GPII 1987 Insegnamenti - Allle Suore della Sacra Famiglia - Città del Vaticano (Roma)

Ai giovani, agli adulti e alle persone anziane, agli ammalati o alle persone sane, ai poveri privi di mezzi materiali per vivere e ai poveri in spirito, possiate portare instancabilmente con la vostra vita religiosa e con le vostre attività apostoliche la condivisione dell'amore che fu vissuto nella famiglia di Nazaret dal Figlio di Dio fatto uomo, dalla sua Madre santissima che meditava in cuor suo l'annuncio di salvezza, da Giuseppe "che era un uomo giusto" e che, accogliendolo tra noi, "lo chiamo col nome di Gesù" (cfr. Mt 2,19 Mt 2,25)! Offrendovi questi voti ferventi, dono a voi e a tutte le vostre sorelle e agli amici del vostro Istituto, la mia benedizione apostolica.

1987-11-20 Data estesa: Venerdi 20 Novembre 1987




Motu Proprio "Quo Civium Iura" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Aggiornati gli organi giudiziari ecclesiastici e civili dello Stato della Città del Vaticano

Testo:

I nostri predecessori, al fine di provvedere alla tutela giudiziaria dei cittadini dello stato della Città del Vaticano, tutela adatta alla natura singolare e al fine di questo territorio, costituirono uno speciale ordinamento dei tribunali già dal 7 giugno 1929, che in seguito sotto la spinta dell'esperienza mutarono più volte e che ultimamente fu promulgato da Pio XII il 1 maggio 1946 col motuproprio "Con la legge".

Ora pero, volendo che questo ordinamento corrisponda il più possibile al recente Codice di diritto canonico, ci è parso bene emendarlo ancora una volta, soprattutto affidando a un tribunale misto, composto da un prelato come presidente e da due giudici laici, la cognizione di quelle cause ecclesiastiche che hanno carattere patrimoniale o economico.

Poiché infatti, dopo la costituzione della sezione seconda del supremo tribunale della Segnatura apostolica e l'abolizione del "privilegium fori", il numero di quelle cause da risolvere nello stato della Città del Vaticano è notevolmente diminuito, non c'è ormai alcun motivo per derogare alla legge generale sulla competenza della chiesa. perciò ci è sembrato opportuno stabilire che anche nello stato della Città del Vaticano, su tutte le materie di cui al CIC 1401, giudichi solamente il tribunale ecclesiastico, il cui ordinamento si avvicini il più possibile alle norme generali sui tribunali diocesani, stabilite nei CIC 1421-1426.

Con questo motu proprio non intendiamo tuttavia derogare alle prescrizioni dei CIC 1404-1406 CIC 1417 del Codice di diritto canonico, nè alle norme del diritto canonico generale sulle controversie che sorgono su atti di potestà amministrativa. perciò, dopo aver ascoltato la commissione da noi istituita, rimessi alle leggi dello stato della Città del Vaticano quei cambiamenti che perciò sembreranno necessari sull'ordinamento dei tribunali dello stato e su altre materie civili, al fine di meglio armonizzare la legislazione dello stato con lo spirito e le prescrizioni del nuovo diritto canonico, debitamente informati e con la nostra suprema e apostolica autorità, stabiliamo quanto segue:

Art. 1. - In quella parte della diocesi di Roma, che è situata nel territorio dello stato della Città del Vaticano, il tribunale ecclesiastico di prima istanza è composto da un vicario giudiziale e da giudici, dal promotore di giustizia, dal difensore del vincolo e dal notaio, tutti nominati dal sommo pontefice per cinque anni.

Art. 2. - Sulla ricusazione del vicario giudiziale decide il decano della Rota romana.

Il vicario giudiziale impedito è sostituito interinalmente dal giudice più anziano. Quando è impedito un altro giudice o una persona tra quelle nominate nell'art. 1, la sostituzione sarà fatta dal vicario giudiziale.

Art. 3. - Non devono emettere giuramento, ai sensi del CIC 1454, coloro che hanno già nella chiesa un ufficio giudiziario al quale siano vincolati con lo stesso giuramento.

Art. 4. - La sede del tribunale ecclesiastico è nello stesso edificio in cui risiede il tribunale dello stato della Città del Vaticano; là si stabilirà pure l'archivio del tribunale ecclesiastico.

Art. 5. - Per le notificazioni e le esecuzioni potranno essere usati liberamente i cursori dello stato della Città del Vaticano.

Art. 6. - Al vicario giudiziale, ai giudici e a tutti coloro che vi sono incaricati a norma degli artt. 1 e 2, verrà corrisposto uno stipendio, a meno che non siano giudici del tribunale dello stato della Città del Vaticano, stipendio che verrà determinato alla fine di ogni anno giudiziario dal decano della Rota romana.

Art. 7. - L'appello dal tribunale ecclesiastico si fa solamente al tribunale della Rota romana.

Art. 8. - Le cause appartenenti al foro ecclesiastico a norma del CIC 1401, che ora sono pendenti nello stato della Città del Vaticano, saranno giudicate perciò dal tribunale ecclesiastico costituito col presente motuproprio.

Le norme sopra indicate entreranno in vigore dal 1 gennaio 1988.

Vogliamo che le decisioni stabilite con questa lettera apostolica scritta "motu proprio", tutte e singole siano definitive ed efficaci, nonostante qualsiasi cosa in contrario.

Roma, presso San Pietro, 21 novembre 1987, anno decimo del nostro pontificato.

1987-11-21 Data estesa: Sabato 21 Novembre 1987




Omelia alla liturgia in rito armeno - Santa Maria in Trastevere (Roma)

Titolo: Preziosa per la Chiesa la vostra sofferenza e martirio

1. "Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te" (Za 2,14). Con queste parole Dio si rivolgeva al popolo di Israele per bocca del profeta Zaccaria. Noi sappiamo come egli ha attuato questa sua promessa: Maria, l'arca dell'alleanza, fu davvero la dimora di Dio in mezzo al suo popolo.

Il suo corpo di giovane sposa divenne più vasto dei cieli: questi infatti non possono contenere la gloria dell'Illimitato; il suo grembo invece racchiuse nel calore dell'affetto di una madre colui che non si può circoscrivere.

Quante volte la vostra Liturgia, carissimi fratelli e sorelle della Chiesa armena, canta, con accenti commossi, questo stupendo mistero! E quanti, tra i vostri santi poeti, seppero raggiungere vertici di spirituale contemplazione, tentando, sia pure nell'inadeguatezza del linguaggio umano, di far vibrare un raggio dell'infinita Sapienza divina, fattasi carne per quella che voi amate chiamare la "divina filantropia", lo sviscerato amore di Dio per gli uomini. Ma una gemma in particolare, in questa corona di santi cantori di Dio, vorrei ascoltare insieme con voi questa sera, colui che ho voluto ricordare nella mia lettera enciclica sulla Madre del Redentore: Gregorio di Narek (RMA 31).

Egli comprese bene quanto misterioso fosse quello scambio fra cielo e terra, che fece di Maria l'abitacolo dell'Altissimo, di fronte al quale non resta che lo stupore gioioso della lode: "Tu sii lodata, puro splendore - egli scrive - ...poiché il fanciullo che non ebbe padre, tu, Madre, l'accarezzasti come tuo figlio, e prendendo e sollevando tra le braccia e nelle tue mani l'Essenza incircoscritta, divenuta uomo, l'accostasti amorevolmente ai baci della tua bocca.

A questa grazia, per mezzo tuo, anche noi fummo associati, Madre di Dio, chiamando "padre" il nostro Dio". Il santo monaco Gregorio è il poeta della povertà umana, che aveva voluto rivestirsi a somiglianza del suo Signore. Eppure, con non minor vigore, nel mistero della Vergine santa, quella stessa natura di peccato si riveste ai suoi occhi di una stupenda dignità: "perché quest'umile terra - dice -, portando il Signore, si trovo simile al cielo che porta Dio" ("Panegirico alla Vergine", 7.3).

E' qui la radice di quel profondo amore per l'uomo, per tutto quanto è umano, che il cristiano reca nel cuore come un tesoro prezioso; esso incoraggia i suoi sforzi per un mondo più buono e più giusto, e gli dona una speranza capace di affrontare ogni sofferenza. Perché nulla può resistere alla forza di chi crede a un Dio che, assumendo la nostra umanità, l'ha trasfigurata, facendola capace di sé; egli che, come canta questa Liturgia che stiamo celebrando, "quale divino architetto, avendo edificato un'opera nuova, fece di questa terra un cielo".


2. Maria è, al pari della Gerusalemme del profeta Zaccaria, la "prescelta" di Dio; è il tabernacolo, il talamo nuziale in cui si compie questo straordinario mistero della divina economia. Il mistico contempla la bellezza sublime di Maria, che è "angelo uscito dagli uomini, cherubino rivestito di un corpo visibile, regina del cielo, limpida come l'aria, pura come la luce, immacolata immagine fedele della stella del mattino, nel punto più alto del suo corso" ("Preghiera", LXXX, I).

Prima ancora che dei lineamenti purissimi della Vergine d'Israele, si tratta qui della bellezza dell'essere umano, dell'essere compiuto, perfetto, reintegrato nella sua dignità totale, quale nasce dall'immagine e somiglianza di colui che è somma bellezza.

Con questi accenti così elevati, in cui la teologia sa farsi poesia e parlare al cuore, il vostro Gregorio di Narek leva alla Vergine un canto imperituro, patrimonio di fede e di arte che è ricchezza comune a tutti i popoli.


3. "Vergine Maria, incorrotta, la santa Chiesa ti proclama Madre di Dio; da te ci sono dati il pane immortale e il calice della gioia". Questa antifona liturgica ci fa comprendere come la Madre di Dio sia intimamente unita al mistero eucaristico che stiamo celebrando: è lei che ci dona colui che qui si offre come pane di vita.

L'odierna celebrazione dell'Eucaristia ha un significato particolare, dal momento che, per la prima volta, viene usato il testo riportato alla tradizione comune a tutti gli Armeni, cattolici e ortodossi. E' un segno che manifesta condivisione profonda, non solo nell'unica fede, ma anche nel modo di esprimerla. Vorrei che fosse il simbolo di quell'atteggiamento fermo della Sede apostolica, che il Concilio ha così efficacemente ribadito, nel chiedere alle Chiese orientali in piena comunione con essa il coraggio di riscoprire le autentiche tradizioni della propria identità, ripristinando, ove necessario, la purezza originaria, se alterazioni estrinseche, intervenute nei secoli, l'avessero alterata (cfr. OE 6).

E questo vale in modo tutto particolare per voi, dilettissimi figli dell'Armenia, ai quali mi è caro dare il benvenuto in questo tempio illustre, dedicato alla santa Vergine. Siate i benvenuti, durante questo anno che ho voluto consacrare alla Madre di Dio, l'umile fanciulla di Galilea, che oggi nel Vangelo ci appare pellegrina di carità presso la cugina Elisabetta. Alcuni tra voi non hanno esitato ad affrontare, come lei, un lungo viaggio, dalla Francia e persino dal tanto travagliato Libano, per essere qui, oggi, a pregare in questa assemblea il Dio della vita, per intercessione di Maria, regina della pace. Vi ringrazio di cuore per questo gesto di comunione e di fede. La vostra storia di sofferenza e di martirio è una perla preziosa di cui va fiera la Chiesa universale. La fede in Cristo, redentore dell'uomo, vi ha infuso un coraggio ammirevole nel cammino, spesso tanto simile a quello della croce, sul quale avete avanzato con determinazione, nel proposito di conservare la vostra identità di popolo e di credenti. La Comunità cristiana non può rinunciare all'apporto ricchissimo del vostro patrimonio di fede. Sappiatevi perciò sempre compresi e sostenuti dalla Chiesa, madre fedele e affettuosa, la quale desidera che la vostra voce continui e risuonare, pur nella diaspora, con immutato vigore.

La vostra storia è tutta intessuta di fede: senza la presenza di Cristo Signore, quale riferimento e sostegno, difficilmente si comprendono la vostra letteratura e la vostra arte, persino le vostre tradizioni popolari e lo stesso alfabeto, che si ama ritenere ispirato dall'alto al vostro santo dottore san Mesrob.

La liturgia è il luogo in cui questa fede si fa proclamazione e adorazione. Ecco perché riveste un'importanza tutta particolare, quale vincolo di comunione e di fraternità: in essa è l'anima armena che canta a Dio la sua speranza e le sue pene, ma soprattutto l'incrollabile fiducia che la vita ha vinto la morte per sempre. E' la liturgia secondo la quale hanno pregato i vostri padri e i vostri martiri; la fonte che ha infuso loro il coraggio della fedeltà.

La Chiesa desidera che la comunità armena cattolica, e tutte le comunità orientali in piena comunione con questa Sede di Pietro, si sforzino di divenire sempre più modelli di autenticità, nel rispetto e nella piena valorizzazione della propria identità, riscoprendola, come impegno assolutamente primario, là dove si fosse col tempo indebolita o offuscata. Sarà questo un modo efficacissimo di preparare la strada che conduce all'unione di tutti i cristiani in un'unica professione di fede e nella comunione al medesimo calice. La vostra apertura alla comunione cattolica non limita, ma corrobora la vostra identità di armeni e vi chiede di esprimerla in tutte la sue articolate ricchezze, a vantaggio di tutti.

Il mio pensiero riverente e affettuoso va anche ai fratelli della Chiesa armena apostolica. Auspico di vero cuore che il cammino già iniziato possa proseguire con rinnovato slancio, creando sempre nuove occasioni di contatto e di scambio cordiale, nella crescente consapevolezza di ciò che ci unisce, nella comune testimonianza di carità e di servizio ai fratelli. Mi è particolarmente caro auspicare che lo studio comune della liturgia e dei suoi necessari adattamenti possa essere un campo privilegiato di collaborazione fra Armeni cattolici e ortodossi.


4. Amati fratelli e sorelle del popolo armeno, la via della Chiesa è la via dell'unità; senza la passione per l'unità noi tradiremmo il mandato di Cristo, che ha chiesto ai suoi discepoli di essere una sola cosa, sul modello della Trinità santissima. Domandiamoci reciprocamente perdono per le mancanze di carità che nel passato, e talora forse ancora oggi, ci dividono e continuano a tracciare la tunica inconsutile di Cristo.

Ascoltiamo con cuore contrito le parole del vostro e nostro santo vescovo Nerses di Lambron, che ancora nel XII secolo si esprimeva in termini così attuali: "Abbiamo abbandonato la carità, che è il primo dei comandamenti e la fonte del bene, e ci siamo attaccati all'inimicizia che è la fonte di tutti i mali".

E' qui, nell'Eucaristia, che il nostro peccato diviene manifesto: il pane della comunione si fa segno della divisione: "Abbiamo l'abitudine - continua Nerses - di benedire sempre questo pane per la gloria e in memoria di Cristo: unica è la benedizione, unico il nome di Cristo che noi, le nazioni, vi pronunciamo, ciascuno in lingua diversa... Il pane che, grazie a una stessa preghiera, a una stessa benedizione, noi chiamiamo Cristo, che ciascuno di noi ha consacrato con la grazia di uno stesso Spirito, questo pane, degli uni e degli altri, noi ora lo disprezziamo" (dal "Discorso sinodale", passim) Dal significato dell'Eucaristia scaturisce l'impegno del nostro cammino verso la piena unità, e qui, nell'Eucaristia, siamo certi che essa si compirà nella pienezza della comunione di fede ritrovata.


5. Santa Madre di Dio, che nel cenacolo di Pentecoste ricevesti l'effusione dello Spirito, unico nella diversità delle sue fiamme, tu che ami i piccoli, perché Dio ha guardato alla tua umiltà e ti ha fatto grande per grazia, benedici il popolo armeno: Gregorio di Narek ti canta come colei "che non si immolo per opera di coltello, ma bruciando in olocausto una vita di austero travaglio" ("Panegirico alla Vergine", 9): volgi il tuo sguardo sulla terra d'Armenia, sulle sue montagne, ove vissero schiere immense di monaci santi e sapienti, sulle sue chiese, rocce che sorgono dalla roccia, penetrate dal raggio della Trinità; sulle sue croci di pietra, ricordo del tuo Figlio, la cui passione continua in quella dei martiri; sopra i suoi figli e le sue figlie, che sempre portano nel cuore il canto del trisagio e le lodi di te, che sei per loro Madre di tenerezza. Proteggili per le strade del mondo; sostieni il ricordo, tante volte dolente, degli anziani, l'impegno di uomini e donne, spesso ormai cittadini del mondo; ispira i desideri e le speranze dei giovani, perché restino fieri della loro origine. Fa' che, dovunque vadano, ascoltino il loro cuore armeno, perché in fondo ad esso ci sarà sempre una preghiera rivolta al loro Signore e un palpito di abbandono a te, che li copri col tuo manto di protezione.

O Vergine dolcissima, o Madre di Cristo e Madre nostra, Maria!

1987-11-21 Data estesa: Sabato 21 Novembre 1987




All'Assemblea di "Co Unum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'amore per i rifugiati reso concreto dalla "diaconia della carità"

Testo:

Signor cardinale, cari fratelli nell'episcopato, cari amici di "Co Unum".


1. E' una grande gioia per me ricevervi in occasione della vostra sedicesima Assemblea plenaria e di ritrovarvi, ancora quest'anno, fedeli alla missione che il Papa vi affida. Questa fedeltà non è né statica né fossilizzata; è movimento, progresso e sviluppo del compito che è stato assegnato al Pontificio Consiglio alla sua fondazione. Per molti anni, ho seguito con un'attenzione particolare gli studi e le attività che avete intrapreso per "salvare" e "riabilitare la carità evangelica", come vi ho esortati. E' chiaro che, per voi, e ve ne sono grato, l'azione si nutre di un approfondimento teologico; ve lo dicevo sei anni fa: "Sforzatevi di promuovere sempre di più la vera concezione della Chiesa come Cristo l'ha voluta e la vuole... cioè una Chiesa che sia una comunità di carità completa, disinteressata, mirante allo sviluppo umano e spirituale di tutti".


2. La vostra riflessione vi ha condotti, negli anni passati, a meditare sul "povero" e "sull'amore preferenziale per i poveri". In vista della vostra attuale assemblea, avete scelto come tema: "I profughi", tutti coloro che possono essere considerati, molto spesso, come poveri tra i poveri. Sapete quanto mi stiano a cuore questi fratelli e sorelle così provati, dei quali la nostra epoca vede crescere il numero in proporzioni inquietanti. Lo dicevo ai profughi che ho visitato con emozione l'11 maggio 1984 (n. 2), nel campo di Phanat Nikhom in Thainlandia: "Voglio che sappiate che vi amo. Noi siamo veramente fratelli e sorelle, membri della stessa famiglia umana, figli e figlie dello stesso Padre che ci ama. Voglio condividere le vostre sofferenze, le vostre difficoltà, la vostra pena, perché sappiate che qualcuno vi ama, ha pietà della vostra sorte e cerca di aiutarvi a trovare un sollievo, un conforto e un motivo di speranza". Si, non cesso di perorare la causa dei profughi, di lavorare in loro difesa; così conoscero le vostre riflessioni e le vostre conclusioni con un grande interesse quando il vostro presidente, il card. Roger Etchegaray, potrà comunicarmele. Il gruppo di lavoro che avete unito lo scorso anno su "i campi dei profughi nei pressi delle frontiere", testimonia chiaramente la vostra competenza e il servizio che offrite alla Chiesa e al mondo.


3. I profughi come tutti coloro che soffrono di altre forme di povertà o d'ingiustizia, hanno dei diritti su di noi; e il primo di questi diritti è che noi annunciamo e proviamo loro che Dio li ama con un amore preferenziale. Tutti i servizi che possiamo rendere loro, tutta la nostra devozione per accompagnarli, che sono, se noi non abbiamo la carità? Non dimentichiamo mai ciò che dice san Paolo: "Se non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova" (1Co 13,2-3). Se non riceviamo oggi questa chiamata, come potremo proclamare, in modo credibile, le Beatitudini? L'amore è l'anima di ogni pastorale sociale e caritativa, della "diaconia di carità" che voi avete per missione d'incoraggiare e di armonizzare, di coordinare se necessario, mettendovi al servizio delle Chiese locali perché si costruisca una "civiltà dell'amore".


4. So che avete partecipato a un incontro importante tra la Chiesa in Haiti e altre Chiese locali e loro Organizzazioni d'aiuto allo sviluppo al fine di permettere una migliore conoscenza reciproca, la comprensione delle iniziative, la comunione nella carità. E offrite all'insieme delle Chiese locali dell'America latina il vostro servizio di riflessione, per aiutare a rinnovare, in questo continente, la catechesi della carità. In accordo con il Celam che ha programmato nove anni per la celebrazione dell'anniversario del quinto centenario dell'evangelizzazione, vi proponete di associarvi, in qualche modo, al cammino degli ultimi tre anni, che sono consacrati alla virtù della carità; auguro con tutti i responsabili che siano l'occasione di un approfondimento, di una meditazione, di riunioni su questo tema, affinché la diaconia della carità in America Latina trovi la sua ispirazione e la seconda evangelizzazione la sua anima.


5. Si, cari amici, la nostra umanità si sente disorientata alle prese con tanti conflitti e ingiustizie. La vostra relazione annuale accenna a queste numerose sfide che la disorientano. Cerca, spesso inconsciamente, una luce, un polo verso il quale dirigere il proprio cammino.

Discepoli di Cristo, ci è dato per grazia di sapere verso chi dirigere i nostri passi: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68-69). Incoraggiati dalla Beatitudine, prendiamo la strada che porta a Dio Amore: è indicata da tutte le virtù alle quali la carità dà senso e vita: la giustizia, condizione della pace, la forza per vincere i nostri egoismi accaparratori e dominatori. Tutte le energie concordano allora nell'unità e nella solidarietà perché, fedele al suo Cristo, la Chiesa è comunione. Che il Signore vi permetta di compiere con gioia il servizio che vi è chiesto! Vi colmi con le sue benedizioni!

1987-11-21 Data estesa: Sabato 21 Novembre 1987




Omelia per le beatificazioni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoni della verità e della vita

Testo:

1. ""Tu sei il re?". "Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità"" (Jn 18,33 Jn 18,37).

Nell'ultima domenica dell'anno liturgico leggiamo questo dialogo di Cristo con Pilato. Infatti celebriamo oggi la solennità di Cristo Re. In questo giorno ci è dato pure di compiere il rito della beatificazione di George Haydock e di 84 martiri inglesi.

Martire è colui che, a somiglianza di Cristo, rende testimonianza alla verità. Più ancora: rende testimonianza alla stessa Verità che è Cristo. Davanti a Pilato Cristo disse: "Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Jn 18,37).

Ecco stanno davanti a noi degli uomini, dei quali si può dire veramente che sono stati "dalla verità". Uomini che "hanno ascoltato la voce" di Cristo: primo ed eterno testimone della Verità.


2. I martiri inglesi, che stanno oggi al cospetto della Chiesa, hanno confermato la loro testimonianza alla Verità col sacrificio, della vita. Hanno creduto sino alla fine nella croce di Cristo. Hanno creduto contemporaneamente nella potenza della sua risurrezione.

"Tutti riceveranno la vita in Cristo"... dal quale "verrà... la risurrezione dei morti" (1Co 15,22 1Co 15,21).

I martiri, la cui gloria oggi proclama la Chiesa, hanno dato la loro vita per rendere testimonianza alla Verità. Hanno subito la morte. Subendo la morte, hanno professato la fede nella Vita. In quella Vita, che è stata rivelata al mondo nella risurrezione di Cristo. In tal modo hanno reso testimonianza anche alla Vita, che per opera di Gesù Cristo è più potente della morte.

La testimonianza alla Verità e la testimonianza alla Vita: ecco questo è il pieno significato del martirio a somiglianza di Cristo crocifisso e risorto. Il suo mistero pasquale rivela il proprio volto redentore nella morte dei martiri, subita per rendere testimonianza alla Verità.


3. Questa festa di Cristo Re proclama che ogni potere terreno viene fondamentalmente da Dio che il suo regno è il nostro primo e durevole interesse e che l'obbedienza alle sue leggi è più importante di ogni altra obbligazione o fedeltà. Tommaso Moro, che è il più inglese dei santi, dichiaro sul patibolo: "Muoio da buon servitore del re, ma prima di tutto come servitore di Dio". In questo modo egli testimonio il primato del regno.

Oggi abbiamo proclamato beati altri ottantacinque martiri: dell'Inghilterra, Scozia e Galles e uno dell'Irlanda. Ognuno di loro scelse di essere "servitore di Dio, innanzitutto. Essi abbracciano coscientemente e volentieri la morte per amore di Cristo e della Chiesa. Anch'essi scelsero il regno sopra ogni altra cosa. Se il prezzo doveva essere la morte essi lo pagarono con coraggio e con gioia.

Il beato Nicholas Postgate accolse la sua esecuzione "come una scorciatoia per il paradiso". Il beato Joseph Lambton incoraggio tutti coloro che stavano morendo con lui con le parole: "Siamo felici, per domani spero che avremo una colazione paradisiaca". Il beato Hug Taylor, non conoscendo il giorno della sua morte, disse: "Come sarei felice se questo venerdi, nel quale Cristo è morto per me, potessi incontrare la morte per lui". Ricevette l'esecuzione proprio in quel giorno venerdi 6 novembre 1585. Il beato Henry-Heath, che mori nel 1643, ringrazio la corte per averlo condannato dandogli "l'onore particolare di morire con Cristo".


4. Tra questi ottantacinque martiri troviamo sacerdoti e laici, studiosi e operai.

Il più anziano aveva ottant'anni e il più giovane non più di ventiquattro. C'erano tra di loro uno stampatore, un mediatore, un operaio di scuderia e un sarto. Ciò che unisce tutti loro è il sacrificio delle loro vite a servizio di Cristo loro Signore.

I sacerdoti tra loro desideravano solo nutrire il loro popolo con il Pane di vita e con la Parola del Vangelo. Fare ciò significava rischiare la propria vita. Ma per loro il prezzo era non caro se paragonato alle ricchezze che essi potevano portare alla loro gente nel santo sacrificio della Messa.

Ventidue laici in questo gruppo di martiri condivisero totalmente lo stesso amore per l'Eucaristia. Anch'essi rischiarono ripetutamente le loro vite, lavorando insieme ai loro sacerdoti, e proteggendoli. Laici e sacerdoti lavorarono insieme; insieme salirono al patibolo, insieme accolsero la morte. Molte donne che non sono incluse oggi in questo gruppo di martiri, soffrirono anch'esse per la loro fede e morirono in prigione. Esse hanno guadagnato la nostra ammirazione e il nostro ricordo.


5. Questi martiri hanno dato la propria vita per la loro fedeltà al successore di Pietro, egli solo è il pastore dell'intero gregge. Essi hanno dato la propria vita anche per l'unità della Chiesa, dal momento in cui essi hanno condiviso la fede della Chiesa, inalterata negli anni, che al successore di Pietro è stato dato il compito di servire e assicurare "l'unità del gregge di Cristo" (LG 22). Cristo gli ha assegnato il ruolo particolare di confermare la fede ai suoi fratelli. I martiri hanno colto l'importanza del ministero petrino.

Hanno dato le loro vite piuttosto che negare questa verità della loro fede. Nel corso dei secoli la Chiesa in Inghilterra, Galles e Scozia ha tratto ispirazione da questi martiri e continua nell'amore alla Messa e nella fedele adesione al vescovo di Roma. La stessa fedeltà e testimonianza al Papa è dimostrata oggi ogni volta che il lavoro di rinnovamento della Chiesa è portato avanti in accordo con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e in comunione con la Chiesa universale.


6. Il culmine di questo rinnovamento, al quale lo Spirito Santo chiama la Chiesa, è il lavoro per quell'unità tra i cristiani per la quale Cristo stesso ha pregato.

Dobbiamo gioire che le ostilità tra i cristiani, che colpirono l'epoca di questi martiri sono finite, sostituite dall'amore fraterno e dalla stima reciproca.

Diciassette anni fa furono canonizzati quaranta della gloriosa compagnia dei martiri. La preghiera della Chiesa di quel giorno era che il sangue di quei martiri fosse sorgente di soluzione per la divisione tra i cristiani. Oggi possiamo ringraziare convenientemente per il progresso fatto nel frattempo verso la più piena comunione tra anglicani e cattolici. Rallegriamoci della più profonda comprensione, della più ampia collaborazione e della comune testimonianza che ha avuto luogo attraverso il potere di Dio.

Nei giorni dei martiri che onoriamo oggi, c'erano altri cristiani che morirono per il loro credo. Possiamo ora apprezzare e rispettare il loro sacrificio. Rispondiamo insieme alla grande sfida che confronta quelli che predicano il Vangelo nella nostra epoca. Siamo coraggiosi e uniti nella professione del nostro comune Signore e Maestro, Gesù Cristo.


7. Nella liturgia odierna domina la persona del pastore: "Il Signore è il mio pastore" (Ps 22,1). I pensieri del salmista e del profeta Ezechiele seguono le stesse orme. Attraverso la persona del pastore - del buon pastore - possiamo penetrare, in modo più semplice, la realtà del regnare di Cristo. In lui tutto è regnare, tutto è regno, la sua venuta, la nascita dalla Vergine per opera dello Spirito Santo, il suo Vangelo, la sua croce e la sua risurrezione. In tutto ciò si rivela Cristo Re come compimento dell'immagine del pastore, di cui l'Antico e il Nuovo Testamento sono profondamente penetrati.

San Paolo ci introduce nella prospettiva definitiva di questo regnare di Cristo, che riempie la storia dell'umanità. L'Apostolo scrive: "Bisogna... che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte... E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,25 1Co 15,26 1Co 15,28).


8. Beati voi, martiri! Voi che avete scelto la morte, per rendere testimonianza alla Verità! Rallegratevi! Ecco la morte sarà annientata da Cristo come "l'ultimo nemico". Il regno di Dio è regno di Verità e di Vita. Rallegratevi! La vostra testimonianza ha lasciato orme profonde su cui cammina la Chiesa nella vostra patria, e contemporaneamente in tutto il mondo.

Queste orme conducono verso il regno, che non tramonta. Rallegratevi! Attraverso la vostra testimonianza si sta preparando il compimento definitivo del mondo in Cristo, quando "Dio sia tutto in tutti". Rallegratevi!

1987-11-22 Data estesa: Domenica 22 Novembre 1987




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La "Madonna orante" di Kiev per i cristiani ucraini

Testo:

1. Oggi i nostri occhi e il nostro cuore sono rivolti a quella città della santissima Vergine Maria, che porta il nome di Kiev, sulle rive del fiume Dniepr, tra le vaste steppe dell'Ucraina.

La Rus' di Kiev con la sua conversione al cristianesimo, mille anni fa, ricevette la fede cristiana dalla Chiesa bizantina, in un'epoca nella quale il successivo estraneamento con la Chiesa latina non si era ancora consumato; ricevette quindi la fede nella forma bizantina insieme con la sacra Scrittura, le opere dei santi padri e i libri liturgici, tradotti ormai in lingua slava antica dai fratelli Cirillo e Metodio, venuti da Tessalonica e chiamati apostoli degli Slavi. Dietro i missionari vennero numerosi monaci artisti, che riempirono le chiese di mosaici, di affreschi, di icone.

La Chiesa dell'antica Rus' di Kiev eredito da quella bizantina una grande venerazione per la Madre di Dio. Innumerevoli sono i templi dedicati alla Madonna. La prima cattedrale di Kiev, la città madre, fu consacrata a Maria assunta in cielo. Essa superava per bellezza tutte le chiese della Rus' di Kiev, come scrive il cronista del tempo: "Il principe la orno d'oro e d'argento, di pietre preziose e di ricche suppellettili, cosicché non ne esisteva una simile in tutti i paesi circostanti".


2. Nel grandioso mosaico dell'abside, sullo sfondo splendente d'oro, si staglia la maestosa figura della Madonna orante, simbolo o meglio icona della Chiesa in preghiera che intercede perennemente per la salvezza di tutti gli uomini. Essa porta il nome di "Parete indistruttibile". L'autore di questo mosaico calcolo con molta precisione la forza e l'angolazione dei raggi del sole a mezzogiorno, nel momento della preghiera dell'Angelus Domini. Illuminato, dalla luce solare, l'abito azzurro e violetto della Madonna, trapunto d'oro, emette uno splendore vivissimo. La composizione dell'abito e il suo ornamento fanno apparire l'icona ancora più monumentale, soffusa di misticismo, di maestà, di santità. Nell'arcata dell'abside si legge la scritta in greco del Salmo 46: "Dio sta in essa: non potrà vacillare; la soccorrerà Dio, prima del mattino" (Ps 45,6).


3. Kiev è città santa, perché città mariana per eccellenza. In essa la Madonna orante è invocata come protettrice della città e come Madre delle altre città della Rus'. Qui essa da mille anni assiste i suoi fedeli e intercede per essi presso il Figlio suo Gesù. Già 950 anni fa il principe di Kiev, Jaroslav il Saggio, consacro a lei tutto il suo popolo. Ora nel millesimo anniversario del Battesimo della Rus' di Kiev, il popolo cristiano di Kiev e dell'Ucraina rinnova davanti a lei le promesse fatte a Dio al momento del Battesimo, perché voglia proteggerlo nel nuovo millennio della sua storia cristiana.

Con tutti i fedeli di quella amata terra eleviamo anche noi la nostra preghiera alla Vergine Santa.

[Dopo la preghiera:] Il mio saluto particolare va ai pellegrini di lingua inglese, specialmente a quanti vengono dall'Inghilterra, Scozia e Galles che sono qui a Roma per la beatificazione dei martiri inglesi. La valorosa testimonianza di questi uomini di fede è un segno potente per tutti coloro che professano il loro credo in Gesù Cristo Signore e Re. Essi confermarono la loro testimonianza alla verità per mezzo del sacrificio della propria vita, patendo la morte essi professarono la loro fede nella vita. Prego perché il vostro pellegrinaggio a Roma per questa solenne cerimonia rinnovi la vostra fede e amore a Cristo che è Via, Verità e Vita. Dio vi benedica.

1987-11-22 Data estesa: Domenica 22 Novembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Allle Suore della Sacra Famiglia - Città del Vaticano (Roma)