GPII 1988 Insegnamenti - Con i lavoratori di Oruro (Bolivia)

Con i lavoratori di Oruro (Bolivia)

Titolo: "Vi porto un messaggio di speranza, che non è passività"

Testo:

Cari fratelli e sorelle dell'altopiano, "Ancha manasghas runa masis, Diuspata Wawasnin".


1. Provo una grande gioia ad essere oggi qui insieme a voi a Oruro, per celebrare la nostra comune fede nel Cristo risorto. Che egli viva sempre nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre attività di ogni giorno.

Saluto con affetto, senza eccezioni, tutti i presenti. In particolare il pastore di questa diocesi, monsignor Julio Terrazas Sandoval, così come tutti i fratelli nell'episcopato che ci accompagnano insieme ai loro sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Tra voi c'è anche un gran numero di contadini, di operai e di abitanti dell'estrema periferia.

I miei occhi guardano con meraviglia questa vostra moltitudine riunita qui, per salutare il Papa e per renderlo partecipe della vostra vita, delle vostre preoccupazioni e speranze di un futuro migliore. So che per giungere in questo luogo molti di voi, famiglie intere di contadini, hanno dovuto percorrere lunghe distanze, con grandi sacrifici e sopportando i rigori di questa aspra natura del vostro altopiano. Voi minatori portate i segni della profonda miniera da dove estraete il minerale che per secoli è stata la principale fonte di ricchezza del vostro Paese. Venite anche da Potosi e da altri luoghi dell'altopiano; nei vostri volti si intravvedono i segni della solitudine, della fatica e delle privazioni, proprie di una vita austera, che vi ha insegnato a fare a meno anche delle cose indispensabili e che vi ha dato una tempra vigorosa, capace di resistere alla stanchezza e alle sofferenze e di avere speranza in mezzo alle avversità.

Nel vedere voi, contadini, minatori, lavoratori di ogni condizione, il mio cuore si eleva a rendere grazie a Dio Padre per il dono della fede che i vostri antenati seppero custodire come un grande tesoro e che voi cercate di incarnare nelle vostre vite e trasmettere ai vostri figli. Mi vengono alle labbra le parole di Gesù: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Questa preghiera del Signore risuona oggi con una eco particolare qui a Oruro, perché ai semplici di cuore Dio volle manifestare le ricchezze del suo Regno.

Vengo a farvi visita nel nome di Gesù, povero e umile, che ci ha dato come segno della sua realtà messianica l'annuncio della buona novella ai poveri (cfr. Mt 11,6); questo Gesù che aveva compassione per le moltitudini che venivano da ogni parte per ascoltare la sua parola, "perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (Mt 9,36). Vengo a portarvi un messaggio di speranza, che non vuole dire passività, di fronte alle situazioni di miseria, che ogni giorno divengono più evidenti, ma è invece impegno per la costruzione di una nuova società, fondata sull'amore, sulla solidarietà e la giustizia.

Conosco le difficoltà della vostra situazione attuale e voglio assicurarvi del rispetto con cui la Chiesa, madre premurosa, vi accompagna nelle vostre legittime aspirazioni. Voi contadini che rappresentate la grande maggioranza della popolazione, siete stati e continuate ad essere parte centrale della storia e dello spirito della Bolivia, giacché avete avuto parte importante in tanti momenti decisivi per la vostra patria.

So che molti lavoratori tra di voi sono stati trasferiti dai loro luoghi di lavoro. Le grandi miniere, che in anni passati erano la grande fonte della ricchezza nazionale, specialmente a Oruro e a Potosi, sono ora testimonianza muta di tantissime vite umane, consumate tacitamente in quei luoghi, senza forse aver avuto un adeguato e meritato riconoscimento da parte di coloro che beneficiarono del loro silenzioso sacrificio.

So anche che esiste grande ingiustizia nel salario che percepite e che il costo della vita continua a salire, rendendo sempre più arduo il compito di provvedere degnamente al mantenimento delle vostre famiglie. Motivo di profonda preoccupazione sono i casi di bambini che muoiono in tenera età a causa dei problemi di denutrizione e per mancanza di adeguati servizi sanitari, che provvedano alle necessità della popolazione. Sono anche a conoscenza della disoccupazione crescente che in questo momento ha raggiunto proporzioni allarmanti a livello nazionale.


2. Le quasi 4000 comunità contadine, sparpagliate per il vostro territorio, si vedono obbligate a sopportare un alto indice di povertà. Infatti un'elevata percentuale di famiglie non dispone di entrate sufficienti per provvedere alle necessità alimentari più basilari. D'altra parte, per quel che riguarda la distribuzione della terra, mi risulta che la Bolivia è stato uno dei primi Paesi latinoamericani a portare a termine una riforma agraria la quale permise inizialmente a molti di voi di acquistare almeno una piccola proprietà. Tuttavia gli inconvenienti della piccola proprietà - in un territorio immenso, poco popolato - e l'esistenza di vastissimi latifondi, non ha cessato di creare gravi problemi al lavoratore dei campi. Sono problemi molto seri e molto conosciuti, che esigono soluzioni audaci che facciano valere le ragioni della giustizia, vale a dire, questa ipoteca sociale che grava in realtà sulla proprietà privata. La dottrina sociale della Chiesa è stata costante nel difendere il concetto che i beni della creazione sono stati destinati da Dio a servizio e a vantaggio di tutti i suoi figli. Di conseguenza nessuno deve appropriarsene, ignorando le istanze superiori del bene comune. In conformità a questa dottrina, la Chiesa stessa ha sempre predicato la equa distribuzione delle terre da coltivare, secondo forme e modalità diverse, per dare ai contadini la possibilità di una vita degna che permetta un'adeguata educazione integrale dei loro figli e il necessario miglioramento della salute, dei metodi di lavoro e di commercializzazione dei prodotti, al giusto prezzo.

Non esito ad appellarmi al senso di giustizia e umanità di tutti i responsabili, perché vengano messi a disposizione dei contadini poveri della Bolivia tutti i mezzi possibili che elevino le loro condizioni economiche, culturali e sanitarie e conferiscano loro titolo di proprietà, di cui molti ancora sono privi.


3. Di fronte a tante situazioni di sofferenza, la Chiesa ha sempre l'orecchio attento al lamento dei poveri e solidarizza con coloro che soffrono lo sfruttamento, la fame e la miseria. Come già indicai nell'enciclica "Laborem Exercens", "La Chiesa è vivamente impegnata in questa causa, perché la considera come sua missione, suo servizio, come verifica della sua fedeltà a Cristo, onde essere veramente la "Chiesa dei poveri"" (LE 8).

L'opzione preferenziale, ma non esclusiva nè escludente, per i poveri è frutto dell'amore che è fonte di energia morale, capace di sostenere la nobile lotta per la giustizia e spinge a sua volta la Chiesa, insieme a tutte le persone di buona volontà, a cercare le vie più adatte che conducano ad una convivenza più fraterna, ad una società Regno della giustizia, dell'amore e della pace.

Questa ricerca deve ispirarsi, per un cristiano, alla Parola di Dio, di questo Dio che si rivela come vero Padre di tutti rendendoci tutti fratelli. La nostra fede nella paternità universale di Dio e nel Regno che Gesù è venuto ad annunciare, è alla base della nostra sollecitudine per la giustizia, senza perdere mai di vista che la nostra patria definitiva è nei cieli.


4. Proprio perché l'uomo è stato messo da Dio nel mondo per raggiungere la perfezione mediante il suo lavoro, bisogna rispettare e far rispettare il diritto di tutti gli esseri umani ad avere un lavoro, il quale "costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra" (LE 4). Come cristiani, non possiamo rimanere indifferenti di fronte all'attuale situazione di tanti fratelli boliviani, privati del diritto ad un lavoro onesto, di tante famiglie immerse nella povertà, di migliaia e migliaia di giovani che, non avendo una preparazione adeguata, vedono svanire le loro speranze e le prospettive di un futuro.

Sicuramente non si possono negare i buoni risultati conseguiti dallo sforzo congiunto della iniziativa pubblica e privata nei Paesi in cui vige un regime di libertà. Tali successi, tuttavia, non devono in alcun modo essere un pretesto per tralasciare i difetti di un sistema economico il cui motore principale è il profitto, in cui l'uomo si vede subordinato al capitale, e si trasforma in un elemento dell'immensa macchina produttiva, lasciando che il proprio lavoro venga ridotto a semplice merce, a discrezione delle oscillazioni della legge della domanda e dell'offerta.


5. Seppur di fronte ai non pochi fattori negativi che a volte potrebbero portare al pessimismo e alla disperazione, la Chiesa continua ad annunciare la speranza di un mondo migliore, poiché Gesù ha vinto il male. Gesù risorto è già l'inizio di questo mondo nuovo. Un mondo che promette di essere migliore, perché Cristo è il Signore della storia e nella misura in cui facciamo crescere l'uomo, costruiamo anche il Regno che egli è venuto a instaurare.

Questo mondo è in qualche modo già presente in mezzo a noi e dobbiamo guardarlo attentamente per scoprirne i segni di speranza, di vita e di risurrezione.

Infatti sono segni di speranza e primizia in un mondo nuovo: la fede che si fa vita e si manifesta nell'impegno per la giustizia; la ricerca di forme di convivenza sociale più umana e di modelli economici non basati esclusivamente sul lucro e sul consumo, ma sulla partecipazione e la solidarietà; il rifiuto di ogni forma di violenza, anche se fosse per porre fine ad una eventuale violenza istituzionale; la determinazione nel combattere la corruzione nelle sue diverse forme, la menzogna e l'immoralità pubblica e privata.


6. Cari fratelli, voi tutti che provenite dalla città e dalla campagna, dalle miniere e dal mondo dell'industria, lavoratori, abitanti delle estreme periferie, nel vedervi qui, in così gran numero, convenuti nella comune fede cristiana per incontrarvi con il successore dell'apostolo Pietro, mi viene spontaneo rivolgervi un appello alla solidarietà e alla fraternità senza frontiere.

Il sapervi figli dello stesso Dio, redenti per il sangue di Gesù Cristo, deve spingervi, mediante l'impulso della fede, a cercare con solidarietà le condizioni necessarie per rendere questa società e tutta la Bolivia un luogo più fraterno e capace di accoglienza. I criteri da adottare nella nobile lotta per la giustizia, non devono mai essere uno scontro tra fratelli, ma devono essere ispirati e mossi in ogni momento dai principi evangelici di collaborazione e dialogo, escludendo ogni forma di violenza. Siate certi che la violenza e l'odio sono semi maligni, incapaci di produrre qualcosa di diverso dall'odio e dalla violenza.

Proprio questa solidarietà a cui, come pastore della Chiesa universale, vi invito, ha le sue radici non in ideologie dubbie e passeggere ma nella perenne verità della buona novella portata da Gesù; ha le sue fondamenta insostituibili nella preghiera e nella celebrazione dei sacramenti, in particolare nella santa Messa, dove troverete la gioia di sentirvi membri di una sola famiglia: la Chiesa, Popolo di Dio e Corpo mistico di Cristo.

Nelle vostre parrocchie e nelle vostre comunità, dove si ascolta e si vive la Parola rivelata, vivrete in modo particolare la dignità di essere figli di Dio; un Dio che è sempre comprensivo e misericordioso con tutti coloro che soffrono: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,28-29).

A voi, sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti e a voi numerosi operatori pastorali, che vi impegnate con abnegazione nella vostra opera con i più bisognosi, rivolgo la mia esortazione a continuare il vostro compito apostolico nella piena comunione con i vostri pastori e con l'insegnamento della Chiesa, rendendovi strumento di santificazione mediante la parola e i sacramenti. Nel vostro ministero, siete chiamati a dare testimonianza di santità e donazione, coscienti che la vostra opera è soprattutto di carattere religioso, spirituale.

Non permettete che interessi estranei al Vangelo turbino la purezza della missione che la Chiesa vi ha affidato.

So che il vostro lavoro non è esente da difficoltà; perciò avete bisogno di restare uniti a Cristo, nutriti dalla linfa vitale della fede, alla luce della Parola di Dio, nella fedeltà e nell'amore alla Chiesa.


7. Desidero invitare voi tutti a vivere nella speranza fondata su un domani migliore, con la coscienza che si tratta di un domani alla cui costruzione serve l'impegno di tutti, ciascuno secondo le sue possibilità e in proporzione ai doni ricevuti. Non è una speranza facile; pero, per trasformarla in realtà, disponete di tanti valori che la vostra gente ha professato durante la storia di questo Paese: l'austerità, l'ospitalità, la coscienza comunitaria, il senso della festa e della gratitudine, solo per menzionare alcune delle caratteristiche che formano l'identità dell'amato popolo boliviano.

I missionari hanno seminato la speranza nel vostro Paese, quei missionari che con il sacrificio delle loro vite lasciarono in queste terre dell'altopiano i semi della fede, che, con la grazia del Signore, avete mantenuto intatta. Di questo danno testimonianza figure esemplari come il padre Vicente Bernedo e madre Nazaria Ignacia.

Cammino di speranza per questo popolo è la vitalità della Chiesa, ogni giorno sempre più impegnata con la sua cultura, che si fa vita attraverso i catechisti, gli operatori pastorali, le comunità ecclesiali di base, la pastorale giovanile, e, in modo particolare, nelle famiglie che devono essere comunità di fede e fermento della società.

Desidero esortarvi a proseguire nella edificazione della Chiesa, perché essa sia, ogni giorno di più, testimone dell'amore divino, strumento di unità, sacramento di comunione e liberazione integrale. Una Chiesa sempre più solidale con i poveri, gli emarginati, i più derelitti della società. Superando le differenze naturali tra i gruppi sociali impegnatevi a costruire una società solidale. "I meccanismi perversi e le "strutture di peccato" - a cui faccio riferimento nella recente enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" - potranno essere vinte soltanto mediante l'esercizio della solidarietà umana e cristiana a cui la Chiesa invita e che promuove instancabilmente. Solo così tante energie positive potranno pienamente sprigionarsi a vantaggio dello sviluppo e della pace" (SRS 40).


8. Infine volgiamo i nostri occhi a Maria, rifugio dei peccatori, consolatrice degli afflitti. A lei i fedeli di Oruro, dell'altopiano e di tutta la Bolivia si raccomandano per le loro necessità. Il minatore ricorre sempre a Maria del Socavon perché vede in lei il modello di tutte le sue speranze. Il contadino, il lavoratore ricorrono a lei come ad una madre.

Ella che soffri la povertà, che sfuggi alla persecuzione, vi aiuti a proseguire con speranza. Ella che ci ha portato Gesù, vi conduca a lui, vera via al Padre. Lei, che uni fede e vita, vi insegni a fare si che la fede diventi vita operosa e impegnata. Ella che canto nel "Magnificat", che Dio rovescia i potenti ed innalza gli umili, sia la madre e la protettrice di questo popolo semplice e paziente.

Permettetemi prima di concludere di congedarmi nella vostra lingua.

Che il Signore sia con voi e benedica le vostre famiglie, i vostri campi, il bestiame e i lavori nelle miniere.

Vi porto tutti nel mio cuore, amati fratelli e sorelle. Auguri.


Data: 1988-05-11 Data estesa: Mercoledi 11 Maggio 1988




Omelia della Messa a Cochabamba (Bolivia)

Titolo: "Non cedete al ricatto di chi subordina gli aiuti a illeciti progetti di limitazione della natalità"

Testo:

Beato l'uomo che teme il Signore / e trova grande gioia nei suoi comandamenti (Ps 112[111],1).

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Con queste parole del salmo della liturgia odierna, saluto cordialmente tutti i presenti, tutti voi che partecipate con me a questo sacrificio eucaristico nella valle di Cochabamba, nel cuore della Bolivia. Saluto in modo particolare, il pastore dell'arcidiocesi, monsignor Renè Fernàndez, i Vescovi ausiliari e gli altri fratelli nell'episcopato; i sacerdoti, i religiosi e le religiose, le autorità e tutto il Popolo di Dio che vive e lavora in questa regione delle valli.

A coloro che vengono dal Chapare e dai rilievi andini, dalla prelatura di Aiquile, a coloro che sono venuti dall'altopiano e agli abitanti di questa città: a tutti giunga il mio saluto pieno di affetto.

Desidero in special modo dare un forte abbraccio ai contadini Quechuas di queste terre che, da tempo immemorabile, coltivano con fatica i campi che ci circondano. Saluto anche con particolare affetto quanti si dedicano a promuovere la salute e l'istruzione dei propri concittadini.


2. La liturgia di oggi ci presenta l'immagine del buon samaritano. Conosciamo bene questa parabola che ci viene narrata da san Luca evangelista (cfr. Lc 10,29-37).

In questa parabola del Signore, il buon samaritano emerge chiaramente fra altre due persone - una di esse è un sacerdote e l'altra un levita - che, percorrendo la medesima strada da Gerusalemme a Gerico, si imbattono nell'uomo assalito dai malviventi. Nessuno dei due si ferma di fronte a quel povero sventurato, vittima dei ladri ed anzi, nel vederlo girano al largo e passano oltre (cfr. Lc 10,31-32). Un samaritano, invece, come riferisce san Luca, "passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione" (Lc 10,33); cioè si impietosi. Il poveretto ne aveva bisogno, perché non solo era stato derubato, ma era rimasto ferito così gravemente da restare sul ciglio della strada mezzo morto.

Il samaritano - al contrario degli altri due che erano passati prima vicino al ferito - non lo abbandono, ma "gli si fece vicino, gli fascio le ferite..., lo porto ad una locanda e si prese cura di lui" (Lc 10,34). E quando dovette riprendere il viaggio, lo lascio alle cure del padrone della locanda, impegnandosi a pagare qualsiasi spesa fosse necessaria.

Quanto è eloquente questa parabola! Poiché, nonostante Gesù ambienti il racconto sulla via che porta da Gerusalemme a Gerico, in Terra Santa, una tale situazione può ripetersi in qualsiasi posto del mondo, anche qui, in terra boliviana! E, certamente, si sarà ripetuta più di una volta.


3. Il Signore Gesù voleva rispondere con questa parabola alla domanda che gli aveva posto un dottore: "e chi è il mio prossimo?" (Lc 10,29). Dopo aver ascoltato il racconto di Gesù, il suo interlocutore non trova più alcun ostacolo nell'indicare chi si era comportato come vero prossimo. Si tratta evidentemente del samaritano, colui che ha avuto compassione di un altro uomo nella sventura, benché fosse un estraneo e uno sconosciuto. Gesù gli dice allora: "Và e anche tu fà lo stesso". Con altre parole l'apostolo san Giacomo mette in rilievo la necessità dell'atteggiamento del buon samaritano quando nella sua epistola scrive: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?..., la fede se non ha le opere, è morta in se stessa, e senza valore" (Jc 2,14 Jc 2,17 Jc 2,20.).

Senza alcun dubbio i due che passarono oltre conoscevano i sacri libri e si consideravano non soltanto credenti ma persino profondi "conoscitori" delle verità della fede. Ciononostante non furono essi, ma il samaritano a dare una prova esemplare della sua fede. La fede germoglio in lui mediante un'opera buona; Dio, nel quale crediamo, ci chiede opere simili. Sono queste le opere d'amore verso il prossimo.


4. La Parola di Dio pone a noi credenti, nell'odierna liturgia, una fondamentale domanda: è davvero feconda la nostra fede? Produce realmente opere buone? E' viva o forse è morta? Questa domanda dovremmo porcela tutti i giorni della nostra vita; oggi ed ogni giorno, perché sappiamo che Dio ci giudicherà per le opere compiute con spirito di fede. Sappiamo che Cristo dirà a ciascuno nel giorno del giudizio: ogni volta che avete fatto queste cose ad un altro, al prossimo, l'avete fatto a me; ogni volta che non avete fatto queste cose al prossimo, non l'avete fatto a me (cfr. Mt 25,40-45). La stessa cosa avviene nella parabola del buon samaritano.

Questa stessa cosa l'abbiamo sentita nell'epistola di san Giacomo: se "un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e... uno di voi dice loro: "andate in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?... La fede senza le opere è senza valore" (Jc 2,15-16 Jc 2,20).

Torniamo a domandarci: dà frutto la nostra fede? E' viva? E' una "fede che opera per mezzo della carità?" (Ga 5,6).


5. La risposta non possiamo darla soltanto a parole; bisogna rispondere con la propria vita. "Mostrami la tua fede senza le opere - abbiamo appena ascoltato - ed io con le mie opere ti mostrero la mia fede" (Jc 2,18). Proverete la vostra fede in quelle opere che servono ad alleviare la sofferenza fisica - la malattia, la fame, la nudità, la mancanza di un tetto - e la sofferenza morale - fame di istruzione, di comprensione, di consolazione.

Questo insieme di circostanze, sempre presenti nella vita, sono l'occasione non soltanto per dare agli altri ciò che si possiede, ma anche per donare loro se stessi con un impegno totale. Cristo - il buon samaritano per eccellenza, che si è fatto carico dei nostri dolori (cfr. Is 53,4) - continuerà ad agire così attraverso tutti i cristiani. Non attraverso alcuni, ma attraverso tutti, perché tutti siamo chiamati ad una vocazione di servizio. A noi tutti il Signore ha detto "amerai... il prossimo tuo come te stesso" (Lc 10,27).


6. Questa vocazione di servizio che comprende tutti gli aspetti dell'umana esistenza,trova il suo corso favorevole e fecondo nella realizzazione di ogni lavoro onesto. Il lavoro non è un mezzo per raggiungere il trionfo personale: è - e deve essere - una possibilità di aiutare gli altri. Il vero bene che sempre dovete cercare nel lavoro è il bene altrui, il servizio al prossimo.

Ciononostante, per alcuni, questa missione di servizio riunisce in sè delle singolari caratteristiche. Il lavoro li porta a stare vicino a chi soffre, sobbarcandosi i problemi della salute, cercando di alleviare il dolore che li affligge, assumendo continuamente l'atteggiamento del buon samaritano.

Sfortunatamente, il dolore, la malattia, sono qualcosa che tocca molte persone in Bolivia. La denutrizione, l'alto tasso di mortalità infantile, il male di Chagas, e tante altre malattie, così come la mancanza di acqua potabile e di altre strutture sanitarie elementari, sono presenti in molti focolari boliviani. I bambini, speranza della vostra patria, sono spesso i più colpiti. Risolvere questa situazione è una sfida per tutti; dato che, come ho scritto nella lettera apostolica "Salvifici Doloris", "la rivelazione da parte di Cristo nel senso salvifico della sofferenza non si identifica in alcun modo con un atteggiamento di passività" ("Salvifici Doloris", 30).

Dio vuole contare sulla nostra collaborazione per risolvere questi problemi. Lodo ed esprimo la mia gratitudine a quanti dedicano le proprie conoscenze e i propri sforzi a combattere le malattie e le sofferenze della popolazione boliviana: medici, infermiere ed infermieri, assistenti sociali, religiosi e religiose e volontari laici. Voi effettuate quel lavoro che il Signore loda nel buon samaritano: "lo vide..., gli si fece vicino, gli fascio le ferite versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra un giumento, lo porto ad una locanda e si prese cura di lui" (Lc 10,33-34). Continuate a vedere negli infermi lo stesso Cristo (cfr. Mt 25,40-45). Non lasciate che sia l'abitudine a condizionare il vostro lavoro rendendovi insensibili alla sofferenza. Compensate la mancanza di mezzi con il vostro amore, la vostra disponibilità ed il vostro ingegno.

Migliorate la vostra donazione agli altri con un costante perfezionamento tecnico e scientifico. E, soprattutto, aiutate sempre gli infermi a comprendere il significato del dolore all'interno del disegno salvifico di Dio.

Non dimenticate mai che l'autentico amore verso il prossimo è inseparabile dall'amore verso Dio con tutto il cuore e con tutte le forze (cfr. Lc 10,27). La preghiera e la partecipazione ai sacramenti - specialmente alla Penitenza ed alla Eucaristia - vi daranno la forza necessaria per affrontare il vostro impegno verso chi soffre. E con quella forza aiuterete i malati a rimanere uniti a Dio accostandoli ai sacramenti, attraverso i quali ci giunge costantemente la grazia di Cristo.


7. "Il giorno seguente - continua la parabola del buon samaritano -, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifondero nel mio ritorno" (Lc 10,36).

Le evidenti carenze sanitarie di interi villaggi, particolarmente colpiti, hanno attirato l'attenzione di organismi nazionali ed internazionali, privati e pubblici, ecclesiastici e civili, che, sull'esempio del buon samaritano, hanno voluto contribuire alla cura del prossimo bisognoso. Ma il vostro atteggiamento, amatissimi boliviani, non si deve limitare a distribuire l'aiuto che vi giunge da fuori o dalle grandi città, ma deve indirizzarsi alla promozione di una attiva solidarietà di tutti, anche degli stessi interessati, facendo si che si trasformino, quali uomini liberi e responsabili, nei primi artefici della loro promozione. Dovete porre fra i vostri obiettivi prioritari l'educazione sanitaria - devono essere sempre di più quelli che combattono le piaghe che tanto minano la loro salute e quella dei loro figli come per esempio il bere; e coloro che imparano le regole della pulizia e dell'igiene, sempre possibili, anche in situazioni di estrema povertà. A volte sarà anche possibile sfruttare la medicina locale, integrandola con le tecniche moderne.

Non cadete mai nella triste tentazione di pensare che la soluzione dei problemi stia nell'eliminazione di nuove vite attraverso metodi proibiti di controllo della natalità, o mediante la sterilizzazione o l'aborto; non cedete al ricatto morale di coloro che subordinano l'aiuto sanitario e materiale a illeciti progetti di limitazione della natalità.

L'impegno dei singoli individui e delle istituzioni deve integrare e essere complementare a quello delle autorità, ad ogni livello. Infatti, la cura della salute collettiva è uno dei primi doveri dei governanti ed un indispensabile investimento a lunga scadenza.


8. Ma l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, non soffre soltanto per cause fisiche: la principale causa del dolore è il male morale. Sono molti coloro che vengono al Signore per chiedergli di essere curati dalle malattie, ma forse sono pochi quelli che gli domandano, come il dotto del Vangelo di oggi: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?" (Lc 10,25). Anche nelle anime vi è fame di verità, come nei corpi vi è fame di pane. Il benessere fisico deve servire al progresso della persona, pertanto, allo sviluppo dell'intelligenza, che raggiunge l'apice nella conoscenza di Dio. Il mio venerato predecessore, Papa Paolo VI, avverte nell'enciclica "Populorum Progressio" che "l'educazione di base è il primo obiettivo di un piano di sviluppo" (Pauli VI PP 36) ed i vostri Vescovi hanno segnalato già diversi anni fa, che i problemi dell'istruzione del vostro Paese sono al tempo stesso un dramma ed una sfida (cfr. Episc. Boliviae "Epistula Pastoralis", 1971).

L'educazione - come ci ricorda il Concilio Vaticano II - nel rispettare il carattere proprio di ciascun popolo, deve "fornire convenientemente dei mezzi necessari ed adeguati alla vita sociale, inserendosi attivamente nelle diverse sfere dell'umana convivenza e contribuendo di buon grado all'incremento del bene comune" (GE 1).

Questa raccomandazione conciliare acquista particolare importanza nel caso della educazione contadina. Dovrà unire il rispetto della cultura tradizionale all'acquisizione di conoscenze tecniche proprie del mondo contemporaneo. Sarà evitato in tal modo, da un lato lo sradicamento e dall'altro una situazione di inferiorità nello svolgimento dei propri compiti e negli interscambi che il mondo attuale esige.


9. La Chiesa, qui in Bolivia come in tutto il mondo, ha svolto un ruolo importante in questa missione. Mi piace portare come esempio e rendere omaggio a tante iniziative nel settore dell'istruzione che, in modo paziente e costante, incoraggiano questo sviluppo ormai da molti anni. Mi riferisco alle Scuole di Cristo di padre Josè Zampa, l'opera educativa salesiana, le scuole parrocchiali del Campo, Fè y Alegria, e tante altre opere ammirevoli, sorrette dall'impegno della commissione episcopale per l'educazione.

Tutta quest'opera educativa non sarebbe possibile senza il sacrificio silenzioso ed anonimo di tanti educatori e il contributo dei maestri di scuole pubbliche, delle organizzazioni popolari, del magistero organizzato e di tante iniziative spontanee di istruzione, di alfabetizzazione e formazione per adulti, di sfruttamento della svariata pluralità culturale e regionale di questo Paese.

Tutti, e per tutto, vi ringrazio nel nome del Signore per il lavoro che avete svolto, e vi offro il mio più fervido incoraggiamento ed invito a continuare nella realizzazione di questa meritevole opera con quella saggezza che viene dall'alto e che "è - e deve essere - anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia" (Jc 3,17).


10. "Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti.

Potente sulla terra sarà la sua stirpe" (Ps 112[111],1-2).

Beato colui che, in ogni lavoro, cerca di cuore Dio. Beato colui che, nell'esercizio di ogni professione, cerca l'altrui bene.

Desidero rivolgermi ora, da questa terra di Cochabamba, contadina per eccellenza, a voi, contadini Quechuas uomini della "stirpe di bronzo", che da tempo immemorabile popolate queste valli e siete alla base dell'identità boliviana; che avete dato al mondo i vostri prodotti alimentari e ritrovati medici quali la patata, il mais e la quinoa. Il Signore continui ad accompagnare con il suo aiuto il vostro lavoro. Egli ha cura degli uccelli nel cielo, dei gigli che nascono nel campo, dell'erba che germoglia dalla terra (cfr. Mt 6,26-30). Questa è l'opera di Dio, che sa che abbiamo bisogno del nutrimento prodotto dalla terra, quella realtà molteplice ed espressiva che i vostri antenati chiamarono la "Pachamama" e che riflette l'opera della Provvidenza divina offrendoci i suoi doni per il bene dell'uomo.

Questo è il senso profondo della presenza di Dio che dovete trovare nel vostro rapporto con la terra, che abbraccia per voi il terreno, l'acqua, il ruscello, la montagna, il pendio, il burrone, gli animali, le piante e gli alberi, perché la terra è tutta opera della creazione che Dio ci ha donato. Per questo, nel contemplare la terra, le coltivazioni che crescono, le piante che maturano, e gli animali che nascono, rivolgete il vostro pensiero al Dio delle vette, il Dio creatore dell'universo, che si è manifestato a noi in Cristo Gesù, nostro fratello e salvatore. Potrete così giungere a lui, glorificarlo e rendergli grazie.

"Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute" (Rm 1,20).

"Felice l'uomo pietoso... che amministra suoi beni con giustizia. Egli non vacillerà in eterno" (Ps 112[111],5-6).

Beato colui che si impegna nel suo lavoro, nonostante le difficoltà dell'ambiente. Beato colui che cerca di costruire con il suo lavoro la civiltà dell'amore.


11. Sappiamo che, in ogni santa Messa, il celebrante, nell'offrire il pane ed il vino, porta sull'altare ciò che è dono di Dio e allo stesso tempo frutto del lavoro dell'uomo e lo fa benedicendo Dio: "Benedetto nei secoli il Signore, Dio dell'universo".

Si, cari fratelli e sorelle, Dio creatore e Padre nostro ci concede di unire ogni giorno il frutto del lavoro dell'uomo con il santissimo sacrificio del suo Figlio unigenito: con il Signore nel Golgota e nel cenacolo. Questo ineffabile sacrificio della nostra fede deve trasformarsi per noi nella fonte delle opere che derivano dalla fede, delle opere buone e di salvezza.

Prego con voi, affinché la terra boliviana abbondi di tali opere. Che abbondino di esse tutti i suoi abitanti, la società intera, in tutti i campi della vita e del lavoro. Che tutti producano frutti per il bene comune di tutti.

Camminate lungo il sentiero dell'amore verso gli altri - lungo il sentiero del buon samaritano - verso quell'amore che è il comandamento principale che Cristo ci ha lasciato. Camminate verso la salvezza e siate consapevoli che lungo questa via troverete la felicità.

"Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace" (Jc 3,18).


Data: 1988-05-11 Data estesa: Mercoledi 11 Maggio 1988





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