GPII 1988 Insegnamenti - Lettera al professor Fabio Roversi Monaco rettore magnifico dell'Università -Bologna

Lettera al professor Fabio Roversi Monaco rettore magnifico dell'Università -Bologna

Titolo: "Alle nuove leggi della Chiesa latina l'università dedichi il suo rigore disciplinare e la sua creatività intellettuale"

Testo:

Al professor Fabio Roversi Monaco rettore magnifico dell'Università degli studi.

La mia visita all'Università degli studi di Bologna, in occasione delle celebrazioni del IX centenario della sua fondazione, risponde al desiderio di rendere onore ad un'istituzione culturale di eccezionali tradizioni e di alto prestigio. Essa è chiamata, a buon diritto, "Alma Mater Studiorum", poiché da essa trassero origine ed ispirazione le altre università. Giovani da tutta l'Europa confluivano infatti nella "città dotta" per lo studio del diritto civile e canonico, ritornando poi come maestri nei loro Paesi di origine, nei quali diffusero il modello di quella libera "società" di docenti e di studenti che, all'alba del XII secolo, si costitui attorno ad Irnerio, "fax iuris".

Le vicende secolari di codesta università, che ha radice nella cultura cristiana, sono strettamente intrecciate con la storia della Chiesa e, in particolare, della Sede apostolica. Culla del diritto, l'Università bolognese fu, nell'età medievale, interlocutrice e collaboratrice privilegiata dei Pontefici romani nella compilazione e nella sistemazione delle leggi ecclesiastiche.

Significativamente, sui sigilli dell'epoca era apposta l'iscrizione: "Legum Bononia mater, Petrus ubique pater", quasi ad esprimere il singolare rapporto tra l'attività dei giuristi, che resero celebre l'università, ed il ministero del successore del principe degli apostoli.

Tale legame trovo un'espressione particolare nell'uso di promulgare le raccolte autentiche delle Decretali pontificie, inviandole ai professori ed allievi dell'Università di Bologna, e poi anche di altre università. Vi diede inizio il mio predecessore Innocenzo III, nel 1210, trasmettendo "universis magistris et scholaribus Bononiae commorantibus", con la Bolla "Devotioni vestrae", la "Compilatio III antiqua" - prima raccolta autentica di Decretali pontificie - perché fosse usata "tam in iudiciis quam in scholis". Lo stesso fece Papa Onorio III, nel 1226, inviando la "Compilatio V antiqua", all'arcidiacono di Bologna, al quale competeva di attribuire le lauree nell'università. E ancora Papa Gregorio IX, provvedendo con il "Liber extra" alla più importante compilazione di Decretali "extra Decretum vagantes", nel 1234 volle indirizzarne la Bolla di promulgazione "filiis doctoribus et scholaribus universis Bononiae commorantibus".

Non si trattava soltanto di un gesto di peculiare considerazione verso l'università in cui, sin dai tempi di Graziano, eminenti giuristi avevano operato il riordinamento e la sistemazione scientifica delle leggi della Chiesa. I Pontefici avvertivano la necessità che le Decretali, oltre ad incontrare pronta e fedele adesione da parte della comunità ecclesiale, suscitassero una riflessione approfondita sul patrimonio di sapienza giuridica che appartiene alla Chiesa, e trovassero un'applicazione adeguata alla loro natura e finalità pastorali. Per questo essi si rivolgevano principalmente allo studio bolognese, dal quale proveniva lo stesso autore del "Liber extra", san Raimondo di Penafort, e nel quale si preparavano i maestri canonisti di tutta l'Europa.

Non diversamente, nel 1298, procedette Papa Bonifacio VIII, all'atto della promulgazione del "Liber Sextus". Inviando la Bolla "Sacrosanctae Romanae Ecclesiae" ai dottori ed agli studenti dell'Università di Bologna, come di altre, egli volle rendere esplicita la sua preoccupazione con le seguenti parole: "Universitati vestrae igitur per apostolica scripta mandamus, quatenus librum huiusmodi cum multa maturitate digestum, quem sub bulla nostra vobis transmittimus, prompto suscipientes affectu, eo utamini de cetero in iudiciis et in scholis". Espressioni analoghe, infine, impiego Papa Giovanni XXII che, nel 1317, inviando con la Bolla "Quoniam Nulla" le "Clementinae", auspicava fossero accolte "prompto affectu et studio alacri".

Maestri ed allievi dell'Università bolognese furono i primi a corrispondere al desiderio dei Pontefici ed alla loro rinnovata attività legislativa, sviluppando elaborazioni, commenti e metodi - ai quali si accompagno la formalizzazione dei corsi e dei gradi accademici - e dando un impulso decisivo alla scienza del diritto canonico. Lo "ius decretalium" ebbe a Bologna cultori illustri, la cui opera segno un'epoca dello studio giuridico ecclesiastico.

A distanza di secoli, l'incontro di oggi mi offre l'opportunità di ricollegarmi a tale significativa tradizione, presentandole il volume del "Codex Iuris Canonici" della Chiesa latina, che ho promulgato il 25 gennaio 1983, con la costituzione apostolica "Sacrae Disciplinae Leges".

Esso è frutto di una lunga preparazione, avviata dal mio venerato predecessore Giovanni XXIII nel 1959 e condotta collegialmente, con l'apporto di tutto l'episcopato cattolico, della Curia romana, delle università e facoltà ecclesiastiche e di insigni periti. Soprattutto, esso rappresenta la revisione della legislazione del Codice Pio-Benedettino del 1917, alla luce degli insegnamenti del recente Concilio, ed è questo appunto che lo caratterizza.

Nella grande assise ecumenica, la Chiesa ha approfondito l'immagine che essa ha di se stessa alla luce della Parola del divino Maestro, e ripensato il proprio rapporto con il mondo contemporaneo. A tale impegno della Chiesa, il Concilio espresse fiducia che corrispondesse una rinnovata attenzione da parte degli uomini di cultura e di scienza. Trovandomi oggi in questa sede insigne dello studio e della ricerca, desidero confermare questa fiducia e questa attesa.

Confido che docenti e studenti dell'università vogliano dedicare alle nuove leggi della Chiesa latina il rigore disciplinare e la creatività intellettuale, che ne hanno distinto nei secoli l'opera accademica e scientifica.

Nel vasto settore del diritto, lo studioso svolge un servizio all'uomo ed alla sua dignità, che riveste speciale rilevanza e delicatezza. Si tratta di una vocazione che non può non incontrare la sollecitudine della Chiesa, che - come scrissi nell'enciclica "Redemptor Hominis" - riconosce nell'uomo la "prima e fondamentale via da percorrere nel compimento della sua missione".

Nelle leggi canoniche la Chiesa ha trasfuso, insieme con la dottrina rivelata di cui è depositaria, la sua secolare sapienza di maestra e di madre, la sua sollecitudine per i propri figli, per la loro armoniosa convivenza e per il loro destino eterno. Dai cultori della scienza giuridica, essa si attende un ministero di intelligenza e di amore nello sviluppo e nell'interpretazione dei principi di giustizia e di equità, per il maggior bene dell'uomo.

Vorrei esprimere l'auspicio che dall'incontro di oggi sia stimolato e favorito il solidale impegno di tutti i membri della vostra comunità universitaria nella promozione dei valori più alti dell'uomo e della società. Questa ricerca comune, perseguita con interiore libertà ed onestà, e nel rispetto di ogni persona, naturalmente richiama la fonte della verità, della giustizia e del bene, che è Dio.

In tal modo, questa "Alma Mater Studiorum" rinnoverà la sua tradizione in una perenne giovinezza di ispirazioni e di energie a servizio dell'umanità.

Con questo augurio, e con un pensiero deferente e cordiale, invoco da Dio su di lei, signor rettore, sui docenti, sugli studenti e su quanti collaborano alla vita dell'ateneo luce per le menti e sapienza per i cuori.

Dal Vaticano, 7 Giugno 1988, anno decimo del mio Pontificato.


Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988




Al personale tecnico ed amministrativo dell'università bolognese - Bologna

Titolo: "I successi del vostro ateneo appartengono anche a voi"

Testo:

Sono lieto di incontrarmi con voi, rappresentanti del personale tecnico e amministrativo, che, insieme con i docenti e gli studenti, formate la comunità universitaria. A voi il mio saluto cordiale.

L'opera, che svolgete a necessario supporto del funzionamento della struttura universitaria, è certamente preziosa, anche se meno appariscente e spesso meno ricca di riconoscimenti e gratificazioni. Ma i risultati sul piano scientifico e formativo e i successi del vostro Ateneo appartengono anche a voi, perché non sarebbero possibili senza la vostra collaborazione.

L'importanza del vostro lavoro non si ricollega solo alle finalità dell'istituzione universitaria, ma si caratterizza anche in ordine ai rapporti umani, alla formazione cioè di una comunità in cui le persone che vi si ritrovano siano rispettate pienamente nella loro dignità e nei loro diritti.

Il mio augurio è che il vostro lavoro sia adeguatamente riconosciuto e possa essere per ciascuno di voi un modo in cui esprimere pienamente le proprie capacità, partecipando attivamente e consapevolmente, in spirito di costante disponibilità, alle finalità di ricerca e di formazione, proprie della istituzione universitaria.

Con questi voti imparto di cuore a voi ed alle vostre famiglie la mia benedizione.


Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988




Incontro con gli universitari nella piazza di san Petronio - Bologna

Titolo: Giovinezza, accostamento alla sapienza, fede: tre doni di Dio che costuiscono la vostra gioia e la fiducia nell'avvenire

Testo:


1. Sono grato al Signore e a tutti voi per l'opportunità che mi è concessa di incontrarmi nuovamente con la carissima Bologna, dopo essermi soffermato nella sua antica università, che quest'anno celebra i novecento anni della sua vita.

Porto impresso nel cuore il lieto ricordo della mia precedente venuta in questa città e in particolare rivivo l'immagine splendida e l'ora commossa del grande incontro in questa antica piazza. Era allora con noi il vostro compianto Arcivescovo, Cardinale Antonio Poma, che ricordo con affetto e gratitudine.

Ora la bontà di Dio ci fa incontrare nuovamente, per singolare privilegio, dopo alcuni anni così ricchi di avvenimenti di grande portata storica.

Saluto oggi con affetto il vostro Arcivescovo e mio amato fratello, Cardinale Giacomo Biffi, che vi guida e vi incoraggia sulla via della fede e della testimonianza a Cristo risorto, presente in mezzo alla storia degli uomini.

Saluto in particolare voi, carissimi giovani della comunità universitaria. Dopo l'incontro con le autorità accademiche e i vostri professori nella bella aula magna della vostra università, eccomi ora a voi in questa straordinaria "aula magna", questa antica e meravigliosa piazza di san Petronio, cuore della città, circondata dagli insigni monumenti che testimoniano la fede, la cultura, la laboriosità, l'arte e la convivenza civile dei vostri padri.

In questa stupenda cornice architettonica sono lieto di cogliere il segno e la speranza di un rapporto rinnovato e fecondo tra l'antico ateneo che promuove e sviluppa i vari drammi e le loro speranze; voglio augurarmi che università e città possano, come in antico, ispirarsi ed integrarsi a vicenda per il bene dell'uomo e per la crescita culturale, morale, spirituale e civile.


2. La mia parola si volge specialmente a voi giovani, che con la vostra presenza ricca di impegno cristiano vi studiate di testimoniare i valori evangelici nell'ambiente universitario. Nell'incoraggiarvi in tale proposito, desidero richiamare la vostra attenzione su alcuni doni di Dio che in modo speciale segnano la vostra vita e che, se riconosciuti, costituiscono il segreto della gioia, della fiducia nell'avvenire, della giusta volontà di realizzarsi.

Innanzitutto il dono semplice e grande della giovinezza: è un dono che anagraficamente passa, ma che può diventare spiritualmente perenne.

Giovinezza vuol dire libertà da preconcetti e sclerotizzazioni ideologiche, che impediscono di aprirsi alla verità nella sua interezza.

Giovinezza vuol dire capacità di speranza e di tensione verso traguardi non puramente utilitaristici; vuol dire disponibilità a pensare e a operare "in grande" senza lasciarsi intimidire dalle presunte esigenze di leggi e meccanismi inadeguati alla dignità della persona; vuol dire saper cogliere in ogni situazione e avvenimento la possibilità di procedere oltre, di cercare ancora, e di operare più profondamente per consentire all'uomo di non chiudersi in prigioni da lui stesso edificate.

Giovinezza è infine propensione alla solidarietà e al desiderio di comunione che sono insiti nell'animo umano, non ancora soffocato dalla ricerca smodata dell'interesse individuale.

Dobbiamo veramente ringraziare Dio per la generosità con cui molti giovani si riuniscono intorno a progetti utili e buoni, e soprattutto intorno a proposte di riscoperta e di sviluppo dei valori cristiani dell'esistenza. Queste forti esperienze comunitarie portano i cuori a guardare con attenzione solidale alle condizioni più gravi e più ingiuste di emarginazione e di abbandono, e a farsene carico. E' infatti impossibile che chi ha conosciuto e vive un'esperienza comunitaria autenticamente cristiana, possa accettare di chiudersi in forme egoistiche e sterili di autocompiacimento, senza guardare con affettuosa partecipazione e con impegno intelligente a chi amaramente affronta da solo il dramma della vita.


3. Come vedete, parlo della giovinezza non solo e non tanto come di un'età, ma come di una qualità dell'esistenza stessa. La giovinezza esige, allora, di essere difesa da tutte quelle forze negative che, purtroppo, molto spesso riducono la condizione giovanile ad una vicenda umiliata e cinica, ad una specie di anticipata decrepitezza dello spirito. Il vostro stesso impegno culturale deve costituire una valida difesa contro tutte le seduzioni che la potenza occulta e suasiva del mercato e della pubblicità esercita sulle parti più vulnerabili del tessuto sociale. L'esaltazione del piacere ricercato per se stesso affascina le personalità più fragili e le porta ad evadere dall'intima verità del proprio essere verso forme di pericolosa superficialità, di acritica adesione all'ultima moda e, nei casi più gravi, di resa rassegnata al dramma della droga e dell'alcolismo.

Una vita senza ideali, non permettendo alla persona di esprimere positivamente le sue molteplici potenzialità, può facilmente trasformare queste energie in tensioni negative di aggressività e di violenza, sia individuale che collettiva.

Il rifiuto aprioristico della ricerca della verità o la sua insufficiente fondazione teoretica possono portare al rapido declino di progetti vaghi e illusori, sospingendo gli animi verso posizioni di scetticismo e disimpegno. A ciò s'aggiunge la possibile influenza negativa del mondo degli adulti, nel quale talvolta prevalgono sentimenti di chiusura egoistica sullo sfondo di una società che spesso non ha saputo sviluppare valori duraturi e fecondi.

Contro tali rischi, cari giovani, è necessario vigilare e, quando è il caso, reagire con semplice e umile coraggio; ma è soprattutto necessario avanzare proposte sapienti, che possano costruire un'ipotesi nuova e stimolante per ogni cuore che cerchi onestamente la verità.


4. L'altro dono, che desidero segnalare alla vostra attenzione, è quello della possibilità di accedere alle fonti del sapere. Nella vostra esperienza umana e cristiana questi anni di apprendimento, di studio e di ricerca costituiscono un vero privilegio. Troppo facilmente si considera questo periodo una semplice fase di passaggio verso l'età della professione e del mestiere o, ancor peggio, un itinerario più stancante che utile attraverso nozioni lontane dai propri interessi immediati. E' una visione errata. Gli studi universitari sono una grande ricchezza. Molte nazioni e Paesi in via di sviluppo stentano a decollare dalle loro condizioni di povertà e di emarginazione proprio a motivo della impossibilità per quasi tutte le forze giovanili di accedere ad una cultura superiore.

A questo proposito, con particolare affetto e viva speranza rilevo la presenza tra voi di molti giovani provenienti da Paesi lontani, segnati spesso da povertà e da grande desiderio di riscatto e di crescita. Il cuore del Papa si sente vicino a voi, studenti stranieri a Bologna: sono consapevole del grande sacrificio che vi impongono la lontananza dagli affetti e dalle consuetudini dei vostri Paesi e la necessità di affrontare ambienti, linguaggi e abitudini tanto diversi da quelli propri dell'orizzonte storico e culturale nel quale siete nati e cresciuti. Conosco anche i gravi sacrifici che vi sono imposti dalle ristrettezze economiche nelle quali dovete vivere: il problema di avere un'abitazione, l'esclusione forzata da tante forme di comodità, talora addirittura la difficoltà per assicurarsi il cibo di ogni giorno.

Mi rivolgo a tutti i vostri compagni di studi per esortarli ad essere il primo segno di quell'affetto familiare che avete dovuto lasciare, per crescere, oggi, nel sapere, e per servire, domani, i vostri Paesi. La solidarietà universitaria deve far si che nessuno sia costretto ad arrendersi e ad abbandonare lo studio intrapreso, a motivo di queste difficoltà. La mia esortazione a questo proposito s'allarga all'intera popolazione di Bologna: cari fratelli e sorelle, confermate e rinnovate le vostre antiche tradizioni di carità e di solidale, accogliente cordialità. Questi giovani, presenti tra voi negli anni del loro studio accademico, sono una ricchezza; essi porteranno in tutto il mondo la memoria, la stima e la riconoscenza per questa antica città e per la sua scuola.

Nessuno abusi di tale preziosa ricchezza per uno sfruttamento meschino di condizioni deboli e fragili.

Voi studenti, pero, qualunque sia la vostra provenienza e il vostro livello, dovete assumere con grande serietà il vostro impegno di apprendimento e di ricerca. Se è vero che questa fase della vostra vita deve essere ricca di interessi molteplici, non v'è dubbio che tale apertura è legittimata principalmente dalla fedeltà allo studio che avete intrapreso. Senza una dedizione generosa a questo dovere primario, ogni altra attività o interesse perderebbe credibilità ed efficacia. Ne sarebbe compromesso il vostro futuro.


5. Cari giovani, sul vostro cammino di studenti non mancano rischi: quello innanzitutto di uno studio così specialistico da non riuscire ad inserirsi in quel contesto globale di significati e di valori che caratterizza la scuola come "università", cioè come sintesi e armonia universale dei diversi ambiti del sapere.

E ancora: l'itinerario accademico può essere concepito esclusivamente come progetto di acquisizione di capacità e conoscenze in vista della propria affermazione sociale e del proprio tornaconto: ma questo umilierebbe in modo drammatico il senso dello studio e della ricerca, certamente orientati anche a dare a ciascuno una possibilità di lavoro, ma primariamente finalizzati all'avanzamento nella conoscenza e alla promozione di capacità e competenze da porre al servizio dell'intera comunità umana, a partire dalle sue membra più deboli.

Evitate questi pericoli, cari giovani, tenendovi aperti con passione al desiderio e alla ricerca della verità. Sarà proprio questa "passione di verità" a rinnovare le vostre forze intellettuali e spirituali e a consentirvi di superare le difficoltà che possono venirvi anche dalle deficienze del sistema e dalla inadeguatezza delle strutture.

La stessa "passione per la verità" vi persuaderà che gli studi superiori non possono risolversi in un cumulo di informazioni e che non ci si può rassegnare a quella frammentazione del sapere, che è il rischio conseguente alla specializzazione propria delle scienze moderne. L'esigenza di verità unitaria e totale è profondamente radicata nel cuore dell'uomo, e trova la sua piena risposta in Gesù Cristo, Verbo eterno di Dio che si è manifestato nella storia.


6. Giungo così a mettere davanti alla vostra attenzione il terzo, ma non ultimo dono: il dono della fede. Esso non è estraneo nè ostile al privilegio del sapere.

La fiducia nella razionalità e l'utilizzazione dei metodi scientifici non solo non rappresentano un ostacolo alla fede, ma ne fanno sentire più acuta l'esigenza, perché proprio la fede può darvi la prospettiva nuova, originale e vera sull'intera realtà. Essa è il grande dono che Dio stesso ci ha fatto in Cristo perché tutto l'essere, tutta la creazione e quindi tutto il sapere siano riscattati dalla disperata e confusa dispersione in cui ogni cosa è precipitata quando la disobbedienza del peccato ha separato l'uomo dal suo Creatore.

Tale dono della fede, se da un lato vi fa diversi, incompresi e quasi stranieri nel mondo dominato dall'incredulità, dall'altro lato vi deve rendere sempre più capaci di comprensione verso tutti, sempre più perspicaci nel cogliere in ogni uomo la scintilla della presenza di Dio e in ogni elaborazione umana qualche luce della divina verità.

Mi auguro che possiate incontrare dei veri maestri, fratelli a voi nella fede, desiderosi di camminare con voi sulla via della sapienza cristiana: insieme potrete attendere al grande compito di fare della fede il principio di ogni valutazione sulla natura, sulla storia, sui comportamenti. Insieme potrete realizzare un'autentica comunione scientifica e didattica, in cui la preparazione alla professione futura sarà arricchita da un'esperienza comune di ricerca della verità e del vero bene dell'uomo.


7. Vorrei infine ricordarvi che la presenza cristiana nell'ambiente universitario si esprime e passa attraverso un serio impegno culturale, ispirato alla visione evangelica.

La fede deve generare la cultura; deve cioè portare ad affrontare i problemi e a vivere le situazioni in modo coerente alla propria convinzione cristiana. Nello stesso tempo la fede dovrà manifestarsi in una testimonianza di servizio, in relazione ai molti bisogni che affiorano nell'ambiente: dall'accoglienza alle matricole e ai fuori sede, alle varie forme di amicizia e di aiuto, specialmente verso i giovani che vengono da regioni e da nazioni lontane.

Il mio auspicio è che questa presenza cristiana nell'università, in forma singola o associata, sia sostenuta dall'impegno dell'intera comunità ecclesiale. Come ricordai sei anni fa nell'incontro coi vostri docenti nell'ateneo, "la comunità ecclesiale nel suo insieme si sente corresponsabile della promozione dei valori umani ed evangelici nella vita della vostra università".

Cari giovani e voi tutti che mi ascoltate, "il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori" e siate sempre "radicati e fondati nella carità" (cfr. Ep 3,17).

Fate che la vostra fede, restando limpida, integra e sempre identica a sè, si manifesti in ogni tempo e in ogni luogo come testimonianza sempre nuova del grande amore con cui siamo stati amati dal Padre, e come espressione di una vita ricca di senso e di scopo.

A tutti la mia benedizione! [Al termine il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:] Vorrei aggiungere qualche cosa, perché non solamente ho pronunciato questo discorso, ma mentre lo leggevo ho fatto anche una riflessione sul discorso pronunciato.

Ho parlato degli studenti stranieri, soprattutto degli studenti che vengono dai Paesi di altri continenti, come una volta venivano studenti ad esempio dalla mia patria. Oggi, ancora, ho ammirato il busto di Nicolo Copernico nell'atrio della vecchia università, e tanti altri. così oggi vengono gli studenti, non tanto dai Paesi europei, quanto dai Paesi africani, asiatici, latino-americani. In riferimento a loro molto si parla oggi nella Chiesa, nella teologia della inculturazione. E' vero che loro si trovano con la loro prima o quasi prima evangelizzazione, in questo periodo in cui si devono ricercare i legami propri tra messaggio evangelico e la loro cultura tradizionale. Questa opera preoccupa molti pastori, vescovi, sacerdoti, missionari, come preoccupava, secoli fa, i nostri antenati quando i nostri Paesi, le nostre patrie si trovavano nel periodo della prima evangelizzazione. Naturalmente questo non si riferisce a Bologna, all'Italia, perché la vostra prima evangelizzazione risale ai tempi apostolici. Ma questa è solamente una parte del problema, poiché noi in Europa, con i diversi episcopati europei, anche con l'episcopato italiano così "splendidamente" rappresentato, noi parliamo molte volte, anche a Roma naturalmente, della necessità di una nuova evangelizzazione del nostro continente, dei diversi Paesi del nostro continente, dove la Chiesa è già radicata da secoli.

Chiesa radicata, dove ci sono le istituzioni, la cultura, le culture delle nostre patrie, delle nazioni europee, già impregnate dei comuni elementi cristiani, ma il problema di una nuova evangelizzazione esiste. E questo problema della nuova evangelizzazione dell'Europa per i diversi Paesi e nazioni europei pone, allo stesso tempo, il problema della nuova inculturazione. Se si vogliono tirare fino alla fine le conseguenze di tutto quello che ho detto circa la richiesta dei miei giovani amici - due, una signorina ed un giovane signore che hanno preceduto il mio discorso -, noi cristiani in Europa, in Italia, siamo e dobbiamo essere impegnati in una nuova inculturazione. Non possiamo soltanto ripetere: ma noi abbiamo questa grande cultura cristiana, la si vede dappertutto.

Si, si vede, ma il problema è questo: per che cosa si vede la cultura o i monumenti della cultura? Per l'evangelizzazione non bastano i monumenti di una evangelizzazione già compiuta in passato. Per la nuova evangelizzazione ci vuole una nuova inculturazione, non monumenti del passato, ma cultura contemporanea, cultura dei nostri contemporanei, cultura delle nostre odierne istituzioni, cultura della nostra scienza contemporanea che è molto diversa da quella scienza medioevale, anche se essa aveva già in sè le prospettive dell'oggi, basta pensare ad esempio a Copernico e a tanti altri.

Allora: come di questa cultura, di questa cultura europea - che attraverso i progressi intellettuali, culturali, scientifici si è staccata, anzi programmaticamente staccata dal cristianesimo, dalla fede, come con questa cultura, fare una nuova inculturazione per realizzare una vera nuova evangelizzazione? Ecco il problema degno di questa città, di questo ambiente.

Circa questo problema pensano i pastori, i Vescovi, i teologi, i sacerdoti, ma oggi viviamo una Chiesa, la stessa ed al contempo altra, che dà di sè una nuova autodefinizione: la Chiesa del Popolo di Dio, la Chiesa in cui, come nei tempi apostolici, si parla dell'apostolato comune di ogni cristiano. Allora siamo tutti responsabili di questa nuova evangelizzazione, non soltanto gli ecclesiastici - ed occorre dire che nella nostra epoca il loro numero è insufficiente ed il problema delle vocazioni si pone anche negli ambienti universitari -: tutti siamo impegnati o almeno chiamati ad essere impegnati nel processo della nuova evangelizzazione che vuole dire nuova inculturazione, che certo sarà diversa da quella medioevale, per esempio in quanto gli elementi sono diversi e forse sarà più difficile. Ma quanto più difficile, tanto maggiore sarà la sfida.

Allora vorrei lasciare voi giovani con questa sfida di una nuova evangelizzazione, di una nuova inculturazione. Mi avete domandato: cosa dobbiamo fare? Io vi ho detto alcuni elementi soprattutto se si tratta del piano globale di ciò che si deve fare, che dovete fare voi, i cristiani dell'incipiente terzo millennio. Voi dovete realizzare questa nuova evangelizzazione che vuole dire nuova inculturazione dell'Europa.

Allora se vi chiederanno che cosa ha detto il Papa, dovete rispondere: il Papa ha letto un discorso e dopo ha fatto un altro discorso sul suo discorso.


Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988




Incontro con i Vescovi dell'Emilia-Romagna - Bologna

Titolo: Il saluto ai Vescovi dell'Emilia-Romagna

Testo:

Eccoci ancora qui in questo grandioso seminario di Bologna. Ci avviciniamo lentamente alla fine di questo momento che ha coronato il lavoro e soprattutto la visita di questi giorni, del corrente anno, ma anche quella di due anni fa quando abbiamo fatto visita alla parte romagnola della regione: oggi abbiamo visitato quella Emiliana. L'altra volta avevamo anticipato la visita a Bologna; questa volta l'abbiamo posticipata, per i nove secoli dell'Università. Da questo itinerario è rimasta fuori solo una diocesi, Ferrara. Questo equivale ad una sfida per noi tutti, per il Papa, ma soprattutto per l'Arcivescovo di Ferrara.

Certo non bisogna lasciare spazio a considerazioni sbagliate, anzi bisogna sottolineare l'importanza di Ferrara, tanto importante da non poter essere visitata insieme alla parte romagnola nè con la parte emiliana. L'Arcivescovo di Ferrara, che io ho visto tanto volentieri a Roma in casa mia tante volte, e spero di vederlo ancora tante altre volte, credo sia d'accordo con me in questo senso: Ferrara deve essere una cosa a parte.

Vorrei rivolgere ora il mio grazie più sincero per tutto quello che è stato fatto, per la buona accoglienza riservatami. Io non so quale sia il vero significato di questa visita.

Potrebbe essere duplice: uno per lasciar capire a queste popolazioni che il Papa non è più il loro sovrano. Ma poteva anche significare la volontà di portare questo ex sovrano pontificio anche negli altri territori. Ma io escludo quest'ultimo significato. Se si interpreta l'accoglienza della popolazione io credo proprio che questa ipotesi possa essere esclusa.

Si è voluto piuttosto dimostrare a queste popolazioni che il Papa non viene più come il loro sovrano temporale, come capo dello Stato Pontificio, ma viene come Papa di Roma, come Pastore. Dovunque, questo è stato molto chiaro. Poi naturalmente la visita mi ha consentito di vivere in pieno la realtà di queste Chiese, di questa porzione del Popolo di Dio, dei suoi problemi. Non è il momento di tornare a parlare di questi problemi, perché se ne è già parlato tanto, anche nel corso delle singole visite. Ma certamente questi problemi esistono e noi dobbiamo cercare la strada per risolverli. Le previsioni sono piuttosto ottimistiche; nonostante le difficoltà, che sono evidenti, tuttavia le previsioni restano ottimistiche e si deve andare avanti ancora con un certo ottimismo evangelico.

Ci sono dei cambiamenti, che sono stati introdotti dal Vaticano II, e che fanno parte della visione della Chiesa e il modo di capire la Chiesa, di pensare la Chiesa e anche il modo di vivere la Chiesa è diventato molto diverso.

Certamente diventerà sempre più tanto diverso da quella che un tempo era la realtà della Chiesa nei suoi condizionamenti storici. E poi è certo che lo Spirito Santo opera fortemente in queste regioni dove le circostanze di ordine civico, politico, ma forse anche ideologico sono tanto contrarie. Lo Spirito Santo opera qui con più energie, e si notano queste energie nella popolazione, soprattutto si vede nella popolazione giovane. Si vede dappertutto. Certo per me è più difficile giudicare e valutare queste cose; ma per voi che siete di questa terra, che siete nati in questa terra, che ricordate i tempi passati, è più facile vedere, notare le differenze e, vedendo meglio l'energia dello Spirito Santo che si fa energia delle persone, degli ambienti, dei movimenti, delle famiglie si può anche sperare il meglio per il futuro nonostante vi siano ancora tante implicazioni negative del passato ed anche del presente, perché il presente è sempre un prodotto del passato. Ma si vede già il futuro. Ringrazio ancora cordialmente i miei confratelli che hanno voluto invitarmi.

Questa è forse una delle regioni in Italia che ho visitato di più fin ora. Per me naturalmente è una cosa molto utile perché il Papa è Papa in quanto può e deve vivere la Chiesa e non solo conoscerla attraverso dati e informazioni, ma il più possibile proprio attraverso l'esperienza, vivendo la Chiesa nei diversi punti. E poi c'è una continua richiesta: la Chiesa vuole vivere il Papa nei diversi ambienti. Vuole che venga, che stia con loro. E' un momento della storia, un segno dei tempi.

E bisogna seguire questo segno dei tempi ed essere fedele alla guida dello Spirito Santo, essere fedeli a quello che lui ci suggerisce, sempre conservando il principio evangelico dei servi inutili: "Inutiles servi sumus".

Questa consapevolezza cresce dopo ogni visita pastorale "Inutiles servi sumus". Ma nello stesso tempo cresce anche la disponibilità a continuare a fare lo stesso finché il Signore ce lo consentirà e ci darà le forze per farlo e fino a che i confratelli ci sopportano. Grazie anche per avermi sopportato in questi giorni.


Data: 1988-06-07 Data estesa: Martedi 7 Giugno 1988









Lettera a monsignor Lefebvre

Testo:

A sua eccellenza monsignor Marcel Lefebvre, Arcivescovo-Vescovo emerito di Tulle E' con viva e profonda afflizione che ho preso conoscenza della sua lettera datata 2 giugno Guidato unicamente dalla preoccupazione per l'unità della Chiesa nella fedeltà alla Verità rivelata - dovere inderogabile imposto al successore dell'apostolo Pietro - avevo disposto l'anno scorso una Visita apostolica della Fraternità san Pio X e delle sue opere, che è stata effettuata dal Cardinale Edouard Gagnon. Sono seguiti dei colloqui, dapprima con esperti della Congregazione per la Dottrina della Fede, poi tra voi stesso e il Cardinale Joseph Ratzinger.

Nel corso di questi incontri, erano state elaborate delle soluzioni, accettate e firmate da lei il 5 maggio 1988: esse permettevano alla Fraternità san Pio X di esistere e di operare nella Chiesa in piena comunione con il Sommo Pontefice, custode dell'unità della verità. Per parte sua, la Sede apostolica non perseguiva che un solo scopo in queste conversazioni con lei: favorire a salvaguardare questa unità nell'obbedienza alla Rivelazione divina, tradotta e interpretata dal Magistero della Chiesa particolarmente nei ventuno Concili ecumenici, da Nicea al Vaticano II.

Nella lettera che mi ha indirizzato, lei sembra rigettare tutto quanto acquisito nei precedenti colloqui, poiché vi manifesta chiaramente la sua intenzione di "darvi voi stessi i mezzi per proseguire la vostra opera", in particolare procedendo in breve e senza mandato apostolico a una o più ordinazioni episcopali, ciò in contraddizione flagrante non soltanto con le prescrizioni del Diritto Canonico, ma anche con il protocollo firmato il 5 maggio e con le indicazioni relative a questo problema contenute nella lettera che il Cardinale Ratzinger le ha scritto su mia richiesta il 30 maggio.

Con cuore paterno, ma anche con tutta la gravità che le presenti circostanze richiedono, la esorto, Venerabile Fratello, a rinunciare al suo progetto che, se realizzato, non potrà apparire che come un atto scismatico le cui inevitabili conseguenze teologiche e canoniche le sono note. La invito ardentemente al ritorno, nell'umiltà, alla piena obbedienza al vicario di Cristo.


GPII 1988 Insegnamenti - Lettera al professor Fabio Roversi Monaco rettore magnifico dell'Università -Bologna