratulo con voi e attendo il momento che potrete accostarvi alla comunione eucaristica la prima volta. Mi congratulo, insieme con voi, con i vostri genitori, con i vostri educatori, con le suore, con i sacerdoti che vi preparano ad avvicinarvi sempre di più a Cristo, perché il sacramento dell'Eucaristia ci dà la vita di Gesù. Con la comunione diventiamo portatori della vita di Gesù: questo è un grande mistero della fede. Io mi auguro che la prima comunione affini i vostri cuori e i vostri pensieri e poi diventiate partecipi di questo grande mistero della fede. così camminano i cristiani da duemila anni e così camminano sempre nuove generazioni di cristiani: è la famiglia che per prima ha la responsabilità di questo cammino, ma poi c'è la parrocchia. Vedendo voi, guardando i più piccoli, e accanto a voi i vostri genitori incontro la vostra parrocchia, la vostra comunità cristiana.

[Ai giovani:] La parrocchia attraverso i giovani guarda al futuro, e il vostro futuro è il futuro di questa comunità, della Città, del Paese, della stessa Chiesa e dell'umanità. Una settimana fa è terminato il Sinodo dei vescovi. Il Sinodo è la riunione dei vescovi che rappresentano tutte le comunità, tutto il mondo. Tema di questa assise sinodale erano i laici. I problemi di cui si è discusso riguardano anche voi: c'era un capitolo speciale anche sui giovani.

Quale è la parola d'ordine della vostra età? Credo che questa parola sia: ricerca. I giovani sono ricercatori e la loro è una ricerca nel senso della scoperta della vita. Ho avuto la fortuna, negli anni passati come sacerdote e poi come vescovo, di avere molti contatti con i giovani, di vivere molto con loro, di conoscere i giovani. E questo mi è rimasto. Ho capito che la giovinezza è ricerca dell'identità umana e cristiana. Gli altri periodi della vita non sono marcati dalla stessa caratteristica. La vostra età è quella dell'inquietudine, dell'interrogativo sull'"io" come uomo, come destino. Da qui la ricerca come risposta all'interrogativo e la scoperta, perché i giovani cercano e trovano dentro di loro negli slanci come nelle debolezze la verità. Allora si apre un campo interessante: chi è Gesù Cristo? E' colui che conosce l'uomo. E' colui che sa entrare con una competenza superiore in questo campo che si apre a ciascuno di noi. Noi siamo ricercatori. Lui è conoscitore. E chiama ognuno di noi.

Vi auguro di fare questa ricerca nella vostra età giovanile, intensamente. Vi auguro di incontrare colui che vi ha amato prima e vi ama sempre ed è pronto a incontrarvi e a camminare con voi per aiutarvi a essere più persona, più cristiani. Cristo è colui che vi chiama, ha chiamato molti. Voi dovete domandarvi cosa Cristo vuole da voi, dalla vostra vita. Io vi auguro di trovare anche la risposta a quella domanda. Sapete bene che le vocazioni sono diverse; la vita dei laici, la vita degli sposi, la vita delle famiglie sono la grande vocazione cristiana. Ma ci sono vocazioni ancora più orientate verso il regno del cieli, tale è la vita religiosa: una vocazione, più speciale, che viene da Cristo.

Io vi auguro di trovare la vostra vocazione.

[Agli adulti:] C'è un impegno che ci aspetta tutti, perché siamo tutti la stessa Chiesa, una, santa, apostolica, è la costruzione spirituale. Questo è il tema molto profondo, che ha spiegato più completamente il primo vescovo di Roma san Pietro, nella lettera che si legge nella liturgia di domani: domani infatti si celebra la memoria della Basilica di San Giovanni in Laterano, e questa memoria si celebra in tutta la Chiesa universale cattolica. Si celebra perché questa Basilica viene chiamata madre di tutte le Chiese. Ed è, in un certo senso, anche madre di questa Chiesa di San Melchiade, la vostra parrocchia. Con questa Chiesa è arrivato anche l'impegno, invisibile e spirituale, che siete voi o che piuttosto si trova in voi. Mi rallegro profondamente con questa assemblea per la catechesi che avete incominciato: catechesi per gli adulti e per i giovani, cammino di chiesa che nei secoli e nelle generazioni si è sempre fatto attraverso la catechesi. Fare catechesi è un po' come andare a scuola, ma qui si tratta di entrare nella dimensione dei misteri divini, di assimilare questi misteri, viverli profondamente, perché la fede ci apre una realtà che non è di questo mondo, non è empirica né naturale, è soltanto divina. Se dobbiamo avvicinarci a Dio, dobbiamo accettare il mistero. Se vogliamo imparare e se vogliamo anche insegnare agli altri, dobbiamo entrare nella dimensione dei misteri. Vi auguro che questo cammino sia efficace. Vi incoraggio a intraprendere questo cammino, a farlo con gli altri in gruppi sempre più numerosi, perché tutti abbiamo bisogno di essere una Chiesa catechizzata e catechizzante insieme.

1987-11-08 Data estesa: Domenica 8 Novembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Ai vescovi centrafricani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)