GPII 1988 Insegnamenti - Al Movimento di spiritualità vedovile - "In un mondo oppresso dal dolore siate fonte di speranza e di vita"

Al Movimento di spiritualità vedovile - "In un mondo oppresso dal dolore siate fonte di speranza e di vita"



1. Sono particolarmente lieto di accogliere una così folta rappresentanza di appartenenti al Movimento di spiritualità vedovile "Speranza e Vita", promosso dall'opera "Madonnina del Grappa" di Sestri Levante, oggi diffuso in tutt'Italia e opportunamente collegato con analoghi movimenti di altri Paesi.

Siate le benvenute, carissime sorelle. Quest'incontro costituisce per voi la desiderata occasione di riaffermare il vostro amore e la vostra dedizione alla Chiesa, come anche la vostra fedeltà al successore di Pietro. Per me l'accogliervi è motivo di intensa gioia e di gratitudine profonda per il prezioso ed originale contributo che, con la vostra vita e attività di vedove cristiane, recate alla crescita della comunità ecclesiale e al bene della stessa società civile.


2. Ho appreso con interesse la storia del vostro movimento, iniziato vent'anni or sono, nella primavera del 1968, come espressione viva e dinamica di riconoscenza a padre Enrico Mauri, promotore dell'opera "Madonnina del Grappa".

Il "padre", come voi con semplicità lo chiamate, si era sempre intensamente occupato dell'aiuto spirituale da offrire alla vedovanza che egli, nella sua geniale intuizione ed esperienza apostolica, aveva scoperto come campo particolarmente ricco di risorse umane e cristiane per la donna che con serenità e decisione voglia valorizzare le possibilità di impegno religioso e sociale insite nella sua nuova condizione. Fu questo l'anelito apostolico di tutta la sua vita, l'ideale che gli stava tanto a cuore secondo quanto scriveva nel 1963, a ottant'anni: "Dovrebbe essere premura di ogni sacerdote l'occuparsi apostolicamente della vedovanza cristiana, non limitandosi ad avere compassione e carità per essa ma coltivandola spiritualmente sulla scorta di san Paolo, di sant'Ambrogio, li san Gerolamo e di una serie di santi che con la vedovanza hanno arricchito la Chiesa di famiglie religiose e di opere di carità. Alla loro scuola il sacerdote può apprendere il valore provvidenziale della vedovanza ai fini della santità e dell'apostolato".

In questa occasione desidero riproporre alla vostra attenzione la duplice e inscindibile dimensione da cui devono essere segnate in profondità la vostra vita e la vostra attività: la dimensione spirituale e quella apostolica. Da una profonda partecipazione alla vita della grazia, nutrita da una continua intimità con Cristo incontrato nella preghiera e nei sacramenti, voi dovete attingere l'ispirazione e lo stimolo alle opere di specifico apostolato, alle quali vi abilita la vostra situazione particolare, nella società e nella Chiesa.

In special modo si apre dinanzi a voi l'apostolato del matrimonio e della famiglia: non certo come unico campo del vostro servizio ecclesiale ed umano, ma come campo più consono alla vostra esperienza e condizione di vita. Voi vedove, non solo in quanto fedeli laiche ma anche e specificatamente per la vostra singolare ricchezza femminile, siete chiamate a prendere parte attiva e responsabile alla missione della Chiesa per la salvezza del mondo.


3. Carissime sorelle, continuate, sia come aderenti al movimento "Speranza e Vita" sia come donne che sanno dialogare con delicatezza e amore con altre donne le quali con voi condividono la stessa esperienza e la stessa sensibilità cristiana, a ispirarvi a questa preziosa eredità spirituale, che l'opera "Madonnina del Grappa" gelosamente custodisce e generosamente fa fruttificare.

Siate in piena sintonia con la richiesta del recente Sinodo dei Vescovi, che si è celebrato a Roma nell'autunno scorso: la richiesta, cioè, di rendere sempre più coscienti i fedeli laici, ciascuno nel proprio stato e secondo la propria vocazione, come singoli e come gruppi, della loro partecipazione alla vita e all'attività apostolica della Chiesa, nonché della loro esaltante e impegnativa chiamata alla santità cristiana.

Prendo spunto dalla significativa denominazione del vostro movimento, per porgervi il mio augurio, che vuole essere anche la consegna d'un programma.

Siate fonte di speranza! Siatelo in mezzo ad una società che, troppo assetata di beni materiali e di piaceri temporali può smarrire le ragioni della speranza: tocca a voi grazie alla fede che il Signore vi dona e alla testimonianza concreta di vita che siete chiamate a dare, ricordare agli uomini il loro destino d'eternità; tocca a voi che avete fissi gli occhi e i cuori all'eternità, nella quale già è entrato lo sposo che continuate ad amare vivente in Dio. Siate fonte di vita! Siatelo in un mondo oppresso e sconvolto dalla solitudine e dal dolore.

Desidero ripetere a voi, in particolare, quanto ho detto alle vedove in occasione del pellegrinaggio internazionale a Lourdes nel maggio 1982: "Voi siete particolarmente capaci di comprendere la solitudine e il dolore. Fate compagnia a quelli che sono soli e voi stesse sarete meno sole. Confortate coloro che soffrono e voi stesse sarete consolate. Testimoniate una carità attiva e la vostra vita splenderà di pace e di gioia". così sarete veramente fonte di vita! Con questi sentimenti vi imparto di cuore la mia benedizione, che estendo volentieri a tutte le aderenti al movimento ed ai rispettivi familiari, come pure ai sacerdoti che con zelo generoso vi sostengono nell'impegno di progresso spirituale e di servizio alla Chiesa ed alla società.


Data: 1988-04-21 Data estesa: Giovedi 21 Aprile 1988




A un gruppo di Vescovi della Comunione anglicana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Mantenere e rafforzare i legami della comunione

Testo:

Cari fratelli in Gesù Cristo.


1. Benvenuti a Roma e qui in Vaticano.

Attraverso di voi, estendo i miei saluti cordiali a tutti i membri della Comunione anglicana.

Durante il vostro soggiorno a Roma, avete visitato molti dei monumenti sacri e storici di cui è ricca questa città. Avete camminato sulle tracce lasciate dai primi martiri cristiani e ripensato alla testimonianza della loro vita e della loro morte. Prego che voi siate rafforzati e incoraggiati nella vostra vita e nel vostro ministero da questi giorni trascorsi nella città di Pietro e Paolo.

Sono lieto che abbiate voluto far visita al successore di Pietro. Sono bene al corrente del lavoro compiuto da anglicani e cattolici alla ricerca di una comune comprensione del servizio universale all'unità che compete al ministero del Vescovo di Roma. E' mia preghiera che questo lavoro porti frutto e aiuti ad aprire la via per quella pienezza di unità che è volontà di Cristo per i suoi seguaci.


2. Tra breve voi raggiungerete gli altri Vescovi della Comunità anglicana alla Conferenza di Lambeth. Questo incontro avviene in un momento significativo sia per lo sviluppo del movimento ecumenico, sia per la vita della Comunione anglicana.

Nelle vostre discussioni a Lambeth, voi vi occuperete di questioni difficili e delicate che toccano aspetti essenziali delle vostre relazioni con la Chiesa cattolica e con i nostri fratelli e sorelle ortodossi. Prego che ritrovandovi insieme, voi diate il giusto peso all'importanza di mantenere e rafforzare i vincoli di quella reale se pur imperfetta comunione che unisce anglicani e cattolici. Approfondire questa comunione e ricercare la piena comunione è fondamentale per la missione affidata da Cristo ai suoi discepoli. Quelle cose che danneggiano l'unità cattolica nello stesso tempo indeboliscono l'impatto della testimonianza cristiana. Il nostro mondo, così diviso, desidera ardentemente di vedere la vera comunione e la profonda riconciliazione che noi siamo chiamati a testimoniare.

Cerchiamo di essere fedeli a quella testimonianza, così che il mondo possa vedere sempre più chiaramente a quale unità tutti sono chiamati. Che il nostro stesso impegno a favore dell'unità possa essere riconosciuto come un segno della riconciliazione operata da Dio.

Cari fratelli, vi saluto ancora in Cristo risorto. Vi benedica e custodisca sempre.


Data: 1988-04-22 Data estesa: Venerdi 22 Aprile 1988




A un gruppo di Vescovi dello Zaire in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siate artefici dell'unità dinamica della Chiesa

Testo:

Caro signor Cardinale, cari fratelli nell'episcopato.


1. Vi ringrazio dei sentimenti di fiducia da lei espressi, signor Cardinale, a nome dei Vescovi delle vostre tre province, e del racconto del vostro impegno e delle vostre preoccupazioni di pastori. Con grande gioia vi accolgo e, con voi, la Chiesa dello Zaire.

Questa Chiesa mi ha ricevuto calorosamente due volte, nel 1980 e nel 1985; e nel corso della vostra precedente visita "ad limina", nel 1983, abbiamo affrontato insieme un certo numero di questioni importanti. L'anno scorso mi avete indirizzato un documento espositivo dei maggiori obiettivi della vostra pastorale; li ho tutti in mente; si uniranno a quelli che sto per presentare. Sono, queste, tappe e strumenti della vostra comunione con il successore di Pietro e con i dicasteri della Santa Sede.

Conosco il vostro zelo al servizio dei vostri compatrioti, le numerose iniziative per rispondere alle necessità della Chiesa e ai bisogni della società, a prezzo di grandi fatiche e sacrifici, in diocesi molto vaste, con una popolazione cristiana dispersa nel territorio.

Che il Signore renda fruttuoso il vostro ministero nel cuore del continente africano! 2. Vorrei cominciare meditando con voi sulla nostra missione di Vescovi. Essa ha la sua origine nelle parole rivolte da Gesù Cristo agli apostoli, cui dobbiamo ritornare continuamente. Questa missione è ben descritta nella prima lettera di san Pietro (1P 5) e nelle lettere di san Paolo. Voi venite in pellegrinaggio alle loro tombe per entrare in comunione con loro nell'ardente professione di fede sulla quale fondarono la Chiesa. Conserviamo anche nella memoria l'esempio di tanti santi pastori, a Roma e nelle altre Chiese particolari. Basta citare il nome di Cipriano e di Agostino: noi tutti siamo della loro stirpe. Il Concilio Vaticano II si è soffermato a lungo sulla missione dei vescovi (cfr."Lumen Gentium", "Christus Dominus"): questi testi descrivono la nostra funzione di successori degli apostoli, oggi. E, al momento della vostra consacrazione episcopale, ciascuno di voi ha ricevuto, attraverso l'imposizione delle mani trasmessa senza soluzione di continuità a partire dagli apostoli, lo Spirito che fa di voi i sacerdoti e i pastori del popolo santo, "Spiritum principalem".

Il Signore mi ha assegnato, in mezzo a voi, il compito di confermarvi - "confirmare" - in questa grande missione, affinché noi insieme possiamo assicurare l'unità della Chiesa, la sua fedeltà, il suo progresso, secondo la volontà del Signore.


3. "Spiritus principalis": il pastore è il capo che raduna il gregge, che marcia alla loro testa, che lo governa dividendo i compiti, che, con i suoi collaboratori sacerdoti, lo conduce alle fonti della vita, che vigila perché sia nutrito con la dottrina e i sacramenti della fede, lo conduce alla santità. Voi siete stati resi personalmente responsabili dell'annuncio e dell'approfondimento della Parola di Dio, responsabili di una degna celebrazione dei sacramenti, responsabili dell'unità. Per questo, dovete intervenire con chiarezza presso gli uomini, ma altrettanto intercedere presso Dio per il vostro popolo.

Le istituzioni della Chiesa hanno le loro proprie leggi e spirito, che corrispondono al Vangelo. Il pastore non è dunque un capo come quelli della società civile. Gesù ci ha avvertito nell'ultima cena (cfr. Lc 22,24-27). Il pastore dispone dell'autorità necessaria, ma con la disponibilità del servo che dà per le sue pecore la vita, le forze, il cuore.

Una autorità rafforzata dall'esempio di santità che accompagna il ministero, secondo l'esortazione di san Pietro: "Pascete il gregge di Dio che vi ha affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio... facendovi modelli del gregge" (1P 5,2 1P 5,3). Insomma, l'autorità che esercitiamo come Vescovi è quella del padre che cerca di farsi vicino ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici, li va a trovare, conosce i loro desideri e i loro bisogni, come il pastore conosce le pecore, le consiglia, le incoraggia, le aiuta ad assumersi le loro responsabilità con bontà e semplicità di cuore.

Questo abbiamo promesso alla nostra ordinazione episcopale.


4. Cari fratelli, il nostro compito di pastori comprende in particolare il carisma dell'unità.

La società si compone di molte etnie, ciascuna con la sua storia, le sue tradizioni, la sua originalità, la coscienza dei suoi valori.

Questa diversità è una ricchezza per il Paese, a condizione che ogni etnia venga accolta, rispettata e accetti di collaborare al bene comune delle società e della Chiesa, senza chiusure, senza diffidenza verso le altre, senza spirito di clan.

La Chiesa anche qui può dare testimonianza. A imitazione di Cristo e seguendo le esortazioni delle lettere di san Paolo, essa è chiamata a manifestare accoglienza, apertura, benevolenza, solidarietà, amore al di là di ogni tipo di divisione. In questo spirito le diocesi sono invitate ad accogliere il loro Vescovo, anche se appartiene a una diversa etnia, e il Vescovo si fa tutto a tutti senza privilegiare il gruppo a lui più familiare, senza alcuna discriminazione. La costituzione e il buon funzionamento dei consigli diocesani faciliteranno notevolmente lo spirito di comunione tra tutte le forze vive. Il consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale, previsto dal diritto della Chiesa, sono delle istanze molto utili per evitare l'isolamento del Vescovo, per aiutarlo, nel dialogo, a prendere decisioni migliori, a dare gli orientamenti dinamici di cui sacerdoti e laici hanno bisogno, a esercitare il suo ministero personale nella interezza evangelica.

Si, voi siete gli "artigiani" dell'unità diocesana, e anche i servi dell'unità della Chiesa dello Zaire, per la vostra fiduciosa collaborazione nel quadro delle province e della conferenza episcopale. La comunione si vive insieme con le altre Chiese particolari, con la Chiesa universale e specialmente con la Santa Sede che è al servizio di questa comunione. Questo è l'aspetto più bello della Chiesa fin dalle origini; una unità dinamica, che non è uniformità ma tiene in conto i particolari, è adesione all'essenziale e, soprattutto, carità. E questo modello ecclesiale non può mancare di avere positive ripercussioni sulla stessa società.


5. Ecco dunque la coscienza pastorale con cui dovete affrontare il vostro ministero pastorale. L'evangelizzazione, che è il cuore di questo ministero, passa, ai vostri occhi, attraverso nuovi progressi nell'inculturazione della fede.

La Santa Sede ne è convinta. E sa con quanta serietà volete confrontare la cultura del vostro popolo con il dato della rivelazione per incarnare meglio il messaggio cristiano nella liturgia, nella ricerca teologica e nella catechesi, nella pastorale del matrimonio.

Questo suppone - come dite voi stessi - uno studio approfondito e critico dei costumi in vigore tra voi. Per facilitarlo voi avete a vostra disposizione un istituto di studi specializzato e auspicate la creazione di un centro di archivi ecclesiastici e di tradizioni africane.

In realtà, il messaggio evangelico svolge un ruolo profetivo e critico.

Vuole rigenerare, passare al vaglio ciò che è ambiguo, segnato da debolezza o peccato, sia nei vostri costumi ancestrali che nelle pratiche di recente importate dall'estero. così si potrà assumere tutto ciò che è buono, nobile e vero, al fine di esprimere il mistero cristiano secondo il genio africano. Questa impresa richiede molto tempo, molta lucidità teologica, molto discernimento spirituale, oltre a vaste consultazioni, in unità con la Chiesa universale e d'accordo con la Santa Sede. Tutti coloro che lavorano a quest'opera devono anzitutto approfondire lo studio della Bibbia, dei Concili e dei documenti del Magistero. Assimilando nella fede il messaggio universale del mistero cristiano, potranno integrarlo nella loro cultura. Perché, in definitiva, ciò che interessa per la salvezza è che la stessa linfa della vite, che è Cristo, vivifichi tutti i tralci.

Per quanto riguarda la celebrazione dell'Eucaristia, la forma attualmente ad "experimentum" richiede ancora qualche esame e qualche precisazione da parte dei nostri dicasteri per entrare in un messale da usare nelle diocesi dello Zaire. Ma ecco là un buon esempio di dialogo con la Santa Sede. Auspico che avvenga lo stesso per l'insieme del rituale dei sacramenti che state mettendo a punto.


6. Quanto al contributo zairese alla ricerca teologica, ne ho parlato a lungo con voi nel 1983. C'è da voi un fiorire di ricerche, di tentativi di riflessione, per meglio comprendere ed esprimere nella cultura zairese il dato rivelato. E' già una possibilità e un contributo alla cattolicità. Come vi dicevo, bisogna evitare di richiudersi su se stessi, bisogna che il rapporto con Cristo sia reale, profondo, radicale. Bisogna tener conto del patrimonio comune della fede. E tocca di nuovo ai vescovi, dottori e padri nella fede, di giudicare in ultima istanza dell'autenticità cristiana delle idee e delle esperienze.

In questo campo, le facoltà cattoliche di Kinshasa (teologia, filosofia e centro studi delle religioni africane) possono svolgere un ruolo determinante.

Esse già esercitano una notevole influenza da voi e nel continente africano per le loro molteplici attività e pubblicazioni. Auspico che la ricerca sia sempre serena, fedele al Magistero e persegua obiettivamente la verità, indipendentemente dalle pressioni di certi gruppi o di certe tendenze teologiche riduttive. So che su questo vigila il comitato permanente della conferenza episcopale, e incoraggio la collaborazione di tutti i Vescovi in questo campo. La competenza, la coscienza professionale, la qualità spirituale, il senso ecclesiale e l'esempio di vita degli insegnanti saranno, qui come dappertutto, la garanzia più sicura del lavoro scientifico di cui la Chiesa ha bisogno, proprio per una autentica inculturazione.

Altri centri teologici stanno nascendo in Africa, con i quali il centro di Kinshasa potrà collaborare.

Avete accennato alle proliferazioni delle sette e alla loro azione corrosiva. I motivi sono senz'altro molti. Il fatto è serio e invita a sviluppare la formazione catechetica dei fedeli e le comunità ecclesiali vive, perché coloro che sono attirati dalle sette, ricercano probabilmente una risposta semplice o sincretista ai loro problemi, e un sostegno affettivo, che è nell'ordine della carità.


7. Tra le vostre preoccupazioni è sempre stata centrale la formazione di un laicato adulto e competente, capace di assumere pienamente le sue responsabilità nella Chiesa e nel mondo. Il vostro impegno in questo campo ha già portato molti frutti, almeno per quanto concerne il coinvolgimento dei laici nei compiti ecclesiali propriamente detti.

Resta da compiere il notevole lavoro di risvegliare il senso della loro responsabilità di battezzati di fronte alla società, nella quale sono chiamati ad essere "il sale della terra". Voi stessi lo riconoscete: l'impatto dei cristiani zairesi nella gestione degli affari temporali, secondo lo spirito del Vangelo, potrebbe essere più consistente. Per riprendere il messaggio dei padri all'ultimo Sinodo dei Vescovi, il dovere dei laici è stato e resta di impregnare sempre più fortemente dello Spirito di Cristo i campi della vita sociale, della famiglia, del lavoro e della ricerca di migliori condizioni di esistenza. In questo modo essi collaborano alla santificazione del mondo e alla realizzazione del Regno di Dio.

Di qui l'importanza dell'apostolato tra le elites intellettuali e sociali del vostro Paese, perché è indispensabile (senza confondere Chiesa e Stato) che la parola della salvezza si faccia intendere al cuore stesso dei grandi dibattiti che mettono in causa l'avvenire del vostro Paese. Fate tutto quello che è possibile per mettere al servizio degli intellettuali della vostra nazione sacerdoti competenti e mezzi adeguati di formazione, per aiutarli a sviluppare le loro energie di battezzati.


8. Già da molto tempo, lo stato di salute della famiglia e della coppia vi preoccupa.

Voi sottolineate che il problema fondamentale consiste nel favorire la maturazione delle persone, affinché esse prendano coscienza delle loro responsabilità e le esercitino per il bene della famiglia e, in definitiva, della società intera. Giustamente voi reagite davanti a certe politiche malthusiane che svalorizzano la paternità e la maternità, la cui dignità i vostri compatrioti hanno sempre riconosciuto.

Avete notato, tra l'altro, che una affermazione mal-compresa dell'identità culturale africana rischierebbe di far rinascere certi costumi sfavorevoli al matrimonio cristiano tra cui: la poligamia, la conclusione del solo matrimonio tradizionale, la ricerca della fecondità senza l'intenzione di una stabile unione matrimoniale. D'altra parte, voi osservate che il rifiuto sconsiderato di certi valori culturali africani non avviene senza rischi, perché può condurre a unioni fragili, prive delle garanzie di stabilità che offrono i clan e le famiglie dei partners. E' quindi necessaria una catechesi perché i fedeli scoprano il significato del matrimonio cristiano e quello che aggiunge al legame tradizionale degli sposi. Vi attende dunque un grande lavoro di educazione in questo campo, per non parlare dell'elaborazione di un rituale per la celebrazione del sacramento del matrimonio, che tenga conto di certi aspetti della tradizione africana. La Chiesa, da parte sua, mette in rilievo l'atto del mutuo consenso degli sposi, come sigillo della loro alleanza, perché essa desidera che l'essenziale risalti con nettezza nel cuore delle celebrazioni.

Voi sapete anche quale sforzo di formazione dovete attuare per far comprendere ai futuri sposi e spose l'insegnamento della Chiesa sulla paternità e maternità responsabili, sulla sterilità, sul rifiuto della poligamia e sulrispetto dell'uguale dignità delle persone. Vi incoraggio a continuare a far assumere la responsabilità delle famiglie alle comunità ecclesiali vive, esse pure composte da famiglie credenti e apostoliche: ci sono promettenti segni di sviluppo per la Chiesa nello Zaire.

Continuero queste riflessioni con i vostri confratelli, soprattutto sul tema delle vocazioni. Nel corso dei colloqui con i dicasteri, voi svilupperete questi temi e altri che non ho potuto trattare. Volevo soprattutto dimostrarvi il mio interesse per le vostre preoccupazioni più gravi e confermarvi nella vostra missione di pastori. In segno di incoraggiamento, vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica, che estendo ai vostri collaboratori e alle vostre diocesi.


Data: 1988-04-23 Data estesa: Sabato 23 Aprile 1988




Ad un gruppo di medici del "Cardarelli" di Napoli - Città del Vaticano (Roma

Titolo: E' un diritto e un dovere proteggere la salute

Testo:

Sono lieto di accogliere quest'oggi voi medici, che svolgete la vostra attività presso il reparto della 2 Ortopedia degli Ospedali Riuniti "Cardarelli" di Napoli.

Esprimo il mio cordiale saluto a tutti: e ringrazio il vostro caro Arcivescovo, monsignor Michele Giordano, il primario professor Vittorio Monteleone e il presidente, avvocato Raffaele Reina, che vi hanno qui accompagnati con pensiero così gentile. La vostra presenza suscita nel mio animo sentimenti di stima e di rispetto per la delicata missione che voi svolgete nella società a favore della salute e della vita umana. Pur nel rispetto di ogni altra professione, non si può non riconoscere la funzione preminente della vostra opera, che ha per scopo la tutela di un bene fondamentale: l'uomo.

Certo, per il cristiano la principale sorgente di speranza, anche in caso di malattia resta sempre l'aiuto del Signore, autore della vita, anzi "amante della vita" (Sg 11,26). Ma ciò non esclude, certamente, il ricorso alle cause seconde, cioe ai sussidi dell'arte medica, la cui specifica funzione è pure prevista nei piani della Provvidenza. Per questo la Sacra Scrittura non manca di raccomandare: "Non stia lontano da te il medico poiché ne hai bisogno" (Si 38,12).

E' un diritto e un dovere proteggere la salute, perché la vita è un tempo prezioso, a noi concesso per tradurre in atto tutte le ricchezze spirituali di cui ciascuno è portatore; per incarnare i valori di amore, di bontà, di giustizia e di pace, a cui ogni cuore aspira. Alla luce delle fede, poi, la vita è il tempo di grazia, in cui ciascuno è chiamato ad arricchirsi di quei valori che durano per l'eternità.

A questa visione cristiana si ispiro il vostro concittadino Giuseppe Moscati, che il 25 ottobre scorso ho avuto la gioia di annoverare nell'albo dei santi e additarlo a tutta la Chiesa, e in primo luogo agli operatori sanitari, come luminoso esempio di preparazione professionale e di testimonianza cristiana.

Egli è stato un medico che ha saputo fare della sua vita una palestra di apostolato e uno strumento di redenzione delle anime e dei corpi, senza compromessi e senza timori reverenziali. Scriveva nel 1922: "Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; se tormento, e tu accettalo" ("Positio super virtutibus", 1972).

Auspico che la prestigiosa figura del vostro conterraneo vi sia di aiuto nella professione, che richiede, si, adeguata preparazione scientifica, ma che esige anche calore umano, bontà e carità verso coloro che si affidano alle vostre cure e alla vostra solidarietà.

A tutti voi e ai vostri familiari, nonché ai vostri assistiti, imparto di cuore la mia benedizione.


Data: 1988-04-23 Data estesa: Sabato 23 Aprile 1988




Omelia in onore di sant'Adalberto - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiamo per la Chiesa che è in Cecoslovacchia

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle, miei connazionali, abbiamo reso grazie per la professione di fede pronunciata quasi mille anni fa ormai sulle rive del Baltico.

Abbiamo ringraziato per le parole di san Paolo "La mia vita, infatti, è Cristo e morire mi è un guadagno" (Ph 1,21), le stesse parole che ha pronunciato il nostro patrono, sant'Adalberto, Vescovo di Praga, martire. Egli si è collocato agli inizi della storia della Chiesa nella nostra patria ed all'inizio della storia della nostra nazione, la quale allora, all'epoca dei primi membri della dinastia dei Piast, si stava unificando, sviluppando la propria struttura nazionale in varie direzioni. Era un missionario: ogni missionario possiede due patrie ed anche lui portava nel suo cuore il ricordo, un doloroso ricordo, della sua patria d'origine, perché era Vescovo di Praga in Boemia. Se è andato in Polonia, vuol dire che aveva dovuto lasciare quella sua sede. Aveva dunque la sua prima patria e poi la sua seconda patria, quella missionaria, la terra dei "Polanie", Gniezno. Da li è partito per la missione verso il mar Baltico dove poi ha subito il martirio. Oggi 23 aprile, giorno del suo martirio ricordiamo la figura del più antico patrono della Polonia seguendo le tappe della sua biografia, della sua vita terrena da quella patria dalla quale è partito fino a quella sua sede, e preghiamo come abbiamo già fatto durante l'Eucaristia, per i nostri fratelli, i nostri vicini, per la Chiesa nella loro patria, per il Vescovo di Praga, Cardinale Frantiésèc Tomàsèc, un personaggio straordinario, chiedendo a Dio di concedergli molte forze spirituali e fisiche affinché possa continuare a dare la sua testimonianza come successore di sant'Adalberto nella sede di Praga. Tutte le nostre riflessioni, le nostre preghiere unite all'Eucaristia siano concluse ed incoronate dalla benedizione che impartiamo in modo particolare alla prima e poi alla seconda patria del nostro Santo patrono, raccomandando a Dio che è Padre e Figlio e Spirito Santo tutte le cose, tutte le nostre cose quotidiane, sia in Polonia che in Cecoslovacchia. Possa compiersi tra noi il mistero di quel seme che cadendo in terra muore per produrre molto frutto.


Data: 1988-04-23 Data estesa: Sabato 23 Aprile 1988




Omelia per la beatificazione di quattro consacrati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pietro, Francisco, Kaspar, Savina hanno risposto in modo particolare al dono del buon Pastore

Testo:


1. "Quale grande amore ci ha dato il Padre" (1Jn 3,1).

Nella domenica quarta di Pasqua la Chiesa fissa lo sguardo sul mistero dell'amore che il Padre ci ha rivelato mediante la figura del Buon Pastore.

"Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Jn 10,11).

Così dice Cristo, e le sue parole sul buon pastore riflettono pienamente il mistero pasquale che stiamo vivendo nell'attuale tempo di Pasqua.Quando mai si è confermato così fortemente che il buon pastore offre la sua vita per le pecore, se non nella croce e nella risurrezione di Cristo? Nella sua passione e nella sua morte, che divenne sacrificio per la redenzione del mondo? Ed ecco, fissando gli occhi in Cristo, mediante il mistero pasquale vediamo in maniera ancor più piena "quale gande amore ci ha dato il Padre", questo Padre che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi alla morte di croce (cfr. Rm 8,32).


2. "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Jn 10,14).

La circostanza che ci riunisce oggi nella Basilica di san Pietro è una particolare, ulteriore conferma di queste parole. Questi servi e serve di Dio che oggi - mediante la beatificazione - sono elevati alla gloria degli altari, non rendono forse testimonianza a quella particolare conoscenza di Cristo Buon Pastore, che ha plasmato tutta la vita, tutta la vocazione terrena - di Pietro Bonilli - di Francisco Palau y Quer - di Kaspar Stanggassinger - di Savina Petrilli? Essi hanno sperimentato su se stessi, in modo particolarmente profondo, l'amore che il Padre ha dato a ciascuno di loro in Cristo. Ma essi hanno anche risposto in modo particolare al dono di questo amore, al dono della vita, che il Buon Pastore ha offerto per ciascuno di loro, e, nel tempo stesso, per ogni uomo in terra.

Oggi la Chiesa gioisce della testimonianza di questa "conoscenza", che ha portato i frutti della santità nella vita di ciascuno dei nostri beati. Questa gioia della Chiesa nell'odierna domenica è veramente una gioia pasquale.


3. "Io sono il buon pastore... Ed ho altre pecore che non sono di questo ovile" (Jn 10,14 Jn 10,16). Questa tensione del pastore per raggiungere tutte le pecore e farle partecipi della sua cura, del dono della sua vita, si può dire anche la caratteristica apostolica di don Pietro Bonilli.

Egli capi che occorreva anzitutto rendersi presente nel gregge, fino anche a dare la vita per seguirlo e nutrirlo in qualsiasi situazione, anche in quella rischiosa di condividere momenti di pericolo, recandosi in luoghi malsani e nelle regioni più umili e disprezzate. Egli rimase per 35 anni in una parrocchia situata nel territorio più depresso della sua diocesi di Spoleto, dove la condizione religiosa e morale era singolarmente povera ed avvilente, segnata dal degrado della bestemmia, del libertinaggio, del gioco, dell'ubriachezza.

Imitatore generoso di Cristo Buon Pastore, don Bonilli riverso la sua carità su quanti necessitavano di aiuto; fatto esperto fin dalla fanciullezza delle sofferenze e miserie, delle umiliazioni e istanze della gente della campagna, egli si impegno a "nutrire" il suo popolo, a condurlo in pascoli più ubertosi (cfr. Ps 23[22],2). Egli che "conosceva il suo gregge", volle trovare per esso il cibo adatto.

Inizio con un'intensa opera di catechesi e di istruzione religiosa, per la cui promozione si servi, come un precursore, dell'informazione e della stampa: "La stampa è l'arma del tempo", egli diceva. Comprese che occorreva associare i laici alla sua opera e seppe coinvolgerli nelle sue iniziative, affidando loro, come padre prudente e generoso, compiti di responsabilità, ma guidandoli altresi nella sua stessa esperienza di preghiera, affinché "trovassero pascolo" nell'incontro con Dio e nell'Eucaristia. Soprattutto egli vide nella famiglia il fondamento della rinascita della società e della vita ecclesiale. "Essere famiglia, dare famiglia, costruire famiglia" fu il suo motto e il suo programma.

La famiglia, ogni famiglia avrebbe dovuto rivivere la sua vocazione e la sua missione sull'esempio di quella di Nazaret. L'amore generoso, oblativo, sacrificato del Cristo, di Maria, di Giuseppe che fu il modello che egli volle proporre all'amore nella famiglia e alla missione della famiglia. La famiglia è infatti il luogo in cui ogni uomo è chiamato ad ascoltare l'invito alle molteplici opere di carità e ad aprirsi generosamente al servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, dei piccoli, degli ultimi. La famiglia è scuola di amore, dove i figli crescendo imparano a vivere secondo il Vangelo, cogliendo dai genitori l'immagine del volto amoroso di Dio, Padre e Pastore di ogni uomo. Il modello di Nazaret rimane il fulcro della missione che ormai da cento anni le suore della Sacra Famiglia, da lui fondate, svolgono con ammirabile zelo e sensibilità pastorale.


4. Un'altra personalità ecclesiale, che nella sua attività apostolica si sforzo di imitare Gesù, Buon Pastore, è il nuovo beato Francisco Palau y Quer. Questo religioso, carmelitano scalzo, fece della sua vita sacerdotale una offerta generosa alla Chiesa, gregge di Cristo. Nelle sue lunghe ore di contemplazione e nel suo apostolato, fu sempre concentrato sul mistero della Chiesa. Di essa dirà: "Nel giorno in cui sono stato ordinato sacerdote, sono stato consacrato, attraverso l'ordinazione, al tuo servizio, sono stato consegnato a te, Chiesa, e da quel giorno non appartengo più a me stesso, tuo sono e tue le mie azioni, per quanto sono e ho" (Francisco Palau y Quer "Mis relaciones con la Iglesia", 503).

Si consegna al suo servizio con entusiasmo perché la sente come una madre tenera e amorosa, e la ama come una sposa pura e santa.

Quando la persecuzione religiosa l'obbligo a lasciare il convento carmelitano di Barcellona, si dedico, dopo averla contemplata in solitudine a Eirissa, a studiare questo mistero di comunione che è il corpo mistico di Cristo, giungendo alla convinzione che nell'amore per la Chiesa si realizza il grande precetto cristiano dell'amore per Dio e per i fratelli.

Animato da questo amore Francisco Palau giunge ad esclamare: "La mia missione è di annunciare ai popoli che tu, Chiesa, sei infinitamente bella e amabile, e predicare che ti amino. Amore per Dio, amore per il prossimo: questo è l'oggetto della mia missione" (Francisci Palau y Quer "Mis relaciones con la Iglesia", 341). Realizza questo lavoro di buon pastore attraverso la predicazione e le missioni popolari, e con la catechesi nella "scuola della virtù".

Alimenta anche la devozione a Maria, che presenta come "l'archetipo perfetto della santa Chiesa" (Francisco Palau y Quer "Mis relaciones con la Iglesia", 331).

Ma l'opera prediletta del padre Palau è la fondazione del Carmelo Missionario, che si ispira alla santa riformatrice e a san Giovanni della Croce.

Le sue figlie spirituali (le Carmelitane Missionarie e le Carmelitane Missionarie Teresiane) incarnano e prolungano nella Chiesa lo spirito di questo apostolo.

Fedeli al suo carisma, desiderano farsi presenti "là dove la carità compie le sue azioni e funzioni".


5. "Il buon pastore dà la sua vita per il suo gregge" (Jn 10,11). Anche noi siamo chiamati da Cristo a mettere a disposizione la vita per il nostro prossimo secondo il suo esempio. Cristo non ha bisogno di grandi eroismi, di cui poi gli uomini parlano, ma di dedizione silenziosa e fedele nello svolgere i piccoli compiti ed interventi di tutti i giorni.

La Chiesa ci pone davanti agli occhi l'esempio della vita di Kaspar Stanggassinger, seguace di Cristo in modo modesto ma non meno eroico. La sua vita ebbe un'impronta fondamentale religiosa data dalla famiglia. Fu chiamato molto presto al sacerdozio e fu così interamente proiettato verso Dio. Divenne padre redentorista, non per isolarsi dagli uomini ma per condurre gli uomini a Dio in una più stretta unione con Cristo. Durante l'ordinazione sacerdotale disse: "Per grazia di Dio voglio diventare tutto a tutti".

Il santo padre Kaspar ha realizzato questo proposito adempiendo con fedeltà i suoi doveri quotidiani. Egli non cercava lo straordinario, ma faceva "ciò che la giornata richiedeva". Come precettore e insegnante dei giovani che si preparavano al sacerdozio era sempre presente. "Voglio ascoltare tutti volentieri, come se non avessi nulla da fare".

Padre Stanggassinger fu per i suoi giovani cristiani il "buon pastore" secondo l'esempio di Cristo, che conosce il suo gregge e lo conduce con cura.

Nell'educare si preoccupava di sviluppare nell'uomo, in modo armonico, la forza spirituale e morale sempre secondo un richiamo religioso. Ne è profondamente convinto: "Solo l'uomo che prega, si può conoscere". Era quindi molto importante per lui che i suoi allievi avessero, come verità centrale della loro vita, la fede in Dio e in Gesù Cristo. Come "buon pastore" il beato Kaspar Stanggassinger fu un esempio per i suoi giovani amici nel cammino cristiano verso la santità. Viveva in prima persona ciò che insegnava e pretendeva da loro. Con fermezza aveva posto Dio al centro della sua vita e del suo operato. Voleva appartenergli completamente e compiere la sua volontà in tutto, anche nelle cose piccole e modeste. Con il suo senso del dovere quotidiano padre Kaspar ci indica il cammino che tutti dobbiamo percorrere: il cammino della santità nell'imitazione di Cristo nella vita quotidiana. Il suo grande amore per i giovani deve essere modello e stimolo per i sacerdoti, per i genitori e gli educatori. Beato padre Kaspar prega per i giovani del nostro tempo e conducili verso Cristo! 6. "Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto" (Ps 118[117],28). In questa frase del salmo responsoriale si potrebbe riassumere il centro della vita spirituale di Savina Petrilli, fondatrice delle Sorelle dei Poveri di santa Caterina da Siena. "Sei il mio Dio". Savina riusci ad abbandonarsi completamente alla volontà divina, facendo voti di non negare nulla a Dio deliberatamente. In questo impegno di completa oblazione di se stessa a Dio e alla sua volontà, voto di abbandono totale, trovo la forza di dominare il suo temperamento impulsivo per acquistare le difficili virtù della dolcezza e della mansuetudine. Trovo anche la pace, riconoscendo che il suo zelo per le anime doveva seguire la strada dell'accettazione della croce, senza lamentarsi mai, nemmeno nelle più dure pene dello spirito e del corpo.

"Ti rendo grazie, Signore, perché... sei stato la mia salvezza", abbiamo cantato nel salmo responsoriale (cfr. Ps 118[117],21). La salvezza fu per Savina la conoscenza di una vocazione generosa da realizzare nella Chiesa mediante un servizio di amore, nel nome di Gesù, sacerdote e vittima. La sua scoperta vocazionale è racchiusa in una sola frase: "Dov'è carità, ivi è Dio". La forza della carità, non teme ostacoli, non accetta confini; e nelle sorde persecuzioni del tempo contro le istituzioni religiose, nella confusione politica che tendeva ad emarginare il sentimento della fede, in mezzo a preoccupanti difficoltà economiche, Savina potè cantare a Dio il sentimento della sua fiducia: "E' meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti" (Ps 118[117],8-9). Con la forza di una simile fede madre Savina seppe superare ostacoli quasi insormontabili, dimostrandosi intelligente, energica, pratica, pronta a subire molte prove anche penose. Con tale fiducia seppe costruire "l'opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi" (Ps 118[117],23).

"Sei il mio Dio e ti esalto" (Ps 118[117],28). Ti esalto con la vita, con tutte le mie forze, sembra dire madre Savina; ma ti esalto raccogliendo attorno a te, mio Dio, i fratelli più derelitti, cercando per le vie del mondo tutti coloro che l'uomo disprezza, per condurre ogni povero alla gioia del banchetto del Regno. Ti esalto,quindi, estendendo l'azione delle Sorelle dei Poveri, fino alle regioni più derelitte della terra, fino alle condizioni più difficili di apostolato, perché ogni uomo possa ritrovare la sua gioia e la sua pace e "celebrare il Signore perché è buono; perché eterna è la sua misericordia" (cfr. Ps 118[117],29).


7. Ecco, fratelli e sorelle, la testimonianza che noi oggi meditiamo, seguendo la vita dei nuovi beati. Essi ci conducono a leggere più chiaramente i segni dell'amore di Dio in Cristo, della vocazione che scaturisce da questo amore per tutti noi: "Essere chiamati figli di Dio ed esserlo realmente" (1Jn 3,1). Nelle testimonianze dei nuovi beati scorgiamo davvero il riflettersi della figura di Cristo Buon Pastore, del suo zelo per le anime, della sua dedizione fino al dono della vita pur di condurre ogni uomo al Padre. Riscontriamo con gioia che nel nome di Gesù Cristo, il nazareno crocifisso e risuscitato, i nuovi beati hanno trovato la forza e la potenza di "rimettere in piedi" tante situazioni umane, umiliate dalla povertà materiale e morale; hanno accettato anch'essi di apparire agli uomini come "pietra scartata", scelta tuttavia da Dio per essere "testata d'angolo" (cfr. Ac 4,11).


8. Ci è dato oggi di vivere la quarta domenica pasquale nella Basilica di san Pietro, fissando lo sguardo sulla figura del Buon Pastore.

Ecco, egli rivela la potenza del suo amore redentore, che si offre ad ogni uomo anche mediante la beatificazione dei figli e delle figlie della Chiesa: - di Pietro - di Francisco - di Kaspar - di Savina.

Il Buon Pastore - Cristo, che è conosciuto dal Padre e che conosce il Padre (cfr. Jn 10,15) - offre la vita per le pecore del suo ovile, per "condurre" tutti a quell'amore che il Padre ci ha dato nel suo eterno Figlio.

E' in forza di questo amore che siamo "chiamati figli di Dio" e lo siamo diventati realmente: figli adottivi nel Figlio unigenito di Dio.


9. Seguendo Cristo quale Pastore delle nostre anime, andiamo verso ciò che non è stato ancora rivelato, ma che si rivelerà, come insegna l'apostolo Giovanni nella sua lettera, "quando egli si sarà manifestato".

E ciò che sarà rivelato costituisce la realtà definitiva del cosmo creato, la realizzazione definitiva dei destini umani: la realizzazione sovrabbondante, sopra misura, di tutto ciò che è temporale, che è soltanto umano e creato.

A misura di Dio stesso, / e dell'amore che egli ci ha dato in Cristo. / Ecco, / "noi saremo simili a lui, / perché lo vedremo così come egli è", / faccia a faccia.


Data: 1988-04-24 Data estesa: Domenica 24 Aprile 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Al Movimento di spiritualità vedovile - "In un mondo oppresso dal dolore siate fonte di speranza e di vita"