GPII 1987 Insegnamenti - A Sua Santità Dimitrios I - Città del Vaticano (Roma)

A Sua Santità Dimitrios I - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa di Roma si unisce alla celebrazione di sant'Andrea

Testo:

A sua santità Dimitrios I, arcivescovo di Costantinopoli, patriarca ecumenico.

"La grazia del Signore Gesù sia con voi" (1Co 16,23).

La celebrazione liturgica della festa del santo apostolo Andrea, il primo chiamato dal Signore fratello di Pietro ci dona ancora una volta l'occasione di esprimere la fratellanza che ci unisce l'un l'altro e che unisce le nostre Chiese. Questa celebrazione ci riunisce nella preghiera e fa crescere la carità tra noi.

La delegazione condotta dal card. Jean Willebrands porterà a sua santità, al vostro santo Sinodo e a tutto il patriarcato ecumenico, il saluto della Chiesa di Roma e si unirà alla celebrazione che lei presiederà nella Chiesa di San Giorgio, dove anch'io ho avuto la gioia di essere presente nelle stesse circostanze. Invocherà per voi la grazia del Signore Gesù e manifesterà la nostra comunione nella fede.

Quest'anno, subito dopo la festa di sant'Andrea, avrà luogo la sua visita a Roma nella quale san Pietro, fratello di Andrea, ha reso a Cristo la sua ultima testimonianza e dove si perpetua la sua successione apostolica ininterrotta. La Chiesa di Roma la accoglierà con una profonda carità. Nella preghiera, chiedo al Signore che illumini i nostri passi sul cammino che ci porterà verso la perfetta comunione per celebrare insieme sullo stesso altare l'Eucaristia.

Con questi sentimenti di gioia e nell'attesa del nostro prossimo incontro ridico a sua santità il mio fraterno affetto nel Signore.

1987-11-30 Data estesa: Lunedi 30 Novembre 1987




Al card. John Joseph O'Connor - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nominato inviato speciale al Congresso Eucaristico filippino

Testo:

Venerabile fratello John Joseph O'Connor, cardinal arcivescovo di New York.

Fra numerosi e importanti eventi di pari dignità e peso, che hanno segnato la vita di tutto il popolo delle Isole Filippine durante questi dodici mesi, e soprattutto che hanno modellato l'opera della Chiesa cattolica fra quei carissimi fedeli in Cristo, oltre che l'opera pastorale dei sacri ministri, non vi è alcumo che non capisca facilmente o non goda intimamente nel proprio animo del fatto che occupi un posto particolare, come è suo diritto, l'Anno eucaristico di ogni nazione, che fra le due solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, di quest'anno e dell'anno scorso, è stata celebrato felicemente da tutta la Chiesa e che fra breve tempo, volgerà al termine, concludendosi come di consueto, con il Congresso Eucaristico delle Filippine, che si terrà dal cinque all'otto di questo mese di dicembre.

Chiunque abbia osservato lo svolgersi del nostro pontificato, non può non essersi persuaso della necessità di un Congresso Eucaristico di tale genere, che in tutte le direzioni, attraverso le varie nazioni, ha diffuso il più alto ministero, la fede, la pietà e la consuetudine Eucaristica della Chiesa. Ci è stata offerta tale opportunità anche nelle Filippine che, come già accennato, compiranno tra breve il loro Anno eucaristico, e di conseguenza, celebreranno il Congresso Eucaristico.

Con il cuore e con la mente mi congratulo e incoraggio, mi associo con i fratelli vescovi e con i sacerdoti, i religiosi e i fedeli di quelle nobili terre, lontano eppur vicino, in questi importantissimi giorni. Ci sentiremo vicini, anche se in certo modo lo siamo già da sei anni, a voi tutti che partecipate ai riti e alle celebrazioni dei prossimi giorni. Tu soprattutto, venerabile fratello che con questa lettera nominiamo con fiducia e con piacere, nostro inviato speciale al Congresso eucaristico delle Filippine, dal cinque all'otto di questo mese. Sii presente in quei luoghi al posto nostro, per noi saluta eloquentemente i partecipanti al Congresso e spiega loro che, se ci sarà possibile assistervi, nulla ci impedirà di farlo.

Ti affido questo incarico con grande affetto, ti chiedo, grazie alla tua sapienza e alla tua solerzia ben conosciuta, di rendere presente il Pontefice Romano, e che le comunità ecclesiali abbiano largamente la sua benedizione apostolica, fa' tua la nostra speciale preoccupazione di incoraggiare, di essere considerato quasi il centro della vita della Chiesa, fonte perenne di forza e grazia nel mondo, da cui sgorga il continuo rinnovamento e la prosperità delle comunità. Infatti questo sacramento, insieme al celeste mistero di Pietro, manifesta con i credenti e i fedeli al successore di Pietro la vera unità nella fede e la rafforza perpetuamente, alimenta una solida consapevole pietà intorno alla mensa domenicale, istruisce le menti con l'annuncio del Verbo divino e guida i costumi secondo i precetti evangelici.

Mi è caro e gradito salutare fraternamente ogni singolo partecipante al Congresso, fare le mie fervide congratulazioni, tanto per tale fertile e importante evento per la nazione, tanto per la sua religiosa preparazione ed esecuzione, offrire preghiere, esortazioni, incoraggiamenti a tutti i presenti, affinché sia cercata l'utilità della spiritualità interiore e possa elargire maggiori frutti nel tempo. Apriamo il Congresso con queste nostre riflessioni fra il gregge dei fedeli che vi partecipa; altre, per lettera o grazie ai nostri inviati che rappresentano la nostra persona in ogni parte della terra, porranno fine all'Anno eucaristico e al Congresso per la massima gloria di Dio, per la prosperità della Chiesa, per il conforto del popolo filippino e perché stabiliscano - con l'aiuto del Dio celeste - una unione fausta.

1987-12-01 Data estesa: Martedi 1 Dicembre 1987





Benvenuto al Patriarca Dimitrios I - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Signore ci doni la grazia di una comunione perfetta

Testo:

"Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Ps 117,26).

Santità, questa benedizione del salmista mi sembra molto appropriata per esprimere i sentimenti che provo in questo primo giorno della sua visita alla Chiesa di Roma e al suo vescovo. Lei viene a noi nel nome del Signore. Noi l'accogliamo nel nome del Signore. In lui noi siamo fratelli per grazia del Battesimo e del sacerdozio.

Caro fratello nel Signore, sia il benvenuto! Con il cuore pieno di gioia, accolgo lei che viene come pellegrino dei santi apostoli martiri Pietro e Paolo, lei che rendendoci visita, compie il ministero della carità, dell'unità e della pace.

Otto anni fa, ebbi la grande gioia di poter scambiare con lei l'abbraccio della pace nella sua residenza patriarcale di Fanar. L'accoglienza che lei e la sua Chiesa mi avete riservato allora, fu così caratterizzata dalla stima e così densa di affetto che ne conservo sempre il ricordo vivo e riconoscente.

Questo ricordo accresce la mia gioia di vederla oggi tra noi e di poterle testimoniare la stessa stima e un uguale affetto.

Animati dalla stessa carità fraterna, pregheremo insieme in questi giorni per il bene delle nostre Chiese e perché il nostro Signore comune accordi loro la grazia di una perfetta comunione nella fede e nell'amore. Non mancheremo di intercedere insieme per questo mondo al quale siamo mandati e che Dio ha amato al punto da donare il suo unico Figlio per salvarlo (cfr. Jn 3,16-17). Noi cerchiamo insieme di rispondere alle esigenze dell'ora presente, secondo la volontà del Signore aprendoci all'illuminazione del suo spirito.

Con la certezza che potremo contare sull'aiuto di Dio affinché la sua visita porti frutti per la sua gloria, ridico a sua santità, alle loro eminenze i metropoliti che l'accompagnano, così come ai reverendi diaconi e ai distinti laici che sono venuti con voi: siate i benvenuti nel nome del Signore!

1987-12-03 Data estesa: Giovedi 3 Dicembre 1987




Ai vescovi della Tanzania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Evangelizzazione: impegno dei battezzati uniti ai loro vescovi

Testo:

Cari fratelli in nostro Signor Gesù Cristo.


1. Sono felice di accogliere voi membri della Conferenza episcopale della Tanzania, in occasione della vostra visita "ad limina". La vostra presenza oggi ci permette di rafforzare "i legami di unità, carità e pace" (LG 22) che condividiamo nel collegio apostolico. Come "Collaboratori di Dio" (1Co 3,9) siamo riuniti qui nel nome di nostro Signore Gesù Cristo presso la tomba dell'apostolo Pietro. E proprio come Gesù scelse Pietro e gli altri apostoli, così anche voi siete stati scelti e ordinati come loro successori per mezzo dell'imposizione delle mani e l'invocazione dello Spirito Santo. Insieme agli apostoli noi abbiamo ereditato il compito di portare testimonianza al Vangelo della grazia di Dio (cfr. Rm 15,16 Atti Rm 20,24) e al ministero dello Spirito e del potere glorioso di Dio di rendere gli uomini giusti (cfr. 2Co 3,8-9).

Apprezzo le gentili parole che il card. Rugambwa ha espresso a nome vostro e a sostegno del popolo di Dio in Tanzania. Per favore aiutatemi a contraccambiare portando ai fedeli che vi sono legati i miei saluti di grazia e pace. Assicurateli del mio ricordo nella preghiera.

E' mia fervente speranza poter accettare il gentile invito a visitare la Tanzania in un futuro non troppo lontano. Il mio desiderio è di ripetere il vivificante messaggio di verità, il Vangelo di Gesù Cristo. A tutti quelli che volentieri ascoltano la mia voce proclamero la buona novella della salvezza, cosicché la persona di Cristo e il suo Vangelo possa essere sempre più conosciuto e apprezzato. Desidero anche vedere da vicino la fede del vostro popolo e il loro amore per Cristo e la sua Chiesa. Ciò scrisse l'apostolo Paolo ai primi cristiani a Roma, io lo ripeto a tutti i fedeli in Tanzania: "Rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi... Mi ricordo sempre di voi chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi. Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune voi e io" (Rm 1,8-12).


2. Miei cari fratelli: come pastori in Tanzania, sappiate che nelle vostre fatiche per amore del Vangelo non siete soli. Siete sostenuti dal successore di Pietro e dall'intero collegio dei vescovi. Conosco i problemi pastorali che affrontate ogni giorno, e lodo le numerose iniziative che avete intrapreso. Grazie alle abbondanti grazie concesse da Dio onnipotente alla Chiesa in Tanzania, il potere del Vangelo ha messo salde radici nei cuori dei fedeli e ha permesso alla Chiesa di crescere.

Durante gli ultimi cinque anni siete stati testimoni di una rapida crescita delle vostre Chiese locali da tre e mezzo a più di quattro milioni e mezzo di membri. Sono state istituite una nuova arcidiocesi, e nuove diocesi, e c'è stato un incremento nel numero del clero e in quello dei religiosi e delle religiose. Tutta questa crescita è stata accompagnata da un consolidamento delle strutture diocesane e dei lavori apostolici. Sono lieto di incoraggiare voi e tutti i sacerdoti, religiosi, catechisti e laici che hanno faticato per portare avanti questa espansione del regno di Dio in Tanzania. Come affermai all'epoca della vostra ultima visita "ad limina" (9 ottobre 1981): "Il criterio del vostro ministero effettivo, del vostro ministero episcopale, è l'assoluta fedeltà a Gesù Cristo e alla sua parola. Spetta a noi seminare e irrigare; Dio stesso farà crescere il seme della sua parola a suo tempo. Egli chiede la nostra fiducia, la nostra obbedienza nel predicare il suo messaggio, la nostra pazienza nell'aspettare la piena messe della salvezza".


3. Seguendo il recente incontro del Sinodo dei vescovi, desidero puntualizzare che il lavoro di evangelizzazione è la responsabilità battesimale di tutti coloro che sono nella vostra cura pastorale. Come insegna il Concilio Vaticano II: "l'obbligo di diffondere la fede è imposto a ogni discepolo di Cristo, secondo le sue capacità" (LG 17). Inoltre tutti i cristiani laici, specificamente in virtù del Battesimo, sono chiamati dal Signore a impegnarsi in un efficace apostolato: "Per sua natura la vocazione cristiana è anche una vocazione all'apostolato" (AA 2). Mentre esprimo la mia gratitudine a tutti i sacerdoti e missionari che lavorano in Tanzania, desidero incoraggiare i laici a essere autentici testimoni di Cristo, costruttori della comunità cristiana, e ad aiutare a trasformare il mondo con i valori del Vangelo. La testimonianza di una esemplare vita cristiana è già un atto di evangelizzazione.

Mi affretto ad aggiungere che la testimonianza di vita cristiana attraverso l'esempio non è sufficiente in se stessa. Deve essere preceduta e accompagnata dalla proclamazione della buona novella della salvezza in Cristo, che è al cuore di tutta l'azione di evangelizzazione. Entrambi questi elementi essenziali devono essere sostenuti dalla preghiera e dal sacrificio.


4. In una società come la vostra dove una gran parte della popolazione appartiene alle religioni africane tradizionali, lodo i numerosi catechisti laici, uomini e donne che danno un importante contributo alla proclamazione del Vangelo. Essi sono diretti testimoni della fede e vostri attivi collaboratori nel costruire, sviluppare, incrementare la pratica della vita cristiana. Sono fiducioso che essi troveranno sempre l'assistenza necessaria e ricercano una continua formazione per soddisfare i bisogni delle comunità che essi servono. I catechisti hanno un ruolo indispensabile nell'intero processo di evangelizzazione. Essi sviluppano la fede iniziale del vostro popolo portandolo alla pienezza di vita cristiana (cfr. CTR 18). Mentre si sforzano di iniziare gli uditori in modo organico e sistematico alla pienezza della vita cristiana i catechisti devono far incarnare il Vangelo nella vita e nella cultura del vostro popolo. Una delle priorità del vostro ministero è il consolidamento e la trasformazione della vostra cultura in accordo con il Vangelo. "L'acculturazione" o l'"inculturazione" che giustamente promovete sarà veramente una riflessione dell'incarnazione della Parola, quando una cultura trasformata e rigenerata dal Vangelo porta avanti dalle proprie tradizioni di vita espressioni originali di vita cristiana celebrazione e pensiero" (Ai vescovi del Kenia, 7 maggio 1980).

Cari fratelli: so bene che siete chiamati a testimoniare quotidianamente Cristo in un paese in cui cristiani e musulmani vivono fianco a fianco. Come sapete, la Chiesa compie ogni sforzo per allacciare un dialogo religioso con l'Islam. La verità che il piano di salvezza comprende tutti coloro che conoscono il Creatore ci offre una solida base per una pacifica coesistenza con i musulmani.


5. Sono felice di apprendere che ci sono molte iniziative riguardo all'apostolato dei giovani. Questo apostolato dovrebbe essere una delle principali priorità, perché i giovani rappresentano il futuro della Chiesa. Le vostre associazioni giovanili devono essere centri di formazione in accordo con l'insegnamento della Chiesa, e centri dove i giovani si preparano ad assumere posizioni politiche e sociali come cittadini e leader cristiani. E' attraverso i vostri sforzi nell'assicurare l'educazione cristiana dei giovani che la Chiesa in Tanzania potrà agire come una vitale forza morale. Nella fedeltà a Gesù, dovete trasmettere ai vostri giovani tutto ciò che egli ha comandato di insegnare (cfr. Mt 28,20).


6. Desidero esprimere il mio affetto a tutti i sacerdoti, diocesani e religiosi che faticano con voi nell'accudire il gregge. Ogni fratello sacerdote è destinato ad essere con noi "servo di Gesù Cristo, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio" (Rm 1,1). Il Concilio Vaticano II ci ricorda che "il ministero dei sacerdoti ha il suo inizio dal messaggio evangelico. Continua con l'enfatizzare che il ministero della parola trova il suo compimento nell'Eucaristia, che è "la fonte e il culmine dell'intero lavoro di evangelizzazione" (PO 2 PO 5).

Vorrei dirvi questo: ricordate sempre l'importanza di avere un amore fraterno per i vostri sacerdoti. "Prima di essere i superiori e i giudici dei vostri sacerdoti siate sempre pronti a comprendere e condividere o ad aiutare. In ogni modo possibile incoraggiate i sacerdoti ad essere vostri amici e ad essere aperti con voi" (Paolo VI, "Sacerdotalis Caelibatus", 92).

Come fratelli dei vostri sacerdoti, condividerete i loro fardelli e li aiuterete a crescere spiritualmente con ritiri e giornate spirituali. E' per loro un grande beneficio continuare la formazione per fornire opportunità per lo studio e il rinnovamento teologico, affinché essi possano approfondire la loro comprensione dei documenti del Concilio Vaticano II e del magistero. Inoltre queste riunioni sono un'occasione per discutere insieme i vostri problemi pastorali.


7. Con gratitudine a Dio onnipotente noto un aumento dei sacerdoti diocesani in Tanzania. Poiché i missionari diminuiscono e non vengono sostituiti è ancor più necessario che il loro lavoro sia continuato da sacerdoti che appartengono alla vostra gente. Sono lieto di apprendere che i vostri seminari minori hanno molti studenti. Questo naturalmente richiede un'attenta selezione dei possibili candidati.

Similmente, l'attenzione e il sostegno che date ai vostri seminaristi anche dei cinque seminari maggiori assicurerà la qualità di coloro che saranno ordinati al sacerdozio per il servizio nelle vostre Chiese locali. Vi assicuro la mia sollecitudine in questo impegno così essenziale per la missione della Chiesa.

Vorrei anche sottolineare l'importanza di preparare sacerdoti ben qualificati per la formazione spirituale, accademica e pastorale dei vostri seminaristi.

Noto che c'è stata una crescita notevole nel numero dei religiosi. I membri degli Istituti di vita consacrata costituiscono il lievito dell'autentica vita cristiana, ed è importante che ogni congregazione diocesana di religiosi rifletta i suoi specifici carismi in forme appropriate di lavoro apostolico. Nel vostro lavoro con i religiosi. So che dimostrerete sempre il loro il grande amore che la Chiesa nutre per loro e per la loro vita di servizio.

Nei centoventi anni passati la proclamazione del Vangelo in Tanzania è stata compiuta dai sacerdoti missionari, dai religiosi e religiose che con grande eroismo e santità hanno piantato i semi della Chiesa. Seguendo il loro esempio, potrete dare un'ulteriore crescita al regno di Dio con immutata fedeltà.

Fratelli miei: siate certi delle mie continue preghiere che l'Altissimo elargirà su voi, sul popolo e sul governo della Tanzania benedizioni di pace, giustizia e prosperità. Raccomando voi e le vostre Chiese locali all'intercessione di Maria, che è un "segno di sicura speranza e sollievo per il popolo di Dio in cammino" (LG 68). Nell'amore di Dio suo Figlio imparto la mia benedizione apostolica.

1987-12-04 Data estesa: Venerdi 4 Dicembre 1987




Lettera apostolica "Duodecimum Saeculum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede è l'ispiratrice dell'arte sacra

Testo:

Venerabili fratelli, salute e benedizione apostolica! 1. Il dodicesimo centenario del II Concilio di Nicea (787) è stato l'oggetto di molte commemorazioni ecclesiali ed accademiche. La stessa Santa Sede vi si è associata. L'avvenimento è stato parimenti celebrato con la pubblicazione di un'Enciclica di Sua Santità il Patriarca di Costantinopoli e del Santo Sinodo, iniziativa che sottolinea quanto siano ancora attuali l'importanza teologica e la portata ecumenica del settimo ed ultimo Concilio pienamente riconosciuto dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa. La dottrina definita da questo Concilio, per quanto concerne la legittimità della venerazione delle icone nella Chiesa merita anch'essa un'attenzione speciale non soltanto per la ricchezza delle sue implicazioni spirituali, ma anche per le esigenze che essa impone a tutto l'ambito dell'arte sacra.

Il rilievo dato dal II Concilio di Nicea all'argomento della tradizione, e più precisamente della tradizione non scritta, costituisce per noi cattolici come per i nostri fratelli ortodossi un invito a ripercorrere insieme il cammino della tradizione della Chiesa indivisa per riesaminare alla sua luce le divergenze che i secoli di separazione hanno accentuato tra noi, onde ritrovare, secondo la preghiera di Gesù al Padre (cfr. Jn 17,11 Jn 17,20-21), la piena comunione nell'unità visibile.


2. Il Patriarca di Costantinopoli san Tarasio, moderatore del Niceno II, nel rendere conto a Papa Adriano I dello svolgimento del Concilio, gli scrive: "Dopo che tutti avemmo preso posto, costituimmo il Cristo come (nostro) capo. Difatti, il santo Vangelo fu posto su di un trono, come invito a tutti i presenti a giudicare secondo giustizia". L'aver posto Cristo come presidente dell'assemblea conciliare, che si riuniva nel suo nome e sotto la sua autorità, fu un gesto eloquente per affermare che l'unità della Chiesa non può realizzarsi che nell'obbedienza al suo unico Signore.


3. Gli imperatori Irene e Costantino VI, che convocarono il Concilio, avevano invitato il mio predecessore Adriano I in quanto "vero primo pontefice, che presiede al posto e sulla sede del santo e venerabilissimo apostolo Pietro". Egli si fece rappresentare dall'arciprete della Chiesa romana e dall'Igumeno del monastero greco di san Saba a Roma. Per assicurare la rappresentatività universale della Chiesa, era anche richiesta la presenza dei Patriarchi orientali. Dato che i loro territori erano sotto la dominazione musulmana, i Patriarchi di Alessandria e di Antiochia mandarono insieme una lettera a Tarasio, mentre quello di Gerusalemme invio una lettera sinodale; ambedue furono lette al Concilio.

Era allora comunemente ammesso che le decisioni di un Concilio ecumenico fossero valide solo se il Vescovo di Roma vi aveva collaborato e se i Patriarchi orientali avevano manifestato il loro accordo. In questo procedimento, il ruolo della Chiesa di Roma era riconosciuto come insostituibile. così il Niceno II approvo la spiegazione del diacono Giovanni, secondo la quale l'assemblea iconoclasta di Hieria del 754 non era legittima, perché "il Papa di Roma o i Vescovi che sono attorno a lui non vi avevano collaborato, nè mediante legati, nè mediante una lettera enciclica, secondo la legge dei Sinodi", e "i patriarchi d'Oriente... e i Vescovi che sono con loro non avevano acconsentito". I Padri del Niceno II dichiararono d'altronde che essi "seguivano, ricevevano e accettavano" la lettera inviata da Adriano agli imperatori così come quella destinata al Patriarca. Esse furono lette in latino e nella loro traduzione greca, e tutti furono invitati individualmente a dare la loro approvazione.


4. Il Concilio saluto nei legati pontifici "la Chiesa del santo apostolo Pietro" e della "sede apostolica", secondo la formula romana; e il Patriarca Tarasio, scrivendo al mio predecessore a nome del Concilio, riconosceva in lui colui che "ha ereditato la cattedra del divino apostolo Pietro", e che, "rivestito del supremo sacerdozio, presiede legittimamente, per volontà di Dio, alla gerarchia religiosa".

Uno dei momenti decisivi, in cui il Concilio si pronuncio a favore del ristabilimento del culto delle immagini, sembra esser stato, d'altronde, quello nel quale accolse unanimemente la proposta dei legati romani di far venire in mezzo all'assemblea una venerabile icona, affinché i Padri potessero manifestarle il loro omaggio.

L'ultimo Concilio ecumenico riconosciuto dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa è un esempio notevole di "sinergia" tra la sede di Roma ed un'assemblea conciliare. Si iscrive nella prospettiva dell'ecclesiologia patristica di comunione, fondata sulla tradizione, come il Concilio Ecumenico Vaticano II ha giustamente rimesso in luce.


5. Il Niceno II ha solennemente affermato l'esistenza della "tradizione ecclesiastica scritta e non scritta", come riferimento normativo per la fede e la disciplina della Chiesa. I Padri affermano il loro desiderio di "conservare intatte tutte le tradizioni della Chiesa, che sono state (loro) affidate, siano esse scritte o non scritte. Una di esse consiste precisamente nella pittura delle icone, conformemente alla lettera della predicazione apostolica". Contro la corrente iconoclasta, che pure aveva fatto appello alla Scrittura ed alla Tradizione dei Padri specialmente allo pseudo-sinodo di Hieria del 754, il secondo Concilio di Nicea sanziona la legittimità della venerazione delle immagini, confermando "l'insegnamento divinamente ispirato dei santi Padri e della tradizione della Chiesa cattolica".

I Padri del Niceno II intendevano la "tradizione ecclesiastica" come tradizione dei sei precedenti Concilii ecumenici e dei Padri ortodossi, il cui insegnamento era comunemente accolto nella Chiesa. Il Concilio ha così definito come dogma della fede quella verità essenziale, secondo cui il messaggio cristiano è tradizione "paràdosis". Nella misura in cui la Chiesa si è sviluppata nel tempo e nello spazio, la sua intelligenza della tradizione, della quale è portatrice, ha conosciuto anch'essa le tappe di uno sviluppo, la cui investigazione costituisce, per il dialogo ecumenico e per ogni autentica riflessione teologica, un percorso obbligatorio.


6. Già san Paolo c'insegna che, per la prima generazione cristiana, la "paràdosis" consiste nella proclamazione dell'evento del Cristo e del suo significato per il presente, nel quale opera la salvezza tramite l'azione dello Spirito Santo (cfr. 1Co 15,3-8 1Co 15,11 1Co 15,2). La tradizione delle parole e degli atti del Signore è stata raccolta nei quattro Vangeli, ma senza esaurirsi in essi (cfr. Lc 1,1 Jn 20,30 Jn 21,25). Questa tradizione originaria è tradizione "apostolica" (cfr. 2Tm 2,14-15 Gd 2Tm 17 2P 3,2). Essa non riguarda soltanto il "deposito" della "sana dottrina" (cfr. 2Tm 1,6 2Tm 1, , ma anche le norme di condotta le regole della vita comunitaria (cfr. 2Tm 4,1-7; 1Co 4,17;11,16;14,33). La Chiesa legge la Scrittura alla luce della "regola della fede", cioè della sua fede vivente rimasta coerente con l'insegnamento degli apostoli. Ciò che la Chiesa ha sempre creduto e praticato, essa lo considera a giusto titolo come "tradizione apostolica".

Sant'Agostino dirà: "Un'osservanza mantenuta da tutta la Chiesa e sempre conservata senza esser stata istituita dai Concilii si presenta a pieno diritto nient'altro che come tradizione derivante dall'autorità degli apostoli".

Difatti, le prese di posizione dei Padri nei grandi dibattiti teologici del IV e V secolo, l'importanza crescente dell'istituto sinodale a livello regionale ed universale, hanno gradualmente fatto della tradizione la "tradizione dei Padri" o "tradizione ecclesiastica", intesa come sviluppo omogeneo della tradizione apostolica. E così che san Basilio Magno fa appello alle "tradizioni non scritte", che sono le "tradizioni dei Padri", per fondare la sua teologia trinitaria, e sottolinea la doppia provenienza della dottrina della Chiesa "dall'insegnamento scritto come pure dalla tradizione apostolica".

Lo stesso Concilio Niceno II, che cita opportunamente san Basilio a proposito della teologia delle immagini, ha invocato anche l'autorità dei grandi dottori ortodossi, come san Giovanni Crisostomo, san Gregorio di Nissa, san Cirillo d'Alessandria, san Gregorio Nazianzeno. San Giovanni Damasceno aveva parimenti rilevato l'importanza per la fede delle "tradizioni non scritte", cioè non contenute nella Scrittura, allorché dichiara: "Se qualcuno presentasse un Vangelo diverso da quello che la Chiesa cattolica ha ricevuto dai santi apostoli, dai Padri e dai Concilii, e che essa ha conservato fino a noi, non l'ascoltate".


7. Più vicino a noi, il Concilio Vaticano II ha rimesso in piena luce l'importanza della "tradizione che proviene dagli apostoli". Infatti, "la Sacra Scrittura è parola di Dio, in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio; la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, viene trasmessa integralmente dalla Sacra Tradizione ai loro successori". "Ciò che fu trasmesso dagli apostoli comprende tutto ciò che contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della fede". Insieme con la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione costituisce un "unico deposito sacro della parola di Dio, affidato alla Chiesa". L'interpretazione autentica "della Parola di Dio scritta o trasmessa è affidata al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo". E' attraverso una eguale fedeltà al tesoro comune della tradizione risalente agli apostoli che le Chiese oggi si sforzano di chiarire i motivi delle loro divergenze e le ragioni per superarle.


8. La terribile "controversia sulle immagini", che ha dilacerato l'impero bizantino sotto gli imperatori isaurici Leone III e Costantino V tra il 730 e il 780 e di nuovo sotto Leone V, dall'814 all'843, si spiega principalmente con la questione teologica, che ne fu all'inizio il fulcro.

Senza ignorare il pericolo di un risorgere sempre possibile delle pratiche idolatriche pagane, la Chiesa ammetteva che il Signore, la beata Vergine Maria, i martiri e i santi fossero rappresentati in forme pittoriche o plastiche per sostenere la preghiera e la devozione dei fedeli. Era chiaro a tutti, secondo la formula di san Basilio, ricordata dal Niceno II, che "l'onore reso all'icona è diretto al prototipo". In Occidente, il Papa san Gregorio Magno aveva insistito sul carattere didattico delle pitture nelle Chiese, utili perché gli illetterati "guardandole possano almeno leggere sui muri, quello che non sono capaci di leggere nei libri", e sottolineava che questa contemplazione doveva condurre all'adorazione dell'"unica e onnipotente Santa Trinità". E' in questo contesto che si è sviluppato, in particolare a Roma nel secolo VIII, il culto delle immagini dei santi, dando luogo ad una mirabile produzione artistica.

Il movimento iconoclastico, rompendo con la tradizione autentica della Chiesa, considerava la venerazione delle immagini come un ritorno all'idolatria.

Non senza contraddizione e ambiguità, esso proibiva la rappresentazione del Cristo e le immagini religiose in genere, ma continuava ad ammettere le immagini profane, in particolare quelle dell'imperatore con i segni di riverenza che vi erano connessi. Il nucleo dell'argomentazione degli iconoclasti era di natura cristologica. Come dipingere il Cristo che unisce nella sua persona, senza confonderle nè separarle, la natura divina e la natura umana? Da una parte è impossibile rappresentare la sua divinità inafferrabile; dall'altra, rappresentarlo solamente nella sua umanità sarebbe dividerlo, separando in lui la divinità dall'umanità. Scegliere l'una o l'altra di queste due vie condurrebbe alle due eresie cristologiche opposte del monofisismo e del nestorianesimo.

Infatti, chi pretendesse di rappresentare il Cristo nella sua divinità si condannerebbe ad assorbirvi la sua umanità, e chi ne mostrasse soltanto un ritratto d'uomo, verrebbe ad occultare che egli è anche Dio.


9. Il dilemma, posto dagli iconoclasti, andava ben al di là della questione sulla possibilità di un'arte cristiana; esso metteva in causa tutta la visione cristiana della realtà dell'Incarnazione, e quindi dei rapporti tra Dio e il mondo, tra la grazia e la natura, in breve la specificità della "nuova alleanza", che Dio ha concluso con gli uomini in Gesù Cristo. I difensori delle immagini l'hanno ben avvertito: secondo una espressione del Patriarca di Costantinopoli san Germano, illustre vittima dell'eresia iconoclastica, era tutta "l'economia divina secondo la carne" che veniva rimessa in questione. Infatti, vedere rappresentato il volto umano del Figlio di Dio, "icona del Dio invisibile" (Col 1,15), è vedere il Verbo fatto carne (cfr. Jn 1,29). L'arte può dunque rappresentare la forma, l'effige del volto umano di Dio e condurre colui che lo contempla all'ineffabile mistero di questo Dio fatto uomo per la nostra salvezza. così il Papa Adriano scriveva: "Per il tramite di un volto visibile, il nostro spirito sarà trasportato per attrazione spirituale verso la maestà invisibile della divinità attraverso la contemplazione dell'immagine, in cui è rappresentata la carne che il Figlio di Dio si è degnato di prendere per la nostra salvezza, così adoriamo e insieme lodiamo, glorificandolo in spirito, questo medesimo Redentore, poiché, come è scritto, "Dio è spirito", ed è per questo che adoriamo spiritualmente la sua divinità".

Il Niceno II ha pertanto riaffermato solennemente la distinzione tradizionale tra "la vera adorazione "latrèia"" che "secondo la nostra fede conviene alla sola natura divina" e "la prosternazione d'onore "timetikè proskynesis"" che viene attribuita alle icone, perché colui che si prosterna davanti all'icona, si prosterna davanti alla persona "l'ipostasi" di colui che è in essa raffigurato".

L'iconografia del Cristo impegna pertanto tutta la fede nella realtà dell'Incarnazione e nel suo significato inesauribile per la Chiesa e per il mondo.

Se la Chiesa usa praticarla, lo fa perché è convinta che il Dio rivelato in Gesù Cristo ha realmente riscattato e santificato la carne e tutto il mondo sensibile, cioè l'uomo con i suoi cinque sensi, al fine di permettergli "di rinnovarsi costantemente secondo l'immagine del suo Creatore" (Col 3,10).


10. Il Concilio Niceno II ha pertanto sancito la tradizione secondo cui "sono da esporre immagini venerabili e sante, a colori, in mosaico e in altra materia adatta, nelle sante Chiese di Dio, sui vasi e i paramenti sacri, sui muri e sulle tavole, nelle case e nelle vie; e cioè sia l'icona del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, sia quella della nostra Signora Immacolata, la santa "Theotokos", sia quella dei venerabili angeli e di tutti gli uomini santi e pii". La dottrina di questo Concilio ha alimentato l'arte della Chiesa tanto in Oriente quanto in Occidente, ispirandole opere di una bellezza e di una profondità sublimi.

In particolare, la Chiesa greca e quelle slave, fondandosi sulle opere dei grandi teologi "iconoduli" che furono san Niceforo di Costantinopoli e san Teodoro Studita, hanno considerato la venerazione dell'icona come parte integrante della liturgia, a somiglianza della celebrazione della Parola. Come la lettura dei libri materiali permette di far comprendere la parola vivente del Signore, così l'ostensione di una icona dipinta permette, a quelli che la contemplano, di accostarsi ai misteri della salvezza mediante la vista. "Ciò che da una parte è espresso dall'inchiostro e dalla carta, dall'altra, nell'icona, è espresso dai diversi colori e da altri materiali".

In Occidente, la Chiesa di Roma si è distinta, senza mai venir meno, per la sua azione in favore delle immagini, soprattutto in un momento critico in cui, tra l'825 e l'843, gli imperi bizantino e franco erano ambedue ostili al Niceno II. Al Concilio di Trento, la Chiesa cattolica ha riaffermato la dottrina tradizionale contro una nuova forma di iconoclastia che allora si manifestava. Più recentemente, il Vaticano II ha richiamato con sobrietà l'atteggiamento permanente della Chiesa riguardo alle immagini e all'arte sacra in generale.


11. Da alcuni decenni, si nota un ricupero di interesse per la teologia e la spiritualità delle icone orientali; è un segno di un crescente bisogno del linguaggio spirituale dell'arte autenticamente cristiana. A questo proposito, non posso non invitare i miei fratelli nell'episcopato a "mantenere fermamente l'uso di proporre nelle Chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre", e ad impegnarsi perché sorgano più opere di qualità veramente ecclesiale. Il credente di oggi, come quello di ieri, deve essere aiutato nella preghiera e nella vita spirituale con la visione di opere che cercano di esprimere il mistero senza per nulla occultarlo. E' questa la ragione per la quale oggi come per il passato, la fede è l'ispiratrice necessaria dell'arte della Chiesa.

L'arte per l'arte, la quale non rimanda che al suo autore, senza stabilire un rapporto con il mondo divino, non trova posto nella concezione cristiana dell'icona. Quale che sia lo stile che adotta, ogni tipo di arte sacra deve esprimere la fede e la speranza della Chiesa. La tradizione dell'icona mostra che l'artista deve avere coscienza di compiere una missione al servizio della Chiesa.

L'autentica arte cristiana è quella che, mediante la percezione sensibile, consente di intuire che il Signore è presente nella sua Chiesa, che gli avvenimenti della storia della salvezza danno senso e orientamento alla nostra vita, e che la gloria la quale ci è promessa, trasforma già la nostra esistenza.

L'arte sacra deve tendere ad offrirci una sintesi visuale di tutte le dimensioni della nostra fede. L'arte della Chiesa deve mirare a parlare il linguaggio dell'Incarnazione ed esprimere con gli elementi della materia colui che "si è degnato di abitare nella materia e operare la nostra salvezza attraverso la materia", secondo la bella formula di san Giovanni Damasceno.

La riscoperta dell'icona cristiana aiuterà anche a far prendere coscienza dell'urgenza di reagire contro gli effetti spersonalizzanti, e talvolta degradanti, delle molteplici immagini che condizionano la nostra vita nella pubblicità e nei mass-media; essa infatti è una immagine che porta su di noi lo sguardo di un Altro invisibile, e ci dà accesso alla realtà del mondo spirituale ed escatologico.


12. Amatissimi fratelli, nel ricordare l'attualità dell'insegnamento del VII Concilio Ecumenico, mi sembra che siamo da esso richiamati al nostro compito primordiale di evangelizzazione. La crescente secolarizzazione della società mostra che essa sta diventando largamente estranea ai valori spirituali, al mistero della nostra salvezza in Gesù Cristo, alla realtà del mondo futuro. La nostra tradizione più autentica, che condividiamo pienamente con i fratelli ortodossi, ci insegna che il linguaggio della bellezza, messo a servizio della fede, è capace di raggiungere il cuore degli uomini e di far loro conoscere dal di dentro colui che osiamo rappresentare nelle immagini, Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo "lo stesso ieri e oggi e per tutti i secoli" (He 13,8).

Imparto a tutti di gran cuore la benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso san Pietro, nella memoria liturgica di san Giovanni Damasceno, presbitero e dottore della Chiesa, il 4 dicembre 1987, decimo di pontificato.

1987-12-04 Data estesa: Venerdi 4 Dicembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - A Sua Santità Dimitrios I - Città del Vaticano (Roma)