GPII 1988 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ogni qualvolta nella storia, il popolo croato si è trovato in difficoltà, si è rivolto sempre con grande fiducia alla sua Madre celeste

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Oggi il mio pensiero va verso il Santuario mariano di Marija Bistrica, uno dei più conosciuti e frequentati in Croazia. La località di Bistrica è menzionata come parrocchia fin dall'anno 1334. Nella Chiesa, dedicata ai santi Pietro e Paolo, si comincio a venerare, a partire dalla prima metà del 1500, una statua in legno della Madonna col Bambino Gesù.

Agli inizi la statua si trovava in una cappella della parrocchia, chiamata Vinski Vrh; ma quando, nel 1545, i Turchi invasero la regione, il parroco, per salvarla, la muro sotto il coro della chiesa parrocchiale, e per prudenza non rivelo a nessuno il luogo. Poco dopo egli moriva, e con lui fu sepolto anche il segreto del nascondiglio.

Il 16 luglio 1684 la statua fu ritrovata e da allora il culto riprese crescendo di anno in anno, tanto che in breve tempo quel luogo divenne il centro del culto mariano di quella regione, e tale resto nei secoli successivi.


2. Ogni qualvolta, nella storia, il popolo croato si è trovato in difficoltà, si è rivolto sempre con grande fiducia alla sua cara Madre celeste.

Nel 1715 l'assemblea Nazionale del popolo croato decise di costruire un grande altare "ex voto" in Bistrica, per mostrare la devozione del popolo alla Madonna.

Il Vescovo di Zagabria, monsignor Giorgio Branjug, allargo la chiesa dei santi Pietro e Paolo, diventata ormai troppo piccola per ricevere i pellegrini, e la dedico alla Madonna della Neve il 13 luglio 1731: da quel momento essa divenne il Santuario della Madonna di Bistrica, e lo stesso paese si chiamo da allora Marija Bistrica.

Il Papa Pio XI, nel 1923, concesse alla chiesa di Marija Bistrica il titolo di "Basilica Minore". La Conferenza episcopale nel 1971 la dichiaro Santuario nazionale.

Certamente esistono in Jugoslavia anche altri Santuari, che è impossibile menzionare a uno a uno. Eccone alcuni: in Slovenia, Brezje, Pujska Gora e Sweta Gora; in Dalmazia, Tersato e Sinj; in Bosnia e Erzegovina, Olovo, Hrasno e Siroki Brijeg; in Slavonia, Tekije e Aljmas.


3. Mi piace concludere questo breve ricordo del Santuario più conosciuto della Vergine santissima in Croazia con le parole, pronunciate durante il pellegrinaggio votivo di Zagabria nel 1935 dall'allora Arcivescovo coadiutore, divenuto poi Cardinale monsignor Stepinac. Rivolgendosi alla Madonna disse: "Ti promettiamo che rimarremo fedeli a te e ai tuoi sinceri ammiratori. Fedeli finché si sentono i mormorii dei nostri ruscelli, finché rumoreggiano i nostri fiumi, finché spumeggerà il nostro mare; fedeli finché saranno verdi i nostri prati, finché saranno dorati i nostri campi, finché vi sarà l'ombra dei nostri boschi, finché si sentirà il profumo dei fiori della nostra Patria".

O Madonna - cantano i pellegrini - Madonna di Bistrica, prega per noi.

Noi siamo tuoi pellegrini, benedici noi e i nostri cari.


Regina dei Croati, prega per noi! [Omissis. Seguono i saluti in varie lingue.]


Data: 1988-03-20 Data estesa: Domenica 20 Marzo 1988




Agli ammalati della casa di cura "Salvator mundi" - cappella della clinica (Roma)

Titolo: "Son venuto qui per rendere omaggio a chi soffre e a chi si fa carico della sofferenza altrui"

Testo:

Reverende suore, signori medici, infermiere, collaboratori, carissimi ammalati.


1. Mi sento molto onorato da questo incontro. Considero infatti un privilegio l'essere in mezzo agli ammalati ed a coloro che li assistono con amore fraterno ed alta professionalità, in una clinica che già col semplice suono della sua stessa denominazione esprime un intero programma.

Ringrazio di cuore per l'accoglienza e rivolgo con affetto il mio saluto a ciascuno dei partecipanti, con un particolare pensiero per il Cardinale Ugo Poletti, mio Vicario per la diocesi di Roma, e per monsignor Luca Brandolini, Delegato per l'assistenza religiosa agli ospedali di Roma. Mi sento vicino alla vostra sofferenza, carissimi ammalati; al vostro impegnativo lavoro, cari medici e collaboratori, operanti nei vari reparti ed ai diversi livelli.

Vorrei che la mia voce valicasse la cinta di queste mura per portare a tutti i malati ed a tutti gli operatori sanitari i sentimenti del cuore di Cristo.

Son venuto qui per esprimervi una parola di conforto nel dolore e d'incoraggiamento nella missione di assistenza; ma specialmente per ricordarvi quale valore hanno il dolore e l'assistenza nel tessuto dell'opera redentrice del "Salvatore del mondo".


2. Il servizio ai malati, indirizzato alla difesa, alla ricostituzione e allo sviluppo della dimensione psicofisica della persona umana, è non solo un'opera umanitaria e sociale, ma soprattutto un'attività eminentemente evangelica al punto da non potersi scindere dalla prassi della vita cristiana.

L'esempio è partito autorevolmente da Gesù stesso, il "Salvator mundi", il quale, in base al principio di fare prima che insegnare, sin dall'esordio della vita pubblica esercito su larga scala, come parte della sua missione di salvezza, il potere straordinario di ridare la sanità fisica. Comincio a percorrere tutta la Galilea, predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. Conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva (Mt 4,23-24). Con lui i ciechi, anche se colpiti da cecità congenita, ricuperano la vista; gli storpi camminano, i sordi riacquistano l'udito, il muto parla; la febbre svanisce (cfr. Mt 8,11). Con lui la mano inaridita si stende, l'emorragia si arresta, la paralisi è superata. Davanti al potere misericordioso di Gesù scompare una malattia inguaribile e diffusa, come la lebbra, non ancora debellata neppure dalla medicina moderna (cfr. Lc 5,8).

Il suo intendimento curativo è chiaramente manifestato: "Lo voglio, sii risanato" (Lc 5,13). E alle parole segue la guarigione. Egli, poi, non limitandosi a dare la salute a quanti a lui accorrono, si affretta ad andare di persona al capezzale dei moribondi: "Io verro e lo curero" (Mt 8,5 Mt 9,19).

In più d'una occasione Gesù ha esercitato perfino il potere di richiamare alla vita: la figlia di Giairo, il ragazzo di Naim, l'amico Lazzaro, col suo caso descritto nei dettagli da uno dei testimoni oculari, sono li a significare che egli, il risorto, salvatore del mondo, è venuto a farci il dono di una vita nuova, non più soggetta alla morte. "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Jn 11,25). E chiunque crede in lui sa bene "che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza" (Rm 5,3-5). La guarigione fisica è il segno di questa vita risorta.


3. La fede, sinceramente accolta e vissuta, opera, infatti, il prodigio di produrre una trasformazione personale e profonda del credente, collocandolo nella categoria degli uomini nuovi, voluta dal salvatore del mondo e prefigurata nel modello del buon samaritano, il quale, di fronte alla diffusa insensibilità per la sofferenza, si caratterizza per la generosità nell'andare incontro all'infermo e all'oppresso con amor di fratello (Lc 10,30 ss.).

Fin dalle origini la Chiesa, mossa dallo Spirito, comprese questo suo dovere-privilegio di restare accanto a chi soffre. E già il primo Vicario di Gesù, dopo la pentecoste, operava come il Maestro. Presso la porta "Bella" del tempio, Pietro fece camminare lo storpio dalla nascita (Ac 3 Ac 2-5). E ben presto, sparsasi la voce, "portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro".

E si verificavano tante guarigioni (Ac 5,15-16).

Simili scene si sono ripetute nel corso della storia della Chiesa, ed anche oggi si possono vedere sulle spianate dei grandi santuari della Madre di Gesù e madre nostra.

La parabola è divenuta una realtà quotidiana e diffusa, e già nei primissimi secoli dell'èra cristiana, quando si era molto lontani dalla prassi degli interventi pubblici, esisteva un esercito di buoni samaritani, la cui missione di vita era dedicata ai più deboli, e ciò mediante una rete capillare di assistenza.


4. Anche oggi l'impegno della Chiesa per la realtà della sofferenza, non sempre vinta, anzi spesso moltiplicata dalla società dei consumi e del benessere, è costante e irrinunciabile.

Tre anni fa ho costituito una Commissione Pastorale degli Operatori Sanitari, allo scopo di seguire e di esser presente alle iniziative concrete del settore sanitario, che hanno implicazioni per l'annuncio evangelico. E, nel corso del Giubileo straordinario della redenzione, con la lettera apostolica "Salvifici doloris", ho voluto richiamare il grande insegnamento della Chiesa sulla sofferenza illuminata dalla verità della Parola di Dio.

Avendolo assunto su di sè, Gesù ha cambiato radicalmente il senso e il valore del dolore. Esso non è più soltanto il segno della fragilità e dell'insufficienza dell'uomo, ma è diventato il tramite del suo ricupero e della sua piena realizzazione. Col sacrificio dell'Uomo-Dio si è compiuta la redenzione dell'umanità. Egli ha sofferto al posto dell'uomo e per l'uomo (Salvifici Doloris, 19). così, il dolore fisico e morale, inserito in quello di Cristo, ha il potere di trasformarci in uomini nuovi.

Esso cessa di essere un fatto differente o un male, per divenire fonte inesauribile di bene.

In chi sa accoglierlo con spirito di fede soffrendo insieme con Cristo, il dolore diventa partecipazione alla sua passione redentrice e collaborazione all'opera di salvezza a beneficio di tutti.

Ed ecco, allora, la conseguenza meravigliosa: il sofferente stesso si trasforma in buon samaritano. Colui che ha bisogno di aiuto si pone in condizione di offrirne agli altri e al mondo intero. San Paolo diceva: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).


5. Cari fratelli e sorelle, son venuto qui per rendere omaggio a chi soffre e a chi si fa carico della sofferenza altrui. Vengo a voi dirigenti e operatori sanitari, che, in nome di Cristo, avete scelto a modello la figura del buon samaritano, per incoraggiarvi a perseverare in questa scelta generosa. Son qui per chiedere a voi, carissimi ammalati, di mettere a servizio della Chiesa e del mondo quella carica di straordinario valore religioso e sociale che è costituita dalla vostra sofferenza ed insieme dall'esempio del vostro coraggio nell'affrontarla.

Solo con la luce e la forza della fede voi potete degnamente valorizzare le potenzialità benefiche insite nella malattia e trovare, al tempo stesso, il vigore morale necessario per non soccombere alla prova, ma per lottare fino al suo vittorioso superamento.

Nei testi del Vaticano II si legge in proposito una pagina assai significativa là dove, affermando che i Vescovi, consacrati per la salvezza di tutto il mondo, hanno il dovere di promuovere e di dirigere l'opera missionaria, il Concilio raccomanda loro vivamente di ricorrere ai malati ed ai sofferenti, che con cuore generoso sanno offrire a Dio le loro preghiere e penitenze "per l'evangelizzazione del mondo" (AGD 38).

Chiedo quindi a voi la collaborazione delle vostre preghiere avvalorate dalla sofferenza per il raggiungimento dello scopo eminentemente missionario della evangelizzazione del mondo e della rievangelizzazione dei Paesi cristiani, a cui la Chiesa oggi è più che mai impegnata.

Per parte mia, invoco su ciascuno e ciascuna di voi l'abbondanza dell'aiuto divino, affinché possiate prontamente ricuperare la salute e tornare alle vostre abituali occupazioni, portando il contributo della vostra intelligenza e delle vostre energie alle rispettive famiglie ed alla società.

Auguri di cuore a tutti, dunque, insieme con una mia speciale Benedizione!


Data: 1988-03-20 Data estesa: Domenica 20 Marzo 1988




Saluto alla Congregazione delle Salvatoriane - Roma

Titolo: Testimoniate con zelo e carità l'universalità dell'amore

Testo:

Care sorelle.


1. Sono lieto di aver potuto visitare, nel centenario della fondazione della vostra congregazione religiosa, la Casa di Cura "Salvator mundi" e la vostra casa generalizia. E' per me una gioia particolare essere qui con voi. Dopo aver parlato della missione della vostra struttura ospedaliera, ho adesso il piacere di rivolgere alcune parole a voi, Suore del Divino Redentore.

La celebrazione del centesimo anniversario del vostro istituto è un'occasione che suscita nel nostro cuore una profonda gratitudine e lode per la amorosa provvidenza del Signore. Nello stesso tempo ci fa ricordare il ruolo particolare che voi svolgete nella missione della Chiesa.


2. "Inviata per mandato divino alle genti per essere "sacramento universale di salvezzà", la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all'ordine specifico del suo fondatore (cfr. Mc 16,16), si sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini" (AGD 1). Queste parole del Concilio Vaticano II, tratte dal decreto sull'attività missionaria della Chiesa, esprimono bene la natura universale della missione della Chiesa nel mondo, che è stata una preoccupazione primaria del Concilio.

Certamente, questa preoccupazione di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni non è iniziata con il Concilio. E' stato il compito principale della Chiesa fin dagli inizi. Le ultime parole di Gesù riportate nel Vangelo secondo Matteo chiariscono che cosa egli si aspetta dai suoi seguaci: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).


3. I fondatori delle Suore del Divino Salvatore furono spinti dallo stesso zelo apostolico e spirito universale. Fin dagli inizi, padre Francesco Maria della Croce e la beata Maria degli Apostoli puntarono i loro occhi fermamente sulla persona di Gesù e, meditando le azioni e le parole del nostro divino Salvatore, furono pieni di un ardente desiderio di farlo conoscere ed amare in ogni nazione della terra.

Con questo amore universale e questa chiara visione essi cominciarono il vostro Istituto l'8 dicembre 1888. In pochi anni dalla fondazione a Tivoli, alcune suore erano già in India, nella prefettura apostolica dell'Assam. E presto esse si recarono in altri continenti e in molti Paesi, prestando il loro servizio in varie attività apostoliche, ma sempre con la stessa ultima meta: far conoscere e amare il nostro divino Salvatore.


4. Care sorelle: si vede con molta chiarezza che la mano della divina provvidenza ha guidato il vostro Istituto nel corso degli ultimi cento anni. E stato un secolo di espansione e di crescita, un secolo di generosità e dedizione, un secolo di infiniti successi nella grazia abbondante e nella ricca misericordia di Dio. Con suore appartenenti a venticinque nazionalità diverse, che rappresentano un gran numero di lingue e culture, voi, come la stessa Chiesa, siete una specie di sacramento dell'amore universale di Dio. Voi portate pubblica testimonianza alla misericordia di Dio che si è pienamente manifestata nella croce e nella risurrezione di Cristo.

Nella profondità del suo cuore, ciascuna di voi ha sentito il Signore che le diceva: "Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni" (Is 43,1).

E allora, avendo fatto esperienza di essere amate da Cristo di un amore senza limiti, voi siete pronte e desiderose di condividere con gli altri questa buona novella. Questa è la sorgente profonda della vita religiosa. E' il fondamento della particolare consacrazione operata con i voti di castità, povertà e obbedienza. Questa stessa esperienza dell'amore smisurato di Cristo ha ispirato i vostri fondatori un secolo fa e ha sostenuto voi e le vostre sorelle finora.

L'amore di Cristo sia sempre il centro della vostra vita.

Posso terminare con le parole che ho rivolto ai membri del vostro Capitolo generale cinque anni fa? Esse esprimono la mia speranza e la mia preghiera per voi in questo anniversario: "Non dimenticate l'onore che avete: portare il titolo del Divino Salvatore. Uniti a Gesù, fate il possibile per portare al mondo la salvezza" ("Allocutio ad Sorores Congregationis Salvatorianae in Capitulo generali coadunatas, die 2 nov. 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 [1983] 964).

A voi e a tutti i membri della vostra congregazione imparto cordialmente la mia apostolica benedizione.

[Dopo l'incontro, il Papa si incontra nel refettorio della Casa Generalizia con le suore] Vi ringrazio per la buona accoglienza riservatami. Una delle suore ha detto che sono il "supremo superiore" della vostra congregazione. E' sempre bene che questo "supremo superiore" stia un po lontano. C'è infatti un altro supremo superiore che abbiamo noi, tutti insieme; e questo si, sta molto vicino. Io vi auguro che la sua vicinanza, la sua presenza vi renda sempre più consapevoli di cosa voglia dire questo nome per lui, "Salvator Mundi". E' scritto nella vostra carta di identità, in quella della vostra fondazione: non solamente come "actus primus" ma come svolgimento intero della vita.

Mi congratulo con voi per il centenario della vostra fondazione; mi congratulo con voi per i vostri fondatori; mi congratulo con voi per la diffusione della vostra famiglia religiosa in diversi continenti, e vi auguro soprattutto quello che si deve augurare ad una famiglia religiosa: le vocazioni. Le buone vocazioni sono un segno della fecondità spirituale e io vi auguro che questo senso vi accompagni in ogni Paese, in ogni provincia e nella vostra intera comunità salvatoriana. Lo dice anche per i Salvatoriani il cui Generale è qui con noi; auguro anche a loro questa fecondità spirituale nelle vocazioni.

Se si tratta di "intenzioni della preghiera" per me, io direi: pregate un po genericamente e senza distinzione per i problemi che il Papa porta nel suo cuore; specialmente per i problemi più importanti e difficili. I problemi sono veramente tanti ed io cerco di seguirli come posso, soprattutto nella preghiera.

Devo confessarvi che non mancano le persone, le comunità che mi domandano di pregare per loro; faccio sempre una lista per ricordarmele e per portarle sull'altare nella preghiera ed anche nell'Eucaristia. Voi sapete bene che vi sono grandi necessità nella Chiesa, di ordine direi storico,perché la Chiesa vive nella storia. I nostri tempi hanno la loro caratteristica, da questa caratteristica è anche contrassegnata la nostra materializzazione, la missione della Chiesa. Voi sapete bene, ancora, che non mancano difficoltà di tipo diverso, difficoltà costituite anche da ostacoli innalzati contro la religione e contro la Chiesa. A capo di queste c'è anche un'altra difficoltà, non organizzata ma piuttosto radicata, inserita nei cuori umani, nella mentalità: un certo deserto spirituale.

Molte volte questo deserto lo si riscontra anche nei Paesi di vecchia cristianità, dopo secoli, dopo millenni.

Allora se si tratta delle intenzioni della preghiera io vi dico che esse cambiano, cambiano non ogni giorno, ma qualche volta anche il nuovo giorno porta una nuova preoccupazione.

Cercate di essere unite con il Papa in queste preoccupazioni di ogni giorno, di ogni mese e di ogni anno pensando sempre a quella che è la sua più grande preoccupazione, preoccupazione che è sua ma anche della Chiesa.


Data: 1988-03-20 Data estesa: Domenica 20 Marzo 1988




Ai Vescovi del Congo in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Stimolate e sviluppate nei fedeli laici del Congo il senso della comunione e della responsabilità

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.


1. Desidero esprimervi la mia gioia nell'accogliervi oggi, nella vostra visita "ad limina", la prima dopo le celebrazioni del centenario dell'evangelizzazione del vostro Paese e il grande appello al rinnovamento spirituale da voi rivolto alla vostra giovane Chiesa.

Ringrazio vivamente monsignor Barthelemy Batantu, Arcivescovo di Brazzaville e presidente della Conferenza episcopale del Congo, di essersi fatto così gentilmente vostro portavoce.

Il nostro incontro manifesta i legami tra noi esistenti di unità e di affezione. Testimonia anche l'attaccamento e la fedeltà delle vostre comunità diocesane a colui che presiede la comunione tra le Chiese. Insieme a voi, cari fratelli, rendo grazie a Dio per la vitalità dei nostri vincoli nella carità cristiana.

Auspico che il vostro pellegrinaggio alle tombe dei santi apostoli Pietro e Paolo, le diverse riunioni con i dicasteri della curia romana, come anche i vostri incontri fraterni di preghiera e di dialogo rinnovino il vostro zelo pastorale per un servizio entusiasta e qualificato al Popolo di Dio che voi amate con tutto il vostro cuore di Vescovi.


2. Vorrei ora sottoporre alla vostra attenzione alcune riflessioni, che siano di stimolo al vostro lavoro apostolico, perché si realizzi in modo sempre più vero il Regno di Dio là dove il Signore vi ha mandati in missione.

La Chiesa nel vostro Paese, come in tutta l'Africa centrale, è una grande realtà popolare. La si può considerare a pieno titolo come una componente essenziale del popolo congolese, di questa giovane nazione che cresce nel contesto dell'Africa moderna e prende il suo posto nella comunità internazionale.

Di qui il vostro compito di sviluppare nei fedeli il senso della responsabilità e del servizio, invitandoli a superare i particolarismi locali, aprendoli all'impegno comune e stimolando la loro volontà di partecipare all'edificazione di una nazione unita e dinamica.

La coscienza della vostra presenza, come Popolo di Dio, nel vostro Paese deve guidarvi e ispirarvi anche nelle relazioni con lo Stato e nella scelta delle iniziative sociali che dovrete mettere in atto in conformità con la vostra missione spirituale.

Diffondete ampiamente l'insegnamento della Chiesa in campo sociale per costruire delle comunità ecclesiali che siano in grado di far penetrare il lievito del Vangelo alla radice della vostra cultura. Come ricordavo nella mia recente enciclica, la diffusione della dottrina sociale della Chiesa fa parte della nostra missione evangelizzatrice (cfr. SRS 41).


3. "Occorre restituire alla famiglia il suo posto centrale nella pastorale": così constatavano già nel 1980 i Vescovi del Congo, del Centrafrica e del Ciad, al termine di un incontro, a Bangui, sul tema: "La funzione della famiglia cristiana nel mondo di oggi".

Mi sembra davvero che la realtà familiare sia oggetto privilegiato della vostra azione pastorale. Nel vostro Paese, la Chiesa ha una responsabilità reale nella promozione della vita coniugale e delle strutture familiari, essenziali per l'avvenire della comunità cristiana e della nazione. Dovete essere ben certi che quanto avrete seminato nella terra profonda delle realtà familiari darà frutti di giustizia, di felicità e di prosperità per la vostra nazione, per non parlare delle vocazioni sacerdotali e religiose che potranno nascere.


4. Un altro punto che deve mobilitare il vostro zelo pastorale è - mi pare - la formazione di autentiche elites contadine.

Secondo la parola del libro della Genesi, Dio ha dato la terra all'uomo perché egli vi eserciti il dominio e realizzi così la sua propria vocazione di collaborare con il suo lavoro al grande progetto divino della creazione, sempre in via di compimento.

La Chiesa, trasmettendo il suo messaggio, può svolgere un ruolo di primo piano nello sviluppo rurale, condizione essenziale del progresso economico e sociale dei popoli africani. Essa può concorrere alla rinascita delle campagne: attraverso le sue comunità dei villaggi, per il dinamismo proprio dell'animazione spirituale di cui ha la responsabilità e infine attraverso le iniziative che può prendere nel campo dell'educazione, della sanità e della cultura.

Il mondo agricolo, che offre alla società i prodotti necessari alla sua alimentazione quotidiana, ha un'importanza fondamentale. E ridare all'agricoltura il suo giusto valore come base di una sana economia, è offrire un contributo positivo ai progetti di sviluppo del Paese.


5. Voglio ora accennare brevemente a quella che chiamerei una opzione ecclesiale a favore dei giovani.

Sappiamo che in tutto il continente africano i giovani in gran numero si rivolgono alla Chiesa, sperando che essa possa loro aprire la strada dell'avvenire.

Quali che siano i mezzi e la libertà di cui disponete nel vostro Paese, l'accoglienza e l'educazione dei giovani costituiscono per voi una urgenza pastorale. In effetti di fronte alla crisi che colpisce sempre più le generazioni emergenti nelle loro legittime aspirazioni, sarebbe grave che la Chiesa restasse muta e priva di iniziative nei confronti dei giovani delle campagne, delle fabbriche e delle scuole, disoccupati nelle città, caduti nella miseria o nella delinquenza.

In questo campo, i nostri sforzi tenderanno a far indietreggiare le frontiere del possibile. La vostra azione a favore dei giovani si appoggi risolutamente sulle realtà della vostra Chiesa, sulle sue strutture di base, sulle famiglie cristiane, le parrocchie e le comunità di quartiere e di villaggio, i movimenti e le fraternità di adulti e di giovani! Inoltre, vi raccomando di mobilitare gli istituti religiosi, presenti nelle vostre diocesi, per la cura dei giovani. In piena crescita, essi, in conformità con i loro propri carismi e forti di una lunga esperienza, sapranno rinnovarsi a contatto con le realtà culturali e sociali africane per rispondere, in modo sempre più appropriato, ai bisogni di una gioventù alla ricerca di valori spirituali su cui costruire un solido avvenire.


6. La vostra visita "ad limina", che rinsalda il vostro rapporto con la Chiesa universale, può essere un'ottima occasione per riflettere sul modo di sviluppare i legami tra le vostre Chiese.

Nella misura in cui cresce lo spirito collegiale, impegnatevi risolutamente in un aiuto reciproco e in una più attiva collaborazione.

Trovate il modo di vivere realmente la comunione che le vostre Chiese devono avere tra loro, e impegnatevi per trovare il modo di mettere le vostre comunità ecclesiali in comunicazione le une con le altre.

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione sociale locali giocherà in questo campo un ruolo essenziale. Non risparmiate gli sforzi per dare alle vostre Chiese questi mezzi di informazione, di formazione e di conoscenza reciproca ormai indispensabili nel mondo moderno.


7. Si tratta di un servizio che rendete alla regione dell'Africa centrale cui appartenete un forte sostegno reciproco nei vari settori della vita ecclesiale.

L'animazione cristiana della società verrà assicurata su più ampia scala. Si risponderà meglio alle legittime aspirazioni di quanti, troppo spesso, ne cercano soddisfazione nelle sette, dando a tutti i cattolici dei modi migliori di approfondire la loro fede e di consolidare la loro vita di comunità.

Una parola, se permettete, su quelli verso cui la Chiesa cerca di avere una sollecitudine particolare: i poveri.

Nel momento in cui l'Africa sperimenta una situazione economica difficile e cerca mezzi per rilanciare lo sviluppo, non si può dimenticare il grande numero di uomini, di donne, di giovani e di bambini che sempre di più rischiano di essere colpiti dalla miseria. Nella mia recente enciclica, ho ricordato questa tragedia, che purtroppo non è circoscritta al vostro continente, e ho riaffermato che davanti alle sofferenze patite da tanti nostri fratelli e sorelle, il Signore Gesù continua a chiamarci e a richiedere la nostra solidarietà.

Nella famiglia umana e nella Chiesa, le opere di aiuto ai poveri, ai malati, agli anziani, agli handicappati. agli emarginati, agli alienati, sono feconde come l'amore che le ispira. Sono una forza viva dei discepoli di Cristo e consentono agli osservatori di oggi di ripetere quello che i pagani dicevano un tempo dei primi cristiani: "Guardate come si amano".


8. Infine, la cura delle elites intellettuali e sociali del vostro Paese richiama anch'essa la vostra attenzione. La parola di salvezza della Chiesa possa farsi sentire all'interno dei grandi dibattiti che mettono in causa l'avvenire del vostro popolo! Il Sinodo dei Vescovi dell'anno scorso ha richiamato l'urgenza di formare un laicato capace di assumersi le sue responsabilità, di investire la sua fede, la sua speranza e la sua carità nella realtà sociale.

Non esitate dunque a mettere a disposizione dei quadri del vostro Paese i sacerdoti competenti e i mezzi di formazione che desiderarono avere per mettere a profitto le loro energie di battezzati! Ecco un servizio da rendere a tutto il vostro popolo.


9. Prima di concludere, vi chiedo di trasmettere il mio saluto affettuoso ai vostri collaboratori più stretti, i sacerdoti, come anche ai candidati al sacerdozio, che si preparano, a contatto con scelti educatori, ad essere veri pastori e apostoli di Gesù Cristo. Dite loro la mia stima per il lavoro che compiono e il mio incoraggiamento a continuare l'opera esaltante di evangelizzazione per formare i cristiani del futuro, seguendo le orme dei fedeli del primo secolo della Chiesa nel Congo.

Esprimo la mia gratitudine ai religiosi e alle religiose che vivono secondo i consigli evangelici e ne fanno scoprire ai congolesi la bellezza.

Continuino tutti a dare l'esempio gioioso di una autentica pienezza umana dovuta al possesso dei beni di questo mondo in vista di un "essere" più bello e più ricco! Ai coraggiosi catechisti, il cui lavoro quotidiano perseverante rende solide le fondamenta dell'edificio spirituale congolese, invio il mio più cordiale incoraggiamento.

Infine, colgo l'occasione di questo incontro per dire, attraverso di voi, cari fratelli, la mia affezione a tutto il popolo del Congo e per esprimere il mio sostegno nel suo lungo cammino verso il progresso.

Riprendendo l'esortazione dei Padri all'ultimo Sinodo, vorrei insieme a loro concludere: "Vescovi, sacerdoti e diaconi formino delle comunità vive, assidue nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42). "Sappiano discernere e accogliere i doni dello Spirito nei fedeli laici e stimolare in loro il senso della comunione e della responsabilità" ("Patrum Synodi Episcoporum 1987 Nuntius ad Populum Dei", 13).

Vi venga in aiuto Dio, per intercessione della Vergine Maria verso la quale, in quest'anno mariano, si volgono i nostri sguardi supplichevoli! Vi benedico di tutto cuore insieme ai fedeli del Congo.


Data: 1988-03-22 Data estesa: Martedi 22 Marzo 1988




Ai pellegrini di lingua tedesca - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo: mistero centrale della fede della Chiesa

Testo:

Cari fratelli e sorelle! Come tutti gli anni anche oggi siete qui numerosi all'udienza per la vicina festività pasquale. Ogni anno molti credenti delle vostre parrocchie e diocesi si preparano in modo speciale, con questo pellegrinaggio alle tombe degli apostoli, alla festa della risurrezione di nostro Signore, rinnovando così le due indimenticabili visite pastorali fatte nel vostro Paese. Vi ringrazio della devozione dimostrata per il centro della cristianità cattolica e per i successori di san Pietro e vi porgo il mio caloroso benvenuto all'udienza di oggi.

La passione e la risurrezione del Signore, che in queste settimane commemoriamo nella liturgia della Chiesa, ci porta a meditare in modo particolare su Gesù Cristo, sulla sua persona e sulla sua venuta per la salvezza degli uomini.

Cristo è il mistero centrale della nostra fede. Da molti mesi sono rivolte a lui le brevi riflessioni ed esposizioni catechetiche di queste udienze settimanali. Le testimonianze della Sacra Scrittura dimostrano che Cristo è vero uomo e vero Dio.

Fu inviato da Dio sulla terra per liberare l'umanità dal peccato e dalla colpa con la sua crocifissione. Durante la sua passione e sulla croce ha sofferto come uomo - come uno di noi, come figlio di Dio si è donato al Padre celeste in un sacrificio espiatorio.

Cristo è vero uomo e vero Dio. Soltanto gradualmente la Chiesa è riuscita, nel corso dei secoli, a penetrare attraverso riflessioni filosofiche e teologiche il mistero dell'uomo-Dio. In contraddizione con numerose interpretazioni false e tentativi di spiegazioni, i grandi Concili soprattutto hanno esposto e fissato in modo sempre più chiaro l'insegnamento della Chiesa su Cristo. Un'importanza particolare riveste il Concilio di Calcedonia che ha precisato, con la sua definizione dottrinale, che le due nature, la divina e l'umana, si sono unite in Cristo senza confondersi l'una con l'altra o annullarsi reciprocamente.

Questo Concilio insegna che ci sono in Cristo due nature indipendenti, una umana ed una divina, che vengono pero unite nella divina persona del Verbo-Dio. Ciascuna delle due nature ha in Cristo i propri modi d'azione.

In lui vi è quindi una volontà umana ed una divina, ma sempre nell'unità di una persona divina.

Questi sono insufficienti tentativi umani per fare luce sul mistero impenetrabile dell'uomo-Dio Gesù Cristo. Anche se qualcosa dovesse essere incomprensibile, queste riflessioni teologiche dovrebbero aiutarci a mantenere viva ed approfondire la nostra fede ed il culto per il nostro salvatore. Cerchiamo di capire chiaramente, mentre rifletteremo sulla passione di Cristo, che non è un semplice uomo quello che sta soffrendo, ma il Figlio di Dio nella sua natura umana. Non solo la sua volontà umana ma anche quella divina nell'ubbidienza verso il Padre celeste dicono si all'umiliazione e alla mortificazione per espiare una volta per tutte l'orgoglio del peccato degli uomini con un sacrificio gradito a Dio.

Cari fratelli e sorelle, portate con voi, da questo incontro qui in Vaticano, questa breve riflessione sul mistero divino e umano della persona di Gesù Cristo durante la Settimana Santa e nel periodo pasquale. Accompagnate Cristo nella sua passione con amore sincero e riconoscenza perché possiate partecipare pienamente alla gioia della Pasqua per la sua vittoria definitiva nella risurrezione.

Vi auguro e chiedo per voi e i vostri cari una partecipazione feconda alla liturgia della Settimana Santa e della Pasqua con ricche grazie personali ed imparto a voi tutti di cuore la mia particolare benedizione apostolica. Sia lodato Gesù Cristo.


Data: 1988-03-23 Data estesa: Mercoledi 23 Marzo 1988









Agli ufficiali superiori dell'Esercito italiano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Affermate nel servizio militare i valori dell'umanesimo cristiano

Testo:


GPII 1988 Insegnamenti - Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)