GPII 1988 Insegnamenti - Incontro con le autorità e con la cittadinanza - Reggio Emilia

Incontro con le autorità e con la cittadinanza - Reggio Emilia

Titolo: La frattura fra tecnica e morale ostacola l'autentico progresso

Testo:

Cari fratelli e sorelle di Reggio Emilia.


1. Sono particolarmente lieto di trovarmi oggi nella vostra città, iniziando la mia visita pastorale con questo incontro col vostro pastore e mio carissimo fratello nell'episcopato mons. Gilberto Baroni, con monsignor Camillo Ruini, che col suo cuore sta sempre a Reggio Emilia, con le autorità e con tutti voi, qui convenuti.

Le sono grato, signor sindaco, per le parole con le quali ha voluto porgermi il cordiale benvenuto; esse mi richiamano la generosa ospitalità, che questa terra ha riservato, nel passato, ai miei predecessori Gregorio VII, Urbano II e Pasquale II e, in epoca più recente, a Pio VI e Pio VII. Il pensiero va anche ad eminenti figure di ecclesiastici, fedeli servitori della Chiesa di Roma, originari di questi luoghi o che qui hanno svolto il loro ministero, prima di essere chiamati a servizi più ampi nella Chiesa: tra essi il Cardinale Cervini, divenuto in seguito Papa col nome di Marcello II, il beato Andrea Ferrari, Arcivescovo di Milano, monsignor Angelo Mercati e suo fratello, il Cardinale Giovanni, bibliotecario di santa Romana Chiesa, il Cardinale Sergio Pignedoli, presidente del Segretariato per i non cristiani. La ringrazio sentitamente per questa accoglienza, come anche per i propositi che ella ha manifestato, di disponibilità alla collaborazione con la comunità cristiana nella prospettiva di un autentico ed ordinato sviluppo di questo comprensorio, in fedele continuità con le migliori tradizioni spirituali e popolari, che ne hanno finora accompagnato il cammino.


2. A tali tradizioni andava la mia riflessione mentre osservavo, sorvolandola dall'alto, la città fiorente di industrie e di abitazioni, di strade e di viali, pulsante di vita e quasi vegliata dai campanili e dalle cupole delle chiese.

Ammirando campi, messi, vigneti, vero giardino di questa ubertosa pianura padana, ho avuto una chiara testimonianza delle doti di intraprendente laboriosità e di intelligente fantasia, che vi sono caratteristiche, cari cittadini di Reggio Emilia. Nonostante le distruzioni, subite nell'ultimo conflitto mondiale, avete, infatti, saputo celermente adeguare la vostra economia alle nuove situazioni e raggiungere posizioni di rilievo a livello nazionale, in una interessante sintesi tra libera iniziativa, aziende a partecipazione statale e forme societarie cooperative. Con valido intuito, le maestranze industriali sono riuscite a dare sbocco efficiente e costruttivo alla crisi, che aveva investito il settore, ed anche la fiorente coltura intensiva della terra, e la zootecnia specializzata, che si è venuta sviluppando, sono frutto del congiunto apporto di una classe di esperti agricoltori e di specialisti della ricerca scientifica ed universitaria.


3. Il benessere raggiunto non ha certo eliminato alcuni problemi, comuni a molte società progredite e che, come per contrasto, rendono ancora più sofferto il disagio di coloro che ne portano il peso. Mi riferisco alla disoccupazione, all'immigrazione, al fenomeno della droga, alle situazioni di solitudine e di handicap, in cui si trovano tanti fratelli. Una società, che vuole essere giusta e rispettosa dei diritti di ogni suo membro, deve adoperarsi affinché i valori fondamentali, propri della dignità della persona umana, siano sempre ed in ogni caso difesi e giammai posposti a progetti di modernità, che non coincidono col vero progresso umano. Non è progresso autentico, infatti, quello che apre la breccia ad una mentalità e ad un costume consumistici e libertari, operando fratture tra tecnica e morale, tra progresso materiale e crescita spirituale.


4. Per la maturazione delle coscienze in questa direzione e l'avanzamento dei singoli e della comunità verso il traguardo di un vero umanesimo, la Chiesa ha sempre offerto la sua opera ed il suo impegno concreti. La vostra città anche in questo è erede di stimolanti testimonianze. Le generazioni passate hanno qui lasciato significativi segni dei loro nobili sentimenti in edifici, opere ed istituzioni, che dimostrano con quale amore preferenziale ci si sia rivolti ai più bisognosi di cure e di affetto. Alle testimonianze di sensibilità umana si affiancano quelle di fede cristiana vissuta. Come non ricordare, in proposito, alcune famiglie religiose - oggi presenti anche in altri continenti - come le "Suore Francescane del Verbo Incarnato", di padre Daniele e di suor Giovanna Ferrari, i "Servi della Chiesa", di don Dino Torreggiani, la "Congregazione Mariana delle Case della carità", di don Mario Prandi? Sono realizzazioni accanto alle quali si debbono porre, oltre alla nutrita rete di scuole materne, frutto dell'opera di zelanti parroci di ieri e di oggi, coadiuvati da suore e laici, molteplici esperienze sociali di grande rilevanza, come le casse rurali, le cantine sociali, i caseifici, le associazioni di assistenza.


5. Con la debita attenzione alle necessità presenti ed unitamente alla volontà di nuova evangelizzazione, che la Chiesa locale ha manifestato con la celebrazione del Sinodo diocesano, occorre che tutti si impegnino affinché le nuove generazioni - eredi di figure eminenti nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, dal Correggio allo Spallanzani, dall'Ariosto al Boiardo, a Veronica Gambara - guardino all'avvenire con immutata fiducia nella provvidenza di Dio, nelle proprie capacità di bene, nelle potenzialità da sviluppare.

Affido questo compito a tutti voi, fratelli e sorelle carissimi, soprattutto ai più giovani. Vi dico: mettete a frutto il meglio di voi stessi. La Madonna della Ghiara e san Prospero, vostri celesti patroni, sostengano tali voti e ottengano da Dio copiose benedizioni sulle ore che trascorreremo insieme.


Data: 1988-06-05 Data estesa: Domenica 5 Giugno 1988




Omelia della Messa per i fedeli della diocesi di Reggio Emilia - Guastalla

Titolo: Prendete sul serio il Vangelo: accogliete la legge dell'Eucarestia e fate della vita un dono

Testo:


1. "Dategli voi stessi da mangiare" (Lc 9,13).

In questa domenica dopo la solennità della Santissima Trinità, in cui la Chiesa in Italia adora il mistero del corpo e sangue di Cristo nell'Eucaristia, ascoltiamo - nel Vangelo di Luca - la descrizione dell'avvenimento, che contiene in sè il preannuncio di questo santissimo sacramento.

Gesù proclama alle folle l'insegnamento circa il Regno di Dio, guarisce i malati, mentre il giorno comincia a declinare. Allora gli apostoli cercano di convincere il maestro a congedare i suoi ascoltatori. Occorreva infatti pensare al cibo e all'alloggio. E proprio a questo punto cade questa risposta inaspettata di Gesù: "Dategli voi stessi da mangiare".

Gli apostoli spiegano che questo è impossibile. Essi non possono sfamarli, poiché cinque pani e due pesci non sono certamente sufficienti per le migliaia di presenti: "c'erano infatti circa cinquemila uomini" (Lc 9,14); allora Gesù moltiplica in modo miracoloso ciò che avevano (cinque pani e due pesci), così che non soltanto tutti si saziarono, ma "delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste" (cfr. Lc 9,17).


2. Leggiamo nella descrizione di quest'avvenimento che Gesù "prese i cinque pani e i I due pesci... Ii benedisse, li spezzo e li diede" (cfr. Lc 9,16), e queste parole ci trasferiscono simultaneamente nel cenacolo. Durante l'ultima cena (come leggiamo nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi - seconda lettura di questa liturgia - ) "il Signore Gesù... prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzo e disse (agli apostoli): Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me" (1Co 11,23-24).

Disse così, perché era l'inizio della "notte in cui veniva tradito" (cfr. 1Co 11,23).

"Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice" e pronuncio su di esso le parole dell'istituzione dell'Eucaristia: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne, bevete, in memoria di me" (cfr. 1Co 11,25).

E Cristo aggiunse ancora: "Ogni volta... che mangiate di questo pane e bevete di questo calice voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (cfr. 1Co 11,26).


3. Certamente gli apostoli non si accorsero subito che in questa istituzione del sacramento del corpo e sangue di Cristo vi era una certa somiglianza con quella moltiplicazione del cibo - del pane e dei pesci - a cui allora avevano partecipato.

Forse si ricordarono delle parole che Cristo allora aveva detto loro: "Dategli voi stessi da mangiare". Parole incomprensibili, misteriose e al tempo stesso confermate dal "segno" della moltiplicazione del cibo.

Ora, durante l'ultima cena, si trattava di un altro cibo e di un'altra bevanda. Tuttavia Gesù, in tutto ciò che disse agli apostoli, mentre istituiva il sacramento della sua Pasqua, ripetè in un certo senso le parole dette in occasione della moltiplicazione dei pani: "Dategli voi stessi da mangiare". Le ha ripetute in un senso nuovo: un senso eucaristico.


4. Forse gli apostoli non scopersero subito che in quanto si era compiuto durante la ultima cena si era realizzato il salmo messianico (che leggiamo nell'odierna liturgia).

In questo salmo si parla del sacerdozio "al mondo di Melchisedek" (Ps 110[109],4).

Chi era Melchisedek, lo sappiamo soltanto dal libro della Genesi, dalla storia di Abramo. E' noto cioè che Melchisedek, re di Salem, era sacerdote del Dio altissimo. Ando incontro ad Abramo e offri pane e vino, e mediante questi doni della terra, e insieme frutti del lavoro dell'uomo, pronuncio sul patriarca la benedizione a nome del "Dio altissimo, creatore del cielo e della terra". "Abramo gli diede la decima di tutto" (cfr. Gn 14,18-20).

Quando il salmo dell'odierna liturgia parla del sacerdozio di Melchisedek come del "sacerdote per sempre" (Ps 110[109],4), nello stesso tempo ci rende consapevoli che questo re-sacerdote offri il pane e il vino.

Cristo, che durante l'ultima cena istitui il sacramento del suo corpo e del suo sangue sotto le specie del pane e del vino, realizza l'annunzio profetico legato al sacerdozio di Melchisedek.


5. In realtà, soltanto lui è veramente "sacerdote per sempre".

E anche se gli apostoli e la Chiesa nel celebrare l'Eucaristia sotto le specie del pane e del vino annunziano "la morte del Signore, questa morte è, a un tempo, inizio della vita nuova, che si rivelerà il terzo giorno dopo la morte in croce, mediante la risurrezione di Cristo.

Infatti colui che ha compiuto il sacrificio sulla croce e che, "in memoria" di questo sacrificio, ha istituito il sacramento del suo corpo e del suo sangue sotto le specie del pane e del vino, è il Signore.

E' lo stesso Signore di cui parla il salmo messianico: "Oracolo del Signore al mio Signore: / Siedi alla mia destra" (Ps 110[109],1).

Nel sacrificio della spogliazione mortale di Cristo vi è l'inizio della sua esaltazione. Poiché egli è il Figlio della stessa sostanza del Padre. E' colui al quale il Padre si riferisce con le parole del salmista: "Dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato" (Ps 110[109],3). E con le stesse parole preannunzia "il principato nel giorno della (sua) potenza tra santi splendori" (Ps 110[109],3). Questo principato del Figlio, quando egli siederà alla destra del Padre nella gloria, rivelerà pure fino in fondo il suo sacerdozio: "Il Signore ha giurato / e non si pente: / "Tu sei sacerdote per sempre" / al modo di Melchisedek" (Ps 110[109],4).


6. Gli apostoli capirono che proprio questo sacerdozio di Cristo - Figlio e redentore del mondo - il sacerdozio unito strettamente al sacrificio del suo corpo e del suo sangue in croce, era il compimento degli eterni disegni e promesse di Dio.

Gesù Cristo ha lasciato alla Chiesa questo suo sacerdozio, il sacerdozio unico a misura della nuova ed eterna alleanza di Dio con l'umanità. Un'ampia trattazione su questo tema è contenuta nella lettera agli Ebrei.

Gli apostoli hanno tenuto a memoria anche il fatto che, durante l'ultima cena, Cristo disse loro: "Fate questo in memoria di me".

Da qui è nato ciò che è il culmine e il cuore di tutta la vita della Chiesa, fino alla fine dei secoli: l'Eucaristia, il tesoro più grande delta Chiesa.


7. Mentre oggi ascoltiamo le parole di Cristo indirizzate agli apostoli: "Dategli voi stessi da mangiare", ci rendiamo conto che alla sfera della sollecitudine della Chiesa appartiene anche ciò che è collegato con il "cibo" per gli uomini e con la richiesta del "pane quotidiano", insegnataci dal Signore.

Si, la richiesta del "pane quotidiano"! E' una richiesta sempre attuale, perché non sono stati ancora colmati i dislivelli sociali, e la drammatica situazione di chi non ha ancora pane a sufficienza per sè e per i suoi familiari è una triste realtà che ci interpella. Il problema del pane per tutti gli uomini, a qualunque nazione, razza e religione appartengano, non ci può lasciare indifferenti; esso fa appello - come ho detto nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" - "alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni" (SRS 42). La Chiesa che da sempre ha avuto un amore preferenziale per i poveri "non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore; essa non può non prendere atto dell'esistenza di queste realtà. L'ignorarle significherebbe assimilarci al "ricco epulone", che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta (cfr. Lc 16,19-31)" ("Sollicitudo Rei Socilais", 42).

Vogliamo sperare che questa nostra preoccupazione per chi è affamato moltiplichi, mediante un'economia sensibile a questo problema, i pani necessari per sfamare chi è nel bisogno. A questo proposito, esprimo il mio compiacimento per le iniziative promosse dalla Chiesa che è in Emilia al fine di sovvenire alle necessità materiali di tanti nostri fratelli meno fortunati, che in molte parti del mondo vivono in condizione disagiate, privi come sono di mezzi di sussitenza.


8. Tuttavia le parole di Cristo dette in occasione della moltiplicazione del cibo hanno anche, come abbiamo visto nell'odierna liturgia, un significato profetico.

Sono il preannuncio dell'ultima cena. "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). E questa parola raggiunge la sua culminante espressione sacramentale nell'Eucaristia: quando il pane e il vino diventano un velo del cibo e della bevanda che Cristo ci ha preparato mediante il suo sacrificio redentore.

All'Eucaristia dobbiamo andare portando tutta la nostra vita; dall'Eucaristia dobbiamo uscire con la ricchezza d'amore che abbiamo trovato in Cristo.

Quali siano gli effetti autentici dell'Eucaristia voi tutti, cari fratelli, li avete sott'occhio nelle realizzazioni della carità cristiana. Mi piace qui ricordare le "Case della carità" fondata da monsignor Mario Prandi e che traducono l'amore cristiano in un servizio premuroso e sincero ai poveri; la loro diffusione non solo in Italia, ma in India e in Madagascar, dice già da sè l'equilibrio di una formula di servizio così legata alle comunità cristiane da fare di tali case altrettante famiglie in mezzo alle altre, famiglie che sostengono le altre e dalle altre sono sostenute per realizzare l'amore che nasce necessariamente dall'Eucaristia. Penso anche ai "Servi della Chiesa", fondati da monsignor Dino Torreggiani per la cura pastorale di ex-carcerati, nomadi, zingari, personale degli spettacoli viaggianti; una famiglia al servizio degli ultimi, di coloro dei quali nessuno s'interessa e per i quali nessuno sa che cosa fare. Penso altresi all'Azione Cattolica di questa diocesi, che ha una grande e viva tradizione di fedeltà ecclesiale e di testimonianza civile e sociale, volta ad incarnare i valori del Vangelo nella realtà delle vostre situazioni. Sono, questi, frutti preziosi che l'Eucaristia ha suscitato qui, nella vostra Chiesa, simbolo di quei frutti che l'Eucaristia deve sempre suscitare e generare in tutti. Penso alle comunità cristiane stesse, a tutte le parrocchie nelle quali si articola il tessuto pastorale della vostra Chiesa. Esse sono autentiche comunità nelle quali la carità, vincolo di unità che scaturisce dal Dio uno e trino, deve diventare la logica su cui si regolano i rapporti: Gesù ha pregato perché tutti i credenti siano una cosa sola, e san Luca dice che i primi cristiani erano "un cuore solo e un'anima sola" (Ac 4,2). Tutto questo mi conduce a rivolgere un appello forte a tutti voi che siete venuti numerosi a questo incontro, un appello soprattutto a voi giovani perché prendiate sul serio il Vangelo con le sue esigenze e le sue promesse, perché accogliate la legge dell'Eucaristia e facciate della vostra vita davvero un dono al Signore. Come dicevo, nel pane e nel vino consegnamo al Signore noi stessi; non deve essere un gesto puramente rituale. Il rito deve esprimere la verità della vita, l'atteggiamento sincero del cuore. A Cristo dobbiamo donare noi stessi, tutta la nostra vita perché egli, il Signore, se ne serva per il suo progetto di salvezza.

Il mondo in cui viviamo è scosso da varie crisi, tra le quali una delle più pericolose è la perdita del senso della vita. Molti dei nostri contemporanei hanno perso il vero senso della vita e ne cercano surrogati nel consumismo sfrenato, nella droga, nell'alcool e nell'erotismo. Cercano la felicità ma il risultato è sempre una profonda tristezza, un vuoto nel cuore e non di rado la disperazione. Come vivere la propria vita per non perderla? Su quale fondamento edificare il proprio progetto di esistenza? Gesù Cristo si presenta a noi come la risposta di Dio alla nostra ricerca, alle nostre angosce. Egli dice: "Sono io il pane della vita capace di saziare ogni fame; sono io la luce del mondo capace di orientare il cammino di ogni uomo; sono io la risurrezione e la vita capace di aprire la speranza dell'uomo sull'eternità". Certo non è facile seguire Cristo, non è facile rischiare su di lui tutta la propria vita; eppure proprio in questa capacità di rischiare sta la nobiltà e la grandezza dell'uomo. Non rischiamo sul vuoto; sul nulla; rischiamo su Gesù Cristo e sul suo Vangelo; rischiamo sull'amore disinteressato dei fratelli. Il Signore susciti molti giovani capaci di rischiare in questo modo, capaci di considerare la propria vita come una sfida da vincere contro l'ingiustizia e l'egoismo, come un dono da fare a Gesù Cristo e con lui a tutti i fratelli; susciti in particolare tra voi molte e generose vocazioni al sacerdozio, al diaconato, alla vita religiosa, all'impegno missionario. Se qualcuno è in Cristo, è una creatura nuova; l'egoismo di prima è passato, ecco nasce qualcosa di nuovo.


9. "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno" (Jn 6,51).

Cari fratelli e sorelle di Reggio Emilia, mi è dato oggi di essere con voi e meditare nella comunità della vostra Chiesa la verità di queste parole di Cristo.

Questo nostro incontro, come una particolare manifestazione della nostra fede nel mistero di Cristo diventato "il pane vivo", risvegli in noi il desiderio di questa vita che ci è data dall'Eucaristia.

Come ringraziare per questo dono? Come ricambiarlo? Siate assidui nella frazione del pane! Siate assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli (cfr. Ac 2,42).

Non cessi in mezzo a voi l'operare eucaristico di Cristo. Non cessi questa "moltiplicazione" del suo corpo e sangue, del cibo e della bevanda che "dura per la vita eterna" (cfr. Jn 6,27)!


Data: 1988-06-05 Data estesa: Domenica 5 Giugno 1988




Consegna ai ragazzi ed ai giovani delle scuole medie e superiori - Reggio Emilia

Titolo: I consigli evangelici: cammino di liberazione e pedagogia che conduce alla maturità cristiana

Testo:

Carissimi giovani e ragazzi, e voi rappresentanti del laicato cattolico di questa Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla.


1. Mentre entravo nel vostro Duomo, mi avete accolto festosamente. Ve ne sono grato. Ho ascoltato attentamente il vostro giovane collega, come pure il rappresentante dei laici, i quali hanno fatto da portavoce a quanto voleva esprimermi il cuore di tutti, un cuore ricolmo di affetto e di attese.

Ecco, con vera gioia ringrazio il Signore di poter essere ora tra voi per ricambiare questi vostri sentimenti e portare, al tempo stesso, la risposta del Rendentore all'anelito di vita, che così intensamente pulsa dentro di voi.

Per questo mi è cosa molto grata riflettere con voi - anche se brevemente - su una frase significativa che Gesù rivolse un giorno a quanti avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,31).


2. Come conoscere la verità che Cristo ci ha insegnato, anzi, la verità che è lui stesso, facendone il principio dell'intera esistenza e il fondamento della propria libertà? L'esperienza di studio della maggior parte di voi vi ha portato a scoprire che si impara quando si uniscono, ad una seria applicazione, un atteggiamento aperto, uno spirito attento, una mente disposta ad accogliere quanto l'insegnante comunica o il libro riporta.

Ciò vale ancor più nei confronti di quel maestro di verità che è Cristo e per quel libro di vita che è il suo Vangelo. La conoscenza di Gesù, infatti, non può ridursi ad un livello semplicemente informativo od erudito, ma deve coinvolgere l'intera persona, portandola ad avere in sè "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Ph 2,5). "Rivestito" in questo modo di Cristo (cfr. Rm 13,14 Ga 3,27), ciascuno di voi può sperimentare in sè e vivere la libertà di cui Cristo stesso gli ha fatto dono (cfr. Ga 5,1).

Ma perché ciò avvenga, è necessario che vi poniate stabilmente e diligentemente al seguito di Gesù, camminando con lui come fecero gli apostoli.

Allora il redentore, maestro e amico unico, darà anche a voi "la grazia e la verità" (Jn 1,17), consentendovi di passare dalla legge del timore a quella dell'amore, che è propria dei figli. Lontano da Gesù si è solamente creature davanti a Dio, creatore inaccessibile. Accanto a Gesù siamo figli davanti al Padre, che, se ha voluto bene all'uomo quando vagava per strade sbagliate, ancor più lo ama ora che percorre la via indicata dal Figlio suo.


3. Commentando la frase evangelica, che ho citato all'inizio, san Tommaso d'Aquino richiama il fatto che il servo di casa non può dimorare per sempre in essa, perché la condizione in cui versa è di per sè precaria e transitoria. Il figlio, invece, è a casa sua stabilmente (cfr. S. Thomae "In Ev. B. Ioannis Expositio", c. VIII,


1. IV), e sempre viene accolto, quando ha errato e torna pentito dal Padre di ogni misericordia.

La legge della carità è una legge di libertà (cfr. S.Augustini "Epist.


167", 6, 19), perché illumina mente e cuore, che sono così in grado di vedere nei comandamenti l'indicazione di ciò che più conviene alla persona, perché ne riflette l'intima essenza e ne appaga le più profonde aspettative. I comandamenti allora non sono più sentiti come una imposizione che viene dall'esterno, ma come un'esigenza che nasce dall'interno, alla quale pertanto la persona si sottomette di buon grado - "liberamente" -, perché sa di poter in tal modo realizzare se stessa in pienezza.

Voi potete quindi capire, cari ragazzi, che la libertà è, si, un diritto umano irrinunciabile e basilare, ma che essa non è caratterizzata dal potere di scegliere il male, ma dalla possibilità di fare responsabilmente il bene, riconosciuto e desiderato come tale.

Cristo ci libera, rendendoci capaci di tale scelta positiva con la forza della sua grazia, egli scioglie l'oscurità dell'errore, sconfigge la paura della rinuncia, toglie la servitù del male, rende capaci di abnegazione e di tenace impegno nel cammino verso Dio, fonte di inalterabile pace.


4. Per questo mi rivolgo a voi, giovani e ragazzi, ed anche a voi, genitori, insegnanti, educatori, a voi animatori e responsabili delle organizzazioni cattoliche, per proporvi, con la forza del grande affetto che vi porto, di accogliere senza riserve Cristo, verità luminosa che libera, e per esortarvi ad un'assidua familiarità con lui. La fraterna consuetudine con Gesù, vissuta nella preghiera e nella frequenza ai sacramenti, stimola a muovere i propri passi su quel cammino spirituale, che la Tradizione della Chiesa indica con i consigli evangelici della povertà, della castità e dell'obbedienza e che, guardato in profondità, è cammino di liberazione, rispettivamente, dalla schiavitù delle cose, dalle bramosie della carne, dalla prepotenza dell'io.

Appare chiaro, così, che i consigli evangelici, grazie ai quali ci si avvia su tale cammino, sono come atteggiamento interiore, una proposta offerta a tutti; come linea ascetica, un'indicazione particolarmente necessaria ai giovani, che vogliono prepararsi seriamente al matrimonio e alla vita di famiglia; come stato di vita, costituiscono la condizione di chi, rispondendo alla vocazione del Signore, vuole raggiungere la piena libertà di spirito e consacrarsi totalmente al servizio di Dio e dei fratelli.

Come vedete, carissimi, i tre consigli evangelici segnano una pedagogia, che conduce alla maturità cristiana. Vivendo in spirito di povertà, castità e obbedienza, voi, con l'aiuto dei genitori e degli educatori, plasmate in voi stessi una personalità salda, capace di rispondere con sempre maggior sicurezza alla propria vocazione, al compito per cui Dio interpella ciascuno.

Dico pertanto agli adulti, genitori ed insegnanti: accompagnate figli ed alunni alla scoperta della volontà divina con l'esempio unito alla parola affettuosa ed al rispetto, così da favorire la loro decisione, senza imporla. Voi, giovani, vivete la scelta vocazionale non tanto e non solo come problema di inserimento nella società e nella Chiesa, ma soprattutto come risposta alla predilezione di Cristo, che non ha esitato minimamente ad offrire la vita in favore vostro e dell'intera umanità e vi predilige a tal punto da chiedervi di essere suoi collaboratori, ciascuno in un suo ruolo specifico, tutti restando pero nell'alveo del suo unico amore.

A voi, rappresentanti ed esponenti delle associazioni, organismi e movimenti ecclesiali o di ispirazione cristiana, che, insieme ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formate il tessuto vivo e operoso di questa diocesi protesa nell'impegno dell'evangelizzazione, desidero rivolgere una parola di particolare gratitudine, fiducia e incoraggiamento. Conosco le difficoltà che avete dovuto affrontare e che vi hanno temprato nella fede e nella fedeltà alla Chiesa, conosco la generosità con cui offrite il vostro servizio e date la vostra testimonianza, nella catechesi, nelle iniziative di carità verso i più deboli ed emarginati, nelle istituzioni civili e nella vita culturale. Agite sempre in reciproca armonia e sincera collaborazione, radicati nella connessione ecclesiale, che è connessione con Cristo e attraverso Cristo con Dio Padre.

Nel nome di Cristo, maestro fratello e amico, invito voi tutti qui presenti ad avere il coraggio della generosità, per poter gustare la gioia che scaturisce dal dono. A tutti la mia benedizione!


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




Al termine dell'incontro col mondo della scuola e del laicato cattolico - Reggio Emilia

Titolo: Rafforzate i vincoli della comunione ecclesiale

Testo:

Ecco, permettetemi di fare una piccola sintesi, perché ci troviamo nella Cattedrale di Reggio Emilia e la Cattedrale è sempre un luogo di sintesi, un centro. Questo centro si chiama anche madre: madre delle chiese, madre delle parrocchie, madre delle comunità. Allora, è molto bello che oggi in questa Cattedrale ci siamo incontrati. Ci siamo incontrati con tutta la Chiesa reggiana, specialmente questa Chiesa rappresentata espressamente dall'apostolato: apostolato dei sacerdoti, apostolato delle suore, delle religiose, dei religiosi, e apostolato dei laici. Un punto specifico di questo apostolato è la catechesi e l'educazione, e quindi la scuola.

Devo dirvi che abbiamo cominciato a visitare questa Cattedrale, che è abbastanza ampia, già durante il percorso nelle strade, perché già nelle strade ho incontrato tanti bambini piccoli, grandi, con i genitori, con gli insegnanti, con le suore. E ho dovuto uscire dalla cosiddetta "Papamobile" e camminare accanto alle transenne per salutare tutti. E tutti appartenevano già alla nostra assemblea, come appartengono naturalmente tutti coloro che si trovano sulla piazza, davanti alla Cattedrale. Perché oggi la Cattedrale, essendo, come è, abbastanza vasta, si mostra troppo piccola, insufficiente per dare posto a tutti, a tutti gli appartenenti a quella comunità della Chiesa che cammina soprattutto nell'opera della educazione cristiana, della educazione evangelica.

Voglio notare alcuni piccoli fatti, gesti, parole. Un ragazzo, all'entrata della Basilica, mi ha detto: mi benedica perché ho fatto la Cresima.

Una parola molto bella, una bella richiesta. Per lui il fatto di essersi recentemente cresimato è un momento della vita, un momento importante. E lo è veramente: è un momento decisivo, in cui noi battezzati, figli di Dio, diventiamo tutti testimoni di Cristo e cominciamo a prendere parte alla sua missione messianica, alla sua missione apostolica, come gli apostoli. E poi parecchie persone mi hanno detto: prega per il nostro parroco perché è ammalato. Si può dire una piccola cosa, ma nello stesso tempo una cosa grande: se i parrocchiani pensano in questo momento al loro parroco, si sentono uniti a lui e condividono anche la sua situazione di salute o di malattia, è una bella cosa, una espressione di quello che è Chiesa. Perché la Chiesa è la comunione. E comunione vuol dire partecipare alla vita di un altro, così come Gesù ci ha lasciato la sua vita, se stesso, e ci ha fatto partecipi della sua vita. così ci ha invitato a partecipare anche noi mutuamente, reciprocamente alle nostre vite, alle nostre preoccupazioni, alle nostre gioie, alle nostre tristezze. Una piccola parola così eloquente.

Così ci troviamo dentro la Basilica. Ho cercato di salutare, anzi di abbracciare, di dare la mano alle persone della prima fila, della seconda fila, ma c'erano tante altre persone fino alle pareti. Ho incontrato anche un piccolo gruppo di miei connazionali. Lo dico perché la città di Reggio Emilia è rimasta nella storia della Polonia attraverso un inno, un canto che è diventato inno nazionale, composto qui da un colonnello polacco nell'epoca prenapoleonica.

Così siamo entrati fino al centro della Basilica dove sta Gesù, e io ho pregato brevemente, e tutti si sono messi in silenzio, in preghiera. Era l'espressione della vostra comunione, della vostra partecipazione. Il momento centrale della Chiesa è sempre lui, Gesù Cristo Eucaristia. Lui fa la Chiesa dappertutto il mondo. Poi abbiamo sentito le allocuzioni di un giovane, della presidente dell'Azione Cattolica diocesana, la mia risposta, la mia meditazione.

Adesso ci avviciniamo al momento di lasciare la Cattedrale, ma voglio farlo passando sull'altro lato... Per essere anche fedele ad un principio della giustizia, la giustizia distributiva... così cerchiamo di onorare la Cattedrale, che deve essere una sintesi della vita umana in Cristo, della vita cristiana.

Quindi deve essere anche segnata, marcata dagli elementi della giustizia, ma soprattutto dall'amore. Voglio dire questo e lasciare questo nelle mani del vostro Vescovo carissimo, perché la Cattedrale, il duomo è la sua chiesa. Questa chiesa centro, questa chiesa madre delle altre chiese, delle altre comunità, di tutta l'assemblea dei credenti è la sua chiesa, la chiesa del Vescovo. E lui la conosce, perché la sua vocazione specifica è quella di conoscere più profondamente il mistero di questa chiesa, chiesa che è madre e maestra di tutte chiese.

Così ringraziamo il Signore per questa occasione che ci ha dato oggi di incontrarci nella Cattedrale per riflettere sulla importanza della catechesi, della educazione cattolica, dell'apostolato dei laici, e poi di fare anche una sintesi di quello che è la Chiesa attraverso la Cattedrale. Perché la Cattedrale è un monumento d'arte, è un edificio che nella sua costituzione, diciamo "fisica", è un oggetto. Ma questo oggetto è anche un grande simbolo: pur essendo un oggetto morto - le pietre sono morte - è un simbolo della vita. Allora volevo riflettere, trovandomi qui, come è accaduto tante volte nella mia vita, in una Cattedrale, sul mistero della Cattedrale, di quella vita di cui la Cattedrale, la chiesa del Vescovo è sempre il grande simbolo. E auguro a questa chiesa, centro e madre di tutte le chiese della vostra diocesi di Reggio Emilia, di essere sempre più madre e maestra, di essere una madre feconda, feconda nel senso proprio della sua maternità, che è una maternità spirituale; di essere feconda spiritualmente, generando i figli e le figlie alla vita nuova, alla vita soprannaturale, alla vita in Cristo Gesù, generandoli, lasciandoli maturare, lasciandoli maturare fino alle vocazioni personali.

Certamente un segno della fecondità spirituale della Chiesa, della Chiesa cattedrale, della Chiesa locale, di tutta la Chiesa, sono le vocazioni.

Vocazioni alla santità nella vita coniugale, nella vita dei laici, ma nello stesso tempo nella vita sacerdotale, religiosa, perché tutte queste sono le componenti indispensabili per creare questa compagine evangelica di un corpo, del corpo di Cristo. Nel corpo di Cristo devono essere presenti tutte queste vocazioni, perché come diversi organi fanno la vita del corpo, così queste vocazioni, anche la vocazione religiosa e naturalmente la vocazione dei laici, dei genitori, dei giovani, degli insegnanti, fanno la vita del corpo che è la Chiesa diocesana, ma questa Chiesa diocesana è anche una rappresentanza di quello che è la Chiesa universale, nella sua universalità. Vi ringrazio ancora una volta. Il Signore vi benedica tutti.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




Alla "Casa della carità" - Villa Cella (Reggio Emilia)

Titolo: Questa casa è il simbolo del cuore di Dio sempre aperto a quanti sono nel bisogno

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


GPII 1988 Insegnamenti - Incontro con le autorità e con la cittadinanza - Reggio Emilia