GPII 1988 Insegnamenti - Santa Messa per la beatificazione di Laura Vicuna - Colle Don Bosco (Torino)

Santa Messa per la beatificazione di Laura Vicuna - Colle Don Bosco (Torino)

Titolo: La beatificazione di Laura Vicuna è un richiamo alla società moderna perché promuova l'istituto familiare e l'educazione dei giovani

Testo:


1. "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (Lc 10,21).

A queste parole del Signore Gesù, l'evangelista aggiunge: "Esulto nello Spirito Santo" (Lc 10,21).

Desideriamo accogliere nei nostri cuori un raggio di questa esultanza, perché ci troviamo insieme in occasione del centenario della morte di san Giovanni Bosco, al quale si possono riferire in modo particolare tali parole del nostro maestro e salvatore.

Similmente si riferisce a lui anche tutto ciò che leggiamo nell'odierna liturgia, seguendo la prima lettera di san Giovanni: "Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre... colui che è fin dal principio... a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno" (1Jn 2,14).

Sull'esempio di san Giovanni apostolo ed evangelista, anche san Giovanni Bosco, durante tutti gli anni della sua vita e del suo apostolato ha scritto una lettera: una "lettera viva" nel cuore della gioventù. E l'ha scritta in questa esultanza che è data ai piccoli e agli umili nello Spirito Santo.


2. Questa lettera viva veniva già letta durante la vita e il servizio sacerdotale di san Giovanni Bosco. E la stessa "lettera viva" continua ad essere scritta nei cuori dei giovani, ai quali giunge l'eredità del santo educatore di Torino.

E tale "lettera" diventa particolarmente limpida ed eloquente, quando da quest'eredità di generazione in generazione crescono sempre nuovi santi e beati.

Conosciamo tutti la splendida schiera di anime elette, formatesi alla scuola di don Bosco: san Domenico Savio, il beato Michele Rua, suo primo successore, i beati martiri Luigi Versiglia e Callisto Caravario, santa Maria Domenica Mazzarello, cofondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e oggi anche la giovane Laura Vicuna, che viene elevata agli altari, in occasione del Giubileo salesiano.


3. La nuova beata, che oggi onoriamo, è frutto particolare dell'educazione ricevuta dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, ed è perciò significativa parte dell'eredità di san Giovanni Bosco. E' giusto quindi rivolgere anche il nostro pensiero all'Istituto delle Suore Salesiane ed alla loro fondatrice, per attingere più profonda devozione ai santi fondatori e nuovo ardore apostolico, specialmente nella formazione cristiana dei giovani.

Misteriosi sono sempre per noi i disegni di Dio, ma alla fine risultano provvidenziali. La giovane Maria Domenica Mazzarello, che ebbe umili origini a Mornese, piccolo paese della diocesi di Acqui, già aveva maturato il proposito di consacrarsi ad una vita di donazione al Signore. Incontratasi con don Bosco, scopri la sua vocazione definitiva, seguendo l'apostolo della gioventù, il quale desiderava fondare anche un'istituzione femminile. Entrata nell'orbita spirituale e apostolica di don Bosco, Maria Domenica Mazzarello riuni il primo gruppo di religiose a Mornese e il 5 agosto 1872, con la vestizione e la professione, diede inizio ufficiale all'Istituto.

Da quell'inizio, in breve tempo, le fondazioni si susseguirono in Italia, varcando poi anche le frontiere dell'Oceano, con le prime missioni nell'Uruguay e nella Patagonia. Dal giorno in cui la fondatrice, insieme con altre quattordici giovani, si era consacrata al Signore, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 14 maggio 1881, erano appena trascorsi nove anni; ma in quel breve spazio di tempo la santa aveva posto le basi di un promettente istituto religioso, che poi si sarebbe sviluppato in modo davvero meraviglioso. "Mi sono offerta vittima al Signore" aveva confidato un giorno ad una giovane missionaria; e don Bosco aveva commentato: "La vittima era gradita a Dio e fu accettata".

Possiamo dire che questo "spirito" della fondatrice si è mantenuto vivo e ardente nelle Figlie di Maria Ausiliatrice! La fede profonda e convinta, unita ad una fervida e costante devozione a Maria santissima, a san Giuseppe, all'angelo custode; la semplicità di vita, espressa in modo particolare da un energico distacco dai gusti mondani e da una intensa e incessante laboriosità; lo zelo ardente per la formazione e la salvezza delle giovani secondo le direttive del "metodo preventivo", hanno fatto in modo che in cento e più anni di vita le attività si siano moltiplicate con gli oratori, le scuole di vari ordini e gradi, le opere assistenziali e sociali, gli asili infantili, la cura degli anziani, l'apostolato nelle parrocchie, l'assistenza ai sacerdoti, in cinque continenti, in decine e decine di nazioni, in tutte le lingue, secondo un programma altamente umanitario e profondamente cristiano.


4. In questa atmosfera visse e si perfeziono la giovane Laura Vicuna, "fiore eucaristico di Junin de Los Andes, la cui vita fu un poema di purezza, di sacrificio, di amore filiale", come si legge sulla sua tomba. Orfana di padre, militare di grande bontà e valore, esule da Santiago del Cile a Temuco, venne ad abitare con la madre e la sorella nel villaggio di Quilquihué, nel territorio argentino di Neuquén. L'ambiente purtroppo - a detta degli storici - era moralmente inquinato; la stragrande maggioranza delle unioni coniugali era irregolare, anche perché, mescolati agli indigeni, vivevano avventurieri, evasi e fuoriusciti. La stessa madre della piccola Laura, entrata a servizio di un "estanciero", era commiserata sia per la sua infelice convivenza sia per la ferocia dell'uomo a cui si era legata. La piccola Laura trovo ben presto un rifugio spirituale presso le Suore Salesiane, nel piccolo collegio femminile di Junin de Los Andes. Qui ella si preparo alla prima Comunione ed alla Cresima; e qui si accese di ardore per Gesù, tanto da decidere di consacrare a lui la sua vita nell'Istituto di don Bosco, tra quelle suore che tanto l'amavano e l'aiutavano. All'età di dieci anni, ad imitazione di Domenico Savio, di cui aveva sentito parlare, volle formulare tre propositi: "1) Mio Dio, voglio amarvi e servirvi per tutta la vita; perciò vi dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere; 2) Voglio morire piuttosto che offendervi con il peccato; perciò intendo mortificarmi in tutto ciò che mi allontanerebbe da voi! 3) Propongo di fare quanto so e posso perché voi siate conosciuto e amato, e per riparare le offese che ricevete ogni giorno dagli uomini, specialmente dalle persone della mia famiglia".

Nella sua giovane età Laura Vicuna aveva perfettamente compreso che il senso della vita sta nel conoscere ed amare Cristo: "Non amate né il mondo n le cose del mondo!" - scriveva san Giovanni evangelista - "Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui, perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. Ed il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno" (1Jn 2,15-17).

Laura aveva appunto compreso che ciò che conta è la vita eterna e che tutto ciò che è nel mondo e del mondo passa inesorabilmente. Seguendo poi le spiegazioni del catechismo, comprese la pericolosa situazione in cui si trovava sua madre e, sentendo un giorno dal Vangelo che il vero amore giunge a dare la vita per la persona che si ama, offri la sua vita al Signore per la salvezza della mamma.

Divenuta poi quella casa un pericolo anche per lei, al fine di difendere la sua innocenza aveva ottenuto dal confessore il permesso di portare un cilicio.

Un brutto giorno venne aggredita e malmenata da quell'uomo; il quale, accecato dalla passione, la percosse violentemente e la lascio tramortita di spavento. Ma aveva vinto lei, la giovane Laura. Questa pero ormai, consumata da varie malattie, andava velocemente declinando, confortata dall'Eucaristia e dalla speranza della conversione della mamma. Nell'ultimo giorno della sua vita, poche ore prima di morire, chiamo vicino a sé la mamma e le rivelo il grande segreto: "Si mamma, sto morendo... Io stessa l'ho chiesto a Gesù e sono stata esaudita. Sono quasi due anni che gli offrii la mia vita per la tua salvezza, per la grazia del tuo ritorno. Mamma, prima di morire non avro la gioia di vederti pentita?".

A questa rivelazione, serena e confidente, l'animo della madre diede un sussulto: mai avrebbe potuto immaginare tanto amore in quella sua figlia! E spaventata nel conoscere la sofferenza che aveva accettato per lei, promise di convertirsi e di confessarsi. Ciò che fece prontamente e sinceramente. La missione della giovane Laura era ormai compiuta! Ora poteva entrare nella felicità del suo Signore! 5. La soave figura della beata Laura, gloria purissima dell'Argentina e del Cile, susciti un rinnovato impegno spirituale in quelle due nobili nazioni, e a tutti insegni che, con l'aiuto della grazia, si può trionfare sul male; e che l'ideale di innocenza e di amore, seppur denigrato e offeso, non potrà in fine non risplendere ed illuminare i cuori.


6. Il rito della "beatificazione", che con tanta gioia e solennità stiamo celebrando in questo luogo in cui ha origine una storia di santità, - luogo giustamente denominato "la collina delle beatitudini giovanili" - ci deve anche far riflettere sulla importanza della famiglia nella educazione dei figli e sul diritto che questi hanno di vivere in una famiglia normale, che sia luogo di amore reciproco e di formazione umana e cristiana. Esso è un richiamo per la stessa società moderna perché sia sempre più riguardosa dell'istituto familiare e dell'educazione dei giovani. La beata Laura Vicuna illumini tutti voi, giovani, ed ispiri e sostenga sempre voi, Figlie di Maria Ausiliatrice, che siete state le sue educatrici!.


7. "Gesù esulto nello Spirito Santo".

Oggi la Chiesa di Cristo - e particolarmente la Famiglia Salesiana - partecipa a questa letizia.

Esultiamo per la elevazione alla gloria degli altari di una figlia spirituale di san Giovanni Bosco, educata nella Congregazione femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Esultiamo in modo particolare con la gioia della vostra madre, santa Maria Domenica Mazzarello. Esultiamo con la vostra gioia, care sorelle! Ecco, "il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno" (1Jn 2,17).

La nuova beata Laura Vicuna ha imparato nella Famiglia Salesiana a fare la volontà di Dio. L'ha imparata da Cristo, mediante questa comunità religiosa, che le ha mostrato la via alla santità.

"Chi ama... dimora nella luce" (1Jn 2,10).

[Al termine della celebrazione eucaristica, dopo aver impartito la benedizione apostolica, il Santo Padre si congeda dai presenti con queste parole di ringraziamento e di saluto:] Carissimi.

Ancora una parola di ringraziamento. Oggi la Chiesa è pellegrina in questo luogo della nascita di don Bosco, della sua nascita terrena, naturale, umana, e della sua nascita soprannaturale nel sacramento del Battesimo. E' una peregrinazione di fede, una peregrinazione che ci commuove tutti, una peregrinazione in cui vogliamo offrire alla Santissima Trinità la gratitudine per questo dono che ha suscitato nella sua Chiesa, per questo dono il cui nome è don Bosco. Pellegrina è soprattutto la larga famiglia salesiana, maschile e femminile, da tanti Paesi e da tutti i continenti del mondo. Pellegrina insieme con la famiglia salesiana è tutta la Chiesa: vengo io per dire grazie alla divina Provvidenza per questo dono che ci ha fatto cento anni fa, per tutta la Chiesa, per il bene dei giovani, per il bene della comunità cattolica, cristiana, umana, non solamente qui, in Piemonte, in Italia, ma in tanti Paesi, in tanti ambienti, in tutti i continenti. Porto qui anche un ringraziamento personale perché anche io sono vissuto durante cinque anni, o sei, in una parrocchia affidata ai salesiani.

E quando mi trovo qui su questo "Colle delle beatitudini", Colle don Bosco, quando mi trovo qui a guardare il frontone di questa chiesa, non posso non ricordare il frontone di un'altra chiesa che assomiglia un poco a questa, anche architettonicamente: la parrocchia di san Stanislao Costka a Cracovia. Là mi ha toccato attraverso i suoi figli spirituali, i salesiani, il carisma di don Bosco.

Così vengo qui in pellegrinaggio con tutti voi per ringraziare per la parte che ha avuto san Giovanni Bosco, la sua famiglia spirituale, il suo carisma, nella mia vita. Voglio ringraziare insieme con tutti i presenti, con i piemontesi, con i cileni, con gli argentini, con l'America Latina, con tanti Paesi del mondo qui rappresentati nelle diverse lingue, con tutti i continenti. Voglio ringraziare oggi, in questo luogo, dove è nato, vicino a questa casa dove è nato, dove ha avuto sua madre Margherita, dove ha vissuto, dove si è avvicinato alla sua vocazione, soprattutto dove è stato battezzato. Si deve ringraziare il Signore, così lui stesso che è Padre, Figlio, Spirito Santo, scrive il suo imperscrutabile mistero nei cuori di questi piccoli di cui ha parlato oggi il Vangelo, di questi piccoli come don Bosco, come madre Maria Mazzarello, come Domenico Savio, come Laura Vicuna. Noi qui riuniti ringraziamo la imperscrutabile Trinità, ringraziamo la sua misteriosa economia di salvezza che passa attraverso i cuori e porta alla santità. Ringraziamo e non possiamo mai trovare parole sufficienti per rendere grazie a Dio Padre e Figlio e Spirito Santo per tutti questi voti. Sia lodato Gesù Cristo.


Data: 1988-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1988




Ai seminaristi e ai giovani religiosi nel Duomo di Chieri (Torino)

Titolo: Non occorre dimenticare il Vangelo per essere giovani né spegnere la giovinezza per essere cristiani

Testo:

Carissimi giovani.


1. Sono venuto a questo incontro pieno di gioia, e vi sono grato per il dono della vostra presenza.

La mia letizia è grande, perché saluto in voi coloro che, con coraggio e prontezza, hanno risposto "si" ad una speciale chiamata del Signore e si preparano a costruire su tale risposta tutta la loro vita.

A voi giovani religiose, religiosi, seminaristi, membri di istituti secolari e di società di vita apostolica, voglio portare una parola di incoraggiamento a nome di Cristo, che vi ha chiamati a fare del suo Vangelo il cuore della vostra vita.

In questo impegno di preparazione al vostro futuro, il giovane Giovanni Bosco, che nel secolo scorso camminava per queste strade e viveva sotto questo cielo, vi sarà certamente di ispirazione.

Egli trascorse in questa città ben dieci anni della sua vita (1831-1841), di cui i sei più decisivi furono senza dubbio quelli passati nel seminario di Chieri (1835-1841).

Negli "anni di Chieri" egli getto le fondamenta della sua missione.

Anche lui, come voi, senti l'urgenza di un impegno apostolico immediato, che lo spingeva a scendere subito in campo, a fianco dei giovani più poveri ed abbandonati. Ma egli comprese anche che nessuna missione, tanto meno quella che gli era destinata, può essere intrapresa senza una preparazione spirituale e culturale; né può essere continuata senza la robustezza interiore che viene dal cammino ascetico e dalla frequentazione di relazioni comunitarie costruttive; né portata a compimento senza l'interiore vigore che viene dalla preghiera e dai sacramenti.

Rileggendo le memorie autobiografiche di don Bosco (scritte per ordine di Pio IX, mio venerato predecessore) e le testimonianze dei contemporanei, non è difficile cogliere alcune linee di formazione e di crescita, che contribuirono decisamente a forgiare la santità di don Bosco e che possono illuminare anche il cammino della vostra vocazione.


2. Il Signore aiuto san Giovanni Bosco a formarsi "un cuore grande come le spiagge del mare", ad attingere nell'Eucaristia e nella Penitenza quelle interiori energie di carità, che non indeboliscono le risorse dell'uomo, ma le potenziano, le moltiplicano, le trasformano e le diffondono.

"I superiori mi amavano - scrive don Bosco - ...i compagni mi erano affezionatissimi. Si può dire che io vivevo per loro, essi vivevano per me".

Sul suo esempio, voi giovani, che vi avviate a rendere un servizio ecclesiale in una speciale consacrazione, siete chiamati a porgere ascolto a quella profonda inclinazione della vostra giovinezza, che vi spinge ad amare e a servire; a costruire amicizie durature e feconde; a prendervi cura amorosa del sofferente che vive accanto a voi; a dedicare una attenzione privilegiata ai vostri coetanei, facendovi, come san Giovanni Bosco, loro evangelizzatori.

In questo itinerario di apertura ed educazione del cuore san Giovanni Bosco trovo in Maria un impareggiabile aiuto e modello.

A lei fin dai primi anni di vita, era stato affidato dalla sua madre terrena; nel colloquio con lei era cresciuto, accogliendo le tradizioni di preghiera della sua famiglia; insieme a lei, con un indissolubile rapporto filiale, Giovanni Bosco cammino sempre con decisione.

Il giorno della vestizione traccio un itinerario di vita, al quale si impegno con alcune promesse. "Sono andato - scriveva - davanti ad una immagine della beata Vergine, le ho lette e dopo una preghiera ho fatto formale promessa a quella Celeste Benefattrice di osservarle a costo di qualunque sacrificio".

E poco dopo, "ai piedi dell'altare di Maria", egli si impegno con voto di castità, a mettere tutta la forza del suo amore al servizio di Cristo.


3. Proprio negli "anni di Chieri", il Signore condusse Giovanni Bosco a farsi progressivamente una "nuova mentalità", anche in ordine alla formazione spirituale e culturale.

"Intorno agli studi - confessava don Bosco - fui dominato da un errore.

Abituato alla lettura dei classici... non trovavo gusto per le cose ascetiche". Ma nella scoperta del libro delle Imitazioni di Cristo egli ottenne il dono del gusto per le cose spirituali.

Si resta inoltre stupiti, studiando la personalità dello studente Giovanni Bosco, nel vedere quanto vivo fosse in lui il desiderio di mettersi in contatto con la Sacra Scrittura, i padri della Chiesa, i maestri di spiritualità, la Storia del Cristianesimo. Ciò gli permise, negli "anni di Chieri" di fare quella sintesi teologica e spirituale fra cultura e messaggio evangelico, che è caratteristica della sua fisionomia spirituale e che sembra una delle primarie esigenze di questo nostro tempo, nel quale la "rottura fra Vangelo e cultura" (Pauli VI EN 20) sembra una delle malattie più pericolose.

Carissimi giovani, è troppo prezioso cotesto vostro tempo per non impegnarlo tutto nella ricerca e nel servizio della verità. Le vostre qualità intellettuali in vigorosa crescita, la prontezza e generosità degli affetti, la dilatazione della vostra attenzione ai problemi del mondo intero, la disponibilità interiore a spendervi interamente per una grande causa esigono un nutrimento adeguato, una cultura umana e cristiana capace di reggere la sfida del nostro tempo, ricco di ardimenti e di speranze, ma anche turbato da tremendi problemi.


4. Nel seminario di Chieri, san Giovanni Bosco si preparo pazientemente ad essere un "comunicatore evangelico". Il giorno della sua prima Messa - confessava il santo - chiese "ardentemente l'efficacia della parola per poter fare del bene alle anime" e, ormai nel pieno dell'età, aggiunse: "Mi pare che il Signore abbia ascoltato la mia umile preghiera".

Don Giovanni Bosco fu infatti un efficace comunicatore, avendo saputo mettere a punto negli "anni di Chieri" quelle abilità che gli saranno poi utilissime: la capacità di usare una pluralità di mezzi di comunicazione, e quella di coinvolgere tutta la persona dell'interlocutore: intelligenza e volontà, cuore e immaginazione.

A Chieri, soprattutto, egli diede fondamento a quel determinante requisito che è la credibilità del comunicatore fatta di personale coerenza; di capacità di ascoltare; di accogliere e di far felici gli altri.

Davvero notevole fu la sua attitudine a comunicare la "lieta novella" costruendo ambienti, atteggiamenti, esperienze comunitarie che donavano serenità e letizia. Negli "anni di Chieri", san Giovanni Bosco sviluppo inoltre quella maturità di relazioni che divenne sorgente feconda del suo Oratorio e cuore di quella esperienza educativa, che più tardi chiamerà "sistema preventivo".

Egli intui che il Vangelo può essere annunciato soltanto da un evangelizzatore che ami e abbia imparato a vestire l'amore di segni immediatamente leggibili e percepibili. Tali sono - suggerisce don Bosco - la capacità di dare continuamente fiducia, la prontezza ad entrare in dialogo con tutti, l'arte dell'incontro che genera confidenze.


5. Come san Giovanni Bosco, anche voi giovani, che realizzate la vostra consacrazione battesimale in un impegno più pieno con Cristo, siete chiamati per una speciale vocazione a cogliere nel legame che vi unisce ai vostri coetanei, "un invito vocazionale" e a mettervi al loro servizio. Dite loro, come seppe dire don Bosco, che la fede risponde a molti degli immensi interrogativi della giovinezza e che non occorre davvero dimenticare il Vangelo per essere giovani, né spegnere la giovinezza per essere cristiani.

Dite loro che la fede e la felicità non entrano in concorrenza, ma sono i nomi diversi dati ad una medesima meta. Poiché la fede è rivelata all'uomo per la sua felicità! Ed una felicità cercata lontano dalla parola evangelica non sarà in grado di mantenere le sue promesse.

Dite loro che la fede è al servizio della vita, a cui dà un senso nelle sue varie espressioni di amore, dolore, lavoro, studio, impegno familiare e sociale, ricerca della pace e della solidarietà tra i popoli.

Siate felici della vostra vocazione e del vostro speciale servizio a Cristo e ai fratelli. Nutritevi delle ricchezze ecclesiali messe a vostra disposizione dal Magistero della Chiesa, restate in profonda unione con i Vescovi ed il successore di Pietro. Sull'esempio di don Bosco, lavorate ogni giorno per costruire il regno di Cristo, in voi e nei fratelli.

Queste sono le mie osservazioni legate alla figura e alla storia personale di don Bosco, e questi sono i miei auguri a voi giovani qui presenti.

Auguri condivisi dai Vescovi qui presenti, dal vostro Cardinale, dai superiori religiosi, da don Vigano, Rettore maggiore dei Salesiani. Vogliamo offrirvi una benedizione tutti insieme pregando per la vostra vocazione e per la vostra formazione di seminaristi e novizie, di tutti i presenti e di tutti i vostri coetanei. Preghiamo anche per la vocazione degli altri: che possano trovare la stessa strada, che possano rispondere alla stessa grazia come sapeva rispondere Giovanni Bosco e come avete potuto rispondere anche voi. Preghiamo cantando "Regina Coeli" per poi offrirvi la nostra benedizione.


Data: 1988-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1988




All'università con il mondo della cultura - Torino

Titolo: La società chiede oggi all'università non soltanto specialisti ma soprattutto costruttori di umanità, servitori della comunità

Testo:

Signor Rettore Magnifico, illustri presidi di Facoltà e docenti tutti, carissimi studenti e collaboratori!


1. Sono lieto e grato della presente opportunità di poter incontrare il Corpo Accademico, gli studenti e il personale ausiliario dell'Università di Stato di Torino, che, radicata in una grande tradizione storica - insieme al Politecnico, giustamente apprezzato per i fecondi risultati scientifici raggiunti - si presenta con meritato prestigio sulla scena della comunità scientifica italiana e mondiale.

Saluto e ringrazio il Rettore Magnifico dell'Università, professore Mario Umberto Dianzani, per il nobile indirizzo di saluto, nel quale ho ravvisato non solo l'espressione di sincera deferenza per la mia persona, ma anche la testimonianza di un impegno di ricerca della verità, nel rispetto della coscienza di ciascuno, e l'alto senso di responsabilità che anima autorità accademiche e docenti nel quotidiano compito educativo.

Saluto anche gli studenti, che, per mezzo del loro rappresentante, hanno manifestato i problemi che li assillano, unitamente alle aspirazioni e allo sforzo di autosuperamento, tipico della giovinezza libera e aperta all'infinito. I giovani sono i primi destinatari della istituzione universitaria, che, fin dalle sue origini, li ha collocati al centro dell'interesse e della sua fervida attività. A loro il mio particolare, affettuoso saluto, con la gioia che sempre mi procura incontrarmi con loro e condividerne i problemi, le ansie, le aspirazioni.


2. L'università è stata concepita come una particolare "comunità", fin dagli inizi dell'istituzione, nel medioevo. Comunità di professori-scienziati e di studenti: le due componenti erano allora strettamente unite tra di loro, talché l'università/comunità, come corpo composto di parti intimamente solidali, conosceva un regime di mutua partecipazione e di autogoverno, in cui i docenti si sentivano responsabili della formazione degli studenti, e questi, impegnati così in esigenze accademiche severe, erano direttamente coinvolti nella vita dell'università.

Tale è stato sin dal principio il carattere dell'istituzione - e oggi si tratta della stessa cosa: infatti nell'attuale fase di grande sensibilità alla convivenza sociale e alle sue possibilità di comunione, si mira a ritrovare il dinamismo interno della comunità universitaria. L'università deve perciò qualificarsi anche al nostro tempo come comunità di persone, che unisce i responsabili accademici, i docenti dei vari gradi, gli studenti, gli amministratori, i funzionari e tutti coloro che partecipano direttamente alla vita dell'università, al fine di evitare che l'università stessa sia ridotta ad una azienda che trascura i rapporti con la sua utenza. Al contrario, tutti i membri della comunità universitaria si sforzeranno, in spirito di partecipazione e di corresponsabilità, di rendere l'istituzione più unita, creatrice e veramente preoccupata del bene comune.

Tutto questo si riferisce pure all'Università di Torino. Essa è nata nel 1404 con l'istituzione di uno Studio generale "per l'insegnamento della Teologia, del Diritto Canonico e Civile e di ogni altra lecita Facoltà" (cfr. "Documento istitutivo" del 27 novembre 1404, in T. Vallauri, "Storia delle Università degli Studi del Piemonte", Torino 1845, I, pp. 239-241; vedi anche "Feriis saecularibus R. Athenaei Taurinensis", 1906, p. 12; E. Bellone, "Il primo secolo di vita dell'Università di Torino - sec. XV-XVI", Torino, Centro di Studi Piemontesi, 1986), e fu sempre intimamente legata alla storia della città e della regione, sottolineando così un rapporto fecondo tra l'antico Ateneo che promuove e sviluppa i vari campi del sapere umano e la vita degli uomini, nella trama degli eventi storici, politici e culturali, e nello sforzo di integrazione mai interrotto tra Chiesa e società, per il bene dell'uomo e per la sua crescita culturale, morale, spirituale e civile.


3. I compiti a cui l'università è chiamata a rispondere, oggi, come nel passato, nel campo della scienza e dell'insegnamento, riguardano la difficile sintesi tra l'universalità del sapere e la necessità della specializzazione. Come ha osservato il Concilio Vaticano II, "Oggi vi è più difficoltà di un tempo nel ridurre a sintesi le varie discipline del sapere e le arti. Mentre infatti aumenta il volume e la diversità degli elementi che costituiscono la cultura, diminuisce nello stesso tempo la capacità per i singoli uomini di percepirli e di armonizzarli organicamente, cosicché l'immagine dell'uomo universale diviene sempre più evanescente" (GS 61).

Ora, è proprio caratteristica dell'università, che è per antonomasia "universitas studiorum" a differenza di altri centri di studio e di ricerca, coltivare una conoscenza universale, nel senso che in essa ogni scienza dev'essere coltivata in spirito di universalità, cioè con la consapevolezza che ognuna, seppure diversa, è così legata alle altre che non è possibile insegnarla al di fuori del contesto, almeno intenzionale, di tutte le altre. Chiudersi è condannarsi, prima o dopo, alla sterilità, è rischiare di scambiare per norma della verità totale un metodo affinato per analizzare e cogliere una sezione particolare della realtà (cfr. "Allocutio Bononiae habita ad docentes et athenaei alumnos", 3, die 18 apr. 1982: , V, 1 [1982] 1227). Si esige quindi che l'università diventi un luogo di incontro e di confronto spirituale in umiltà e coraggio, dove uomini che amano la conoscenza imparino a rispettarsi, a consultarsi, a comunicare, in un intreccio di sapere aperto e complementare, al fine di portare lo studente verso l'unità dello scibile, cioè verso la verità ricercata e tutelata al di sopra di ogni manipolazione.

In questa luce, trova risposta anche il problema della autonomia delle istituzioni universitarie, cioè della libertà della ricerca, e quello dei limiti della scienza nel rispetto della vocazione dell'uomo. A questo proposito mi sembra doveroso riaffermare che "la libertà è da sempre condizione essenziale per lo sviluppo di una scienza che conservi la sua intima dignità di ricerca del vero e non venga ridotta a pura funzione, asservita a strumento di un'ideologia, al soddisfacimento esclusivo di fini immediati, ai bisogni sociali materiali o di interessi economici, di visuali del sapere umano unicamente ispirate a criteri unilaterali o parziali, propri di interpretazioni tendenziose, e, per ciò stesso, incomplete della realtà" ("Allocutio Bononiae habita ad docentes et athenaei alumnos", 3, die 18 apr. 1982: , V, 1 [1982] 1227).


4. Occorre al tempo stesso focalizzare un campo di azione non meno importante e cruciale: l'istituzione universitaria deve servire all'educazione dell'uomo. A nulla varrebbe la presenza di mezzi e strumenti culturali anche i più prestigiosi, se non si accompagnassero alla chiara visione dell'obiettivo essenziale e teleologico di una università: la formazione globale della persona umana, vista nella sua dignità costitutiva e originaria, come nel suo fine. La società chiede all'università non soltanto specialisti, ferrati nei loro specifici campi del sapere, della cultura, della scienza e della tecnica, ma soprattutto costruttori di umanità, servitori della comunità dei fratelli, promotori della giustizia perché orientati alla verità. In una parola, oggi, come sempre, sono necessarie persone di cultura e di scienza, che sappiano porre i valori della coscienza al di sopra di ogni altro, e coltivare la supremazia dell'essere sull'apparire. La causa dell'uomo sarà servita se la scienza si allea alla coscienza. L'uomo di scienza aiuterà veramente l'umanità se conserverà "il senso della trascendenza dell'uomo sul mondo e di Dio sull'uomo" ("Allocutio ad Pontificiam Academiam Scientiarum", 4, 10 nove. 1979: , II, 2 [1979] 1109).

In questa sostanziale missione i doveri dell'ateneo si incontrano con quelli della Chiesa. Per questo, la promozione della cultura, non disgiunta dalla vita, è sempre stata un momento importante dell'azione della Chiesa. Nel corso dei secoli essa ha fondato scuole di ogni ordine e grado; e, insieme con l'invio dei suoi missionari, ha dato origine anche a prestigiose università, tra cui questa vostra.

Chiesa e università non devono perciò essere estranee, ma vicine e alleate. Tutte e due si consacrano, ciascuna alla propria maniera e con il proprio metodo, alla ricerca della verità, al progresso dello spirito, ai valori universali, allo sviluppo integrale dell'uomo. Un'accresciuta, reciproca comprensione tra loro non potrà che giovare al raggiungimento di queste nobili finalità che le accomunano.

Questa necessaria sinergia tra università e Chiesa trova la sua espressione - antica e contemporanea - anche qui a Torino. Sono informato, infatti, che la comunità ecclesiale diocesana, è coinvolta in prima persona in questi problemi, tanto più che il 72 per cento degli iscritti all'Università e al Politecnico sono di provenienza torinese.

Inoltre, le varie componenti diocesane svolgono una presenza attiva di solidarietà, di iniziative pastorali e di assistenza tecnica per le molteplici necessità degli studenti; ai docenti compete il grave impegno di animare, con la loro convinzione fattiva, il loro lavoro intellettuale e didattico e di testimoniare la possibilità di una feconda sintesi tra fede e cultura, al di là di ogni tentativo di strumentalizzazione ideologica.

Nella vostra Università potete contare su illustri e luminosi esempi: mi piace espressamente citare il servo di Dio Francesco Faà di Bruno, professore di Analisi Superiore e Astronomia, e apostolo tra i giovani; e l'allievo del Politecnico Pier Giorgio Frassati; né posso dimenticare che il compianto Cardinale Michele Pellegrino, prima di essere nominato Arcivescovo di Torino, fu ordinario di Letteratura Cristiana antica in questa Università.

Esprimo l'auspicio che questa Chiesa locale, continui ad offrire la sua sincera collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene comune.


5. La mia presenza a Torino è collegata, questa volta, con le celebrazioni del centenario della morte di san Giovanni Bosco, come ha amabilmente rilevato il Rettore Magnifico.

E vero che questo santo, di cui la vostra città va giustamente fiera, non ebbe particolari rapporti con l'Università. Egli tuttavia, nonostante la sua incredibilmente vasta attività, seppe coltivare in se stesso una solida preparazione culturale, unita a felici doti di esposizione letteraria, che gli permise di compiere un notevole apostolato. Egli senti fortissimo l'impulso di elaborare una cultura che non fosse privilegio di pochi, o una astrazione dalla realtà sociale in evoluzione. Per questo fu promotore di una solida cultura popolare, formatrice di coscienze civili e professionali di cittadini impegnati nella società.

Ma soprattutto la figura di don Bosco può essere guardata con simpatia e fiducia anche dal mondo universitario, perché la sua vita e la sua azione furono dedicate completamente all'educazione della gioventù. Il santo riassume infatti il suo programma educativo nel celebre trinomio: "Ragione, religione, amorevolezza".

Come è scritto nella lettera "Iuvenum Patris", "il termine ragione sottolinea, secondo l'autentica visione dell'umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell'uomo nella sua vita familiare, civile e politica... La ragione invita i giovani ad un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Don Bosco la definisce anche "ragionevolezza" per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità.

Tutto questo, certo, suppone oggi la visione di un'antropologia aggiornata e integrale, libera da riduzionismi ideologici. L'educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche" ("Iuvenum Patris", 10).

Don Bosco ha inoltre manifestato uno straordinario interesse al mondo del lavoro. Egli ha avuto la lungimirante preoccupazione di dotare le giovani generazioni di una competenza professionale e tecnica adeguata, soprattutto in una città come Torino ed in una regione come il Piemonte, che, mediante avanzati centri di produzione industriale, hanno diffuso su scala mondiale le creazioni e i ritrovati scientifici del genio italiano. Notevole poi la sua preoccupazione di favorire una sempre più incisiva educazione alla responsabilità sociale, sulla base di una accresciuta dignità personale, a cui la fede cristiana non solo dona legittimità, ma conferisce anche energie di incalcolabile portata (cfr. "Iuvenum Patris", 18).

In questa linea l'università, in quanto centro dell'unificazione del sapere, luogo istituzionale della elaborazione delle conoscenze, umanistiche e scientifiche, mediante il costante esercizio della ragione, ha un compito primario e inalienabile. Se lo sviluppo ha una necessaria dimensione economica, non si deve esaurire tuttavia in tale dimensione, per non ritorcersi contro quegli stessi che si vorrebbero favorire. Le caratteristiche di uno sviluppo pieno, "più umano", che - senza negare le esigenze economiche - sia in grado di mantenersi all'altezza dell'autentica vocazione dell'uomo e della donna, sono state esposte nella recente enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" (SRS 28-30).

L'impresa presuppone il rispetto dei valori più profondi dell'uomo. Uno sviluppo, non soltanto economico, si misura e si orienta secondo questa realtà e vocazione dell'uomo, visto nella sua globalità, ossia secondo un suo parametro interiore. Egli ha senza dubbio bisogno dei beni creati e dei prodotti dell'industria, arricchita di continuo dal progresso scientifico e tecnologico. Ma per conseguire il vero sviluppo è necessario non perdere di vista detto parametro, che è nella natura specifica dell'uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr. SRS 29).


6. Il genio educativo di san Giovanni Bosco si è manifestato in sommo grado nell'amore verso i giovani. Per poter educare, bisogna amare.

Il terzo punto del ricordato trinomio parla infatti di amorevolezza. "Si tratta di un atteggiamento quotidiano - ricorda ancora la "Iuvenum Patris" - che non è semplice amore umano né sola carità soprannaturale. Esso esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, sani criteri e comportamenti adeguati.

L'amorevolezza si traduce nell'impegno dell'educatore quale persona totalmente dedita al bene degli educandi, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell'adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda e capacità di dialogo...

Il vero educatore, dunque, partecipa alla vita dei giovani, si interessa ai loro problemi, cerca di rendersi conto di come essi vedono le cose,... è pronto a intervenire per chiarire problemi, per indicare criteri, per correggere con prudenza e amorevole fermezza valutazioni e comportamenti biasimevoli. In questo clima di "presenza pedagogica" l'educatore non è considerato un "superiore", ma un "padre, fratello e amico"" ("Iuvenum Patris", 12).

Tutto questo, pur considerando la specificità dei diversi ambienti e finalità, è importante anche nell'educazione universitaria: se l'università vuole istruire ed educare, devono in essa operare le energie dell'amore. così com'è stato nella vita, nella missione, nei metodi di don Bosco.

Auguro pertanto, e di tutto cuore, che questo illustre Ateneo, come gli altri istituti superiori torinesi di specializzazione, siano sempre comunità attente a questi supremi valori, aperte a questi orizzonti. Certamente, perché l'intelligenza abbia la sua valorizzazione, e il cuore sia mosso dalla carità, è necessario l'aiuto del Logos, perché, a dire con sant'Agostino, egli è la luce: "ipse (Filius) est menti nostrae lumen" (Quaest. Evang. I, 1; PL 35, 1323); egli è l'amore: "amavit nos, ut redamaremus eum" (Enarr. in Ps 127,8 CCL Ps 40,80).

Per quanti hanno accolto questa luce e questo amore, la loro attività di studio, d'insegnamento e di formazione è certamente sorretta da tali verità; ma penso che tutti, a qualsiasi estrazione ideologica appartengano, possano ritrovarsi uniti e concordi su questa comune piattaforma di servizio, intelligente e generoso, agli uomini del domani.

A tale fine, con senso di grandissima stima, su tutti invoco la continua assistenza del Verbo di Dio, di cui vuole essere pegno la mia speciale benedizione.


Data: 1988-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Santa Messa per la beatificazione di Laura Vicuna - Colle Don Bosco (Torino)