GPII 1987 Insegnamenti - Alla fondazione "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)

Alla fondazione "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dare anima alla scienza e alla tecnica a servizio dell'uomo

Testo:

Signor cardinale, Illustri signori e signore.


1. Sono veramente lieto di incontrarmi oggi con voi, qualificati rappresentanti della scienza e della ricerca, in occasione del Colloquio promosso da "Nova Spes" sui rapporti tra la ricerca scientifica e i grandi problemi della società contemporanea. Porgo a tutti il mio più cordiale benvenuto.

Pur provenendo da Paesi e culture diverse, voi esprimete la comune ricerca della verità nei diversi campi dell'esperienza umana. Molti di voi hanno avuto nel Premio Nobel il prestigioso riconoscimento degli studi compiuti nei vari campi del sapere. Anche la Chiesa rende omaggio al vostro merito.

Ho ascoltato con vivo interesse le informazioni che avete voluto offrirmi circa i risultati dei vostri colloqui e auspico che dal vostro concorde impegno possano derivare impulsi efficaci per il perseguimento di quelle mete che stanno a cuore a quanti si preoccupano dell'avvenire della società umana.


2. Il quadro della società contemporanea è caratterizzato dalla mescolanza di luci promettenti con ombre minacciose. La Chiesa si unisce a tutta la famiglia umana nel rallegrarsi per i progressi meravigliosi che la ricerca scientifica va compiendo in ogni settore della conoscenza. Essa tuttavia non può, al tempo stesso, non preoccuparsi per gli sviluppi negativi a cui tale ricerca, applicata alla tecnologia, può portare se sganciata dall'etica. La ricerca scientifica, quando trascura i valori morali e il destino trascendente dell'uomo, non è più a suo servizio, ma si pone inevitabilmente contro il suo vero progresso.

Questo è il grido d'allarme che ho sentito il dovere di lanciare il tutta l'umanità da quel grande areopago che è l'Unesco, il 2 giugno 1980: "Bisogna convincersi della priorità dell'etica sulla tecnica, del primato della persona sulle cose, della superiorità dello spirito sulla materia. La causa dell'uomo - aggiungevo - sarà servita se la scienza si allea alla coscienza".

E' di questa alleanza che la Chiesa si fa promotrice con coraggio e costanza. Nei miei viaggi apostolici per il mondo sento il dovere di sollecitare gli uomini di cultura, gli scienziati, gli universitari, gli artisti, gli intellettuali a far convergere i loro sforzi in un'unica direzione: il servizio all'uomo.


3. Per servire l'uomo occorre anzitutto partire da una visione integrale del suo essere, cioè da un'antropologia nella quale egli venga considerato per quello che è realmente, cioè come creatura di Dio, fatta a sua immagine e somiglianza, come essere capace di conoscere l'invisibile, teso verso l'assoluto di Dio, fatto per amare, chiamato a un destino eterno. L'uomo, nella sua dignità non può mai essere ridotto a un mezzo da strumentalizzare o manipolare.

Per servire l'uomo, occorre inoltre realizzare un modello di società in cui ogni persona venga accolta, rispettata e amata. A questo riguardo vorrei richiamare l'enciclica del Papa Paolo VI, la "Populorum Progressio", di cui si celebra il ventennio: in essa il mio venerato predecessore offre il progetto di una società tesa a realizzare lo sviluppo integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale di tutta l'umanità. E' alla luce di tale progetto di umanesimo plenario, che Paolo VI poté affermare: "Lo sviluppo è il nuovo nome della pace" (PP 76-80).


4. Per costruire questa nuova società, occorrono persone libere e responsabili. E' vero che lo sviluppo scientifico odierno risolve problemi che un tempo neppure si osava affrontare. Ma è pure vero che, nonostante le meraviglie tecnologiche, si sono anche moltiplicati e aggravati i problemi esistenziali. L'uomo di oggi non di rado si sente oggetto del processo storico, anziché suo soggetto creativo. Per questo tanti soccombono all'angoscia, cedono alla disperazione, si rifugiano nello scetticismo, si perdono nell'edonismo. Urge riconoscere all'uomo quanto la sua dignità di persona comporta, occorre aiutarlo a pensare, stimolarlo a compiere scelte mature e responsabili. Il posto dell'uomo nella rivoluzione tecnologica e informatica in atto deve essere legato alla salvaguardia dei valori morali, di cui egli è insieme depositario e soggetto.

Se la Chiesa fa valere delle riserve morali nei confronti, ad esempio, delle tecnologie applicate all'ingegneria genetica e alla procreazione artificiale, non è per limitare o fermare la ricerca scientifica, ma per orientare l'enorme sforzo scientifico e le scoperte moderne in direzione della dignità della persona, della nobiltà dell'amore, della difesa della vita umana. Bisogna, quindi, sottolineare l'esigenza che il progresso tecnologico sia guidato dalle norme morali per rimanere a servizio dell'uomo.

A questo scopo è necessario sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale e mobilitare tutte le energie creative dei ricercatori, impegnandole nella soluzione di quei problemi che ancora tormentano l'umanità contemporanea. Sono problemi di cui gli scienziati avvertono con crescente consapevolezza la gravità e l'urgenza. Penso alla questione sempre drammatica del sottosviluppo, della fame nel mondo, delle malattie endemiche; penso all'angoscia di tutta la famiglia umana davanti alla minaccia della guerra tecnologica.


5. Un'alleanza di tutte le forze vive della società moderna è necessaria per promuovere questi obiettivi. La proposta di "Nova Spes" favorisce questa alleanza operativa tra religione, scienza, comunicazione, economia. Tutte le componenti della famiglia umana devono essere mobilitate con coraggio e speranza per salvare l'uomo e per promuovere il suo vero progresso.

Sono lieto, illustri signori e signore, di cogliere questa circostanza per rinnovare un appello a tutto il mondo scientifico e ai ricercatori in ogni campo dell'attività umana: date un'anima alla scienza, nobilitate la tecnica mettendola al servizio dell'uomo, promuovete lo sviluppo di ogni uomo e di tutto l'uomo. Alle persone che si dedicano alla scienza e alla ricerca dico con grande fiducia e speranza: impegnate tutta la vostra autorità morale a servizio dell'uomo e a difesa della pace. L'umanità ve ne sarà grata. La storia vi ricorderà come benefattori. Dio vi renderà merito.

E a voi, partecipanti all'azione di "Nova Spes", rivolgo una parola di vivo incoraggiamento: cercate, senza stancarvi, di indagare vie e modi per rendere sempre più efficace la vostra azione, e più incisivo il vostro impegno a servizio dell'umanità. La Santa Sede, soprattutto mediante la Pontificia Accademia delle Scienze e il Pontificia Consiglio per la Cultura, è direttamente impegnata nell'intrecciare un attivo dialogo tra la scienza, la cultura e i valori spirituali. Vi incoraggio a unire i vostri sforzi a questa missione.

Dio Onnipotente, al quale affido questi miei voti, vi sostenga nel vostro lavoro, vi aiuti nelle inevitabili difficoltà e vi ricompensi per quanto fate a servizio dell'umanità di cui egli nella sua bontà ha voluto fare la propria famiglia.

1987-11-09 Data estesa: Lunedi 9 Novembre 1987




Per il 50° della Nuova Sede dell'Università Lateranense - Roma

Titolo: In dialogo con le culture per prepararle all'evangelizzazione

Testo:

1. Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi questa sera, nella festa della Dedicazione della basilica di San Giovanni in Laterano, mentre tutta la Chiesa cattolica e romana volge la mente e il cuore, in segno di unità e di comunione, verso la basilica che è "omnium ecclesiarum urbis et orbis mater et caput".

L'occasione della visita è il ricordo cinquantenario della erezione di questa sede, che il mio grande predecessore Pio XI ha voluto situata in questo luogo perché anche l'ubicazione e l'appellativo "lateranense" esprimessero il vincolo speciale che essa ha con la Chiesa di Roma che "presiede alla carità" universale (sant'Ignazio, "Ad Romanos", prologo).

Saluto con affetto l'eminentissimo card. gran cancelliere, mio vicario per la diocesi di Roma, i signori cardinali qui convenuti per i rapporti che li uniscono con l'"alma mater", gli arcivescovi, i vescovi e i prelati della Curia romana e del Vicariato, non pochi dei quali sono stati alunni dell'Università; saluto il rettore magnifico, mons. Pietro Rossano, e con lui il corpo accademico, gli ex alunni e gli studenti, il personale addetto ai servizi e al buon funzionamento dell'Università; il mio saluto va anche ai presidi e rappresentanti degli Istituti incorporati e affiliati, agli ospiti illustri e alle maestranze che hanno sostenuto i lavori e sono a giusto titolo qui presenti. Voglio qui ringraziare anche i benefattori che hanno contribuito al completamento e all'abbellimento degli ambienti. Se vogliamo ricordare questo giubileo è per trarne spunti e lezioni di vita e incitamento per i compiti che attendono la vostra università, insieme con le altre università ecclesiastiche qui a Roma.


2. La Pontificia Università Lateranense è storicamente legata alla Santa Sede e alla Chiesa di Roma, tanto da venire detta "L'Università del Papa", un appellativo onorifico ma anche oneroso, che impone esigenze e richiede impegno. I miei venerati predecessori si sono presi grande cura dell'università, la cui storia è tutta segnata da personali interventi dei Papi. Per limitarci ai tempi vicini, Pio XI, come ho già accennato, la doto di questa nuova sede, trasferendovi l'"Institutum utriusque iuris" fino allora legato a Sant'Apollinare. Pio XII, che vi fu alunno e professore, vi fondo nel 1957 l'Istituto pastorale; Giovanni XXIII vi tenne lezioni alla Facoltà di teologia, le consocio l'Accademia Alfonsiana per gli studi di teologia morale e la insigni del titolo di Università. Paolo VI vi fu docente nell'"Institutum utriusque iuris" e approvo la cooptazione dell'Istituto di scienze religiose "Ecclesia Mater", dell'Istituto Augustinianum per studi patristici, e dell'Istituto Claretianum per la teologia della vita religiosa. Io stesso vi ho collocato il nuovo Istituto per studi su matrimonio e famiglia, e, per favorirne l'incremento e lo sviluppo, ne ho disposto i miglioramenti strutturali che ora vediamo. Tutto questo è indice dell'attenzione e della fiducia dei Papi verso questa istituzione.


3. Inaugurando solennemente la nuova sede cinquant'anni fa Pio XI parlo di due atenei, uno materiale, l'altro spirituale; il primo costituito da mura, ambienti e strutture; il secondo risultante dalla somma dell'intelligenza, della fede e dell'operosità di chi dentro vi lavora, insegna studia e apprende.

E' chiaro che l'ateneo materiale esterno è al servizio e in funzione di quello interno, spirituale, che si dedica a "comprendere, con tutti i santi, l'ampiezza e la grandezza, l'altezza e la profondità" del mistero di Cristo, nel quale è racchiusa la "multiforme sapienza di Dio" (Ep 3,18 Ep 3,10).


4. Due sono i poli dell'ateneo spirituale: Dio uni-trino che si comunica e si rivela in Gesù Cristo, e l'uomo creatura libera e responsabile, immersa nel finito ma aperta all'infinito, che trova la sua realizzazione e il suo fine ultimo nella comunione con Dio. Due sono quindi le grandi direzioni della ricerca e del sapere nelle Università ecclesiastiche: Dio nella sua eterna e inesauribile immensità di luce e di amore e nel suo disegno di salvezza realizzato nella storia, e l'uomo creato a immagine sua, ma peccatore, "id quod est perfectissimum in tota natura" (I 29,1) ma bisognoso di sicurezza e di luce quasi di "una qualche parola divina", secondo la celebre intuizione della scuola di Socrate ("Fedone", 85d).

Possiamo riferire qui l'alta parola di sant'Agostino che compendia mirabilmente le mete dello studio e della ricerca teologica: "Deus semper idem; noverim me, noverim te" ("Soliloqui", 2.1). Lo studio e il sapere delle facoltà universitarie ecclesiastiche sono orientati a questi due poli: "noverim te, noverim me", e tendono a formare maestri e persone qualificate che sappiano essere nella vita e nella comunità cristiana mediatori e collaboratori dell'incontro di Dio con l'uomo.

Conoscere il mistero di Dio come è stato rivelato progressivamente nella "historia salutis", come è stato approfondito con gli sforzi del pensiero e dell'intelligenza umana nella ricerca e nella investigazione teologica, come fu definito e presentato dal magistero della Chiesa, come ne è stata diffusa la conoscenza e l'esperienza nella storia, come viene a contatto con le diverse situazioni della vita individuale e sociale. Ne deriva tutto l'arco delle discipline bibliche, della teologia dogmatica, della storia della Chiesa, della teologia morale, del diritto canonico, della pastorale, della liturgia e della spiritualità.


5. La seconda grande traiettoria dello studio ecclesiastico sono le profondità dell'uomo, destinatario della comunicazione divina, le sue aspirazioni, le sue ricerche, le sue realizzazioni spirituali, in una parola la "via hominis", quale si esprime soprattutto nella ricerca scientifica, filosofica, antropologica e religiosa, per farla incontrare con la "via Dei ad homines" culminata in Gesù Cristo e annunciata dalla Chiesa. L'uno e l'altro sapere, su Dio e sull'uomo, sono infatti in funzione dell'incontro in cui consiste la salvezza e la piena realizzazione dell'essere umano. Di tale incontro la Chiesa è mediatrice e ministra del mondo. L'ateneo spirituale, al quale si riferiva Pio XI, tende a formare gli artefici di questo incontro, gli specialisti nelle varie discipline e gli operatori ministeriali.

Tale è il compito altissimo e delicato delle università ecclesiastiche, la cui opera si svolge nelle funzioni dell'insegnamento, della ricerca e della risposta alle domande spirituali degli uomini e ai bisogni della Chiesa nel mondo di oggi. Insegnamento solido e fedele alla parola di Dio e alla tradizione e al magistero della Chiesa; ricerca continua e sagace per analizzare e scoprire i mille riflessi della verità nascosta nella rivelazione divina, nella creazione, nell'uomo e nella sua vicenda terrena; risposta agli interrogativi degli uomini, mossi instancabilmente a "cercare Dio, se mai lo trovino come a tastoni, lui che è vicino a ciascuno di noi" (Ac 17,27); attenzione alla missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, chiamata dal dinamismo della storia e della cultura a confrontarsi con problemi sempre nuovi, da risolvere prudentemente alla luce della parola di Dio, scrutata con amore e docilità di spirito, nella preghiera.


6. A questi compiti propri delle università ecclesiastiche, adombrati nella costituzione apostolica "Sapientia Christiana", si aggiungono per voi quelli caratteristici e tradizionali della Pontificia Università Lateranense. Se si considera che essa è legata particolarmente al Papa, vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, non pare dubbio che caratteristica particolare di questa Università, oltre alla fedeltà esemplare e indiscutibile verso la Sede apostolica, ha da essere, come è stata sempre, uno spiccato orientamento verso le discipline che trattano dell'inserimento dei valori cristiani nel concreto della vita e della società.

Mi riferisco in particolare alla distinta tradizione di studi giuridici espressa emblematicamente nell'"Institutum utriusque iuris" che unisce in sé lo studio del Diritto civile e canonico nella sua integrale dimensione e nella sua valenza attuale. Tale tradizione, che trova espressione in apprezzati Colloqui internazionali, ha da essere tenuta in onore per il servizio che reca alla cultura e alla Chiesa. In questo contesto è da menzionare anche lo studio del diritto canonico. Dopo la pubblicazione nel 1983 del "Codex Iuris Canonici", che ha recepito nei suoi canoni il ricco messaggio del Concilio Vaticano II, lo studio del diritto ha ripreso lodevolmente respiro nella Chiesa. Anche questa tradizione, in onore presso l'Università Lateranense, deve essere continuata con impegno, essendo il diritto canonico un compendio della prudenza operativa della Chiesa, alimentata dalla carità e orientata verso la crescita ordinata e armoniosa del corpo di Cristo.

Esiste poi da trent'anni in questa Università un "istituto pastorale" con un notevole programma, mirante a far scendere e penetrare negli ambiti dell'esistenza la luce e il sapore del Vangelo. Inoltre da alcuni anni opera nell'Università, da me voluto e fondato, l'"Istituto per studi su matrimonio e famiglia", per illustrare scientificamente e irradiare pastoralmente i principi della fede e della dottrina cattolica sui temi capitali della famiglia, della procreazione e della formazione umana.


7. Tutto questo qualifica l'Università Lateranense, orientando i suoi studi verso il concreto dell'esistenza e sollecitando le altre discipline accademiche, come la teologia e la filosofia, a prendere in particolare considerazione il rapporto della fede con la cultura nella società di oggi, la via del Vangelo verso l'uomo, verso la società e l'esperienza contemporanea.

E' noto che l'uomo d'oggi, a Roma come in tante parti del mondo, soprattutto occidentale, si trova avvolto e come immerso in una cultura che fa da schermo al passaggio della luce della rivelazione divina e pone a ciascuno nuovi problemi e difficili interrogativi. Applicarsi a conoscere le vie della comunicazione evangelica, analizzare la cultura, anzi le culture contemporanee per aprirle alla parola di Dio, interpretare fedelmente secondo le indicazioni del magistero i contenuti del mistero cristiano per esprimerli nel linguaggio della cultura odierna (il grande problema ermeneutico che occupa tanta parte della riflessione filosofica e religiosa), in altre parole il dialogo con la cultura in vista della sua evangelizzazione, sono istanze che emergono dalla vocazione singolare di questa università, particolarmente inserita e quasi immersa nella realtà della Chiesa di Roma, la quale sotto molti aspetti appare sempre più come un microcosmo del mondo.

La mia esortazione è dunque di mostrarvi all'altezza del vostro compito: che è di studio, di fedeltà al magistero, di dedizione al lavoro, con ogni assiduità, diligenza, concordia, alacrità nel compiere il dovere quotidiano.

Grande è la missione dei docenti ed esigente la responsabilità degli alunni; la Chiesa ha bisogno di voi. Per questo tutti, autorità accademiche, professori, alunni, personale ausiliare, tutti siete chiamati a collaborare perché questo centro di studi appaia sempre più come valido strumento culturale della Santa Sede e della Chiesa di Roma, nella sua proiezione diocesana e in quella universale e porti i frutti che il Papa e la Chiesa attendono.

Per questo lo affido, in questo momento e in questo Anno mariano, alla Madre di Cristo e Madre della Chiesa. E vi accompagni ogni giorno nel vostro lavoro la mia paterna benedizione in tutto quest'anno accademico, che ho la gioia di inaugurare e dichiarare aperto ufficialmente.

1987-11-09 Data estesa: Lunedi 9 Novembre 1987









Al pellegrinaggio del Pontificio seminario regionale umbro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il seminario deve educare a una larga comunione ecclesiale

Testo:

Venerati fratelli nell'episcopato, cari superiori, docenti, alunni ed ex alunni del Pontificio seminario umbro! Ringrazio anzitutto mons. arcivescovo Cesare Pagani per le gentili parole, con le quali ha voluto presentarmi la comunità del seminario regionale di Assisi in un momento significativo qual è quello della ricorrenza del 75° anniversario della fondazione, avvenuta il 3 dicembre 1912. Porgo il mio cordiale saluto e il mio benvenuto a tutti voi qui presenti. Saluto in particolare i vescovi dell'Umbria che non cessano di dedicare le proprie energie per l'animazione cristiana di una regione così ricca di tradizioni cristiane e di figure emblematiche nella storia dei santi: basta accennare al nome di Francesco di Assisi per illuminare di luce meridiana la storia di quella terra, che si onora di avergli dato i natali! Saluto pure mons. rettore, insieme con i superiori e i docenti delle varie discipline; saluto poi tutti e ciascuno di voi, cari alunni, che vi preparate con impegno e generosità ad accedere degnamente all'altare del Signore e al ministero di riconciliazione, e con voi intendo salutare gli ex alunni che vi hanno preceduto nel tirocinio di formazione sacerdotale, e ora si dedicano con zelo apostolico all'evangelizzazione delle comunità cristiane che sono state loro affidate; saluto infine tutti coloro che vi amano e vi aiutano nelle necessità: le vostre famiglie, le suore, il personale di servizio, i benefattori e gli amici del seminario. A tutti apro il mio cuore, augurando ogni bene nella generosa dedizione per il servizio della Chiesa e delle rispettive diocesi da cui provenite.


2. Con questo familiare incontro voi intendete ricordare gli anni trascorsi da quel dicembre 1912, allorché venne inaugurato il vostro seminario sono stati anni segnati da impegno, fatica e anche difficoltà, ma che hanno dato consolanti frutti alla Chiesa umbra, quando si pensi che sono passati nel seminario ben 2430 alunni, dei quali 1228 hanno raggiunto il sacerdozio e 13 sono stati elevati alla dignità episcopale. Anche queste semplici cifre ci permettono di ringraziare insieme il Signore per i tanti favori concessi, e per esprimere riconoscenza a coloro che, a vario titolo, si sono adoperati per l'animazione vocazionale delle diocesi e per il buon funzionamento del seminario.

Ma con questa celebrazione voi intendete guardare anche al presente e al futuro. So che anche il vostro seminario ha risentito del doloroso fenomeno del calo delle vocazioni, ma che ora, grazie a Dio, sta registrando anch'esso una buona ripresa, secondo la tendenza generale. Ciò è dovuto anche al fatto che la vita interna del seminario ha ritrovato le linee autentiche della formazione, quali sono tracciate dalla "Ratio fundamentalis" e dal documento della Conferenza episcopale italiana su "La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana", oltre che, naturalmente, dai documenti del Concilio Vaticano II. Il rifiorire della vita di pietà, dei fraterni rapporti comunitari e di seri studi presso l'Istituto teologico affiliato alla Pontificia Università Lateranense, alimenta un clima spirituale che favorisce una serena riflessione e maturazione dei candidati al sacerdozio.


3. Il seminario dunque prosegue con lena rinnovata il suo cammino nello spirito delle indicazioni date da colui che ne promosse la fondazione, il Papa Pio XI il quale, nell'enciclica "Ad Catholici Sacerdotii" (n. 53.62), scriveva che chi tende al sacerdozio deve essere "seriamente impegnato ad acquistare una soda pietà, una purezza ben provata e una scienza adeguata". Rimane tuttavia il dovere di riconquistare all'attenzione verso il seminario le comunità cristiane e in primo luogo le famiglie. Tale opera di sensibilizzazione è indispensabile, giacché, come affermava lo stesso Pontefice, "Il primo giardino, dove devono germinare e sbocciare quasi spontaneamente i fiori del santuario, è sempre la famiglia, nella quale il cristianesimo viene sentito e vissuto".

Ben vengano perciò tutte quelle iniziative destinate, nell'ambito della ricorrenza giubilare, a illuminare le coscienze sul delicato e grave problema delle vocazioni sacerdotali. A questo riguardo mi fa piacere apprendere che è stata organizzata una "Veglia di preghiera" per le vocazioni da parte di tutte le comunità ecclesiali della vostra regione, nella notte dal 3 al 4 dicembre, che coincide con la data anniversaria dell'inaugurazione del seminario. Questa lodevole iniziativa, e le altre che sono state programmate per l'ultimo scorcio di questo anno, come lungo tutto il corso di quello prossimo, sono provvidenziali, e si inseriscono nel piano pastorale delle vostre diocesi, in armonia con le parole che rivolsi ai vescovi dell'Umbria durante la visita "ad limina" del 19 aprile 1986, allorché dicevo "...è necessario intensificare la preghiera, perché le vocazioni sono anzitutto un dono di Dio; sensibilizzare i vari gruppi giovanili; interpellare coloro che presentano germi di vocazione".


4. Per raggiungere questi traguardi occorre soprattutto conseguire, fin dagli anni del seminario, una piena consapevolezza dell'importanza della vita comunitaria, o meglio della vita vissuta in piena comunione di fede e di amore. Essa è richiesta dal Concilio Vaticano II come un periodo di specifica esperienza di Chiesa per essere in grado domani di animare le comunità ecclesiali di ogni ordine. La comunità del seminario ha un suo senso compiuto solo se è idonea a educare ad una più larga comunione ecclesiale. In questo contesto l'ubbidienza ai superiori, i rapporti interpersonali, il senso dell'amicizia e del dialogo non sono soltanto comportamenti lodevoli, ma esigenze reali di una seria preparazione al futuro ministero.

Tale esperienza infatti è tanto più importante in quanto è finalizzata alla realizzazione della comunità sia parrocchiale che diocesana, intorno al proprio vescovo, che è chiamato a fondare e a rappresentare anche visibilmente l'unità (cfr. PO 8). Un altro frutto di questa educazione alla vita comunitaria è anche la comunione che deve esistere fra gli ex alunni stessi, i quali, pur non facendo parte di una medesima diocesi, mantengono tra loro un vivo collegamento, basato sulle esigenze di una medesima vocazione e su un identico impegno di ministero, oltre che su un rapporto spirituale per il vicendevole sostegno.


5. Mentre vi affido alla materna protezione della Vergine Ss.ma in questo Anno mariano, rinnovo l'auspicio - come dicevo nella suddetta visita "ad limina" - che "l'esempio di Benedetto da Norcia, di Francesco d'Assisi, di Scolastica e di Chiara, come pure quello di tanti zelanti sacerdoti, religiosi e religiose, che per secoli hanno illuminato e fecondato spiritualmente la terra umbra, spinga tanti giovani a seguirli, impegnandosi ad essere nel mondo testimoni dell'infinito amore di Dio".

Con questi voti imparto a ciascuno di voi con effusione di cuore la mia benedizione che desidero estendere con pari affetto a tutte le popolazioni dell'Umbria.

1987-11-12 Data estesa: Giovedi 12 Novembre 1987




Agli operatori sanitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Umanizzare la medicina è difendere e promuovere la vita

Testo:

1. Con intima gioia porgo il mio deferente saluto a tutti voi, illustri signori e gentili signore, che prendete parte alla Conferenza Internazionale, promossa dalla Pontificia Commissione per la pastorale degli operatori sanitari sul tema dell'umanizzazione della medicina, tema fondamentale, della cui importanza si va oggi prendendo sempre più viva coscienza.


2. La vita è dono di Dio. L'uomo non ne è il Signore, ma l'amministratore responsabile. "E' il Creatore dell'universo che ha plasmato l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti" (2MC 7,23). L'uomo, perciò, in tutte le espressioni della sua vita appartiene a Dio, al quale deve rispondere (non è forse questa la radice etimologica del termine "responsabile"?) dell'uso da lui fatto del grande dono ricevuto.

Deriva di qui la nobiltà della medicina che, per definizione, è servizio alla vita umana. Come tale, essa comporta un essenziale e irrinunciabile riferimento all'uomo nella sua integrità spirituale e materiale, nella sua dimensione individuale e sociale: la medicina è a servizio dell'uomo, di tutto l'uomo, di ogni uomo. Di questa verità voi siete profondamente convinti sulla scorta di una lunghissima tradizione, che risale alle stesse intuizioni ippocratiche. Ma è precisamente da questa convinzione che scaturiscono le vostre preoccupazioni di studiosi, di scienziati, di ricercatori per le insidie a cui è esposta la medicina odierna. Infatti "le nuove frontiere... aperte dai progressi della scienza e dalle sue possibili applicazioni tecniche e terapeutiche, toccano gli ambiti più delicati della vita nelle sue stesse sorgenti e nel suo più profondo significato" ("Dolentium Hominum", 3).

Mossi anche da queste preoccupazioni voi siete convenuti a questa Conferenza, nel desiderio di offrire il contributo della vostra competenza alla elaborazione delle strategie che possono rivelarsi opportune per una più efficace tutela e una più adeguata promozione del fondamentale dono della vita.

Saggiamente, l'articolazione degli argomenti affrontati nel Simposio, muovendo dal generale al particolare, si sofferma innanzitutto sulla vita e sul diritto alla vita, quindi, sull'uomo e la salute e, infine, sull'uomo e la medicina. Parlare, infatti, dell'uomo e della salute, e dell'uomo e della medicina, presuppone una chiara concezione della vita, del diritto ad essa e alla sua qualità.


3. Non potendo, com'è ovvio, diffondermi sui singoli argomenti del vostro Simposio, voglio esporre alcune considerazioni sul tema centrale intorno a cui ruota ogni altro problema, quello appunto della umanizzazione della medicina. Con tale tema si va al cuore stesso del diritto-dovere di difendere e promuovere la vita e la sua dignità. Non può aversi infatti autentica promozione della vita umana senza una crescente umanizzazione della medicina, che si colloca oltre il semplice apporto scientifico e tecnico. Infatti "la scienza e la tecnica preziose risorse dell'uomo, quando si pongono al suo servizio e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non possono da sole indicare il senso dell'esistenza e del progresso umano. Essendo ordinate all'uomo da cui traggono origine e incremento, attingono dalla persona e dai suoi valori morali l'indicazione della loro finalità e la consapevolezza dei loro limiti" (Congregazione per la dottrina della fede, "Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione", 2).

I vostri lavori prevedono un'organica impostazione dei vari problemi che riguardano la nozione di vita e di diritto ad essa, gli interrogativi posti dal grande sviluppo della farmacologia, le istanze suscitate dall'urgenza di salvaguardare l'ambiente, le tensioni connesse con gli squilibri crescenti tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, le prospettive di una strategia politica per la difesa e la promozione della vita umana sulla terra. E' un ventaglio di questioni vasto e stimolante che vi esorto ad approfondire. Rilevo, tuttavia, che mancherebbe il necessario criterio orientatore, se i diversi argomenti venissero affrontati prescindendo da un'adeguata visione antropologica, capace di guidarne la discussione verso soluzioni di vero progresso. Vi sono infatti forme di avanzamento scientifico, che non coincidono con l'autentico bene dell'uomo: il progresso scientifico si risolve, in tali casi, in un regresso umano che può preludere anche a esiti drammatici. E' proprio in considerazione di ciò che occorre ribadire l'assioma in forza dei quale non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente ed eticamente accettabile.


4. Una prassi veramente umanizzata della medicina non può restare indifferente di fronte a una ricerca scientifica che si ponga come fine a se stessa, ignorando le esigenze di un autentico servizio all'uomo. Anche lo studio della vita deve tradursi in servizio alla vita. Gli interrogativi sollevati dalla sperimentazione, dal rapporto popolazione-risorse, dalla malattia irreversibile, si sono fatti più incalzanti da quando il progresso della tecnica ha facilitato il ricorso a soluzioni e strategie che offendono la dignità della vita e della persona umana.

Per resistere alla suggestione di simili prospettive è indispensabile disporre di riferimenti antropologici adeguati, alla cui elaborazione molto potrà contribuire il dialogo interdisciplinare e, in modo particolare, la riflessione sui dati della rivelazione cristiana.

La storia di questi due millenni dell'èra nuova è li a dimostrare quale aiuto possa dare a una vera umanizzazione della medicina l'ispirazione cristiana: questa infatti, facendo vedere in ogni uomo un fratello, fonda il servizio alla vita sul comandamento universale dell'amore. Lo aveva ben capito il dottor Giuseppe Moscati, che ho avuto la gioia di dichiarare santo il 25 ottobre scorso.

Egli diceva: "Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo...". Professore universitario, primario ospedaliero e ricercatore, il dottor Moscati aveva direttamente sperimentato il primato dell'amore nel servizio alla vita.

Il comandamento dell'amore ha le sue radici nella legge naturale della solidarietà umana e attinge vitalità dall'Amore stesso che è Dio. Non solo, ma nell'impegno di promuovere la vita, l'Amore diventa anche punto di incontro costruttivo con coloro che, per misteriose vicende esistenziali, non hanno accolto o compreso il messaggio di Gesù. Uno sguardo anche superficiale alla storia della medicina consente di rilevare una singolare continuità tra valori umani e cristiani, grazie alla cui interazione s'è venuto formando quel ricco patrimonio di civiltà e di progresso, che costituisce l'orgoglio della vostra categoria.


5. La medicina in quanto avvicina l'uomo nel momento cruciale della sofferenza, quando egli avverte acuto il bisogno di salvaguardare la propria salute, deve fare di colui che l'esercita, a tutti i livelli, un esperto di grande sensibilità umana. Ciò vale ovviamente, nell'ambito del rapporto individuale, ove umanizzazione significa, tra l'altro, apertura a tutto ciò che può predisporre a comprendere l'uomo, la sua interiorità, il suo mondo, la sua psicologia, la sua cultura. Umanizzare questo rapporto comporta insieme un dare e un ricevere, il creare cioè quella comunione che è totale partecipazione. Soltanto così il servizio diventa anche testimonianza, ed essendo servizio alla vita, si trasforma in incentivo ad amarla, a coglierne il più vero e profondo significato in ogni sua manifestazione.

Questo, pero, ha una sua verità anche sul piano sociale: qui l'istanza dell'umanizzazione si traduce nell'impegno diretto di tutti gli operatori sanitari a promuovere, ciascuno nel proprio ambito e secondo la sua competenza, condizioni idonee per la salute, a migliorare strutture inadeguate, a eliminare le cause di tante malattie, a favorire la giusta distribuzione delle risorse sanitarie, a far si che la politica sanitaria nel mondo abbia per fine soltanto il bene della persona umana.


6. L'umanizzazione della medicina risponde a un dovere di giustizia, il cui assolvimento non può mai essere delegato interamente ad altri, richiedendo l'impegno di tutti. Il campo operativo è vastissimo: esso va dall'educazione sanitaria alla promozione di una maggiore sensibilità nei responsabili della cosa pubblica; dall'impegno diretto nel proprio ambiente di lavoro a quelle forme di cooperazione - locale, nazionale e internazionale - che sono rese possibili dall'esistenza di tanti organismi e associazioni aventi tra le loro finalità statutarie il richiamo, diretto o indiretto, alla necessità di rendere sempre più umana la medicina.

La Chiesa, che considera la sollecitudine per chi soffre parte integrante della sua missione ("Dolentium Hominum", 1), e che guarda all'uomo come a "propria via" ("Salvifici Doloris", 3), è vicina come ha giustamente rilevato e ribadito il recente Sinodo ai laici che, personalmente o associativamente, si adoperano per una crescente umanizzazione della medicina. Essa, attraverso individui e istituzioni, è direttamente impegnata nel mondo della sofferenza e della salute, con la collaborazione illuminata e generosa di tutti gli operatori sanitari. Qui emerge infatti una particolare e decisiva sfida del nostro tempo: noi non possiamo assistere inerti al permanere di una situazione in cui intere popolazioni soffrono per mali, che la scienza medica è ormai in grado di affrontare e di sconfiggere.

Umanizzare la medicina è raccogliere questa sfida e adoperarsi generosamente per l'edificazione di un mondo nel quale ad ogni essere umano siano assicurati i mezzi necessari per la piena valorizzazione di quel fondamentale talento della vita, che ha in Dio "amante della vita" (Sg 11,26) la sua origine e il suo ultimo destino.

Nell'esortarvi a fare quanto è in vostro potere per corrispondere a questo nobilissimo compito invoco su di voi e sul vostro lavoro la benedizione illuminante e confortatrice dell'Onnipotente.

1987-11-12 Data estesa: Giovedi 12 Novembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Alla fondazione "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)