GPII 1987 Insegnamenti - A vescovi francesi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A vescovi francesi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Stimolate i cristiani a portare la speranza del Vangelo

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.


1. Il presidente della vostra regione apostolica Provenza-Mediterranea, mons. Jean Cadilhac, ha appena espresso il senso della vostra visita "ad limina" evocando la vita delle vostre diocesi; lo ringrazio vivamente. Sono felice di accogliervi insieme al termine dei nostri colloqui particolari. Siete venuti alle tombe di Pietro e Paolo: che essi sostengano la vostra opera di pastori per mezzo della loro intercessione! Spero che i nostri incontri, così come gli scambi che avete nei diversi Dicasteri della Curia, vi incoraggeranno a portare il vostro fardello spirituale con un ardore rinnovato, in unione fraterna con il successore di Pietro e con la Chiesa universale.

Avete sottolineato ciò che è fonte di azione di grazia nel vostro ministero, senza minimizzare le difficoltà che bisogna affrontare. Con voi rendo grazie per la vitalità delle comunità di cui siete pastori. In questo spirito vi chiedo di portare ai vostri immediati collaboratori e all'insieme dei sacerdoti delle vostre diocesi e ai diaconi permanenti il mio cordiale saluto e i miei incoraggiamenti nel continuare il loro compito, che so essere molto pesante.

Direte ai religiosi e alle religiose, contemplativi e apostolici, la stima affettuosa del Papa per la loro fedeltà alla consacrazione al Signore e a molte forme di servizio dei loro fratelli. Tramite voi vorrei esprimere particolarmente la gratitudine della Chiesa ai laici che accettano delle responsabilità e dei servizi essenziali; e auguro a tutti i battezzati delle vostre diocesi di rinnovare la loro adesione alla buona novella della salvezza e di prendere sempre più attivamente il loro posto, per quanto umile sia, tra le membra viventi del corpo di Cristo.


2. La visita "ad limina" è per voi l'occasione di un bilancio. Nelle vostre relazioni mostrate l'attenzione che portano i pastori a tutta la vita di una vasta regione, a una popolazione numerosa e diversificata. Una situazione geografica e un ambiente naturale eccezionali in un'atmosfera calorosa attirano molti nuovi residenti, senza contare i milioni di turisti e di ospiti temporanei. Malgrado un rinnovamento sensibile delle attività rimangono considerevoli i problemi di ordine economico e sociale. Queste difficoltà di un mondo in parte destabilizzato, sono per le comunità cristiane nuove sfide.

Le vostre numerose preoccupazioni si aggiungono a quelle espresse dai vostri confratelli delle altre regioni della Francia. Con loro ho sviluppato molti temi che toccano direttamente la vitalità della Chiesa presente nella società, le parrocchie, i movimenti, le famiglie. Ho ricordato l'importanza della pastorale dei sacramenti, a cominciare dall'assemblea eucaristica domenicale, quella della formazione cristiana dei giovani e degli adulti particolarmente nel campo etico, quella dell'accoglienza e dell'evangelizzazione dei battezzati non praticanti. Vi ricordate anche la nostra meditazione sul sacerdozio e la vocazione all'epoca del mio pellegrinaggio ad Ars, così come altri punti affrontati durante questo viaggio pastorale. Senza ritornare su tutto ciò, vi propongo una riflessione sulle differenti forme della missione che Cristo affida a tutta la sua Chiesa.


3. Quando analizzate la situazione degli uomini e delle donne presso i quali il Signore vi manda a portare il suo messaggio di salvezza, constatate la crisi intellettuale, spirituale e morale che attraversa una società disorientata: il senso della vita e della dignità della persona è ricercata nel mezzo di una confusione di valori che può portare fino alla disperazione. A causa dell'incertezza che segna più o meno fortemente i nostri contemporanei, è urgente rispondere alle loro attese spesso non formulate.

Che le comunità cristiane prendano coscienza della loro missione! E che riscoprano più vivamente la forza della speranza che porta il Vangelo! Nel momento in cui sulle strade della vita gli uomini brancolano, soffrono e cadono bisogna che la Parola di verità sia loro trasmessa. I discepoli di Cristo uniti e motivati da un amore fraterno, devono ascoltare le domande, gli appelli che sorgono intorno a loro. E poiché sono ricchi di ciò che hanno ricevuto, hanno l'audacia d'interrogare a loro volta tutti coloro che si perdono o traviano i loro simili sulle vie senza uscita di un'individualismo chiuso o dell'indifferenza a valori essenziali.

Si, si tratta di evangelizzare dapprima il mondo nel quale si vive.

Sembra che i cristiani non si sentano troppo spesso responsabili personalmente di questa grande missione, lasciandone la responsabilità al clero o ad alcuni "apostoli" laici che sono ammirati senza essere seguiti. Un atteggiamento simile va contro la natura stessa della Chiesa nella quale tutte le membra del corpo devono manifestare, con la vitalità del loro gruppo, il dinamismo del Vangelo e la presenza di Cristo nella nostra storia. I movimenti ecclesiali hanno intuito che la missione dei cristiani si esercita nella famiglia, nell'educazione, negli ambienti professionali, nei luoghi nei cui si risiede. Le vostre relazioni sottolineano la loro attività e anche la necessità di stimolare i cristiani a partecipare più numerosi e in modo più determinato, più coraggioso, oserei dire, alla testimonianza della fede. E' vostro compito, lo sapete bene, accogliere e approvare le nuove iniziative, favorire i mezzi di formazione continua dei cristiani e la più ampia diffusione di una parola cristiana anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale dei quali potete disporre. E' necessaria l'opera dei responsabili a tutti i livelli, ma bisogna ripeterlo, ogni cristiano deve sentirsi chiamato a rendere conto della speranza che è in lui (cfr. 1P 3,15), in comunione con i fratelli.


4. Affrontare le molteplice cure dell'evangelizzazione nella propria regione, rappresenta già un compito pesante. Tuttavia, una Chiesa particolare non può conservare il suo dinamismo senza partecipare concretamente alla missione in tutte le parti del mondo. Voi appartenete a un paese che ha una grande tradizione missionaria. La generosità apostolica della Francia si è manifestata con intensità nel corso dei secoli con la partenza di numerosi missionari verso tutti i continenti e la fondazione di Istituti la cui diffusione si è estesa ampiamente.

Non bisognerebbe che i cristiani di Francia ignorassero questa grande tradizione e non la facessero conoscere alle generazioni più giovani. Ma soprattutto è necessario che la Chiesa in Francia conservi la sua generosità nelle condizioni ora differenti dell'attività missionaria.

So che attualmente i vescovi francesi impiegano molti sforzi per mantenere i numerosi legami stabiliti con le giovani Chiese per mezzo di coloro che hanno portato il Vangelo. Da voi, gli Istituti missionari hanno spesso delle comunità che possono informare i fedeli della loro esperienza. Nelle giovani Chiese, il loro ruolo si è evoluto, tenuto conto del trasferimento di responsabilità alle gerarchie locali. Sono condotti a una privazione spirituale esigente, per servire una pastorale di cui non hanno più l'intera iniziativa.

Conservano tuttavia la loro primaria vocazione, quella di fondare la Chiesa, là dove il Cristo non è conosciuto, quella di allargare le frontiere e di permettere alle nuove Chiese di vivere tutta l'ampiezza della missione universale grazie alla vocazione dei giovani che accettano tutti i rischi di un impegno totale alla sequela del Signore.

All'azione originale degli Istituti e alla vocazione missionaria in senso stretto, si è aggiunta una cooperazione dalle forme molteplici. Le Pontificie Opere Missionarie, di cui a Lione ho ricordato la fondazione, sono un mezzo essenziale, non solo di ripartizione dei doni indispensabili alla sopravvivenza del bene delle comunità più sfortunate, ma anche di risveglio e di animazione della cooperazione missionaria. Il vostro paese ha saputo ricevere anche la chiamata del "Fidei donum", la maggior parte delle diocesi e delle congregazioni diocesane hanno compreso che malgrado la loro povertà reale la partenza di alcuni dei loro membri non ha portato loro dei pregiudizi, ma ha aggiunto una nuova dimensione alla loro azione. La chiamata del "Fidei donum" è stata ampiamente sentita anche dai laici. Essi portano, anche se per una durata limitata, una competenza tecnica, ma più ancora la testimonianza di uomini e di donne la cui fede è molto forte e umile per percepire ciò che i cristiani del luogo vivono. Arrivano a condividere ciò che lo Spirito ha permesso loro di conoscere e di vivere. Tali scambi sono benefici e ci rinviano direttamente alle lettere di san Paolo, che insisteva sull'indispensabile relazione tra le Chiese, e l'unità del corpo di Cristo.

Altre iniziative contribuiscono felicemente a mantenere aperto lo spirito missionario. Penso ai vostri incontri con i vescovi delle giovani Chiese, e auguro che ne rendiate conto ai cristiani delle vostre diocesi affinché i vostri scambi diventino il bene di tutti. Dall'altra parte le vostre comunità conservano vivi legami con i missionari che ne sono originari. Accolgono anche i cristiani venuti dai paesi lontani, per i loro studi o per il loro lavoro: è bene non lasciare isolati questi stranieri che sono dei fratelli che a loro volta hanno molto da dare al vecchio continente.

Ricorderei ancora la presenza nelle vostre diocesi di gruppi di emigrati non cristiani tra i quali molti hanno una viva fede religiosa. E' importante invitare coloro che vivono accanto a loro giornalmente a conoscere meglio le loro tradizioni e, ov'è possibile, aprire un dialogo interreligioso nella chiarezza necessaria per evitare ogni equivoco, nella libertà spirituale degli uni e degli altri, nel reciproco rispetto della libertà delle persone.


5. Nel caso della vostra recente assemblea plenaria a Lourdes, avete a giusto titolo messo in relazione le diverse forme della solidarietà alla quale i cristiani sono chiamati. L'annuncio del Vangelo, l'aiuto allo sviluppo, la condivisione con i poveri rappresentano livelli distinti di un'unica opera. I vostri diocesani saranno utilmente incoraggiati nella loro generosità spirituale, apostolica e materiale, partecipando alle riflessioni che preparano un piano di solidarietà per la Chiesa in Francia.

Le vostre relazioni sottolineano il persistere e l'aggravarsi della povertà al centro di una società relativamente agiata e anche ricca.

L'emarginazione di un gran numero di uomini e donne sui quali si abbattono i flagelli della disoccupazione della mancanza di formazione della precarietà degli alloggi non può esser guardata da alcun cristiano come un male inevitabile che conduce quasi fatalmente a tutte le perversioni. Un elementare senso di fraternità impone di agire: l'azione individuale conserva il suo valore insostituibile, ma molto deve essere ancora fatto per riunire i mezzi e le competenze, ciò che fanno i vostri organismi specializzati. So che la loro preoccupazione dell'efficacia pratica va di pari passo con una concezione molto umana di coloro che hanno bisogno di essere aiutati.

Come ho detto a proposito dell'evangelizzazione, le responsabilità della solidarietà con il prossimo immediato non fanno dimenticare un'apertura universale ai bisogni di miliardi di esseri umani meno favoriti. A vent'anni dall'enciclica "Populorum Progressio" è una soddisfazione vedere molti cristiani delle vostre diocesi portare un contributo generoso allo sviluppo integrale dell'uomo. Vivendo in "una civiltà della solidarietà", seguendo la parola di Paolo VI, la responsabilità morale non può fermarsi alle frontiere poiché è sempre l'uomo ad esserne il soggetto.

Continuate lo sforzo di concertazione e di organizzazione; è infatti auspicabile che l'amore preferenziale dei poveri, qui e altrove, si traduca in iniziative riflesse e il più possibile coordinate. Da parte sua la Santa Sede ha affidato al Consiglio Pontificio "Co Unum" la missione di favorire i contatti e l'armonia delle iniziative. Voi stessi approfondite la vostra collaborazione con le Chiese locali sia per gli aiuti urgenti che per una cooperazione a lungo termine. Questi sforzi saranno resi più fruttuosi da una riflessione rinnovata sui fondamenti dottrinali e spirituali del dovere di solidarietà. In questo campo le ricerche devono approdare a una motivazione più viva da parte del popolo cristiano: che misuri meglio le esigenze dell'amore dei poveri ai quali Cristo dà la sua preferenza e con i quali egli si identifica. Comprendiamo allora che una vera comunione ecclesiale implica tutte le forme di solidarietà che abbiamo ricordato e che i cristiani contribuiscono a far progredire, in un mondo spesso duro per i più sfavoriti e per i più deboli, il senso dei diritti di ogni uomo ad essere rispettato come figli di Dio.


6. Cari fratelli nell'episcopato, la vostra visita "ad limina" termina il ciclo delle visite dei vescovi francesi. Voi avete dato una viva eco ai bisogni spirituali dei vostri compatrioti e testimoniato l'attività di comunità cristiane.

Rispondendo alla vostra fiducia, in profonda comunione con voi, rinnovo a tutti i miei incoraggiamenti, particolarmente alle diocesi del litorale mediterraneo, della Provenza del Languedoc e della Corsica. Che la Madre del Signore vi aiuti a proseguire il pellegrinaggio della fede! Che lo Spirito Santo faccia maturare in tutti voi i suoi doni, l'amore di Dio e degli altri una speranza audace! E che Dio benedica voi e i vostri diocesani.

1987-12-14 Data estesa: Lunedi 14 Dicembre 1987




Agli Universitari romani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella luce di Maria l'uomo può trovare l'orizzonte definitivo

Testo:

1. "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!" (Lc 11,27). così ha gridato "una donna di mezzo alla folla", desiderando manifestare la sua ammirazione per tutto ciò che Gesù faceva e insegnava.

Nelle parole della donna l'ammirazione per il Figlio si trasferisce sulla Madre. La donna è consapevole, in modo particolare, che essere uomo, essere "figlio dell'uomo" (come Gesù soleva dire di se stesso), vuol dire essere nato da donna, essere nato da una madre. Tutti ne siamo consapevoli, ma questa "donna di mezzo alla folla" - come ogni donna - lo è in modo particolare. La beatitudine del Figlio dell'Uomo! La beatitudine della Madre nel Figlio! 2. Questa "donna di mezzo alla folla" forse non sa che, pronunziando quelle parole, dà perfino compimento all'annunzio profetico di Maria, nel "Magnificat": "D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1,48).

La "donna di mezzo alla folla", il cui grido è stato fissato nel Vangelo di Luca, appartiene alla prima generazione di coloro che hanno chiamato "beata" la Madre del Redentore.


3. Da quel tempo tante generazioni sono passate con la stessa beatitudine sulle labbra e nel cuore. Nella preghiera cristiana si è radicato il saluto dell'angelo durante l'annunciazione, unito a quello di Elisabetta durante la visitazione: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!" (Lc 1,42).

Questa preghiera - la più "mariana" fra tutte quelle che diciamo - è nello stesso tempo profondamente cristocentrica. Maria è benedetta a motivo del Figlio. E' proprio in lui che l'Eterno Padre ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale (cfr. Ep 1,3): ha benedetto noi tutti, tutti gli uomini; in un certo senso tutto il creato; ma ella, la Madre, è stata benedetta da lui in modo eccellente; in lui nel Figlio, il Padre "ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi" (Ep 1,4); ha scelto noi tutti, ma ella, Maria, è stata scelta in modo particolare.

E' benedetta a motivo del Figlio, a motivo del Verbo che in lei "si fece carne". Ella, Vergine di Nazaret, appartiene inseparabilmente al mistero dell'incarnazione, alla verità sull'Emmanuele.


4. In questo mistero lei non viene in nessun modo "offuscata" o "assorbita". No! Ebbe ragione la "donna di mezzo alla folla" di rendere omaggio alla Madre a causa del Figlio. La maternità di Maria significa la pienezza e il culmine del suo "Io" femminile e della sua umana personalità.

Dato che - secondo il Concilio - l'uomo, la persona umana, non può "ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di sé (cfr. GS 24), allora queste parole si riferiscono a Maria in modo particolare. "Il dono sincero di sé" si è incontrato in lei con la "pienezza di grazia", proclamata dal divino messaggero a Nazaret. "Ti saluto, o piena di grazia", dice Gabriele (Lc 1,28). "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto", risponde Maria (Lc 1,38).

Mediante il dono più sincero di sé, del suo "Io" femminile, Maria diventa Madre del Verbo Eterno. "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte".


5. E' significativo che a questo grido di "una donna di mezzo alla folla", Gesù risponda: "Beati, piuttosto, coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,28). Ha voluto forse distrarre così l'attenzione dalla sua Madre terrena? Apparentemente forse si. Ma, nella sostanza, il Figlio di Maria ha spiegato nella sua risposta ancor più chiaramente perché lei è beata. Perché è beata la sua umana maternità.

Infatti la frase su "coloro che ascoltano la parola di Dio e l'osservano", si riferisce per eccellenza a lei, a Maria. La sua stessa maternità non è forse proprio il frutto del suo "ascoltare" la parola di Dio? Non è il frutto del suo perfetto "acconsentire" ad essa? E poi, non è di lei, di Maria, che l'evangelista dice: "Serbava tutte queste cose nel suo cuore"? (Lc 2,51).

Maria, Virgo audiens, la Vergine dell'ascolto. Maria, l'apice della sensibilità alla Parola e allo Spirito, che s'esprime nella Parola come Amore e Dono.


6. Alle parole della "donna di mezzo alla folla" Gesù risponde al plurale: "Beati... coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano". Gesù riconferma la beatitudine indirizzata a sua Madre, "situandola" in un certo senso in mezzo alla comunità: in mezzo a questo "noi", che prende origine all'ascolto della parola di Dio; in mezzo al popolo di Dio. In mezzo alla Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha seguito il suggerimento contenuto in questa risposta. Il documento principale del magistero conciliare, la costituzione "Lumen Gentium", fa vedere Maria presente nel mistero di Cristo e della Chiesa. Nella stessa prospettiva è stata scritta anche l'enciclica "Redemptoris Mater", che desidera "orientare" il modo di vivere l'attuale Anno mariano nella preparazione della fine del secondo e dell'inizio del terzo millennio dalla nascita di Cristo.

Filo conduttore di quest'Anno sono le parole della "Lumen Gentium", riportate più di una volta nell'enciclica: Maria "è figura della Chiesa... nell'ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo" (LG 63).


7. Queste parole costituiscono - si può dire - un'attuazione, cioè un modo di rendere presente nel nostro tempo la verità eterna dell'Avvento. Nello spirito di queste parole noi ci incontriamo anche oggi, in una sera d'Avvento, nell'ambiente delle università romane, in mezzo ai professori e agli studenti, la cui presenza nella basilica di San Pietro mi è molto cara.

Desidero porgere il mio cordiale saluto ai rettori delle università, ai chiarissimi professori, ai loro collaboratori, al personale di ciascun istituto accademico, qui presenti. E un affettuoso saluto rivolgo pure agli studenti e alle studentesse universitarie, che prendono parte alla celebrazione. A tutti il mio benvenuto per questo appuntamento liturgico, che, come di consueto, ci raccoglie nell'imminenza della festa di Natale.


8. In questo incontro liturgico tutti desideriamo vivere insieme questo "avanzare" del nostro pellegrinaggio sotto la guida della Vergine di Nazaret. Per armonizzare meglio la liturgia con la caratteristica del nostro ambiente, guardiamo verso la Madre di Dio, come a colei che la Chiesa chiama "Sede della sapienza".


9. Il concetto della sapienza ha per noi un'eloquenza particolare. Gli amatori della scienza non sono forse stati chiamati, una volta, "amici della sapienza" ("philo-sophoi")? E una tale definizione si trova al fondamento di tutta la nostra cultura e civiltà.

Occorre tuttavia rilevare che i più eminenti tra i "philosophoi" (come Aristotele di Stagira) distinguevano tra la "scienza" e la "sapienza". La scienza riguarda gli oggetti della natura, che vengono conosciuti dall'intelletto mediante i sensi: riguarda quindi il mondo visibile. La sapienza raggiunge le ragioni ultime di ogni cosa. Dà risposta alla domanda circa la "prima causa" e il "fine ultimo". In questo modo la sapienza consente all'uomo di definire se stesso "fino alla fine" in mezzo all'intero universo. Gli consente anche di ritrovare il senso fondamentale della propria esistenza.


10. Questa distinzione antichissima è valida per tutta la dottrina della conoscenza, e anche per la filosofia dell'ente, la metafisica. Essa è stata ripresa e approfondita nella riflessione cristiana alla luce della rivelazione biblica. Tale distinzione non cessa di essere attuale in tutte le epoche. Ma, per quanto riguarda la nostra epoca, si deve constatare che si è avuto in essa un progresso gigantesco nell'ambito della "scienza" e invece un notevole "offuscamento" in quello della sapienza.

A questo si riferisce l'enunciazione significativa del Concilio nella costituzione "Gaudium et Spes" (GS 15): l'uomo "nell'epoca nostra... ha conseguito successi notevoli particolarmente nella investigazione e nel dominio del mondo materiale. E tuttavia egli ha sempre cercato e scoperto una verità più profonda...

L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. E' in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi". Di conseguenza, l'uomo contemporaneo vive spesso senza un "orizzonte" definitivo. A volte sperimenta persino sensibilmente la mancanza mentale della vita.

Il nostro odierno incontro d'Avvento vuol fare riferimento a tale situazione dell'uomo contemporaneo. Proprio per questo ci riuniamo intorno a Maria, invocata dalla Chiesa sotto il titolo di "Sede della sapienza".


11. La sapienza di cui ha parlato Aristotele non è la stessa che ci è proclamata oggi dalla liturgia, innanzitutto nella prima lettura. Il Libro del Siracide contiene la verità rivelata sulla Sapienza. Ciò che ha insegnato il filosofo greco non si identifica con la verità della rivelazione. Tuttavia non è in contrasto con essa. In un certo senso è un correlato "umano" di questa verità divina. E', si può dire, un andare incontro ad essa.

"Avvicinatevi tutti a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti... il mio ricordo durerà di generazione in generazione... Chi mi ascolta, non sarà deluso; e chi compie le mie opere, non peccherà. Chi mi rende onore, avrà la vita eterna" (Si 24,18 Si 24,19 Si 24,21).


12. Ascoltando queste parole è difficile opporsi alla convinzione che qui si tratta di una "personificazione" della Sapienza. Questa Sapienza è nello stesso tempo un "attributo" e un "soggetto". E' un attributo di Dio, e nello stesso tempo s'identifica con lui. E' Dio. Ha carattere di persona.

E in tale veste la Sapienza, quale Persona, manifesta il desiderio di venire verso l'uomo, di scendere tra i figli e le figlie di Israele, per potersi comunicare loro più direttamente: "avvicinatevi... mangiate... bevete...".

Sentiamo di trovarci già nell'atrio del Vangelo. Nell'Antico Testamento vi è ancora un velo sull'eterno mistero divino. Tuttavia questo velo sarà calato, e Giovanni evangelista (come un'ultima eco di questi contenuti sapienziali) scriverà semplicemente: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... Tutto è stato fatto per mezzo di lui... In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Jn 1,1-4).

Infine: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi... e noi vedemmo..." (Jn 1,14).


13. "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Nel contesto dell'odierna liturgia diventa a noi chiaro perché la Chiesa chiama Maria "Sede della sapienza". La Sapienza "si fece carne" in lei: "Ecco concepirai... e darai alla luce" (Lc 1,31).

Per noi qui riuniti - per noi, la cui vocazione nella vita è collegata con la promozione della scienza, con la conoscenza di tante sue attuali specializzazioni; per noi, che nello stesso tempo siamo chiamati alla sapienza, che cerchiamo le ragioni ultime e ci interroghiamo costantemente circa il senso profondo delle scienze, - per noi l'odierna liturgia contiene la seguente risposta: la Sapienza è Persona. E' il Verbo-Figlio. E' anche Figlio della Vergine. Maria quale Madre del Verbo è sede di questa Sapienza.


14. E questa Sapienza parla in Maria e mediante Maria: "Avvicinatevi tutti a me... saziatevi dei miei frutti... mangiate... bevete. Chi mi ascolta, non sarà deluso, e chi compie le mie opere, non peccherà".

"Santifica, Signore, le offerte che portiamo all'altare, e per intercessione della gloriosa Vergine Maria edifica nei nostri cuori una dimora degna della tua Sapienza. Per Cristo nostro Signore". (Preghiera sulle offerte).

1987-12-15 Data estesa: Martedi 15 Dicembre 1987









Ai monaci e monache Cistercensi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Priorità della preghiera nella vita contemplativa

1. E' rispondendo al desiderio che avete espresso di manifestare al successore di Pietro la vostra affezione filiale e il vostro fedele attaccamento, che vi accolgo volentieri oggi, cari fratelli e sorelle dell'Ordine Cistercense riformato nell'eccezionale circostanza della celebrazione simultanea dei vostri rispettivi capitali generali.

Sono particolarmente felice di salutare gli abati, le badesse e i qualificati rappresentanti di circa 150 monasteri che comprendono più di cinquemila monaci e monache diffusi nel mondo intero. Tutti i membri della vostra grande famiglia hanno ora gli occhi puntati su di voi; attendono da parte vostra delle decisioni che li aiuteranno a vivere la magnifica vocazione alla quale essi sono stati chiamati in un'autenticità sempre più grande. Il Concilio Vaticano II nel decreto "Perfectae Caritatis" (PC 7), insiste infatti sul ruolo eminente della vita integralmente contemplativa nel corpo mistico di Cristo. I membri di queste comunità "offrono a Dio un sacrificio di lode; illustrano il popolo di Dio con abbondanti frutti di santità, trascinano con il loro esempio e procurano la sua crescita attraverso una segreta fecondità apostolica. Essi sono così l'onore della Chiesa e fonte di grazie celesti".

2. Monaci e monache, voi centrate la vostra vita contemplativa sulla preghiera assidua, espressione del vostro amore di Dio e degli uomini. Nel silenzio e nella solitudine, vivete in monasteri che raramente lasciate, protetti dalla disciplina della clausura, liberamente e risolutamente voluta in ragione del grande bene spirituale che essa procura. Accettate gioiosamente una grande austerità, poiché essa vi aiuta a concentrarvi sull'essenziale e vi unisce più intimamente a Cristo.

Voi tutti Cistercensi dell'Ordine Riformato seguendo le orme di san Bernardo vi sforzate di mettere in pratica la Regola benedettina nella sua integrità cercando Dio nell'imitazione di Cristo, sotto la guida dei superiori, secondo la Carta di Carità che fissa le modalità della vostra vocazione debitamente autenticata dalla Chiesa.

Figli e figlie di san Benedetto, siete convinti che niente deve essere preferito all'opera di Dio; con la celebrazione dell'Ufficio divino, voi gli offrite il sacrificio di lode e intercedete per la salvezza del mondo. D'altra parte la "lectio divina", attraverso la meditazione della parola di Dio, è per tutti voi fonte di preghiera e scuola di contemplazione. La Carta di Carità pone anche l'accento sulla carità fraterna che vi unisce. Avete la preoccupazione che "nessuno sia turbato o rattristato nella casa di Dio" (san Benedetto), e che ogni chiostro sia un luogo in cui si faccia esperienza che "è buono che i fratelli vivano insieme" (Ps 132,1).


3. Monaci e monache, voi appartenete alla stessa famiglia spirituale e condividete lo stesso patrimonio monastico che dovete salvaguardare. Cooperate e aiutatevi a vicenda tenendo conto delle vostre rispettive autonomie e delle disposizioni previste dalla Chiesa. E' in questo spirito che la Santa sede, fedele agli insegnamenti conciliari sul ruolo della donna nel mondo contemporaneo, dal 1970 ha permesso al ramo femminile del vostro Ordine di avere un proprio capitolo generale per trattare le questioni particolari che lo riguardano e anche per studiare e redigere una legislazione propria.

Da molti anni, per rispondere alle disposizioni del motu proprio "Ecclesiae Sanctae", avete aperto da una parte e dall'altra la messa a punto dei vostri progetti di Costituzioni da sottomettere all'approvazione della Santa Sede.

Nel momento in cui questo compito giunge al termine, avete preso l'iniziativa di convocare a Roma i vostri due capitoli generali in sessioni distinte, ma con delle possibilità di contatti, con lo scopo di rendere solo più agevole l'ultima messa a punto degli elementi fondamentali comuni ai due rami.

Spero con voi che i progetti così stabiliti rispondano alle condizioni richieste, potranno servire allora norme di vita sia per i monaci che per le monache.


4. Terminate i vostri lavori durante l'Avvento, nel momento in cui la Chiesa si prepara in modo più immediato ad accogliere il Salvatore. Questo periodo è tutto riempito dalla presenza di Maria, Madre di Dio e Icona splendente della Chiesa, verso la quale san Bernardo mostrava una devozione ardente e filiale, rimasta pienamente nel patrimonio del vostro Ordine.

Vi chiedo di portare nei vostri monasteri a tutti i vostri fratelli e sorelle, specialmente agli ammalati e agli infermi, il mio saluto, i miei incoraggiamenti affettuosi e la mia benedizione. Prego la Vergine Maria di guidarvi e di aiutarvi nella vostra vita consacrata a Cristo e alla Chiesa. E vi benedico nel nome del Signore.

1987-12-17 Data estesa: Giovedi 17 Dicembre 1987




A vescovi polacchi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Impegno pastorale a educare all'uso della libertà nella verità

Testo:

Venerati fratelli, sign. cardinale, cari vescovi.

Il sign. cardinale, nella sua qualità di metropolita, ci ha illustrato la situazione della propria arcidiocesi. Nel gruppo presente al nostro incontro ci sono anche dei rappresentanti della Chiesa del territorio orientale nella nostra Repubblica, della metropolia di Leopoli e di quella di Vilna. Certamente oggi quelle diocesi sono parziali, una è addirittura completamente scomparsa dalla nostra attuale geografia polacca. Ciononostante queste diocesi parziali sono per noi una grande testimonianza del loro secolare patrimonio; del resto la loro presenza oggi tra noi non è casuale in quanto dopo la seconda guerra mondiale i nostri connazionali sicuramente hanno portato una gran parte di quel patrimonio all'Ovest, tra l'altro e forse soprattutto nella metropolia di Wroclaw. E' bene quindi che ci incontriamo qui tutti insieme. Con il mio discorso voglio piuttosto completare ciò che ho detto già in Polonia, soprattutto questo anno.


1. Nell'anno del millennio del Battesimo della Polonia siamo stati, il 3 maggio a Jasna Gora, testimoni e partecipanti dell'Atto di consacrazione le cui parole venivano pronunciate dal card. Stefan Wyszynski. L'Atto aveva un titolo che dava da pensare, e allo stesso tempo faceva sorgere alcune obiezioni o perfino proteste. Si può parlare del donarsi "come schiavo", anche se si tratta di una "schiavitù materna" e l'Atto in questione riguarda la Madre di Dio e Regina della Polonia? Venivano posti tali interrogativi. Tuttavia il contenuto dell'Atto di consacrazione che maturava gradualmente nella coscienza dell'episcopato millenario, e in particolare nel cuore del primate del millennio, merita una riflessione più approfondita. Non solo allora ma anche attualmente, mentre in tutta la Chiesa stiamo vivendo l'Anno mariano come una tappa importante della preparazione al termine del secondo e all'inizio del terzo millennio dalla venuta di Cristo. Forse dunque bisogna che noi, nell'ambito di questa visita "ad limina apostolorum" con i vescovi polacchi, torniamo anche a questo tema. In esso vi è contenuto non solo un evento "di ieri" che ormai fa parte del passato, ma forse anche indicatore di ciò che si potrebbe chiamare "la via polacca" verso l'inizio del terzo millennio del cristianesimo nel mondo, e specialmente in Europa.


2. L'Atto stesso di Jasna Gora è radicato - si può dire - nella storia di quel "grande paradosso" la cui prima patria è il Vangelo stesso. Si tratta qui non solo di paradossi verbali, ma di paradossi ontologici. Il più profondo di essi è forse il paradosso della vita e della morte, espresso tra l'altro nella parabola del seme che deve morire, per produrre una vita nuova. Il paradosso confermato definitivamente dal mistero pasquale.

La tradizione della "santa schiavitù" - cioè di una "schiavitù materna" che è "schiavitù d'amore" - è cresciuta sullo stesso terreno avendo trovato chi l'ha tramandata attraverso la storia della spiritualità cristiana. Basti nominare Simon de Montfort e il nostro san Massimiliano. Il primate del millennio ha ereditato questa tradizione della spiritualità mariana certamente anche con un accento apportato dal suo predecessore sulla sede di primate. Si sa che il card.

Hlond mori con la parole: "La vittoria, se verrà, sarà una vittoria per mezzo di Maria".

Così dunque "la materna schiavitù" deve rivelarsi come via verso la vittoria. Come prezzo della libertà. Del resto è difficile immaginare un Essere più lontano dal "rendere schiavi" di una Madre, della Madre di Dio. E se questo è il "rendere schiavi" mediante l'amore, allora in un tale riferimento la "schiavitù" costituisce proprio la rivelazione della pienezza della libertà. La libertà infatti raggiunge il proprio senso - cioè la propria pienezza - mediante un vero bene. L'amore è sinonimo di quel raggiungimento.


3. E' contenuto nell'Atto di Jasna Gora del 3 maggio 1966 qualche programma pastorale? Prima di tutto bisogna dire che esso in un certo modo sintetizza tutto il programma della grande novena prima del millennio del Battesimo. Questo programma - unito alla peregrinazione dell'immagine di Jasna Gora attraverso tutte le parrocchie della nostra terra - certamente ha dato grandi frutti. E ciò nel periodo di una grande lotta per l'anima dei polacchi. Penso anche che non possiamo trattarlo come un programma di ieri. I suoi elementi principali sono sempre attuali, anche se oggi forse in un contesto e in una forma un po' diversi.

Se si tratta dell'Atto stesso di consacrazione "della schiavitù materna" della Madre di Dio, esso è certamente - come ogni espressione del suo autentico culto - profondamente cristocentrico. Introduce nell'intero mistero di Cristo. Si può del resto dire con tutta fondatezza che le esperienze della nostra patria (che in un certo senso culminano nell'Atto di consacrazione pronunciato a Jasna Gora), stanno allo stesso tempo molto vicino a quella mariologia, che ha trovato espressione nella "Lumen Gentium": la Genitrice di Dio "presente nel mistero di Cristo e della Chiesa". L'enciclica "Redemptoris Mater" segue le orme della mariologia conciliare. E se si tratta dell'immagine di Maria che "precede" il popolo di Dio "nella peregrinazione mediante la fede" dietro a Cristo, quanto profondamente questa immagine è unita alla nostra esperienza!

4. Accanto al trasparente cristocentrismo, l'Atto di consacrazione "nella schiavitù materna" possiede allo stesso tempo un fondamento antropologico. Si sa infatti che, mentre si parla della "schiavitù", si indica la libertà. Il donarsi per amore deve educare la libertà umana. La libertà: la libera volontà delle persone, e indirettamente dell'intera società.

Non vi è compito che possa precludere in modo più profondo il fondamentale senso dell'evangelizzazione, dell'apostolato e della pastorale. Di che cosa si potrebbe trattare di più in questa nuova - seconda - evangelizzazione" (dopo il Vaticano II), di cui vedono la necessità gli episcopati d'Europa se non proprio questo: l'educazione della libertà umana? E' ovvio che questa evangelizzazione possiede la sua dimensione conoscitiva. Le nazioni europee - anche la nostra, anche se forse in un modo un po' diverso - si trovano sotto la pressione di molti cambiamenti nel campo della conoscenza, che hanno arato criticamente il suolo cristiano della "prima" evangelizzazione del nostro continente. E dunque: una "nuova" evangelizzazione deve possedere anche una "nuova" maturità in questo campo. Tuttavia tra la conoscenza e la libertà avviene una fondamentale "unione". "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32), dice Cristo, e queste parole rimangono sempre essenziali.

Dall'Atto del millennio a Jasna Gora scaturisce dunque il problema chiave per il nostro servizio pastorale: lottare per un buon uso - per un adatto uso - della libertà tra i nostri connazionali. Questo è sempre e ovunque usare la libertà nella verità! E cercare gli alleati in questa lotta. La Signora di Jasna Gora deve rimanere la prima tra loro.


5. Parlando della "schiavitù", l'Atto del millennio indica il prezzo del donare la libertà per la libertà. Esso è stato precisato meglio: "Per la libertà della Chiesa nel mondo e in Polonia". Il testo così formulato indicava quell'ambito della libertà che sembrava rispondere in modo particolare alle necessità del momento. "La libertà religiosa" come diritto delle persone e delle comunità ha trovato la sua espressione nella Dichiarazione delle Nazioni Unite, all'indomani dell'orribile esperienza della seconda guerra mondiale. Il Concilio Vaticano II sentiva il bisogno di emanare un apposito documento su questo tema. In diverse circostanze e in diversi modi si ritorna a questo argomento il quale - come si vede - non cessa di essere sempre attuale, e sempre necessario.

Bisogna subito aggiungere che il diritto alla libertà religiosa non può rimanere isolato fra l'insieme dei diritti della persona umana e delle comunità umane e delle società. Questi diritti riguardano molti aspetti dell'esistenza dell'uomo nell'ambito della società. Da un lato essi condizionano la dignità dovuta ad ogni persona (ovviamente: essi stessi non la formano ancora, essa infatti deve essere elaborata definitivamente dall'uomo come soggetto consapevole e responsabile) - d'altro lato i diritti di cui si tratta, rendono giusta la vita della comunità stessa garantendone la sua autentica soggettività.


6. Sullo sfondo di una profonda crisi, vissuta attualmente dal nostro paese, sembra che quel "prezzo della libertà", alla quale esorta l'Atto del millennio a Jasna Gora, deve essere esaminato anche sotto l'aspetto di ben intesi diritti dell'uomo nel campo socio-economico. L'Atto di Jasna Gora non si sottrae neanche ad una tale interpretazione, se ci rendiamo conto che lo stesso problema era contenuto già nei Voti di Jan Kazimierz, oltre trecento anni fa.

Verso il termine del ventesimo secolo questo problema deve essere ripreso nel contesto delle condizioni e circostanze attuali. Il diritto di proprietà è unito alla persona, anche quando si tratta della proprietà dei mezzi di produzione - è unito perché l'uomo sin dall'inizio è stato nominato dal Signore come padrone della creazione visibile. E' unito affinché possa essere correttamente liberata l'iniziativa economica, che serve non solo l'individuo ma anche la società. Questo principio, ritenuto da san Tommaso espressione del diritto di natura (cfr. II-II 65,2, ad c), appartiene a tutta la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, dalla "Rerum Novarum" sino alla "Laborem Exercens". Naturalmente il principio così posto non ha nulla in comune con l'assolutizzazione della proprietà dei mezzi di produzione. Per questa ragione parliamo addirittura dell'"ipoteca sociale" che grava sulla proprietà, riconoscendo allo Stato - per il bene dell'insieme del cittadini - il diritto di controllo in questo campo. Tuttavia una cosa è questo diritto e un'altra il distogliere - da parte del sistema - l'uomo dal banco di lavoro a lui proprio, l'annientamento dell'iniziativa economica, e indirettamente privarlo del senso del lavoro stesso. Questi sono i sintomi da noi conosciuti di una crisi che non può essere curata solo in superficie.


7. Cari fratelli nell'episcopato: metropolita di Wroclaw, vescovo di Opole, vescovo di Gorzow; venerati pastori dal di fuori della metropolia di Wroclaw: Amministratore Apostolico in Lubaczow, in Bialystok, in Drohiczyn, vescovo di Bomzya; cari fratelli vescovi titolari, che portate un efficace aiuto ai pastori delle predette Chiese.

Ho ricordato l'Atto del millennio a Jasna Gora, che si trova sulla nostra "via polacca" verso il nuovo millennio del cristianesimo e verso la nuova evangelizzazione della Chiesa in Polonia. Vi saro molto grato, se vorrete rifletterci su e sviluppare sul banco di lavoro dell'attività della Chiesa in Polonia ciò che ha detto oggi con grande brevità.

Naturalmente, noi non siamo politici né economisti. Conosciamo invece la dimensione etica e della politica e dell'economia. Siamo in grado anche in questo campo di distinguere il bene dal male. Che la Signora di Jasna Gora interceda per voi presso Cristo buon pastore, perché non vi manchi mai questa chiarezza di vedute, il coraggio e la generosità che rende credibile, davanti alla propria Nazione e all'umanità intera, tutta l'attività della Chiesa in Polonia.

Di cuore benedico la prima, la seconda e la terza metropolia e ciascuna diocesi singolarmente, pastori, sacerdoti, famiglie religiose maschili e femminili, e tutti coloro che costituiscono questa Chiesa, formulando in pari tempo i più sentiti auguri di buon Natale e di felice Anno nuovo. In questo modo voglio ricambiare l'augurio del Signor cardinale.

1987-12-18 Data estesa: Venerdi 18 Dicembre 1987





GPII 1987 Insegnamenti - A vescovi francesi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)