GPII 1988 Insegnamenti - Alla "Casa della carità" - Villa Cella (Reggio Emilia)


1. Vi saluto con grande affetto e sono tanto lieto di fermarmi, anche se per una breve sosta soltanto, in questa "Casa" che è una "tenda", una casa aperta, una casa delle case che, qualificandosi col titolo della "Carità", esprime già in maniera così eloquente una linea d'impegno eminentemente evangelico.

Saluto tutti i presenti, gli ospiti abituali dell'istituzione, il personale addetto ai vari compiti, e quanti sono qui convenuti in occasione di questo incontro di fraternità, scaturito da quella virtù che è contrassegno del vero discepolo di Cristo.


2. Desidero rivolgere la mia parola d'affetto, di solidarietà, d'incoraggiamento innanzitutto ai degenti, che sono i protagonisti della vita che si svolge tra queste mura ospitali.

Comincio da voi, cari anziani, che avete speso con dedizione tutta una vita nell'impegno di lavoro, di sacrificio, a servizio della famiglia e della società. Vi benedico uno per uno. Questa casa, che vi accoglie nell'età in cui le vostre forze, una volta così valide, manifestano segni di cedimento, è il simbolo del cuore di Dio, sempre aperto verso quanti sono nel bisogno. Il Padre celeste non vi abbandona mai, vi è sempre vicino per farvi compagnia, di giorno e di notte, pronto ad ascoltarvi, a darvi forza e coraggio nei momenti immancabili di solitudine e d'incomprensione. Approfittate di questo periodo, che la Provvidenza vi concede, per trattenervi in colloquio con lui, parlandogli familiarmente di voi e dei vostri cari, delle vostre necessità e delle loro. E allora la vostra vita, invece d'indebolirsi, acquisterà un valore crescente.

Rivolgo un particolare pensiero anche a voi carissimi infermi, che non siete in grado di svolgere tutte le attività proprie dei vostri coetanei. Voi siete prediletti da Gesù, il quale misura la qualità della vita non dal dinamismo esteriore, ma dalla carica di amore che pulsa nel cuore. Egli ha voluto immedesimarsi nella persona del malato, ed ha voluto soffrire egli stesso per insegnarci che la sofferenza è un dono e uno strumento prezioso, valido fin da oggi a rendere migliore il mondo e ad accumulare un tesoro immenso, che domani sarà mutato in felicità incomparabile. Sappiate offrire con amore generoso a Gesù i disagi che la vostra condizione comporta.


3. Il mio saluto si volge ora a quanti prestano la loro opera qualificata a servizio degli ospiti della casa: a voi religiosi, ai volontari e alle volontarie, ai medici, a tutti e a ciascuno.

Grande è la vostra opera, cari fratelli e sorelle, perché grande - tanto più se debole e bisognosa - è la persona umana a cui voi direttamente prestate la vostra assistenza, e più grande ancora è colui nel cui nome voi affrontate la vostra quotidiana fatica.

Con voi ricordo don Dante Ronzoni, il parroco di questa parrocchia che Dio da poco ha richiamato a sè, e dal cui cuore generoso è nata l'iniziativa di questa "Casa della Carità".

Sono lieto di trovare insieme oggi, per la circostanza, i rappresentanti di due istituzioni, che sono il frutto maturo della carità di questa diocesi. I piccoli semi, posti nel terreno fecondo di questa Chiesa dallo zelo pastorale di due sacerdoti, monsignor Mario Prandi e monsignor Dino Torreggiani, hanno germogliato, son cresciuti, sono diventati alberi, che hanno allargato i loro rami anche fuori d'Italia, in Europa, fino al Madagascar ed oltre.

Vada il mio fervido incoraggiamento a voi, membri della Congregazione mariana delle Case della Carità nelle sue diverse espressioni: Fratelli della Carità, Carmelitane Minori della Carità, cooperatori volontari, ausiliari, sposi, secolari. Siate fedeli alla consegna dei tre "pani" del fondatore: la Parola di Dio, l'Eucaristia, i poveri.

Una cordiale parola d'incoraggiamento rivolgo parimenti a voi, rappresentanti dell'Istituto secolare "Servi della Chiesa" e dell'Opera di accoglienza della vicina casa di via Adua, impegnati pastoralmente nell'area degli emarginati di ogni genere.

La Vergine santa, che corse ad offrire i suoi servizi ad Elisabetta ed a portarle Gesù, è per tutti modello di fede e di azione.

Vi sia di auspicio la mia benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie ed alle vostre opere.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




Ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose nel Santuario della Madonna della Ghiara - Reggio Emilia

Titolo: La speranza non è un lusso: è un dovere

Testo:


1. "Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo" (Jn 16,33).

Queste parole di speranza Gesù ha rivolto ai suoi apostoli la vigilia delle sua passione; queste parole ripete oggi a voi, sacerdoti, religiosi e religiose, anime consacrate, che vivete in questa terra emiliana, nella quale col benessere economico e sociale si è diffusa una cultura spesso chiusa - quando non apertamente ostile - ai richiami e ai valori dello spirito. "Abbiate fiducia; - vi ripete Gesù - io ho vinto il mondo".

Se Gesù vi chiede fiducia è perché egli per primo vi ha dato fiducia. Vi ha dato fiducia quando, con un gesto di amore assolutamente gratuito, vi ha chiamati a seguirlo più da vicino, a "lasciare casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa sua e a causa del Vangelo" (Mc 10,29). Vi ha dato fiducia quando, con una particolare effusione dello Spirito, vi ha consacrati e, nella diversità dei doni e dei ministeri, vi ha "costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16). Vi ha dato fiducia quando vi ha scelti e vi ha mandati, proprio voi, perché foste in questa terra emiliana annunciatori del suo Regno, testimoni della sua risurrezione, segno profetico di quei "nuovi cieli e terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2P 3,13).

La vostra missione, come la missione di tutta la Chiesa in questo ultimo scorcio del secondo millennio cristiano, non è facile. Ci troviamo davanti a situazioni nuove che, se da una parte aprono promettenti e insperate possibilità all'annuncio del Vangelo, dall'altra sembrano far perdere agli uomini la fiducia in tutto quello che di cristiano, anzi di umano, c'è nel mondo. Ma non dobbiamo temere. La missione è scaturita dalla Pasqua di Gesù; ed è la missione stessa che il Padre ha affidato a Cristo e che Cristo, prima di salire al cielo, ha trasmesso alla sua Chiesa. Missione di salvezza, che deriva la sua forza dalla presenza di Cristo e dalla potenza dello Spirito.


2. Gesù non ha nascosto ai suoi apostoli le difficoltà della missione: il rifiuto, l'ostilità, le persecuzioni che avrebbero incontrato. "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Jn 15,18 Jn 15,20). E non c'è solo la persecuzione aperta che ha fatto e continua a fare i martiri; c'è una insidia più subdola - e, per questo, forse più pericolosa - che è comune a tanti Paesi del mondo occidentale.

E' quella che non vuole fare dei martiri ma degli uomini "liberi", liberi, - si intende - da ogni religione e da ogni morale; che non soffoca l'idea di Dio nel sangue ma nell'accumulo dei beni di consumo e nell'appagamento degli istinti naturali; che non combatte l'idea cristiana ma la ignora, relegandola fra i miti del passato. Proprio perché prevedeva tutto questo, prima di affidare la sua missione alla Chiesa, Gesù ci ha dato la consolante assicurazione: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

Ecco la certezza che guida e sostiene la missione della Chiesa; ecco la certezza che deve guidare e sostenere la vostra missione: la certezza che, in Gesù Cristo, Dio è con noi; ieri come oggi; oggi come domani, fino alla fine del mondo.

E "se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?" (Rm 8,21 Rm 8,35).

Questo elenco di ostacoli, sia pure con connotazioni diverse, è attuale anche per noi. Anche noi conosciamo la tribolazione che deriva dall'essere rimasti pochi e oberati di lavoro; conosciamo l'angoscia per tanti nostri fratelli che hanno abbandonato la fede; conosciamo la persecuzione, di oggi, come ho detto sopra; conosciamo la fame, in questa vostra terra non più la fame di pane ma la fame di anime generose che ci seguano; conosciamo la nudità, il vuoto di tante nostre case e di tante nostre iniziative; conosciamo il pericolo, soprattutto quello dell'infedeltà in un mondo che per principio rifiuta l'impegno stabile; conosciamo la spada, la cultura di morte che sembra avere invaso gli apparati della società umana, mettendo a repentaglio la vita degli altri per motivi di lucro o di ideologia, fino a distruggere la vita nel seno materno.


3. E allora? La risposta di Paolo è precisa e decisa: "Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati" (Rm 8,27). Proprio perché ci ha amati e ci ama, egli è con noi. E, la sua, è una presenza pasquale, che non è solo aiuto e conforto ma dà un senso nuovo, diverso, inaspettato alle difficoltà, alle tribolazioni, alle ostilità, agli apparenti insuccessi. Quello che poteva sembrare ostacolo alla missione diventa, alla luce della fede, il segreto della sua fecondità. La presenza di Cristo pasquale ci dà la certezza che, quando sembriamo sconfitti, proprio allora siamo vincitori, anzi "più che vincitori". E' la logica sconvolgente scaturita dalla croce. Sul piano umano la croce di Gesù è un vistoso fallimento; ma proprio da esso è derivata quella novità esplosiva, che ha cambiato il volto della vita e della storia umana.

Gesù lo aveva preannunciato: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,24). E' nella prospettiva di questa parabola che Paolo poteva esclamare: "Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte" (2Co 12,10).

Ecco il segreto della nostra fiducia: quando siamo deboli, è allora che siamo forti; e più siamo deboli, più siamo forti, perché più lasciamo trasparire la presenza e la potenza del Cristo pasquale. E con questo paradosso la Chiesa cammina già da duemila anni e camminerà... Con nient'altro, con questo paradosso.


4. Nell'affidare alla Chiesa la sua missione, Gesù non ci ha solo garantito la sua presenza fino alla fine del mondo, ci ha promesso e trasmesso la potenza del suo Spirito. La promessa, risonata a varie riprese nel discorso di addio, ha avuto il suo primo compimento nel cenacolo, la sera stessa di Pasqua. "Gesù si fermo in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi.

Dopo avere detto questo, alito su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,21-23). Il compimento pieno della promessa si è avuto poi nel giorno di Pentecoste quando "apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo..." (Ac 2,31).

Da allora lo Spirito è all'opera nella vita e nella storia dell'umanità.

E' all'opera nel mondo, che si avvicina al terzo millennio cristiano, per farne il Regno d'amore del Padre. E' all'opera nella Chiesa, in questa Chiesa del Concilio Vaticano II, che, nella continuità della Tradizione cristiana, si va rinnovando di giorno in giorno per essere sempre più vicina a Dio e agli uomini. E' all'opera nelle nostre Chiese, in queste coraggiose Chiese dell'Emilia che, in una situazione pastorale particolarmente difficile, vanno riscoprendo la loro vocazione essenziale: quella di annunciare il Vangelo qui, oggi, a tutti e in tutte le situazioni in cui vive e opera la gente. E' all'opera nelle vostre comunità, anche se piccole e povere, perché, proprio perché piccole e povere, sono ricche di fede e grandi nella carità.

Lo Spirito di Dio è lo Spirito della vita, capace di fare esplodere la vita anche là dove tutto sembrava morto e inaridito (cfr. Ez 37). Ecco perché possiamo e dobbiamo avere fiducia. Non solo possiamo, ma dobbiamo. La speranza per i cristiani, e molto più per i consacrati, non è un lusso, è un dovere. Sperare non è sognare; al contrario, è lasciarsi afferrare da colui che può trasformare il sogno in realtà.


5. Ma la speranza, per non venir meno, ha bisogno di essere alimentata da una intensa vita di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di contemplazione. La crescita del lavoro nella vigna del Signore, proprio mentre si va assottigliando il numero degli operai, può farci dimenticare che siamo stati chiamati prima di tutto per stare con il Signore, ascoltare la sua Parola, contemplare il suo volto.

La dimensione contemplativa è inscindibile dalla missione, perché, secondo la celebre definizione di san Tommaso ripresa anche dal Concilio, la missione è essenzialmente "contemplata aliis tradere" (S.Thomae II-II 188,7; cfr. PO 13), trasmettere agli altri ciò che prima noi abbiamo a lungo contemplato.

Di qui l'esigenza di lunghi spazi di preghiera, di concentrazione, di adorazione; l'esigenza di una lettura assidua e meditata della Parola di Dio; l'esigenza di un ritmo contemplativo, quindi calmo e disteso, nella celebrazione dell'Eucaristia e della liturgia delle ore; l'esigenza del silenzio come condizione indispensabile per realizzare una profonda comunione con Dio e fare di tutta la nostra vita una preghiera. Come consacrati non dobbiamo solo pregare, dobbiamo essere una preghiera vivente. Si potrebbe dire anche, dobbiamo pregare apparentemente non pregando. Dobbiamo pregare apparentemente non avendo tempo per pregare, ma dobbiamo pregare. Un altro paradosso. Umanamente questa è una cosa impossibile: come pregare non pregando? Ma se san Paolo ci dice che "lo Spirito Santo prega in voi", allora la cosa diventa un po' diversa.


6. Modello della nostra speranza è la Madre di Dio. Come Abramo e più di Abramo, Maria "ebbe fede sperando contro ogni speranza" (Rm 4,18) e si abbandono fiduciosamente alla parola del Dio vivo e alla potenza del suo Spirito. In questo giorno di grazia, in questo meraviglioso tempio che la pietà del popolo reggiano ha eretto alla Madonna della Ghiara, ci rivolgiamo a lei e a lei chiediamo il coraggio di stare con lei presso la croce e di accettare la logica della croce; il coraggio di gridare con la forza dello Spirito: "Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla, e invece possediamo tutto" (2Co 6,8-10).

Santa Maria, madre di Dio, madre della beata speranza, prega per noi.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




A conclusione dell'incontro con i religiosi della diocesi di Reggio Emilia

Titolo: Il mondo riscopra la povertà salvifica

Testo:

Una parola ancora, un poco meno "seria". Gli italiani sono soliti dire alla persona che incontrano la parola coraggio. Ed anche a me tanti dicono: coraggio. Sono molto grato per questo incitamento ed a mia volta dico anch'io coraggio. Ma in questa circostanza vorrei trarre dalla parola coraggio un "piccolo trattato ecclesiologico", perché qui siamo riuniti insieme non solo con la diocesi di Reggio Emilia ma anche con le altre Chiese di questa regione, di questa provincia ecclesiastica di cui è metropolita l'Arcivescovo di Modena. E buona cosa che le Chiese si incontrino insieme non solamente nel loro ambiente proprio, nella diocesi, ma anche nella dimensione più grande di una provincia, di una metropoli.

Poi questi sistemi più moderni operanti nei territori ecclesiastici qui in Italia servono a creare la comunità, la comunione ed una certa solidarietà operativa. Ma appunto quando si incontrano queste Chiese sempre si dice, anche non pronunciandola, la parola coraggio. Questo incontro, questo essere insieme di sacerdoti, religiosi e religiose di diverse diocesi porta in sé, anche tacitamente, la parola coraggio. Poiché è questa la parola che ci ha lasciato Cristo, un po' come parola centrale: "non abbiate paura" vuole dire appunto coraggio. Ed io sono molto grato per questa circostanza in cui noi tutti possiamo dirci reciprocamente coraggio, e possiamo dirlo anche al nostro amatissimo Vescovo di Reggio Emilia che da tanti anni serve la Chiesa locale e proprio oggi, 6 giugno, celebra l'anniversario del suo ingresso alla guida della diocesi.

Allora molti si domandano perché il Papa viaggia, alcuni lo accusano e non mancano le cattive parole contro questo suo modo di viaggiare; lui viaggia per dire agli altri coraggio, ma anche per sentirsi dire coraggio. Faccio sempre questa interpretazione delle parole che Gesù ha rivolto a Pietro: tu dopo la tua conversione devi confortare, confermare i tuoi fratelli. Questo va bene, ma io dico cosl: devo anch'io essere confermato dai miei fratelli. Dai fratelli e dalle sorelle. Qui si apre un altro capitolo. Noi sappiamo chi era più coraggioso nei momenti critici, nei momenti della passione: erano le donne.

Grazie per questo incontro, il Signore vi benedica, mantenetevi forti e fiduciosi. Preghiamo insieme per le vocazioni: è un problema che ci preoccupa in tanti paesi di questo mondo tanto sviluppato, tanto maturo nel senso mondano.

Forse anche questo mondo comincerà a capire sempre di più la sua immaturità, o la sua povertà spirituale. Questo è il primo passo, la prima beatitudine della montagna: "Beati i poveri", dovete sentirvi poveri, dovete riscoprire la povertà.

La Chiesa sempre si proclama e si esprime con questa parola: Chiesa dei poveri.

Molti si fermano al solo aspetto della povertà materiale, riferendosi ad esempio alla povertà del Terzo Mondo, a povertà lontane da qui. Ma Chiesa dei poveri vuol dire Chiesa che serve a tutti per scoprire la povertà, la povertà salvifica. Sia lodato Gesù Cristo.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




Ad un gruppo di imprenditori - Reggio Emilia

Titolo: La parola del Vangelo seme di inquietudine costruttiva nel progresso economico

Testo:

Voglio ringraziare i signori membri del comitato per queste parole rivoltemi, ma nello stesso tempo voglio ringraziare tutti i presenti per i loro contributi diversi nella preparazione di questa visita. Ha sottolineato il presidente che la vostra regione è ricca grazie anche alla operosità, laboriosità della sua gente, e questo, si può dire, è un merito dei vostri antenati.

Questa prosperità, come egli ha sottolineato, impone subito una responsabilità: una responsabilità davanti agli altri, ai meno prosperi, meno possidenti, anzi poveri, bisognosi, in tutto il mondo. Io ringrazio per la possibilità di incontrare il vostro gruppo, e di incontrare in questo vostro gruppo ancora una volta la Chiesa di Reggio Emilia, la società in cui questa Chiesa opera, in cui porta avanti la parola del Vangelo. E questa parola del Vangelo è sempre necessaria a tutti. Necessaria ai poveri: si, la Chiesa ha sempre una predilezione per i poveri, predilezione non tanto nel senso affettivo: essa vuole aiutare i poveri. E per aiutare i poveri fa appello ai ricchi, non solamente come persone ma anche come società, nazioni, mondi. Perché oggi noi non possiamo vivere più una "Sollicitudo Rei Socialis" nella dimensione solamente di una famiglia, di un ambiente, di una regione, di un paese; non possiamo vivere questa "sollicitudo" se non nell'ambiente di tutta l'umanità. Ambiente che sembra troppo largo, ma non può essere troppo largo per noi se vogliamo rimanere fedeli alla nostra vocazione umana, che è vocazione comunitaria, che è vocazione universale.

L'uomo porta questa vocazione comunitaria e universale inscritta nella sua natura umana.

La natura umana è così: è aperta agli altri e si arricchisce tramite gli altri. Anzi, il Vangelo ci insegna che i poveri sono quelli che fanno ricchi i ricchi. E' un paradosso, un paradosso evangelico; ma esiste un bisogno della povertà nel senso evangelico, nel senso spirituale, per scoprire altre ricchezze.

Allora per non lasciarsi limitare da una visione del mondo, da una prosperità economica - questo è un grande pericolo per il mondo occidentale oggi, e noi viviamo in questo mondo occidentale - bisogna aprirsi. così i poveri sono i benefattori dei ricchi in questa relazione, in questa interdipendenza e in questa solidarietà. Io vi ringrazio, carissimi signori e signore, per tutto ciò che avete fatto per permettermi di venire e per portare insieme ai vostri Vescovi, soprattutto al Vescovo di Reggio Emilia, questa parola evangelica che è sempre attuale: è attuale per i poveri fra i poveri, ma è attuale anche, direi ancora di più, per il mondo dei ricchi, della ricchezza, del progresso. Ancora più attuale.

Forse meno aspettata: qualche volta sembra superata in questo mondo dove il criterio del progresso si riduce soprattutto al progresso economico.

Allora, dico e ripeto: in questo mondo, in questo mondo materialmente ricco, la parola del Vangelo è ancora più necessaria, più indispensabile. Se la Chiesa ha una predilezione per i poveri, questo non vuol dire che si stacca dai Paesi ricchi, dal mondo dei ricchi. Apprezza i frutti del lavoro umano, della laboriosità umana, del progresso economico; ma sempre mette dentro questa realtà del progresso economico un certo seme di inquietitudine costruttiva. Agostino ha detto "inquietum est cor hominis": deve essere inquieto, non può rimanere troppo sicuro di sé, deve essere inquieto. Noi siamo creati per la trascendenza, per non rimanere in noi, ma per trascendere noi stessi. E così la Chiesa e il Vangelo devono portare non solamente la pace, ma anche qualche volta una preoccupazione, una domanda, devono turbare qualche "tranquillità". Allora, se il Papa è venuto, è venuto anche un poco con questa finalità. Perdonatelo, perché non può essere altrimenti. Questa è la vocazione perenne del Vangelo. Il Vangelo non può essere mai troppo comodo: è scomodo, molte volte è scomodo. Ma è salvifico. Io, ringraziandovi, vorrei che questa Parola del Vangelo, come anche questa mia povera visita, possa servire a tutti e specialmente a voi che avete dimostrato tanta benevolenza, tanta disponibilità per la Chiesa, per il Papa in questa circostanza.

Che il Signore vi benedica, le persone, le famiglie, le nuove generazioni e tutta la società reggiana.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




All'Ospedale Maggiore - Parma

Titolo: Il vero segno della civiltà non è il benessere ma lo spazio privilegiato che si riserva agli ultimi

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. A voi il mio saluto cordiale in questo luogo dove la debolezza dell'infermità s'incontra con la nobiltà dell'amore e della solidarietà. Qui, dove s'avverte più che mai il senso del limite e della precarietà, l'uomo sente più forte l'impulso a tendere la mano all'altro uomo per rendere un servizio alla vita.

Vada innanzitutto una parola di sentito ringraziamento al presidente, per l'indirizzo di omaggio a me rivolto. Ringrazio per il calore dell'accoglienza il personale medico, paramedico e amministrativo; e per la loro presenza e partecipazione coloro che operano nelle altre strutture sanitarie pubbliche e private della città e della provincia.

Desidero rivolgermi con particolare affetto a voi, malati, e nell'augurare a ciascuno il recupero sollecito della salute, vi invito a valorizzare questo tempo di prova dando un senso profondo alla sofferenza e accogliendo nel vostro cuore l'alta e difficile lezione che viene dal dolore.


2. Parma, città della bellezza e dell'arte, manifesta da sempre una spiccata attenzione per la cura degli inferi, rivelando così il suo volto più autentico di bontà.

Il primo ospedale fu fondato da un "Cavaliere", ossia da un laico, in questa parte della città che voi chiamate "Oltretorrente", tanti secoli fa.

L'opera iniziale del "Cavaliere" fu continuata e promossa da un sacerdote, con l'utilizzazione del patrimonio di una congregazione attiva nella Cattedrale cittadina. così l'accordo tra la generosità umana e la fede ha assicurato lo sviluppo a un'iniziativa, che è uno dei titoli più chiari di onore per questa nobile e operosa città.


3. Come ho scritto nella mia prima enciclica, l'uomo costituisce la fondamentale via della Chiesa (cfr. RH 38). Dio stesso ha voluto mettersi a servizio dell'uomo. Egli, che è amore e vita, ha mandato il Figlio suo sulla terra per partecipare agli uomini una felicità, che non potrà essere intaccata dall'invadenza della malattia e della sofferenza.

Nella sua vita e nella sua persona, Cristo manifesta l'amore del Padre per noi e ci offre l'anticipazione del nostro futuro destino. Nel suo corpo martoriato, sottomesso temporaneamente alla legge comune della sofferenza e della morte, si è operata una nuova e più mirabile creazione, con la vittoria dello Spirito e della vita sulla sofferenza e sulla morte. La fede cristiana si fonda infatti sulla realtà della risurrezione del Crocifisso.

Il dolore è una componente della vita, che accompagna ogni uomo fin dalla nascita, in ogni età, in ogni condizione, a ogni livello. Il messaggio cristiano non può prescindere dal dolore e d'altra parte non lo esalta per se stesso. Lo considera invece il passaggio, obbligato ma fecondo, alla pienezza della gioia, che consiste nella partecipazione di tutto l'uomo, spirito e corpo, alla felicità infinita ed eterna di Dio.

Cristo continua a soffrire nella sofferenza di ogni uomo, ma, nello stesso tempo il sofferente partecipa alla forza redentrice del Salvatore. così il dolore, che è condizione ineliminabile della vita umana, rivela la sua fecondità: è un seme di vita nuova destinato a germogliare e a portare frutti.

Cristo è venuto come samaritano buono e compassionevole che si china amorevolmente sulle piaghe dell'uomo. E' il medico che ha dato una nuova dignità e la garanzia di una vita perenne anche al corpo umano, per un'esistenza senza più lacrime e sofferenze.


4. Il suo comandamento è l'amore verso tutti, in particolare verso i più deboli, i poveri, i sofferenti nello spirito e nel fisico. Un giorno il suo giudizio si svolgerà sul codice di questa carità concreta: "Ero ammalato e mi avete visitato" (Mt 25,36).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, il Figlio di Dio, che si è messo tra gli ultimi, ci chiede di partire dagli ultimi. Il vero segno di civiltà non è il benessere economico o il livello tecnologico, ma lo spazio privilegiato che si riserva all'ultimo, all'uomo sofferente e senza potere. Soprattutto nell'ospedale va riconosciuto il primato dell'uomo, che ha il diritto al rispetto della sua dignità, alla vita, ad essere curato e assistito, nel contesto di una struttura efficiente, accogliente, attenta ai drammi dei singoli e delle loro famiglie.

L'ospedale è per l'uomo malato, non l'ammalato per l'ospedale.

Nel ricordo di Maria che, appena avuto nel seno il figlio Gesù, corre a prestare i suoi servizi alla cugina Elisabetta, ed invocando il patrono della vostra città, sant'Ilario, grande teologo e zelante pastore, auspico che tutti gli istituti di assistenza di Parma diventino il cuore della comunità cristiana, il suo primo e più concreto impegno a servizio di chi è visitato dalla sofferenza.

Con tali voti rinnovo a tutti la mia benedizione e il mio saluto.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988




L'incontro con le autorità e la cittadinanza - Parma

Titolo: "Con volontà e forza attendete tutti con impegno ai vostri compiti civili"

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. A voi tutti il mio saluto cordiale! Sono lieto di incontrarmi con voi, abitanti di questa città dal glorioso passato e che tanta rilevanza conserva anche oggi nel contesto sociale e culturale della nazione.

Ringrazio l'onorevole rappresentante del governo e il signor sindaco per le apprezzate espressioni di saluto che mi hanno rivolto: nelle loro parole ho colto la nobiltà d'animo della città e l'attenzione che gli enti preposti al servizio della collettività portano alle categorie più deboli, con opportune iniziative e concrete realizzazioni, nello sforzo di essere vicini alla gente ed ai suoi problemi.

Dell'aspirazione a che la vita cittadina si mantenga sempre a livelli corrispondenti alle sue alte tradizioni di fede e di civiltà, siete palpitante testimonianza soprattutto voi, carissimi fratelli e sorelle presenti, che ringrazio egualmente di cuore per la calorosa accoglienza che avete voluto riservarmi.

Sono altresi contento che la giornata di oggi, densa di incontri umani e di soste di preghiera abbia un suo momento forte in questa piazza Garibaldi: con i suoi edifici ed i suoi monumenti essa è luogo emblematico della storia comunale e simbolo dell'impegno civile e religioso, che ha unito le passate generazioni nell'affrontare le difficoltà incontrate sul cammino.


2. A Parma, in effetti, tutto sembra parlare della riuscita sintesi di questi valori, e dell'impegno a mantenerli vivi. Erede di una ricca storia, che l'ha vista sede di governo e di gestione del potere amministrativo, a motivo della sua posizione naturale la città è stata crocevia di eventi e di idee, terra di passaggio e centro di alta cultura, aperta a rapporti ampi ed a relazioni diversificate. Grazie a ciò essa ha maturato una singolare capacità di recepire stimoli e correnti di pensiero, di prestare attenzione al nuovo che emerge senza dimenticare l'antico, di dimostrarsi ospitale ed accogliente nei confronti di coloro che vi provengono da fuori, e tuttavia fedele alla propria identità su quanto le è esclusivo e caratteristico.

Nessuna meraviglia, pertanto, che anche in questo nostro tempo Parma avverta, nel profondo del suo tessuto urbano e territoriale, vivaci tensioni, condizionamenti e spinte fra loro contrastanti. Altre volte nella sua storia essa è passata attraverso simile crogiolo, e risulta quindi allenata a discernere tra ciò che va recepito e ritenuto, perché vale effettivamente, e ciò che è futile e vano e, in quanto tale, deve essere tralasciato. Guardando alla sua storia, v'è da confidare che la città saprà accogliere saggiamente le nuove sfide e dar loro la giusta risposta.


3. Basandomi su questa fiducia, fondata sulla conoscenza della vostra storia, io desidero, carissimi fratelli e sorelle, rivolgervi un invito, che vuole essere anche un auspicio: nel rispetto delle convinzioni e delle differenti mentalità, nella certezza che i valori della persona rappresentano la più valida base di ogni vero progresso, date vigore, con la linfa perenne del Vangelo, a tutto ciò che di buono, di bello, di valido, di onesto e di giusto forma l'oggetto delle vostre aspirazioni. Cristo sa camminare accanto all'uomo. In modo invisibile, ma reale, egli cammina con ciascuno di noi, aspettando che ci si accorga della sua presenza e che lo si accolga come amico e consigliere verace. Occorre lasciarsi illuminare da lui nelle difficoltà per non imboccare strade sbagliate, occorre confidare in lui per superare le asperità del cammino.

Con Cristo, e quale suo strumento visibile ed aperto a tutti, si pone la Chiesa. Di come essa abbia fatto la propria parte nell'annuncio di Cristo e nell'interesse dell'uomo, ponendosi a servizio delle sue necessità, voi avete avuto prova, in questo secolo e in questa terra, attraverso la testimonianza di elette figure, come il beato Cardinale Andrea Ferrari, il padre Lino Maupas, il venerabile servo di Dio monsignor Guido Maria Conforti, fondatore dei missionari Saveriani. La Chiesa locale, con l'apporto costruttivo di tutte le sue componenti, desidera continuare su tale scia ed invita alla collaborazione, perché di questa sintesi tra valori cristiani e valori umani si avverte impellente il bisogno, mentre se ne intravvedono fecondissimi gli sviluppi.

Per la sensibilità, che vi predispone a realizzare la prospettata armonia, sento di dirvi: Parma, diventa, anche per le altre città ed aggregazioni umane, città della sintesi dei valori e della loro difesa, e ciascuno dei tuoi figli si renda parte attiva di questa valida e benemerita impresa. E se per la meta additata le pubbliche istituzioni hanno un compito importante, sono soprattutto i giovani e le famiglie che devono farsene carico: i primi, perché hanno dalla loro l'avvenire; le seconde, perché la più ampia comunità cittadina può guardare ad un futuro sereno nella misura in cui esse sapranno prepararlo nel loro ambito, circoscritto, ma fondamentale.

"Hostis turbetur, quia Parmam Virgo tuetur" ("Tema l'avversario perché la Vergine protegge Parma") si legge nell'antico stemma del Comune. E' un motto che indica bene il legame che unisce la città alla beata Vergine Maria, alla quale i vostri avi hanno voluto erigere la statua che campeggia in questa piazza a perenne ricordo. Alla Madonna santissima, nella pienezza dell'anno che le abbiamo dedicato, io faccio salire oggi la mia preghiera per voi, e le chiedo che, madre amorosa, dia a tutti e ad ognuno la volontà e la forza di attendere con sempre maggior impegno ai propri compiti civili, sapendo scoprire negli avvenimenti di ogni giorno la grazia e la luce che orientano verso i beni eterni.


Data: 1988-06-06 Data estesa: Lunedi 6 Giugno 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Alla "Casa della carità" - Villa Cella (Reggio Emilia)