GPII 1988 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Madonna Aparecida si renda presente tra i suoi figli brasiliani soccorrendoli nelle attuali difficoltà

Testo:


1. Le dolorose notizie che giungono in queste ore dal Brasile, dove la regione di Rio de Janeiro è stata colpita da una grave inondazione, mi inducono a volgere il pensiero, in questo incontro di preghiera, verso quella terra tanto cara e tanto provata. Mi reco in spirituale pellegrinaggio ai piedi di "Nostra Signora dell'Immacolata Concezione Aparecida", regina e patrona del Brasile, per implorarne l'intervento materno a sollievo di tanti suoi figli.

La devozione alla Madonna "Aparecida" è antica nel cuore dei brasiliani.

Le origini del Santuario si ricollegano al rinvenimento da parte di tre pescatori, di una piccola statua della Madonna, di colore oscuro e dal volto sorridente, che essi videro emergere dalle acque, impigliata nella rete, con la quale poterono poi raccogliere una abbondantissima pesca. I tre riconobbero nell'avvenimento un segno della speciale protezione della Vergine. Da quel giorno la Madonna "Aparecida" è costantemente presente nei cuori, nelle famiglie, nella Chiesa e nella storia del popolo brasiliano, come Madre "Apparsa", cioè donata da Dio.


2. Oltre cinque milioni di pellegrini vanno ogni anno a manifestare il loro amore per la Madonna "Aparecida". Guardano la loro Madre come figli e vedono nelle sue mani raccolte in preghiera l'atteggiamento di colei che adora, che crede, che spera, che ama, che è tutta disponibile alla volontà divina e protesa a servire chiunque si rivolge a lei; vedono nel suo sorriso la gioia di chi vive con Dio, la felicità di chi si fa serva e accetta di portare con Cristo il peso di ogni giorno; vedono in lei la bontà di un cuore che si apre alle loro sofferenze e alle loro speranze, che ha compassione per i peccatori e li richiama alla conversione; vedono infine in lei la mediatrice che intercede per il bene dei suoi figli; rianimando la loro fede e carità.


3. Eleviamo oggi la nostra preghiera alla Vergine, perché "appaia", cioè si renda presente ancora tra i suoi figli di quella grande nazione, soccorrendoli nelle loro presenti necessità, accogliendo con sè le anime delle vittime, confortando i superstiti, specialmente coloro che hanno perduto nella catastrofe qualche persona cara, invogliando tutti ad un impegno generoso di fattiva solidarietà verso chi è nel bisogno. Possano i brasiliani di oggi, come quelli di ieri, trovare nella devozione alla Madonna "Aparecida" l'incitamento ed il sostegno per una vita di coerenza cristiana nell'adesione alla parola di Dio e nel servizio verso i fratelli.


4. E', questo, un auspicio che suona particolarmente intonato col tempo liturgico che stiamo vivendo: la Quaresima è tempo di purificazione, tempo di preghiera e di generosità. Ogni cristiano deve sentirsi invitato, in queste settimane, ad uno sforzo di rinnovamento interiore, grazie al coraggio di una leale revisione di vita e di un più generoso ascolto dei suggerimenti che lo Spirito fa echeggiare nel cuore.

La Vergine santa risvegli in ciascuno il desiderio di aderire a questo invito, così che la Quaresima sia, come deve essere, un cammino di gioiosa e liberante preparazione alla Pasqua.

[Al termine della preghiera il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:] Mi sento ogni giorno molto solidale con tutti coloro che cercano di vivere più intensamente il periodo quaresimale, che cercano di viverlo e cercano di farlo vivere anche agli altri. E' un periodo di grande sforzo spirituale della Chiesa, uno sforzo di conversione per essere fedele a nostro Signore che, dall'inizio della sua missione messianica, ha chiamato alla conversione: "Convertitevi e credete al Vangelo", così come abbiamo sentito nel giorno del mercoledi delle Ceneri. Una volta si parlava del "Sol invictus". Oggi abbiamo una bellissima giornata, piena di sole: che questo sole sia il simbolo che ci parla di Cristo e della sua vittoria nella nostra anima, nelle nostre esistenze umane! Con questi atteggiamenti e con queste aspirazioni, cerchiamo di camminare durante il periodo quaresimale, fino alla Pasqua del Signore.


Data: 1988-02-21 Data estesa: Domenica 21 Febbraio 1988




Nel centenario della nascita del Cardinale Tardini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fedele servitore della Chiesa e della Sede apostolica

Testo:

Al venerato fratello Agostino Cardinale Casaroli segretario di Stato.

L'imminente ricorrenza del centenario della nascita del Cardinale Domenico Tardini offre alla Segreteria di Stato ed al Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa l'occasione di onorare, con una solenne commemorazione, la sua figura sacerdotale e la sua attività di fedele servitore della Chiesa e della Sede apostolica.

All'opportuna iniziativa si sono associati la diocesi di Roma ed il suo seminario, le Università Pontificie Lateranense ed Urbaniana, l'Azione Cattolica Italiana, i Fratelli delle Scuole Cristiane e Villa Nazaret, nel desiderio di rendere grata testimonianza a colui che, in diversi periodi ed uffici, fu maestro e guida nella formazione della gioventù e nel servizio apostolico.

Ricche e feconde furono, in verità, la vita e l'opera del compianto Cardinale. Nato nel centro di Roma da famiglia di semplici condizioni e di profonda fede, egli fu sempre pervaso di quello spirito che distingue le grandi figure del clero romano: il senso della Chiesa universale, l'attaccamento filiale e la fedeltà incondizionata ai Sommi Pontefici.

Sin dagli albori del sacerdozio, Domenico Tardini seppe unire l'impegno dell'insegnamento, affidatogli nel seminario e nel Collegio Urbano di Propaganda Fide, alla collaborazione nel ministero parrocchiale, nel centro e alla periferia della città. La sensibilità pastorale e la sollecitudine per la cura d'anime non vennero meno, ma anzi si accrebbero, mano a mano che egli veniva chiamato a crescenti responsabilità nel servizio della Santa Sede; di più, ne divennero la costante e luminosa ispirazione.

Queste qualita dovevano, pochi anni più tardi, meritargli l'affetto degli uomini e dei giovani dell'Azione Cattolica, di cui fu assistente dal 1923 al 1929, preoccupandosi di offrire loro una formazione solida e stimolante, radicata nell'assiduità ai sacramenti, nella fedeltà al Papa e in una forte tensione morale.

Dopo che, nel 1929, egli fu nominato Sotto-Segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari e, successivamente, Sostituto della Segreteria di Stato e quindi Segretario della predetta Congregazione, monsignor Tardini fu del tutto assorbito nell'attività diplomatica della Santa Sede, in cui profuse le sue grandi doti di intelletto e di cuore, in un servizio appassionato, leale e fedelissimo ai miei venerati predecessori Pio XI e Pio XII. Il mondo attraversava, in quegli anni, una crisi di immane portata, provocata dalle crescenti tensioni, poi dal conflitto mondiale e, in seguito, dalle vicende del periodo angustioso del dopoguerra. I documenti e l'attività della Santa Sede in quell'epoca portano l'impronta personalissima di monsignor Tardini, caratterizzata da insonne sollecitudine per il bene della Chiesa e dell'umanità e da una sensibilità autenticamente sacerdotale rivolta ai gravissimi problemi della Chiesa, così come con pari considerazione, alle grandi questioni internazionali ed alla sorte dei più umili.

Ugualmente appassionata fu la sua difesa dei diritti della Chiesa e della libertà religiosa, particolarmente negli anni in cui numerosi Pastori - le cui figure rimarranno nella memoria riconoscente di tutta la Chiesa - e le comunità cattoliche dovettero subire nell'Europa centro-orientale persecuzioni e prove dolorosissime e prolungate.

La fedeltà, la lealtà ed il disinteresse con cui monsignor Tardini svolse il suo ufficio gli valsero da papa Giovanni XXIII, all'indomani stesso della elezione, la nomina all'alto incarico di Segretario di Stato.

L'ineguagliabile esperienza di uomo di Chiesa e la vitalità della mente e del cuore, con la consapevole offerta delle sue energie fisiche fino al dono della vita, consentirono al Cardinal Tardini di esprimere tutta la ricchezza delle sue virtù e delle sue doti. A fianco di Giovanni XXIII, egli visse il promettente tempo della preparazione del Concilio Vaticano II mentre, contemporaneamente, si avviava nel mondo lo sviluppo delle giovani nazioni, che si affacciavano all'indipendenza.

Fu dopo la guerra che anche maturo nell'animo del Cardinale il progetto che gli fu più caro, al quale lego il suo sacerdozio ed i suoi beni e che ne conserva e sviluppa oggi ancora gli ideali: Villa Nazaret. Tra le devastazioni del conflitto e le immense attese della ricostruzione, egli colse - con intuizione finissima - l'urgenza di provvedere alla formazione religiosa e culturale di giovani dotati di particolari doni, perché crescessero credenti consapevoli ed ottimi cittadini, sviluppando in una vocazione personale i talenti ricevuti, per restituirne il frutto con un servizio ai fratelli.

Signor Cardinale.

Nel momento in cui tante distinte personalità della Chiesa come del mondo politico ed accademico, e tanti amici, fra i quali una numerosa schiera di giovani, si raccolgono per commemorare l'insigne sacerdote romano e la sua opera, è mio vivo desiderio di tributare un omaggio grato e devoto alla di lui memoria.

In pari tempo, formulo di cuore l'auspicio che dal doveroso ricordo del grande figlio e servitore della Chiesa scaturiscano preziosi insegnamenti di bene per tutti coloro che, nelle diverse situazioni personali, sono chiamati dal Signore a cooperare alla costruzione del suo Regno.

Con questi sentimenti, imparto volentieri a lei, signor Cardinale, ed a quanti partecipano alla santa Messa sulla tomba del compianto Cardinale Tardini nel Monastero carmelitano di Vetralla, così come alla solenne commemorazione nella Pontificia Università Lateranense, la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 27 Febbraio 1988.


Data: 1988-02-27 Data estesa: Sabato 27 Febbraio 1988




Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: A Maria, "Signora del Libano", si sentono tutti legati: cattolici, ortodossi e musulmani

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Il nostro pensiero si porta oggi verso la cara terra del Libano per scoprire in essa le tracce della devozione di quel diletto popolo verso la Vergine santa. In tredici anni di gravi sofferenze, l'invocazione di tutti i libanesi alla Vergine santissima, "Nostra Signora del Libano", è stata continua ed intensa. Alla Vergine hanno affidato le loro prove, le loro aspirazioni e le loro speranze.

La devozione dei libanesi per la Madonna è costante e profondamente radicata nella tradizione: essi associano il suo nome a molti riferimenti biblici riguardanti il loro Paese. Cantano perciò con trasporto: "Vieni, vieni dal Libano", o Maria, tu t'innalzi "come i cedri del Libano", "Vieni, vieni dal Libano", il profumo delle tue vesti è "come il profumo del Libano". Nelle Litanie Lauretane, dopo l'invocazione "Rosa Mistica", inseriscono le parole: "Cedro del Libano, prega per noi".


2. I libanesi, sia cattolici che ortodossi, e gli stessi musulmani, nella consapevolezza di questi riferimenti biblici, si sentono tutti profondamente legati a Maria. Per questo, la Vergine santa è dappertutto presente ed i suoi santuari non si contano. Tra i più noti quelli di Kannubin, Harissa, Zahlè, Magdouché, Balamand, Bikfaya, Ksara, Bzommar, ecc. In famiglia, alla sera, prima di andare a letto, i componenti del nucleo familiare recitano il Rosario, cantano il popolarissimo inno "Ya Ummallah" (O Madre di Dio...), e si fanno benedire con l'icona della Madonna.

Le Chiese del Patriarcato maronita sono tutte dedicate alla Madonna: Nostra Signora di Yanouh, di Ilij, di Maifouk, di Diman e di Bkerkè. In ogni villaggio libanese, anche il più piccolo, esiste una chiesa o almeno una cappella dedicata a Maria.


3. Anche gli emigrati libanesi portano con sè l'attaccamento a Maria. In qualsiasi Paese dell'emigrazione, la prima chiesa fondata da una comunità libanese è dedicata a "Nostra Signora del Libano": Parigi, Marsiglia, Boston, San Paolo, Sydney, Dakar, Abidjan, Londra, ecc. Il primo seminario maronita, creato al di fuori del territorio patriarcale, a Washington, ha voluto denominarsi: "Qur Lady of Lebanon Maronite Seminary".

Il Santuario maggiore e più caro a tutti i libanesi resta comunque quello di "Nostra Signora del Libano", sito sulla collina di Harissa. La grande statua della Madonna, che sorge accanto al Santuario, rivolta con le mani tese verso il mare e la capitale Beirut, sembra assicurare a tutti i libanesi la sua materna protezione. Illuminata di notte, si vede da quasi tutto il Libano. Essa attira folle di pellegrini durante l'anno, specialmente durante il mese di maggio.

Uniamoci anche noi ai libanesi per invocare dalla Madonna, pace, solidarietà e una rapida soluzione dei problemi che tanto provano quella terra.

La invochiamo con le parole di un inno a loro tanto caro, cantato anche in san Pietro nella Liturgia maronita celebrata il 2 febbraio scorso: "O Maria, Regina dei monti e dei mari, / Patrona del Libano, / volgi uno sguardo materno a tutti i tuoi figli, / stendi verso di essi le tue mani pure e benedicili".

Amen.


[Omissis. Seguono saluti nelle varie lingue]


Data: 1988-02-28 Data estesa: Domenica 28 Febbraio 1988




Visita pastorale del Vescovo di Roma - Roma

Titolo: Parrocchia della Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo a Torre Nova

Testo:

[Ai bambini durante l'incontro all'inizio della visita] Voglio salutare cordialmente tutti i presenti: la generazione più giovane della parrocchia, insieme con i genitori, gli insegnanti, le suore e i sacerdoti. Vi vedo con grande soddisfazione. Sono molto contento di incontrare per primi i più giovani, coloro che guardano verso il futuro più lontano, perché, essendo giovani, certamente hanno più possibilità di oltrepassare la soglia del millennio. Hanno più possibilità di raggiungere il terzo millennio e di portare la eredità del vostro popolo, della vostra nazione e la verità cristiana della Chiesa cattolica nel nuovo millennio. Noi ci prepariamo molto a celebrare la fine del secondo millennio e l'inizio del terzo. Vi saluto nel nome di questa preparazione e di queste speranze, perché dobbiamo andare avanti verso il futuro con una speranza. E' vero, ci sono molte circostanze preoccupanti, ma c'è anche la speranza. E voi giovani, voi bambini, ragazzi e ragazze, avete ancor più questa speranza nei vostri cuori. Questo è il privilegio della vostra età.

Saluto qui i giovani delle scuole medie ed anche i giovani delle scuole elementari, i ragazzi e le ragazze che si preparano alla prima Comunione e alla Cresima. Vi vedo con grande amore. Vi guardo negli occhi, vi abbraccio perché sempre sento altri occhi e altre mani che mi seguono verso di voi. Sono gli occhi e le mani di nostro Signore Gesù Cristo che ha tanto amato i bambini e i giovani e li ama sempre, li segue sempre con il suo amore. La Chiesa non è altro che l'espressione continua dell'amore di Cristo verso tutti gli uomini, senza eccezione, specialmente verso coloro che soffrono, verso gli anziani, ma nello stesso tempo verso coloro che sono gli uomini e le donne del futuro, verso i giovani, verso i bambini.

Questo grande amore di Cristo vogliamo oggi celebrare insieme durante questa visita, lo celebriamo sempre partecipando alla santissima Eucaristia, ma oggi lo facciamo in modo particolare perché in questa Eucaristia celebrata dal vostro Vescovo, Cristo è specialmente presente, vicino. Gesù ha mandato i suoi apostoli in tutto il mondo e uno di loro, anzi il primo, Pietro, è venuto fino a Roma e ha trovato qui il suo posto, la sua sede. Questa sede petrina rimane a Roma. Cambiano gli uomini, le persone, ma rimane la sede, rimane il ministero e soprattutto quell'amore che Pietro ha ereditato immediatamente dal cuore di Gesù.

Cristo, prima della sua ascensione, ha interrogato così Pietro: Mi ami tu? Questa è la cosa più importante, l'amore per Cristo. Noi, successori di san Pietro, cerchiamo di mantenere viva questa domanda di Cristo e di mantenere viva la risposta di Pietro: Signore, tu sai che io ti amo.

Ecco, oggi ascolteremo un brano del Vangelo molto particolare, speciale come avviene durante la Quaresima, perché parla della Trasfigurazione di Gesù. In quel momento della trasfigurazione, gli apostoli presenti, testimoni della gloria di Gesù trasfigurato, chiedono al Signore: è bene per noi essere qui? Voglio concludere con queste parole, augurando a voi tutti parrocchiani, specialmente a voi parrocchiani più giovani, ragazzi, bambini, di essere vicini a Cristo e di sentirvi bene sentendo la sua vicinanza e di non abbandonare mai la vicinanza di Cristo, la presenza di Cristo. Che cosa vuol dire la Trasfigurazione di Cristo? Vuol dire che Gesù cambia la nostra vita. Se siamo vicini a Cristo egli cambia la nostra vita e la cambia per renderla migliore, più umana, più cristiana, direi anche, più divina. Ecco questi sono i miei auguri soprattutto per la generazione più giovane, più promettente della vostra parrocchia dedicata a Gesù Risorto.

Vi offro una benedizione insieme con il Cardinale e con il Vescovo del Settore presente oggi, per la prima volta.


[L'omelia durante la celebrazione eucaristica]


1. "Questo è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!" (Mc 9,7).

La teofania sul monte della Trasfigurazione. Le parole che giungono agli orecchi degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni abbagliati dalla visione, sono le parole del Padre. In esse egli rivela se stesso e il Figlio suo. così è stato in occasione del battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Adesso la situazione è diversa e diverso è il momento.

Allora Giovanni Battista aveva indicato "l'agnello di Dio... che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29). Ora le vie di Gesù si sono avvicinate al momento in cui i peccati del mondo devono essere effettivamente tolti da lui. Questo sarà il momento dello spogliamento, il momento dell'innalzamento sul monte Golgota, il momento che, dal punto di vista umano costituisce l'umiliazione più profonda: la "kenosi" della croce.

Quando la Trasfigurazione ebbe termine, Gesù ordino agli apostoli di non farne parola con nessuno, "se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti" (Mc 9,9). Essi tuttavia si domandarono "che cosa volesse dire risuscitare dai morti" (Mc 9,10). Nemmeno loro sapevano nè presentivano che questo si doveva realizzare a prezzo della croce e della morte.


2. La liturgia della seconda domenica di Quaresima ci prepara al mistero della croce di Cristo sul Golgota, agli avvenimenti pasquali e, prima, ci conduce sul monte della Trasfigurazione. Nello stesso modo, col quale Cristo ha preparato i suoi apostoli.

E non soltanto Cristo, ma anche il Padre celeste. La liturgia dell'odierna domenica ci si delinea nel suo insieme come incentrata sul mistero del Padre.

E' lo stesso Padre che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16).

Nel sacrificio di Abramo descritto nel libro della Genesi, si trova la figura che preannunzia questo mistero del Padre e del Figlio. Anche in quel fatto vi è un'altura situata nel territorio di Moria, sul quale Abramo sale con il figlio Isacco: l'unico figlio della promessa.

Dio chiese il sacrificio di questo figlio, così a lungo atteso prima, e quindi tanto amato: di questo figlio al quale erano unite tutte le speranze di Abramo. Tuttavia, quando Dio chiese un tale sacrificio Abramo non esito a farlo.

Era disposto a sacrificare il suo unico figlio.

Nel momento in cui Abramo alzo il coltello per compiere il gesto di "immolare suo figlio" (Gn 22,10) - Dio per il tramite dell'angelo - trattenne la sua mano. Accetto il sacrificio del cuore e non permise l'immolazione del figlio.

"Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio" (Gn 22,12). Potremmo aggiungere: "Tu ami Dio più di tuo figlio".


3. Quanto vicino siamo, in questo punto, al mistero del Padre celeste, di questo Padre, "che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi", come scrive l'apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani (Rm 8,32).

E aggiunge "come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32). Il sacrificio della croce è il sacrificio della soddisfazione e dell'espiazione. In esso sono racchiuse la redenzione e la remissione dei peccati.

L'Apostolo penetra da molti punti di vista nel significato e nei frutti di questo sacrificio quando insiste nel domandare: "Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?" (Rm 8,33-34).


4. Si può dire che queste domande - tanto caratteristiche per Paolo - ci introducono in tutta la prospettiva del mistero pasquale.

Il Padre celeste non ha risparmiato il proprio Figlio unigenito, non l'ha salvato dalla morte di croce, nella quale consisteva il sacrificio. Ma proprio come sacrificio, che il Figlio subi volontariamente, esso divenne fonte della nostra giustificazione. Siamo stati comprati a caro prezzo (cfr. 1Co 7,23).

Avendo parte alla redenzione mediante la croce di Cristo, siamo stati chiamati a partecipare anche alla vita nuova rivelatasi per mezzo della risurrezione.

Si può dire che qui si aprono dinanzi al nostro spirito umano vere profondità, "profondità insondabili". La Quaresima è il tempo del coraggio spirituale, per entrare in queste profondità dalle quali emerge la verità definitiva su Dio e sull'uomo. La verità che veramente ci fa liberi.

A questo è chiamato nell'attuale periodo ogni cristiano e ogni comunità cristiana. In modo particolare è chiamata la vostra parrocchia in occasione dell'odierna visita del Vescovo di Roma.


5. Senza esitazione alcuna rispondete, cari fratelli e sorelle, a questa chiamata, compiendo senza esitazione - secondo lo spirito della Quaresima - quell'esodo spirituale dal peccato e dall'egoismo, per progredire nella fede, che è ascolto ed obbedienza, libero assenso e confidente abbandono.

Quando il cristiano si pone alla sequela della verità, raggiunge la sapienza del cuore e, umile e pentito, si apre al Redentore, ricevendone insieme al perdono la sua consolante benedizione.

Nella gioia di questo tempo Quaresimale, saluto assieme al Cardinale Vicario, monsignor Giuseppe Mani, Vescovo Ausiliare del Settore, tutti i sacerdoti, voi che offrite le vostre energie per adempiere il mandato di comunicare i santi misteri, di istruire nella dottrina, di educare alla carità.

In particolare, rivolgo la mia parola piena di affetto e di riconoscenza al parroco, don Franco Mortigliengo e ai confratelli, che con spirito di abnegazione hanno accettato di lasciare la loro diocesi di Novara, per servire questa porzione della Chiesa romana, che oggi celebra solennemente il venticinquesimo anniversario di attività pastorale. Per questo motivo saluto anche cordialmente il Vescovo Ausiliare di Novara presente tra noi.

Desidero salutare anche le Suore Missionarie dell'Immacolata "Regina Pacis". Carissime, sono a conoscenza dell'utile servizio che prestate a questa comunità, unendo alla collaborazione nelle molteplici iniziative parrocchiali la testimonianza di uno stato di vita, nel quale seguite Gesù obbediente, povero e casto.


6. Il mio saluto giunga pure a voi, che componete il Consiglio pastorale, ed a voi, che aderite ai vari gruppi o associazioni. Mentre prego perché la luce del Cristo trasfigurato rischiari le vostre menti ed i vostri cuori per condurvi così a vivere con lui il mistero pasquale della sua morte e risurrezione, vi esorto ad essere sempre autentici testimoni del Vangelo, pienezza della legge e compimento delle Profezie.

Rivolgo, infine, il mio cordiale saluto a tutti i fratelli e sorelle della parrocchia della Risurrezione, ed a ciascuno di voi, miei cari, desidero ricordare il dovere di impegnarvi apostolicamente affinché, dopo aver accolto la parola che è Spirito e vita, realizziate nei luoghi dove il Signore vi ha posto il disegno di salvezza. E ciò accadrà, se prenderete dal confessionale lo scioglimento delle colpe e dall'altare il pane eucaristico, per essere sempre più efficacemente pietre vive di quell'edificio spirituale, che è casa del Padre e dimora per ogni uomo. Saluto tutti i presenti, tutta la comunità parrocchiale, nel giorno di questa celebrazione del 25° anniversario della parrocchia del Signore Risorto. Mi congratulo per questo periodo già terminato, per questo lavoro già compiuto e vi auguro anche un futuro veramente cristiano dentro questa comunità e attraverso il suo ministero.


7. Infine, ritorniamo a meditare ancora sulle parole del salmista, ascoltate nell'odierna liturgia: "Ho creduto anche quando dicevo:"Sono troppo infelice"" (Ps 116,10).

Il salmista non parla qui anche della fede di Abramo, che "ebbe fede sperando contro ogni speranza" (Rm 4,18) e così divenne padre di tutti i credenti (cfr. Rm 4,11 Rm 4,16)? Abramo dice: "Adempiro i miei voti al Signore" (Ps 116,14). Adempiro...

"Io sono il tuo servo" (Ps 116,16). Abramo, il servo di Dio dell'alleanza.

Abramo, l'amico di Dio. Abramo, l'immagine del Padre, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16).

Non già soltanto Isacco, ma Cristo. "Se Dio è così fortemente, così fortemente con noi, chi sarà contro di noi"? (cfr. Rm 8,31).

Abramo, figura del Padre. Di questo Padre, che sul monte della Trasfigurazione si rivela nella voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!" (Mc 9,7).

Con queste parole egli prepara gli Apostoli al mistero che sarà racchiuso negli avvenimenti della Pasqua di Gerusalemme.

"Ascoltatelo!".

Ecco l'obbedienza della fede di tutti i discepoli - i quali, mediante tale virtù, sono insieme la discendenza di Abramo - si basa di generazione in generazione sull'eloquenza della croce e della risurrezione, nelle quali il Figlio ha rivelato fino in fondo l'amore del Padre.

[Ai membri del Consiglio pastorale] Voi siete la parrocchia della Risurrezione del Signore, ma possiamo dire che tutti noi siamo la parrocchia della Risurrezione del Signore, perché tutta la Chiesa è nata con la risurrezione; è nata così - spiegano i Padri - dal costato trafitto di Cristo sulla croce. Ma questa morte, quel costato trafitto, era già preannuncio della risurrezione. La risurrezione ha dato conferma a questa morte e alla sua forza, forza di salvezza, forza divina.

Se non ci fosse stata la risurrezione - dice San Paolo - allora noi non saremmo stati salvati. Con la risurrezione ha inizio il popolo dei salvati, il Popolo di Dio, comincia la Chiesa.

Naturalmente ciò non si vedeva ancora al momento della risurrezione, come tanto meno si vedeva al momento della morte sulla croce. Si comincia a vedere all'esterno nel giorno della Pentecoste, ma la Chiesa è nata con la risurrezione, quando per la prima volta le donne andate al sepolcro lo trovarono vuoto e udirono una voce che diceva loro: non è qui, è risuscitato, è risorto.

Così, noi tutti dobbiamo la nostra nuova esistenza in Dio, la nostra esistenza cristiana alla sua risurrezione. Tutti formiamo la parrocchia della sua risurrezione, tutta la Chiesa e non solamente la Chiesa, ma l'umanità intera.

Nella risurrezione di Cristo è cambiato il destino o, piuttosto, si è manifestato il destino dell'uomo, dell'umanità intera. Si è manifestato il destino divino, soprannaturale. La Chiesa è solamente l'espressione comunitaria di questo destino, di questo mistero di Cristo morto e risorto.

Noi possiamo dire - come ha giustamente detto il vostro parroco - che siamo niente. Siamo creati dal nulla, è vero, ma una volta creato l'uomo è già creatura, anzi creatura privilegiata, creatura che porta in sè l'immagine e la somiglianza di Dio. Eppoi, ancora di più, creatura redenta, redenta da Dio stesso, dal Figlio di Dio.

Redenta vuol dire ancora rivalorizzata, perché ha ripreso il suo valore, la sua forza, quella forza connaturale alla sua creazione che ha perso con il peccato, con il peccato originale e con tutti gli altri peccati che derivano dal primo. E' vero che tutti noi siamo stati creati dal niente, ma siamo stati redenti, siamo rinati, viviamo con la forza divina di questa rinascita nella risurrezione.

Abbiamo dei doni che fanno parte della nostra eredità cristiana, non solamente di quella storica, ma di quella interiore. spirituale. Sono i doni della Grazia, sono i doni della nostra vocazione. Noi siamo chiamati ad essere partecipi della missione messianica di Cristo: questa è la definizione vera del Popolo di Dio, della Chiesa. Siamo chiamati ad essere partecipi di Cristo, di Cristo sacerdote, di Cristo profeta, di Cristo re.

Tutte queste verità, che si incontrano nella Sacra Scrittura, sono state riportate alla memoria dal Concilio Vaticano II. Noi dobbiamo leggere i suoi documenti, le sue testimonianze, per sapere chi siamo, in ogni parrocchia, in ogni città, specialmente in questa città di Roma. così si spiega anche quella iniziativa che si è intrapresa più di un anno fa: l'iniziativa di un Sinodo diocesano. Si deve leggere il Concilio, si deve conoscere il Concilio, si deve imparare attraverso i testi del Magistero conciliare chi siamo, e, consapevoli di questo, portare avanti il nostro destino umano. Tuttavia questo destino umano finisce con la morte - "in pulverem reverteris" -. Ma il nostro destino divino si vede attraverso Gesù Cristo. Attraverso la sua morte e la sua risurrezione si vede Dio.

Vi auguro, carissimi fratelli e sorelle, tutti voi qui presenti, appartenenti al Consiglio pastorale e alle diverse associazioni e ai gruppi apostolici di questa comunità parrocchiale, di imparare sempre di nuovo, di approfondire sempre di nuovo la risposta alla domanda: chi siamo? Noi cristiani, noi parrocchiani della parrocchia della risurrezione di Cristo, chi siamo? Poi una volta appreso ciò, sapendo chi siamo, vi auguro di portare avanti il progetto divino nella vostra vita personale, familiare, parrocchiale, comunitaria, nazionale, anche mondiale, internazionale, perché il mistero della risurrezione abbraccia tutta l'umanità. Non è un mistero privato, ridotto a un momento, a una persona, a un ambiente, ma abbraccia tutti gli uomini, spiega tutti i nostri destini, come Dio vede la vocazione dell'uomo sulla terra, come la vede attraverso Cristo in se stesso, nel seno della vita divina.

Carissimi, grazie per questo incontro, grazie per la cordialità con cui la vostra parrocchia mi ha accolto oggi. Sono tanto grato e tanto contento per questa visita nel 25° della vostra parrocchia.

[Ai rappresentanti delle associazioni laicali] Vorrei ringraziarvi per queste parole. Non erano parole di cortesia, erano testimonianze della vostra vita nella comunità umana e cristiana di questa parrocchia. Erano testimonianze del vostro apostolato, e così giungiamo di nuovo al mistero della risurrezione, perché se non ci fosse stata la risurrezione, non ci sarebbero stati gli apostoli. Sono nati definitivamente con la risurrezione.

Tutto l'apostolato è nato così; tutte le forme dell'apostolato che noi oggi viviamo nella Chiesa, nelle parrocchie, sono nate così, sono frutto della risurrezione di Cristo, della sua morte salvifica, di tutto quello che si chiama mistero pasquale.

Vi ringrazio per questo vostro apostolato di parrocchiani, di laici, che si esprime in diverse forme e in diversi indirizzi, con diverse finalità: i giovani, la catechesi, l'accoglienza dei bisognosi nella stessa casa, nello stesso condominio. La Comunità di Sant'Egidio - che conosco molto bene - vedo che si trova anche qui in questa parrocchia, e sta dando il suo buono spirito, spirito di carità, di fraternità ai vostri parrocchiani, spirito di accoglienza per i diversi, per i lontani, i lontani che diventano vicini. Vi ringrazio per questa testimonianza.

Adesso, devo dire che ho capito bene perché il parroco non comanda in questa parrocchia. Ma dico anche che questa è una sua furbizia pastorale, perché il parroco deve sempre non comandare per comandare. Questo che ho detto alla fine è un po una battuta, ma è anche una verità; direi una verità teologica. Se si volesse, si potrebbe dire che in questo c'è anche un piccolo commento al Concilio Vaticano II, soprattutto alla sua ecclesiologia e al suo insegnamento sull'apostolato dei laici.

[Ai giovani radunati nella chiesa parrocchiale] Grazie per queste parole introduttive dei vostri amici. Saluto con voi i diversi gruppi che operano in questa parrocchia, gruppi giovanili come quelli dell'Azione Cattolica, dell'Agesci, della Comunità di Sant'Egidio e tanti altri.

Vedo in queste associazioni, in questi movimenti, in questi gruppi un'espressione della vostra ricerca, ricerca spirituale che oltre ad andare insieme con gli impegni della vostra vita giovanile - impegni di studio, forse impegni di lavoro - va anche verso qualche cosa di più. Questa cosa di più la trovate intorno a voi, la trovate soprattutto nelle persone e specialmente nelle persone bisognose, emarginate, nei nomadi, negli emigrati, nei senza tetto.

Tutte queste categorie di persone che vivono in questo ambiente, che vivono a Roma, nel mondo, creano per voi un interrogativo, una sfida. Questa è una constatazione molto importante, molto positiva: l'uomo deve vivere con una sfida, una sfida creata per lui dal male che si incontra nella vita umana, il male che si incontra nella società, nella vita sociale, il male dell'ingiustizia, il male che si incontra anche in se stessi, nella propria vita personale.

L'uomo giovane deve sentire questa sfida e deve vivere con questa sfida.

Il cristiano è l'uomo della sfida. Come dicono gli americani, un "challenger". Vi auguro di continuare a vivere così, di sentire questa sfida che viene dalle altre persone, dai problemi del mondo, e che vi interroga, che chiede il vostro impegno.

Questo è un segno della vostra personalità in crescita. L'uomo aspira, cerca il bene, il bene possibile, il bene doveroso, il bene ideale. Lo cerca attraverso il male. Forse il male che incontra è per lui una sfida più forte a cercare il bene. così anche quei mali, quelle debolezze che incontra nel proprio intimo sono una sfida per cercare il bene, il perfezionamento, per vincere le proprie debolezze.

Questo è un programma generico, ma nello stesso tempo è un programma individuale, molto personale. Si può riferire ad ogni giovane, a ogni ragazzo, a ogni ragazza. Anche i gruppi di apostolato di cui fate parte cercano di creare un ambiente, una comunità in cui una tale sfida venga identificata, formulata, per poi impegnare tutti comunitariamente. così vedo la vostra vita umana e cristiana in questa parrocchia e vorrei esprimere la mia soddisfazione per questa constatazione.

Mi congratulo per la vostra presenza, per la vostra partecipazione alla vita e alla vitalità cristiana della vostra parrocchia, per il vostro cercare, per strade diverse, di vivere con una sfida.

Certamente avete anche molte domande da fare. Alcune domande le ho già ascoltate molte volte anche oggi. I giovani hanno bisogno di essere ascoltati.

Questo è vero e si deve fare di tutto per venire incontro a questo loro desiderio, al loro bisogno di essere ascoltati, di poter parlare, di potersi aprire, di poter trovare confidenza, fiducia in un'altra persona, un coetaneo o una persona più matura.

Questo è una parte della problematica. Ma ce n'è ancora un'altra. Non solamente si deve aspirare, si deve desiderare di essere ascoltati, ma si deve anche ascoltare. Non ci può essere un ascolto unilaterale, ma bilaterale. Si deve ascoltare, soprattutto si deve ascoltare Gesù. Qual è il metodo di questo ascolto? Ci sono metodi diversi. Certamente si ascolta Gesù quando si legge il Vangelo, perché nel Vangelo è Gesù che parla. Si ascolta il Signore quando si segue la catechesi, specialmente una catechesi più approfondita, più adatta alla vostra età, ai vostri problemi. Ma direi che, fra tutti i metodi per ascoltare Gesù, per ascoltare Dio, c'è soprattutto quello della preghiera.

può sembrare, quando noi preghiamo, che siamo noi a parlare, sperando di essere ascoltati. Ma la vera realtà della preghiera è ancora un'altra. Quando noi preghiamo è Dio che ci parla. Non è tanto importante il fatto che siamo noi a parlare - naturalmente ciò è anche importante perché quello che l'uomo dice nella preghiera ha un valore più profondo - ma dico e ripeto che la cosa ancora più importante, più essenziale è che Dio ci parla. Sono parole "senza parola", parole "senza voce", ma in un momento ti accorgi di aver trovato la luce, di aver trovato la risposta, di aver trovato la strada. Dio ci parla.

Vi auguro di imparare questo metodo per ascoltare Dio, per ascoltare Cristo e per camminare seguendo la sua parola, la sua luce, la sua forza.

Carissimi giovani, volevo con queste poche riflessioni trovare una risposta alla vostra presenza, ai vostri interventi e alle vostre domande.

Soprattutto al fatto stesso che siete in questa parrocchia, che fate parte di questa comunità, anzi che formate una parte attiva,u na parte viva, una parte apostolica, impegnata, una parte che dà anche bellezza a questa comunità parrocchiale. Per esempio la bellezza del canto. Ho ascoltato i canti durante la Messa e qui all'inizio della nostra riunione. Vi auguro di continuare così. Che il Signore sia con voi, cammini con voi. Vi auguro anche di poterlo incontrare sempre e soprattutto nella preghiera.


Data: 1988-02-28 Data estesa: Domenica 28 Febbraio 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)