GPII 1987 Insegnamenti - Ai vescovi britannici in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai vescovi britannici in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Secolarismo ateo e umanesimo svilito minacce per i credenti

Testo:

Cari fratelli.


1. Vi saluto oggi con affetto in nostro Signore Gesù Cristo. Attraverso voi desidero pure salutare il clero, i religiosi, e i laici delle Chiese locali che costituiscono la Provincia di Birmingham in Inghilterra e la Provincia di Cardiff nel Principato del Galles. Vi accolgo con una gioia speciale in occasione della beatificazione di ottantacinque martiri dell'Inghilterra, del Galles e della Scozia. La loro testimonianza alla fede cattolica è parte di una lunga storia di fedeltà alla sede di Pietro, che è confermata dalla vostra visita "ad limina apostolorum".

Questi martiri hanno testimoniato il profondo mistero di comunione ecclesiale che ci unisce. Onorandoli, noi riaffermiamo e celebriamo quella comunione di vita, carità e verità istituite da Cristo stesso e usate da lui come strumenti di redenzione per tutti (cfr. LG 9).

La maggior parte di essi furono sacerdoti e i loro collaboratori laici.

Furono martirizzati per aver cercato di portare la parola di Dio e i sacramenti ai loro concittadini cattolici, i quali condividevano la loro convinzione, che i legami di piena comunione ecclesiale erano abbastanza importanti da rischiare la punizione e persino la morte in quell'epoca travagliata. Rallegriamoci oggi con gli altri fratelli o sorelle cristiani della vostra terra che dopo così tanti secoli possiamo cercare la piena comunione con il rispetto e la stima reciproca.

Nella morte questi martiri diedero eroica testimonianza a quell'amore che tutto strugge e che ha le sue origini in Cristo e che opera sempre nel suo corpo per la salvezza del mondo. Come san Paolo insegna, "caritas Christi urget nos" (2Co 5,14), l'amore di Cristo ci stimola. I credenti devono essere solleciti, non solo per la loro salvezza, ma per la salvezza di tutti i loro fratelli e sorelle e di tutta l'umanità. Questo amore che sorpassa, è ordinato alla comunione di cui ho parlato: comunione con Dio e comunione degli uni con gli altri, una "unità di Spirito nel legame di pace" (Ep 4,3).


2. Oggi in particolare questo amore ci spinge ad avere uno speciale interesse per tutti quei cattolici che hanno cessato la pratica di fede, per la quale i martiri hanno dato la loro vita! Nel mondo troviamo gente che non ha una parte attiva nella comunione ecclesiale, alla quale sono stati chiamati tramite il loro Battesimo, o che non vivono più secondo gli insegnamenti della Chiesa.

In paesi come i vostri, il praticare la fede non comporta più il rischio della vita. Piuttosto si tratta di perseverare nella fede in mezzo a tutte le pressioni della vita moderna, che tenta la gente ad abbandonare la propria fede.

Alcuni cercano di giustificarsi dicendo di poter essere un buon cristiano indipendentemente dalla Chiesa. Con le Scritture e la tradizione, tuttavia, noi dobbiamo insistere sul legame indistruttibile che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, tra lo sposo e la sua sposa, tra il capo e le membra, tra la madre e i suoi figli spirituali. Per comprendere la situazione di alcuni dei nostri fratelli e sorelle dobbiamo guardare alla parabola del seminatore nel Vangelo, come è spiegata ai discepoli da nostro Signore, quando essi gli chiedono il significato del seme caduto sul sentiero, sul terreno roccioso, tra le spine e sul terreno buono (cfr. Mt 13). Cristo dice loro che il seme è la parola di Dio che, per volere di comprensione, può essere rapita dal diavolo; o può cadere quando la tribolazione o la persecuzione nasce a causa di quella parola; o ancora gli interessi del mondo e la delizia delle ricchezze possono soffocare la parola e non farla fruttificare (Mt 13,18-23). Questo insegnamento offre un'indicazione nella nostra condizione fragile e significativa, e dovrebbe servire per ricordare il bisogno di vigilanza, perseveranza, e una costante conversione del cuore da parte di tutti noi.


3. Nei nostri giorni dobbiamo "leggere" la società di cui facciamo parte alla luce di questa parabola. E' per molti aspetti una società decristianizzata che non può mai sperare di resistere in quella strada veramente fruttuosa o morale dalla fondazione biblica sulla quale fu costruita. Un secolarismo ateistico e agnostico e un umanesimo impoverito circondano credenti e non credenti. Le verità salvifiche della rivelazione, incorporate nella dottrina e nella comunione sacramentale, sono spesso sostituite da sentimenti religiosi individuali o da una vaga e illusoria ricerca del divino o del sacro. Questa è la situazione di molti oggi, che si sono distaccati dalla pratica della loro fede. Il seme della parola di Dio continua a cadere lungo i nostri passi, su terreno roccioso e tra le spine, come anche sul terreno buono.

Per altri, l'abbandono della partecipazione attiva alla Chiesa è il risultato di un'esperienza alienante o dannosa, sia intenzionale che non, da parte di alcuni membri della comunità ecclesiale o uno dei suoi ministri. Per altri ancora una mancanza di comprensione o di accettazione degli sviluppi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II è una causa di alienazione o addirittura ostilità. Non possiamo non menzionare i molti che si lasciano semplicemente trascinare dall'inerzia o dall'indifferenza.


4. Cari fratelli ed eredi spirituali dei martiri che diedero la propria vita perché altri potessero praticare la loro fede cattolica: a imitazione di Cristo, il buon pastore, noi che siamo i pastori dobbiamo venire in aiuto a queste pecore.

So che anche voi condividete questa preoccupazione per i cattolici smarriti, che ho espresso sotto forma di appello, durante le mie visite pastorali. Vi incoraggio a proseguire negli sforzi che voi e molti dei vostri fratelli vescovi avete compiuto a questo riguardo. Per coloro che il Signore ha chiamato come pastori quest'obbligo è particolarmente importante. Il rito dell'ordinazione rende ciò chiaro quando si chiede al vescovo eletto circa la sua intenzione come buon pastore di cercare la pecora smarrita e di riunirla nel gregge del Signore. Anche se le nostre aspettative possono a volte venir contrastate, dobbiamo gioire nell'assicurazione del Signore che "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentirsi" (Lc 15,7). Quale gioia più grande può esserci per un pastore che vedere fratelli e sorelle ritornare ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia e una volta ancora "dedicarsi agli insegnamenti degli apostoli, allo spezzare del pane e alle preghiere" (Ac 2,42)?

5. Allo stesso tempo richiamiamo che il lavoro di evangelizzazione, che si estende ai cattolici non praticanti, è un dovere fondamentale di tutto il popolo di Dio (cfr. AA 35). E' l'intera Chiesa che evangelizza, ogni sforzo di evangelizzazione è nella sua natura ecclesiale (cfr. EN 60). E così cari fratelli, non siamo soli. La nostra preoccupazione per i non praticanti è condivisa dal nostro clero, che testimonia in prima persona la loro assenza e l'effetto negativo di quest'assenza sulla comunità locale.

Colpisce ugualmente i fedeli, molti dei quali soffrono profondamente perché il loro coniuge, i loro amici e i loro figli in particolare si sono allontanati.

Così molti dei nostri fratelli e sorelle mi chiedono di pregare perché i loro cari ritornino alla chiesa, ed è giusto così, poiché la preghiera è il mezzo più efficace per toccare i cuori con la grazia di Dio. Vi spingo a incoraggiare i malati e i sofferenti, la cui preghiera è così potente, a pregare per questa intenzione. Alle nostre preghiere dobbiamo aggiungere un attivo zelo unito alla carità e a uno spirito di riconciliazione, cosicché sia chiara la strada per le pecore disperse. Se la nostra comunione ecclesiale non è una comunione di amore e di accoglienza, allora noi falliamo nella nostra missione di essere sacramento visibile di unità e di pace per il mondo (cfr. LG 9). Dobbiamo comunque esser certi che, nonostante le nostre debolezze, Dio non mancherà di benedire i nostri sforzi, di ricercare i cuori e le menti smarrite e di guidarli verso una piena e attiva comunione con Cristo e la sua Chiesa.

Desidererei anche menzionare specialmente i nostri sacerdoti, che sono i nostri aiutanti necessari e consolatori nel ministero, nostri fratelli e amici (cfr. PO 7). Essi possono talvolta provare un senso di sconforto, specialmente se lavorano da soli in parrocchie isolate. E' importante che essi sperimentino il sostegno dei loro vescovi e dell'intero presbiterio. Per umile o apparentemente isolato che sia, quel ministero è veramente ecclesiale, "legato all'attività evangelizzatrice dell'intera Chiesa, da una relazione istituzionale, ma anche da legami profondi e invisibili dell'ordine della grazia" (EN 60). Possano essi trarre esempio dai martiri che noi onoriamo, il cui zelo e il cui sacrificio di sé parla ancora a noi nel corso dei secoli.

Cari fratelli, possano questi martiri e tutti i santi intercedere per voi e per il vostro clero, i vostri religiosi e laici. Maria, Madre della Chiesa, sia la stella che vi guida sul vostro pellegrinaggio di fede. Cristo, il buon pastore, vi rafforzi nell'amore gli uni verso gli altri e per tutto il suo gregge, specialmente per coloro che sono lontani dalla sua casa spirituale. Come pegno della sua gioia e della sua pace imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

1987-11-23 Data estesa: Lunedi 23 Novembre 1987




Ai pellegrini britannici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La tradizione cristiana è il cuore della vostra eredità

Testo:

Sua eminenza, vostra grazia, fratelli nell'episcopato, cari amici, cari fratelli e sorelle.

E' un grande piacere per me dare il benvenuto a voi, pellegrini e visitatori della Gran Bretagna, in occasione della beatificazione di George Haydock e dei suoi ottantaquattro compagni martiri. In modo particolare saluto tutti i vescovi dell'Inghilterra, Scozia e Galles che quest'anno fanno la loro visita "ad limina". Questa felice coincidenza serve a manifestare ancor più chiaramente la comunione di fede e di amore che lega la vostra amata terra alla sede apostolica. Venite da diocesi dell'Inghilterra e del Galles e tra di voi ci sono anche membri delle famiglie di appartenenza dei martiri. Ci sono anche pellegrini della Scozia e dell'Irlanda. A tutti voi esprimo un cordiale saluto.

Estendo un caloroso benvenuto anche al vescovo anglicano di Birmingham, il rappresentante dell'arcivescovo di Canterbury e della Comunione anglicana.

La vostra presenza qui a Roma mi ricorda immediatamente la mia visita alla Gran Bretagna del 1982, la prima volta che un vescovo di Roma poneva piede sul suolo britannico. Ricordo bene la calorosa accoglienza ricevuta. Le parole pronunciate nella cattedrale di Westminster in quell'occasione sembrano adattarsi bene a questo giorno felice: "I vostri santi e i vostri grandi uomini e donne, i vostri tesori di letteratura e musica, le vostre cattedrali e i colleges, la vostra ricca eredità di vita parrocchiale parlano di una tradizione di fede. Ed è alla fede dei vostri padri, ancora viva, che desidero rendere onore" (Omelia, 28 maggio 1982).

La gloriosa tradizione cattolica dei vostri paesi ha conosciuto molti momenti di splendore e vitalità. Soprattutto ci sono stati uomini e donne di ogni età che hanno rispecchiato in modo mirabile la figura di Cristo. I vostri santi monaci e vescovi, signori e studiosi, missionari e martiri, così come moltitudini sconosciute di cristiani comuni che hanno trasmesso la fede di generazione in generazione, tutti questi sono una parte essenziale della vostra storia. La tradizione cristiana è il cuore della vostra eredità.

Oggi, che la tradizione di fede è rifiutata in molti modi, ma così intensamente come all'epoca dei martiri, i cristiani sono chiamati a portare testimonianza al Vangelo di Gesù Cristo in un momento in cui la famiglia umana, nelle parole del Concilio Vaticano II, "nutre maggiori speranze, ma guarda ansiosamente le molte contraddizioni che rimangono irrisolte" (GS 56).

E' mia ardente speranza, e sono sicuro che condividerete con me, che il riconoscimento dato ai martiri dell'Inghilterra, del Galles e della Scozia servirà ad attirare l'attenzione sull'importanza della coscienza e della fede religiosa della nostra vita. I martiri hanno posto la loro totale fiducia in Cristo. In lui essi hanno trovato il coraggio di mettere Dio al di sopra di tutto nella vita e nella morte; ad amarlo più di ogni altra cosa. Questo è il loro messaggio per il nostro tempo.

Il nostro incontro con Cristo nella fede richiede una conversione del nostro modo di pensare, una nuova sensibilità e un nuovo modo di giudicare le cose. Il Signore ci chiama a rinnovarci, "che possiamo sperimentare il volere di Dio, ciò che è buono a lui gradito e perfetto" (Rm 12,2). Questo è il rinnovamento in vista delle necessità sociali. Proprio come la fedeltà dei martiri sfido le coscienze dei loro contemporanei, così la nostra completa fedeltà al Vangelo di grazia e di pace dovrà sfidare il mondo di oggi. Possa la memoria dei santi e dei martiri sostenervi in questo.

Vi ringrazio per aver partecipato alla cerimonia di beatificazione, per la vostra devozione a questi campioni della nostra fede. Vi chiedo di portare i miei saluti alle vostre famiglie a casa, specialmente ai bambini, agli anziani e agli ammalati. Il vostro paese per secoli è stato chiamato "Il dono di Maria": in quest'Anno mariano invochiamo insieme Maria, per mezzo delle sue preghiere unite alle preghiere di questi santi martiri, cresceremo insieme nella santità di vita e nella fedeltà a Cristo nostro Signore e nostro Re. Dio vi benedica tutti.

1987-11-23 Data estesa: Lunedi 23 Novembre 1987




Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Mediante i segni-miracoli Cristo si rivela il come Salvatore

Testo:

1. Un testo di sant'Agostino ci offre la chiave per interpretare i miracoli di Cristo come segni del suo potere salvifico: "L'essersi fatto uomo per noi ha giovato alla nostra salvezza assai più dei miracoli che egli ha compiuto tra noi; ed è più importante che l'aver sanato le malattie del corpo destinato a morire" ("In Io. Ev. Tr.", 17,1). In ordine a questa salute dell'anima e alla redenzione del mondo intero Gesù ha compiuto anche i miracoli di ordine corporale. E dunque il tema della presente catechesi è il seguente: mediante i "miracoli, prodigi e segni" che ha compiuto, Gesù Cristo ha manifestato il suo potere di salvare l'uomo dal male che minaccia l'anima immortale e la sua vocazione all'unione con Dio.


2. E' ciò che si rivela in modo particolare nella guarigione del paralitico di Cafarnao. Le persone che l'hanno portato, non riuscendo ad entrare attraverso la porta nella casa in cui Gesù insegna, calano il malato attraverso un'apertura del tetto, così che il poveretto viene a trovarsi ai piedi del Maestro. "Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati"".

Queste parole suscitano in alcuni dei presenti il sospetto di bestemmia: "Costui bestemmia! Che può rimettere i peccati se non Dio solo?". Quasi in risposta a quelli che avevano pensato così, Gesù si rivolge ai presenti con le parole: "Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua. Quegli si alzo, prese il suo lettuccio e se ne ando in presenza di tutti" (cfr. par.).

Gesù stesso spiega in questo caso che il miracolo di guarigione del paralitico è segno del potere salvifico per cui egli rimette i peccati. Gesù compie questo segno per manifestare di essere venuto come Salvatore del mondo, che ha come compito principale quello di liberare l'uomo dal male spirituale, il male che separa l'uomo da Dio e impedisce la salvezza in Dio, qual è appunto il peccato.


3. Con la stessa chiave si può spiegare quella categoria speciale dei miracoli di Cristo che è "scacciare i demoni", "Esci, spirito immondo da quest'uomo!" intima Gesù, secondo il Vangelo di Marco, incontrando un indemoniato nel paese dei Geraseni (Mc 5,8). In quella circostanza assistiamo a un colloquio insolito.

Quando quello "spirito immondo" si sente minacciato da parte di Cristo, urla contro di lui: "Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!". A sua volta Gesù "gli domando: "Come ti chiami?". "Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti"" (cfr. Mc 5,7-9).

Siamo dunque sul margine di un mondo oscuro, dove giocano fattori fisici e psichici che senza dubbio hanno il loro peso nel causare delle condizioni patologiche in cui si inserisce quella realtà demoniaca, rappresentata e descritta variamente nel linguaggio umano, ma radicalmente ostile a Dio e quindi all'uomo e a Cristo venuto a liberarlo da quel potere maligno. Ma suo malgrado, anche lo "spirito immondo", in quell'urto con l'altra presenza, prorompe in quella ammissione proveniente da una intelligenza perversa ma lucida: "Figlio del Dio altissimo"! 4. Nel Vangelo di Marco troviamo anche la descrizione dell'avvenimento qualificato abitualmente come guarigione dell'epilettico. Infatti i sintomi riferiti dall'evangelista sono caratteristici anche di questa malattia ("schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce"). Tuttavia il padre dell'epilettico presenta a Gesù il suo figlio come posseduto da uno spirito maligno, il quale lo scuote con convulsioni, lo fa cadere per terra e lui si rotola spumando. Ed è ben possibile che in uno stato di infermità come quello s'infiltri e operi il maligno, ma anche ad ammettere che si tratti di un caso di epilessia, dalla quale Gesù guarisce il ragazzo ritenuto indemoniato da suo padre, resta tuttavia significativo che egli effettui quella guarigione ordinando allo "spirito muto e sordo": "Esci da lui e non rientrare più" (cfr. Mc 9,17-27). E' una riaffermazione della sua missione e del suo potere di liberare l'uomo dal male dell'anima fino alle radici.


5. Gesù fa conoscere chiaramente questa sua missione di liberare l'uomo dal male e prima di tutto dal peccato, male spirituale. E' una missione che comporta e spiega la sua lotta con lo spirito maligno che è il primo autore del male nella storia dell'uomo. Come leggiamo nei Vangeli, Gesù ripetutamente dichiara che tale è il senso della sua opera e di quella dei suoi apostoli. così in Luca: "Io vedevo satana cadere dal cielo come folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare" (Lc 10,18-19). E secondo Marco, Gesù dopo aver costituito i Dodici, li manda "a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (Mc 3,14-15). Secondo Luca anche i settantadue discepoli, dopo il ritorno dalla loro prima missione, riferiscono a Gesù: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome" (Lc 10,17).

Così si manifesta il potere del Figlio dell'uomo sul peccato e sull'autore del peccato. Il nome di Gesù, nel quale anche i demoni sono soggiogati, significa Salvatore. Tuttavia questa sua potenza salvifica avrà il suo adempimento definitivo nel sacrificio della croce. La croce segnerà la vittoria totale su satana e sul peccato, perché questo è il disegno del Padre che il suo Figlio unigenito esegue facendosi uomo: vincere nella debolezza e raggiungere la gloria della risurrezione e della vita attraverso l'umiliazione della croce. Anche in questo fatto paradossale rifulge il suo potere divino, che può giustamente chiamarsi la "potenza della croce".


6. Fa parte di questa potenza, e appartiene alla missione del Salvatore del mondo manifestata dai "miracoli, prodigi e segni", anche la vittoria sulla morte, drammatica conseguenza del peccato. La vittoria sul peccato e sulla morte segna la via della missione messianica di Gesù da Nazaret al Calvario. Tra i "segni" che indicano particolarmente il suo cammino verso la vittoria sulla morte, vi sono soprattutto le risurrezioni: "i morti risuscitano" (Mt 11,5), risponde infatti Gesù alla domanda sulla sua messianità rivoltagli dai messaggeri di Giovanni Battista (cfr. Mt 11,3). E tra i vari "morti" risuscitati da Gesù, merita un'attenzione particolare Lazzaro di Betania, perché la sua risurrezione è come un "preludio" alla croce e alla risurrezione di Cristo, in cui si compie la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte.


7. L'evangelista Giovanni ci ha lasciato una descrizione particolareggiata dell'avvenimento. A noi basti riferire il momento conclusivo. Gesù chiede di togliere il masso che chiude la tomba ("Togliete la pietra"). Marta, la sorella di Lazzaro osserva che il fratello è già da quattro giorni nel sepolcro e il corpo certamente ha iniziato a decomporsi. Tuttavia Gesù grida a gran voce: "Lazzaro vieni fuori!". "E il morto usci", attesta l'evangelista (cfr. Jn 11,38-43). Il fatto suscita la fede in molti dei presenti. Altri invece si recano dai rappresentanti del Sinedrio, per denunciare l'avvenimento. Sommi sacerdoti e farisei ne restano preoccupati, pensano ad una possibile reazione dell'occupante romano ("verranno i romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione" (cfr. Jn 11,45-48). Proprio allora cadono sul Sinedrio le famose parole di Caifa: "Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera". E l'evangelista annota: "Questo pero non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzo". Di quale profezia si tratta? Ecco, Giovanni ci dà la lettura cristiana di quelle parole, che sono di una dimensione immensa: "Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (cfr. Jn 11,49-52).


8. Come si vede, la descrizione di Lazzaro contiene anche indicazioni essenziali riguardanti il significato salvifico di questo miracolo. Sono indicazioni definitive, perché proprio allora viene presa dal Sinedrio la decisione sulla morte di Gesù (cfr. Jn 11,53). E sarà la morte redentrice "per la nazione" e "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi": per la salvezza del mondo. Ma Gesù ha già detto che quella morte diventerà pure la vittoria definitiva sulla morte. In occasione della risurrezione di Lazzaro egli ha assicurato a Marta: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno" (Jn 11,25-26).


9. Alla fine della nostra catechesi torniamo ancora una volta al testo di sant'Agostino: "Se consideriamo adesso i fatti operati dal Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi, aperti miracolosamente, furono rinchiusi dalla morte, e le membra dei paralitici, sciolte dal miracolo, furono di nuovo immobilizzate dalla morte: tutto ciò che temporalmente fu sanato nel corpo mortale, alla fine fu disfatto; ma l'anima che credette, passo alla vita eterna. Con questo infermo il Signore ha voluto dare un grande segno all'anima che avrebbe creduto, per la cui remissione dei peccati era venuto, e per sanare le cui debolezze egli si era umiliato" (Agostino, "In Io. Ev. Tr.", 17,1).

Si, tutti i "miracoli, prodigi e segni" di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l'uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo. [Omissis: saluti a vari gruppi] Desidero ora rivolgere il mio pensiero a una Nazione molto cara, che è sempre presente al mio cuore. Nei giorni scorsi i vescovi di Haiti hanno indirizzato un nuovo Messaggio ai loro fedeli e agli uomini di buona volontà, esortandoli ad elevare a Dio le menti e i cuori per implorare, auspice la Vergine santissima, la luce e la forza morale necessarie in un momento così importante per l'avvenire pacifico e democratico della Nazione, mentre il popolo si prepara a scegliere liberamente i propri rappresentanti. Vi chiedo di unirvi con me nell'invocare da Dio grazie e benedizioni su questo popolo generoso, che ha tanto sofferto. La speciale novena di preghiera e di penitenza indetta dai vescovi, ora in pieno svolgimento in tutte le diocesi haitiane, valga ad ottenere il ritorno a un clima di profonda riconciliazione nazionale, che favorisca l'impegno di tutti nella soluzione dei problemi che incontra il Paese.

1987-11-25 Data estesa: Mercoledi 25 Novembre 1987




Ai rettori dei santuari mariani - Dal pellegrinaggio una svolta nella vita quotidiana



Carissimi rettori dei santuari mariani!

1. Con grande gioia vi accolgo in questa udienza speciale in occasione del vostro Convegno Internazionale sul tema: "I santuari mariani nel pellegrinaggio di fede del popolo di Dio". Saluto innanzitutto il card. Luigi Dadaglio, presidente del Comitato centrale per l'Anno mariano. Con lui saluto pure il vescovo mons. Francesco Maria Franzi, presidente del Collegamento mariano d'Italia. Il mio saluto si rivolge poi a voi, con tutti i vostri confratelli nel sacerdozio, che insieme con voi svolgono il ministero nei santuari, eretti alla Vergine santissima dalla pietà popolare, in molte regioni d'Italia e del mondo.

A voi tutti è noto come il nuovo Codice di diritto canonico sottolinei l'importanza e il valore dei santuari nella vita dei cristiani (CIC 1230-1234) e come ne tracci in sintesi il programma pastorale: "Nei santuari si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione dell'Eucaristia e della penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare" (CIC 1234 § 1).


2. Voi avete riflettuto in questi giorni sulle responsabilità che conseguono al vostro impegno ecclesiale. Esso comporta compiti certamente gravosi, dai quali tuttavia scaturiscono profonde gioie e consolazioni spirituali. Ritornate dunque, colmi di santo fervore, nei luoghi della pietà mariana a voi affidati e fate in modo che essi siano veramente templi di Dio, dove i fedeli possano fare una particolare esperienza del soprannaturale, dove ricevano una catechesi sempre sicura e formativa, pienamente inserita nel messaggio evangelico e illuminata dal magistero perenne della Chiesa; dove, infine, mediante il sacramento della Penitenza, la direzione spirituale e la Comunione eucaristica, attingano copiosamente alle fonti della grazia e del conforto divino, per essere pronti ad affrontare le difficoltà della vita e a testimoniare con coraggio la fede cristiana nel proprio ambiente sociale.


3. Il santuario è la casa di Maria, la dimora della fede, dove il Signore è accolto costantemente dalla Vergine e incessantemente donato al mondo. I pellegrini vi si recano con sicuro intuito, per cercare "nella fede di Maria il sostegno per la propria fede" (RMA 27). Entrando nella casa di lei essi trovano sempre, come i magi, "il bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11) e prostrandosi lo adorano. Tale esperienza di Dio non si deve pero esaurire nel santuario, essa deve determinare una svolta decisa, aprire un cammino nuovo di testimonianza nella vita di ogni giorno.

A questa interpretazione del pellegrinaggio invita la stessa sacra Scrittura. In essa il pellegrinaggio al santuario è visto come punto qualificante della vita spirituale (cfr. Dt 16,16), come gioiosa esperienza comunitaria (cfr. Ps 83-12) a cui annualmente partecipava anche Gesù con i suoi genitori (cfr. Lc 2,41-42); esso conduce davanti al Signore, a ricercare il suo volto a sperimentare la gioia della sua casa, ombra-figura di quel tempio escatologico in cui si trarrà dalla diretta visione di lui una felicità senza fine. Sarà un giorno senza tramonto nella casa di Dio, che vale ben più di mille giorni passati altrove (cfr. Ps 83,11). L'esperienza del tempio - con la sua storia, i suoi ricordi, la sua grazia, il suo splendore - suscita lo stupore del pellegrino, la gioia della fede, il proposito di percorrere strade nuove e di raccontare a tutti come i pastori (v. 18) e gli apostoli quello che si è visto e udito (Ac 4,20).


4. Cari rettori, voi siete come Giuseppe i custodi della casa di Maria. Voi ne aprite la porta a tutti coloro che vengono per vedere il grande segno della misericordia di Dio. Voi li introducete nel cuore del tempio con la Parola, la Liturgia, i Sacramenti. In tale ministero è particolarmente preziosa la vostra testimonianza di fede, di discepoli di Cristo e di servi di Maria.

Vi sono vicino con la preghiere e vi accompagno nel vostro servizio ecclesiale con la mia benedizione che di cuore estendo a tutti i vostri collaboratori.

1987-11-26 Data estesa: Giovedi 26 Novembre 1987




Alla Commissione per le Migrazioni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Garantire agli emigranti accesso e partecipazione ai mass-media

Testo:

Venerati fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio.


1. Vi siete raccolti in questi giorni, quali membri della Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo, per la vostra riunione plenaria annuale. Sono lieto di dare a voi, e agli esperti che con voi hanno collaborato, il mio cordiale benvenuto. Questi vostri periodici incontri rivestono un indubbio rilievo per il migliore svolgimento della vostra opera, com'è saggiamente previsto dalle norme vigenti. Essi vi consentono di riflettere a fondo su come servire più efficacemente la Chiesa nei migranti, nei rifugiati e in tutte le categorie di persone coinvolte nel vasto fenomeno della mobilità umana quali sono i marittimi, gli aeronaviganti, i nomadi, i turisti e i pellegrini.


2. Molto interessante mi è parso il tema particolare, sul quale state concentrando la vostra attenzione: "I mezzi di comunicazione sociale e l'apostolato della mobilità umana". La Chiesa esiste per annunciare la buona novella. I mezzi di comunicazione, nelle loro molteplici forme, sono altrettante vie che le si aprono dinanzi nel cammino dell'evangelizzazione e della promozione umana. La loro applicazione nel campo della mobilità umana impone un'attenta riflessione ed esige una metodologia appropriata, per la particolare situazione dei destinatari, tanto più quando sono minoranze disperse ed emarginate.

Desidero pertanto rivolgere una parola di apprezzamento e di incoraggiamento alla stampa e alle altre forme di comunicazione sociale, che le stesse comunità emigrate hanno creato nel tentativo non solo di superare l'isolamento in cui sono spesso lasciate dai mezzi di comunicazione ufficiali, ma anche al fine di tutelare i propri diritti e di richiamare l'attenzione sul ruolo economico e culturale da loro svolto in seno alla società in cui vivono e lavorano. Uguale incoraggiamento intendo rivolgere alla stampa e alle altre forme di comunicazione sociale sorte per l'informazione e la formazione degli emigrati.


3. Molti sono i modi in cui i media possono contribuire alla promozione dei diritti umani fondamentali di quanti vivono la difficile esperienza dell'inserimento in un Paese straniero. Il diritto di costoro a ricevere, nel proprio idioma, regolari informazioni riguardanti il Paese d'origine, è di vitale importanza. Essi non possono essere considerati solamente come semplici consumatori di informazione o come oggetti da adattare e assorbire nella società locale; occorre guardarli come esseri capaci di comunicazione e di creazione culturale. E' importante perciò garantire agli emigrati l'accesso e la partecipazione ai mezzi di comunicazione a tutti i livelli, perché possano entrare nel circuito vitale della società di cui sono venuti a far parte.

Compito dei mezzi di comunicazione è pure quello di aiutare, da una parte, a capire la società di accoglienza e di spingere, dall'altra, quest'ultima a capire l'emigrato nelle sue esigenze ed espressioni culturali, così da facilitare la reciproca comprensione ed interazione.

A questo proposito mi piace ricordare quanto opportunamente affermava Paolo VI nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1971: "Chi inserisce nell'opinione pubblica il senso della fratellanza umana senza confine, prepara al mondo giorni migliori... Chi aiuta a scoprire in ogni uomo, al di là dei caratteri somatici e razziali, l'esistenza di un essere eguale al proprio, trasforma la terra da un epicentro di divisioni, di antagonismi, d'insidie e di vendette, in un campo di lavoro organico di civile collaborazione".


4. Alla luce di prospettive tanto stimolanti, vi faccio i miei migliori auguri per le vostre deliberazioni durante questa Sessione plenaria, e chiedo allo Spirito di Dio di guidare il vostro lavoro. Prego anche che in questi giorni Gesù rafforzi i legami di fraternità tra di voi.

Dio Onnipotente renda fecondo il lavoro che state svolgendo. Glielo chiedo per l'intercessione della Vergine santissima, alla quale non fu ignota - durante la vita quaggiù - l'esperienza del distacco dalla patria e dell'emigrazione in terra straniera.

A tutti la mia benedizione.

1987-11-27 Data estesa: Venerdi 27 Novembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Ai vescovi britannici in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)