GPII 1988 Insegnamenti - Incontro con i giovani nello stadio comunale - Torino

Incontro con i giovani nello stadio comunale - Torino

Titolo: "Siete indispensabili per quello che potrete fare attraverso la fede nel Dio della pace che si fa cultura e impegno di pace"

Testo:

Carissimi giovani! Nella città che si onora di avere per santo don Bosco mi è caro di dirvi, come lui: "Basta che siate giovani perché io vi ami assai". In questo mio saluto vorrei esprimervi tutto il mio desiderio di intrattenermi con voi, colloquiando con voi, per comunicarci reciprocamente la verità e la gioia del Vangelo di Gesù Cristo; voi - come ha detto il vostro portavoce - con la forza penetrante delle vostre domande, specchio fedele della vostra condizione; ed io, proponendovi una traccia di risposta che vi aiuti a fortificare la vostra scelta cristiana.

Le domande che avete raccolto mi hanno colpito per l'ampiezza e centralità degli argomenti e per la sincerità, talvolta dolorosa, che le penetrano: domande di giovani uomini e donne, domande - particolarmente toccanti - di carcerati, domande di bambini. Anche se a tutte non posso rispondere, le conservo tutte come ricordo di questo incontro, ponendovi il sigillo del mio affetto e della mia preghiera.

Ho cercato di fare una scelta che fosse significativa, orientandola a quattro aspetti tipici del mondo dei giovani: la componente religiosa, il rapporto con la Chiesa, la dimensione etica, l'impegno sociale.


I.Giovani e scelta cristiana


1. così voi mi chiedete: "In una società in cui è grande la domanda di significato, ma è forte il pregiudizio nei confronti della risposta cristiana, come può la proposta di Cristo essere affascinante, persuasiva e pienamente aderente alla realtà quotidiana di ogni giovane?".

E così vi rispondo: Sono d'accordo con voi sulla diagnosi fatta. Da una parte si nota il pregiudizio nei confronti della scelta cristiana, nutrito di indifferenza talvolta orgogliosa ed autosufficiente nella gestione della propria vita; e dall'altra - su questo vorrei insistere - vi è tanta ricerca di verità in mezzo ai giovani di oggi. Lo constato nei miei viaggi e lo sento dire negli incontri diversi che ho a Roma con i Vescovi, che mi vengono a visitare: vi è tra i giovani domanda sul senso delle cose, domanda di progetto, domanda di valori. Anzi il discorso religioso è ritenuto plausibile da tantissimi di loro, e viene di fatto affrontato con coraggio, come una nuova frontiera dello spirito.

Vorrei lasciarvi come impegno di approfondire i tanti interrogativi che nei Vangeli ci sono intorno a Gesù, che lui stesso anzi suscita.

D'altra parte - e qui vorrei parlare con chiarezza cristallina di fronte a confusioni talvolta notevoli intorno al significato di essere discepoli di Cristo - le risorse di verità di Gesù stanno nel suo essere egli stesso la verità rivelata. Sicché la proposta di Cristo è veramente raggiunta quando viene accolta non tanto sull'onda della simpatia e del sentimento, o accontentandosi di una generica religiosità indistinta e statica, ma quando si riconoscono le caratteristiche di ogni incontro con Cristo: - come grazia, a cui aprirsi umilmente con l'atteggiamento del povero che chiede la luce che non può avere da solo; - come verità certa e che non muta sul mistero di Dio, dell'uomo, della vita, a cui indiscutibilmente affidarsi e restare saldi pur nel progressivo, non mai finito cammino di ricerca; - come invito a fare ciò che egli dice, cioè in profonda aderenza al suo modo di vivere la relazione con Dio, con gli altri, con la natura, col dolore, con le situazioni di male...

Il cristiano è tale se sa nutrire la sua vita di esperienze evangeliche specie con la preghiera e il servizio del prossimo, se sa rafforzarla con un approfondimento continuo delle verità che il Cristo ha rivelato e la Chiesa propone a credere, con una ricerca anche culturale in rapporto ai tanti problemi che oggi emergono dalle scienze e dal costume.

Voglio aggiungere che in questa dinamica non ci viene risparmiata la fatica di Gesù, né ci viene sottratta una condivisione alla sua profonda serenità ed apertura alla gioia di vivere. Dopo che Gesù ha calmato il mare in tempesta (cfr. Mc 4,35-41), non ci viene detto che ci saranno risparmiate le tempeste, ma che le attraverseremo con la sua compagnia.

La fede in Cristo non aliena dalla modernità, dalla creatività... Semmai con una saggezza che ha dalla sua parte anche la forza dei secoli aiuta a discernere, come diceva lui, il grano dalla erbaccia, i veri dai falsi profeti (cfr. Mt 13,18ss.; 7,15-20).


2. Ancora nell'area della scelta per Cristo, diverse sono le domande che vertono sia sul tema del progetto di vita o vocazione e sia sul come testimoniare il Vangelo presso i coetanei.

Così leggo due vostre domande che dicono: "Molti giovani temono di giocare la propria vita in scelte definitive quali il matrimonio, la vita consacrata, il sacerdozio. Perché secondo lei?".

Ed ancora: "Che cosa ha da dire il Papa a noi giovani che abitiamo in una regione fortemente lavorativa, che pero, nella ricerca esasperata del progresso rischia di travolgere ogni ideale nelle regole di una società consumistica?".

La risposta alle due domande deve andare insieme.

a) Il fatto che molti giovani abbiano paura di considerare la propria vita come progetto capace di scelte definitive si può imputare in termini generali al fiato corto di questa cultura propria dei Paesi benestanti. Vi è una sorta di paura a pensare, a sperare, ad agire in grande. L'esilio della concezione religiosa dell'esistenza, il rifiuto di un concreto rapportarsi a Dio, inizio senza fine e fine di ogni inizio, è come togliere all'uomo l'appoggio per il rischio della fede e della speranza, che soli danno possibilità e fascino di un progetto definitivo, cioè orientato ad un fine assoluto e positivo.

b) Al che si congiunge - e passo alla seconda domanda - la perdita dell'amore creativo, per un ripiegamento a soddisfazioni superficiali e riduttive: il consumismo appunto. La regione del Piemonte, culla di tanta parte del progresso italiano, ha certamente titoli esemplari nella stima comune. Rimane tuttavia il rischio da voi deplorato, tipico dei Paesi ricchi, di riportare la misura dell'uomo a quella della sua produzione. Come voi ben comprendete, carissimi giovani, non si tratta di rinunciare allo sviluppo, ma di darvi un'anima. Sicché ritengo che per voi un progetto personale di vita non può non integrarsi con uno sociale: un camminare insieme, nella memoria delle vostre grandi tradizioni cristiane anche socialmente avanzate e contemporaneamente un riflettere sulla qualità della vita di cui tanto progresso deve pervenire, in termini di giustizia e di solidarietà.

Ma all'uno e all'altro progetto, personale e sociale, una solida visione cristiana ha la grazia di ispirare e reggere i pur meritevoli, ma sempre deboli sforzi umani.

II. Giovani e Chiesa Una seconda area di domande investe il vostro rapporto con la Chiesa.

Sovente, in termini di sofferenza, ma anche di volontà di partecipazione con la generosità che vi distingue.

Rispondero allora ad altre vostre domande.


3. "Abbiamo costatato che esiste, non solo tra i giovani, la tendenza a dare esclusivo rilievo al rapporto personale con Dio, al di fuori della Chiesa come istituzione. Qual è il suo pensiero in proposito?".

Suppongo che il mio pensiero possiate intuirlo! Tuttavia lo voglio articolare, in modo breve ma indicativo per una vostra personale riflessione.

La mia risposta a questa domanda è un invito, cari giovani, a ritrovare nel Vangelo stesso, negli atti e nelle parole di Gesù la volontà di istituire la Chiesa "come sacramento", col triplice scopo di prolungare nel tempo e dappertutto quello che Gesù inizio a fare: annunciare la verità del Vangelo del regno; continuare i segni del regno come gesti di liberazione e di amore per l'uomo in nome di Dio; testimoniare con la vita dei propri membri le beatitudini del regno.

Chiaramente, col realismo che va riconosciuto a Gesù, poteva egli non dotare con il servizio dei pastori, un popolo che cresceva sempre di più, in un crogiolo immenso di culture, in un mondo seduttore? Si può dunque dire di riconoscere il volere di Cristo, quando si fa una scelta cristiana senza la scelta di appartenere alla Chiesa? Non sarà tempo, giovani, che, con atto di leale coraggio, riprendiate in mano i documenti del Concilio e studiate con serietà quanto là si dice sulla natura e i compiti della Chiesa? Certo, appartenere alla Chiesa significa condividerne la via crucis, le imperfezioni e soprattutto sentire la responsabilità non solo di chiedere alla Chiesa, ma di dare ad essa la grazia di rinnovarsi e crescere. E poi non bisogna dimenticare che la Chiesa è ogni battezzato: voi siete la Chiesa, voi fate la Chiesa, e quando voi parlate della Chiesa parlate di voi stessi.


4. Voi fate delle domande sul rapporto tra parrocchia, movimenti e associazioni.

Vi diro che polarizzare la vita di una comunità locale, o diocesana o nazionale su questa tensione significa impoverire il mistero della Chiesa o deformarlo. Già altre volte ebbi a dire che i carismi nella Chiesa sono diversi e molteplici, ma distribuiti tutti per l'utilità comune, secondo quanto dice Paolo ai Corinti nei capitoli 12-14. Solo la convergenza di mente, di cuore e di opere sulla figura armonica e ben compaginata del corpo di Cristo (cfr. Ep 4,11-16), sotto la guida dei pastori che lo Spirito Santo ha posto a reggere le diverse Chiese (cfr. Ac 20,28) garantisce che la nostra non è opera di uomini, ma opera di Dio.


5. Voi tra le vostre domande, - e qui ne inserisco una seconda - mi chiedete perché faccio i miei viaggi e cosa ne ricavo.

Una cosa certamente: vado a vedere la Chiesa, e pur in situazioni talvolta drammatiche, incontro la Chiesa dei santi, dei martiri, dei profeti, dei missionari, dei poveri. Quante cose vi potrei dire su questa Madre Chiesa! E' la consolazione tra le più alte che il Signore dona a me, suo servitore, nella sollecitudine del mio servizio petrino. Vi prego, giovani, informatevi sulla Chiesa come realtà cattolica e non riducetela a fatti talvolta deplorevoli, ma limitati, di cui venite a conoscenza. Potrei dire che questi fatti deplorevoli vengono presentati, pubblicizzati con grande disponibilità; al contrario troviamo meno disponibilità nel presentare il resto: cioè tutto quello che il Papa ricava dalle sue visite apostoliche.

III. Giovani e valori morali Era prevedibile che molte delle vostre domande riguardassero i valori morali, in rapporto alla libertà, all'amore, all'impegno. Ne ho scelta una di valenza universale, su cui ho riflettuto e di cui parlo volentieri con i giovani.


6. Uno di voi mi chiede: "Secondo lei, cosa significa per noi giovani, amare?".

a) Ho voluto confrontare questa domanda con altre, più articolate, dove ho trovato il vostro turbamento per l'"edonismo esasperato, la pornografia dilagante, la mentalità permissivistica" che portano fatalmente a "dimenticare valori più alti ed indispensabili...". Ebbene, sono d'accordo con voi: amare autenticamente, da cristiani, significa oggi tante volte andare contro corrente, essere uomini schietti che dicono male al male e bene al bene e con coraggio scelgono contro la maniera comune di far equivalere amore a sesso, validità a successo, autenticità al look o apparenza. Se volete raggiungere lo stile di amore del Cristo, preparatevi a saper anche soffrire come lui, in compagnia di lui.

b) E, d'altra parte, amare da cristiani non è solo difendersi.


7. Voi citate Maria Orsola, una ragazza della zona di Lanzo che confidava al suo parroco: "Sarei disposta a dare la vita perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio". E Dio a 16 anni la prese in parola. Ecco, in questa vostra compagna vi è più che una difesa: vi è la scelta di lasciarsi innamorare in termini assoluti facendo riferimento a Dio stesso, accettando di fare della propria vita un dono, non un possesso egoistico. Amare da cristiani è questo miracolo: fare perno su Dio attraverso la persona di Cristo e donarsi agli altri in atteggiamento di disponibilità, di accoglienza, di aiuto. Entro quest'area le vocazioni al matrimonio, come alla vita consacrata, saranno vocazioni all'amore. Amando sul serio, acquisterete l'intelligenza e la cultura dell'amore, la correttezza nel vedere le esigenze e la concretezza del donarsi.

Vi confesso con semplicità che provo vero turbamento per il futuro del mondo quando noto generazioni giovani incapaci di amare veramente o che riducono il loro donarsi allo scambio di gratificazioni tra eguali, incapaci di vedere nella sessualità una chiamata, un invito ad un amore più alto ed universale.

IV. Giovani e impegno sociale In questo campo ho notato il volume forse più alto delle domande.

Mi piace innanzi tutto dare atto delle tante forme di impegno sociale che Torino, sulla scia dei suoi santi, ha saputo inventare: per i lavoratori, gli emarginati, gli emigranti, il terzo mondo. E proprio perché vi impegnate avete altri interrogativi da porre per fare di più, non solo a raggio locale, ma anche nazionale e mondiale. Ed è nella pura logica del Vangelo che le domande sulla scelta di fede diventano domande sulla scelta di impegno nella vita.


8. "Lei pensa che pace, sviluppo e solidarietà nel mondo siano soltanto ideali irraggiungibili, o, invece, obiettivi concreti? E noi giovani che cosa possiamo fare?".

a) Ecco un grande interrogativo che onora chi l'ha fatto. Nella mia enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" ho preso in considerazione queste brucianti questioni. Si, io sono fermamente convinto che pace, sviluppo e solidarietà non sono solo miraggi fantastici, ma ideali da tradurre in obiettivi concreti, a cui avvicinarci sempre di più, col coraggio di passi talora piccoli, ma chiari ed avvertiti. Il mio convincimento poggia su due ragioni, che affido alla vostra riflessione: - Dio, al quale abbiamo la grazia di credere, attraverso la testimonianza storica di Gesù, ha dimostrato di essere il Dio della pace, della giustizia, della solidarietà mutua, il Dio dei poveri e degli oppressi. Vi prego di ricordare questo assoluto riferimento a Gesù Cristo, senza il cui aiuto veramente l'ideale si fa corsa quasi disperata.

- E, d'altra parte, mi convince la gente che nel segreto del cuore e nella libera espressione oggi afferma imperiosamente la nuova frontiera della pace e dei diritti umani.

Ecco, nel grido talvolta angosciato dell'uomo ed ancor più negli sforzi degli uomini e delle organizzazioni rette, io vedo la spinta misteriosa di Dio. E grazie a ciò oggi possiamo vedere spiragli promettenti e positivi.

b) Quanto al vostro ruolo di giovani, dico semplicemente questo: siete indispensabili, non per quello che potete con le vostre sole forze umane, ma per quello che potrete attraverso la fede nel Dio della pace che si fa cultura e impegno di pace. Ma potrete essere ciò che gli uomini si attendono da voi, se oggi già vi decidete ad agire. Viste le situazioni, intervenite. Il volontariato, fatto così meraviglioso del nostro tempo, è vivo tra voi. Solo abbiate la purezza delle motivazioni che vi rende trasparenti, il respiro della speranza che vi fa costanti, l'umiltà della carità che vi rende credibili.

Oso dire che un giovane della vostra età che non dia, in una forma o in un'altra, qualche tempo prolungato al servizio per gli altri non può dirsi cristiano, tali e tante sono le domande che nascono dai fratelli e sorelle che ci circondano.


9. Ed infatti voi stessi toccate subito con mano un problema che vi riguarda così da vicino.

In una domanda mi dite: "Nella nostra città si ritorna a parlare di razzismo nei confronti di immigrati, rifugiati, stranieri. Questa situazione quale sfida lancia ai giovani?". Nella logica delle cose dette sopra voi intuite la direzione della risposta. Voi a Torino vivete certe situazioni sociali legate al tempo passato dei processi industriali. E' doveroso riconoscere quanti lavoratori di altre regioni italiane hanno contribuito al vostro sviluppo. Certamente hanno ricevuto in termini di sicurezza economico-sociale, ma rimane sempre davanti a noi quell'altro compito di ordine morale che è quello di integrare spiritualmente e culturalmente coloro che sono differenti nella comunità, tanto più se condividono la stessa fede cristiana. Voi ben conoscete come lo stesso problema della droga sia legato spesso a sradicamento spirituale ed affettivo. Non è compito semplice, perché in questo campo gli interventi non sono materiali soltanto, ma nell'ordine dello spirito: dialogo paziente, convivenza, pronto intervento. Del resto tanta storia di Torino non è storia di ospitalità di rifugiati, di stranieri? A voi, giovani, che per certi aspetti siete più esenti da pregiudizi e da steccati, il compito di ricostruire fraternità e riconciliazione, soprattutto tra i vostri coetanei, mediante l'istituzione provvidenziale degli oratori, delle associazioni e di altre forme di presenza a cui siete abilitati.

Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Benedetto Cottolengo, Leonardo Murialdo, li avete davanti a voi come modelli di coloro che hanno saputo amare concretamente la vostra città. A questi santi io vi affido. La loro diversità di tempo e di cultura non vi facciano perdere di vista la loro modernità di intelligenza e di cuore.

Vorrei concludere indirizzando l'ultima mia risposta, la più vicina al mio cuore, ed anche più sofferta, a chi non ha potuto essere qui tra di noi: i detenuti, le cui domande dal carcere mi hanno colpito. Mentre li saluto con affetto, assumo e trasmetto a voi quanto mi dicono: "Caro Padre, prendiamo a prestito il saluto francescano "Pace e Bene" e vorremmo che tutti i credenti siano più sensibilizzati ai problemi dei detenuti".

Qui si conclude il nostro dialogo. Vi è solo il dispiacere di non poter fare di più. Ma io considero sempre aperto il mio dialogo con voi: quando mi rivolgo ai giovani a Roma e nelle diverse parrocchie del mondo, è anche a voi che mi rivolgo, ascoltandovi e parlandovi tramite loro. Vi prego, restiamo in contatto! La santa Vergine Consolata ed Ausiliatrice, le grandi e geniali figure dei vostri santi, in particolare don Bosco, il santo dei giovani, che ricordiamo nel suo centenario, vi aiutino a riconoscere e a realizzare il vostro progetto di vita nel segno evangelico dell'amore per l'uomo del nostro tempo.


Data: 1988-09-03 Data estesa: Sabato 3 Settembre 1988




Alla Scuola di Applicazione dell'Esercito Italiano - Torino

Titolo: Non c'è garanzia di pace senza verità, senza libertà, senza giustizia, senza solidarietà

Testo:

Signor Generale, cari ufficiali ed allievi della Scuola di Applicazione!


1. Sono lieto di trovarmi tra voi: saluto tutti cordialmente. Saluto in particolare, il Generale Comandante e l'Arcivescovo Ordinario Militare, che ringrazio per le loro parole di benvenuto.

Con questa mia seconda visita pastorale a Torino come voi sapete, intendo onorare nel 1° centenario della morte, quel grande educatore di giovani che è stato san Giovanni Bosco. Mi è caro peraltro aver avuto l'occasione di visitare anche questa Scuola, dove fu allievo e maestro un grande ammiratore e collaboratore di don Bosco, il Capitano di Stato Maggiore Franceso Faà di Bruno.

La Chiesa ne ha riconosciuto le virtù eroiche e si appresta ad elevarlo agli onori degli altari. Sono lieto che i responsabili della Scuola, d'intesa col vostro Vescovo Ordinario Militare, abbiano deciso di dedicargli una cappella. Il suo ricordo sarà in tal modo più continuo, come quello di un patrono particolarmente vicino, avendo egli stesso sperimentato, come voi e prima di voi, che cosa significhi essere militare in una coerente visione cristiana della vita.

La mia presenza in mezzo a voi vuole essere anche un gesto di stima e di gratitudine per quanto voi compite o vi preparate a compiere a favore della sicurezza, della libertà e della pace. Sono valori irrinunciabili, questi, che vanno inculcati negli animi dei giovani e per i quali è necessario compiere ogni sforzo e allenarsi interiormente con una profonda educazione spirituale e sociale, che diventi un abito, un modo permanente di pensare e di agire.

Per Francesco Faà di Bruno la dedizione al mondo militare non termino quando altri impegni e responsabilità lo portarono a lasciare la divisa, che aveva indossato con nobiltà e convinzione. Lo provano le molte iniziative che egli intraprese per promuovere la formazione umana e cristiana dei militari.

Mi pare di cogliere in questa testimonianza vissuta quanto è tipico nella vostra istituzione. Le vostre scuole, infatti, hanno come obiettivo principale l'educazione degli allievi, soprattutto di quelli che si troveranno ad essere responsabili di altri giovani. I programmi della Scuola di Applicazione mirano in effetti a preparare uomini capaci di comprendere i moderni sistemi preposti alla tutela della pace. Essi esigono determinazione, ma anche lucidità nel considerare i nuovi scenari della vita internazionale. Vi auguro di inquadrare la vostra preparazione in questa ampiezza di orizzonti.


2. L'enciclica "Pacem in Terris" del mio predecessore Giovanni XXIII, proprio venticinque anni fa, esortava a guardare la realtà della difesa con occhio e cuore decisamente nuovi. Ciò non sarà mai possibile senza uomini nuovi. L'umanità intera anela alla pace. La Chiesa di Gesù Cristo non può non far riecheggiare incessantemente l'invito evangelico della pace. Ma non c'è garanzia di pace senza verità, senza libertà, senza giustizia, senza solidarietà.

A questo quadrilatero ideale tutti gli uomini di buona volontà, e specialmente quanti si onorano del nome cristiano, devono costantemente ispirarsi se non vogliono vanificare i loro sforzi.

Ci sono dunque profonde esigenze morali alla base dell'educazione di responsabili della vita militare.

L'esempio del vostro collega Faà di Bruno e il richiamo della tradizione cristiana ancora così viva in Italia, vi aiutino ad entrare in confronto coraggioso con queste esigenze. La novità dell'uomo non risiede tanto nella acquisizioni tecniche oggi raggiunte, quanto nella capacità di usarle con spirito nuovo. In un'epoca di robot, c'è più che mai bisogno di uomini responsabili.

Vogliate consentirmi un altro rilievo inteso a ribadire l'importanza che attribuisco a questo incontro. Da questa Scuola, che proprio quest'anno celebra il 250° anniversario della sua fondazione, partono ogni anno i giovani ufficiali destinati ad addestrare buona parte dei loro coetanei nell'ambito del servizio militare.

Altre volte ho richiamato l'importanza di questo periodo in un momento tanto delicato nella vita del giovane. Esso dovrebbe essere un motivo di crescita globale e offrire l'occasione di formarsi ad un'autentica responsabilità. Ciò comporta per tutti, anche per i giovani avviati al servizio militare che sono ancora oggi di gran lunga la maggioranza dei giovani, una scelta di coscienza.

Come superare il distacco dalla famiglia, dagli amici, dall'ambiente senza una forte motivazione interiore? Senza che siano presenti ed operanti solidi principi di sicura convinzione? Viviamo in un momento di radicali trasformazioni culturali e sociali che toccano anche alcuni settori delicati come la famiglia, la scuola, la parrocchia, i gruppi. In questo contesto si rendono indispensabili figure nobili, come quella di Faà di Bruno e di molti altri, che hanno dato spessore educativo anche all'esperienza del servizio militare.

Certamente garantirete questa altissima funzione sociale, cari giovani ufficiali, se vi porrete come obiettivo primario della vostra carriera il servizio dell'uomo. A questo livello si pone, mi pare, il modello più alto e più moderno di ufficiale e di militare. Non si può pretendere dagli altri quello che non si è in grado di motivare e di accettare personalmente.


3. La legge italiana, come quella di diversi Paesi del mondo, prevede la presenza dei cappellani, la cui funzione non è solo di assicurare, a coloro che lo desiderano, l'adempimento dei doveri religiosi. La loro missione più impegnativa, anche se in modo discreto, tende a sostenere la buona volontà di quanti cercano ragioni trascendenti per vivere.

Da poco tempo, come voi certamente saprete, ai militari è stata riconosciuta dalla Sede apostolica la condizione canonica di vera comunità ecclesiale. Questo comporta più larghe possibilità pastorali per i cappellani, ma anche coinvolgimento più pieno dei laici, cioè dei fedeli appartenenti al quadro permanente, o in servizio di leva, e alle loro famiglie.

Don Bosco, quando i suoi ragazzi partivano militari, scriveva personalmente ai cappellani ed ai superiori perché non ci fossero rotture nel processo di crescita dei giovani. Sono convinto che questa premura è ancora attuale e spero che diventi abituale nelle comunità cristiane italiane.

Possa la mia visita, cari giovani, essere motivo per una riflessione più profonda sulla vostra missione umana e cristiana nella società contemporanea. Di voi, della vostra dirittura morale, della vostra lealtà, della vostra bontà ha bisogno la Patria, che a voi affida le nuove generazioni. Su di voi, come cattolici operosi e coerenti, conta anche la Chiesa. E il Papa oggi, insieme a tutti i vostri amici e colleghi, vi incoraggia e vi benedice.


Data: 1988-09-04 Data estesa: Domenica 4 Settembre 1988




Incontro con le religiose nella Basilica di Maria Ausiliatrice - Valdocco (Torino)

Titolo: La Madre della Chiesa sia l'ispiratrice nella scoperta di una nuova identità femminile nella prospettiva del Vangelo

Testo:

Sorelle carissime.


1. Sono lieto di incontrarmi con voi in occasione di queste celebrazioni in onore di san Giovanni Bosco nel centenario della sua morte.

Già solo la vostra presenza qui, nella cittadella di Valdocco, è un discorso eloquente! Voi nella varietà dei carismi e delle vocazioni siete una splendida immagine della Chiesa, arricchita dallo Spirito del Signore di tanti doni e ministeri per servire evangelicamente l'umanità.

"La Chiesa vi esprime la sua gratitudine per la consacrazione e per la professione dei consigli evangelici, che sono una particolare "testimonianza di amore"".

Di fatto, lungo i secoli, questa testimonianza non si è interrotta, anzi è diventata sempre più luminosa.

Don Bosco, quale uomo dotato di acuto discernimento spirituale, ne ha avuta profonda consapevolezza; ha sempre apprezzato l'apporto della donna, e in particolare della donna consacrata, nella costruzione di una società più umana e più cristiana. Non a caso fin dall'inizio si è associata nella sua opera di educatore la madre Margherita, e ha coinvolto poi nel suo intenso apostolato un numero sempre crescente di donne provenienti da ogni ceto sociale, ha fondato una congregazione femminile accogliendo l'apporto originale e creativo di tante donne, specie di santa Maria Domenica Mazzarello.


2. Don Bosco, discepolo di Cristo, ha testimoniato in tutta la sua vita il primato della vita interiore. Questo primato lo ha mirabilmente coniugato con l'intensa attività a servizio dei fratelli, un servizio generoso e lieto, indefesso e radicale, trasparenza della sua comunione con il Signore.

La vita religiosa ha sempre presente questo primato, e, voi, carissime sorelle, potete offrire un prezioso contributo, proprio in questa direzione, allo scopo di cercare e proporre una nuova identità femminile con il vostro essere che si irradia nel vostro operare.

"Con il vostro essere", perché con la professione dei consigli evangelici, troppo spesso presentati unicamente come rinuncia, voi positivamente e lietamente testimoniate dov'è l'assoluto della persona umana e smentite l'idolatria della società dell'avere, dell'empirico, del contingente.

Con la vostra professione dei consigli evangelici anticipate profeticamente i beni futuri, quindi indicate l'origine, il senso e la meta definitiva del destino umano.

Ebbene, da questo orizzonte escatologico, avete molto da dire in particolare alle donne di oggi, come risposta alle istanze emergenti dall'attuale contesto socio-culturale.


3. Una prima risposta si concentra intorno ai molteplici e complessi "perché" posti sul senso della vita religiosa oggi, dalla società secolarizzata che, non facendo riferimento al trascendente, non sa valutare più la ricchezza di una vita vissuta all'interno delle mura di un convento, non comprende la rinuncia alle gioie di una propria famiglia ai fini di una maternità più profonda e più ampia, la scelta di un amore che non delude, il senso della femminilità che è autentica nella verginità vista come via per una realizzazione più alta.

In questa società nella quale c'è "un invadente materialismo teorico e pratico che chiude gli orizzonti dello spirito e della trascendenza, voi siete chiamate a sostenere la civiltà dell'amore e della vita, ad essere l'anima del fermento cristiano, le guide degli orizzonti della fede... Nella Chiesa voi incarnate il compito di Maria santissima. Avete il ruolo insostituibile specialmente negli ambiti tipici, corrispondenti ai vostri carismi e alla vostra sensibilità" (, IX, 2 [1986] 1097s).

Voi siete chiamate a essere nel mondo contemporaneo la trasparenza dei valori invisibili che sono reali e possono essere vissuti da tutti.

Avete in eredità una ricca tradizione: in passato spesso proprio da donne consacrate, come una profezia, è venuta la proposta di una nuova identità femminile, nella quale hanno trovato attuazione le istanze e gli appelli del mondo circostante.

Di queste donne generose e creative, provenienti da diverse classi sociali, Torino e questa diocesi sono state sempre terra fertile. Esse hanno servito e servono con spirito evangelico quanti si trovano nel bisogno, quanti sono a volte dimenticati e disprezzati.

La risposta così viene da voi, dal vostro essere, dalla vostra professione dei consigli evangelici, dalla vostra azione apostolica. "Il mondo ha bisogno dell'autentica contraddizione della consacrazione religiosa, come incessante lievito del rinnovamento evangelico" ("Redemptionis Donum", 14). E l'esperienza ci dice pure che nessun movimento della vita religiosa ha alcun valore se non è simultaneamente un movimento verso l'interno, verso il profondo dell'essere, dove Cristo ha la sua dimora.


4. Nel corso stesso della storia si sono smentite tra di loro tante proposte ideologiche che presentano il progresso e la realizzazione personale come libertà sessuale, eliminazione delle leggi morali, emancipazione dal religioso. La crisi di identità di persone e istituzioni ne è un segno doloroso e si fa invocazione di aiuto.

La rivelazione cristiana offre quella risposta salvifica che nasce dalla verità sull'uomo, da un'antropologia collegata al divino.

Infatti, proclamando la verità sulla persona umana, dà il suo apporto specifico nel confermare la perfetta uguaglianza tra uomo e donna quali immagine di Dio e suoi interlocutori. L'uomo e la donna in quanto immagine di Dio visibilizzano nell'universo l'unità di Dio che non è solitudine, ma comunione: Dio Uno e Trino. Gesù nel realizzare il regno di Dio riporta appunto a questa comunione originaria, cosicché "non conta più l'essere giudeo o greco, né l'essere schiavo o libero, né l'essere uomo o donna; poiché voi tutti siete un essere in Cristo Gesù" (Ga 3,28).

In particolare nei confronti della donna Gesù si mostra liberatore e salvatore. La libera dal desiderio di possesso e di dominio dell'uomo (Mt 5,28), rovescia la mentalità dell'ambiente che condiziona anche i suoi discepoli, una mentalità che vuol prolungare i rapporti di prepotenza (cfr. Mt 19,3-10). La dichiara esente dall'impurità legale proprio con il suo comportamento. Rifiuta di identificare il suo ruolo con la maternità biologica e rivela la sua dignità nella fede in un nuovo tipo di parentela. La propone come modello di fede e di amore. E' per mezzo della peccatrice perdonata che annuncia lo specifico del messaggio evangelico: l'amore senza limiti (cfr. Lc 7,47 Lc 7,50); evidenzia il gesto generoso della vedova che nell'offrire l'obolo per il tempio, dà tutto (cfr. Lc 21,1-4).

Sulla bocca di una donna Giovanni mette una delle più belle professioni di fede (cfr. Jn 11,27).

Le donne seguono spontaneamente Gesù e si fanno aralde dell'annuncio messianico (cfr. Jn 4,28 Jn 4,30 Mt 28,1-8).

Tra tutte un posto singolare ed unico spetta a Maria, la Madre di Gesù, la quale sintetizza l'Israele di Dio per il suo si senza riserve, per la sua carità senza limiti, per la sua maternità nei confronti dei discepoli di Gesù di ogni tempo.


5. La Chiesa, frutto dell'opera salvifica di Cristo e luogo in cui egli continua a salvare ogni uomo, si presenta così come il superamento delle dialettiche quando si comprende nel suo mistero profondo costitutivo. Essa infatti viene descritta dal Concilio "come un sacramento, o segno e strumento dell'intima comunione degli uomini con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

Voi, carissime sorelle, di questa Chiesa, di questo mistero siate testimoni con la vita e con la parola, come lo fu la beata Anna Michelotti, che qui a Torino fu infaticabile promotrice del messaggio evangelico, in ogni ceto sociale ma soprattutto tra i poveri e gli ammalati.

Come lei, anche voi date il vostro contributo prezioso annunciando il primato dell'Assoluto, del Dio Uno e Trino che ci fa suoi interlocutori; mostrando che la comunione col Trascendente, espressa anche nella solitudine della preghiera, non può essere per il credente un'evasione e una separazione dalla compagnia dei propri fratelli e sorelle. Come in Maria, come nella Chiesa, così in voi le donne di oggi devono poter vedere una concretissima, singolarissima vicenda, vissuta non individualisticamente, in modo egocentrico, ma solidale con l'intera storia umana e con l'intera creazione.

E' questo il messaggio che voi potete proclamare oggi nella Chiesa e nella società. Messaggio, che è annuncio attuale, urgente e vuol sottolineare che la soluzione ai problemi va ricercata in un quadro di valori più ampio, quindi più umano, che dà il primato alla persona come soggetto di comunione, superando le rivendicazioni, la assolutizzazione dei ruoli, le contrapposizioni nei diritti, tutte espressioni che sono ancora segno di peccato e non di libertà.

Il Vangelo segna la strada della liberazione, imprevedibile alle nostre possibilità umane: Gesù propone un nuovo tipo di relazioni che non sono sotto l'egemonia del peccato, della "durezza del cuore", ma nella signoria misericordiosa e paterna di Dio che celebra il trionfo della carità senza limiti.

Nasce così una nuova parentela, non fondata sulla carne e sul sangue, ma sulla fede, che si esprime nella comunione feconda e profonda, trascendendo la dimensione biologica e terrestre.

Maria, la Madre di Gesù e della Chiesa, ne è il prototipo; la vostra consacrazione ne è una profezia che si prolunga nel tempo.


6. E allora ecco un compito: essere segno di questo nuovo tipo di relazioni, di questa nuova parentela, non in modo astratto, ma nel concreto tessuto della vostra esistenza, come una progressiva riscoperta del modo di essere discepole di Gesù in ogni momento e condizione di vita.

Lo Spirito del Signore, la protezione materna di Maria vi guidino in questa meravigliosa avventura per realizzare la civiltà dell'amore e della vita.

Con la vostra testimonianza evangelica dovete essere come il fermento di questo itinerario umano e cristiano.

Il vostro essere così si fa missione, e non potrebbe essere diversamente perché questa è la struttura del credente secondo il Vangelo.

Il vostro convenire qui, nel Santuario di Maria Ausiliatrice, nel ricordo di don Bosco, è un invito a riflettere profondamente sulla vostra realtà per trarne coraggiosamente delle conseguenze operative.

Nella lettera indirizzata al Rettore maggiore della Società Salesiana mi sono soffermato su alcune di queste conseguenze, che sono un appello soprattutto per voi, chiamate a svolgere multiformi compiti apostolici: la Chiesa "in questo periodo ormai vicino all'anno duemila, si sente invitata dal suo Signore a guardare ai giovani con speciale amore e speranza, considerando la loro educazione come una delle sue primarie responsabilità pastorali" ("Juvenum Patris", 1).

Vorrei richiamare l'attenzione quindi sulla vostra responsabilità particolarmente per le giovani generazioni, secondo il vostro peculiare carisma, sull'impegno educativo.

La vostra profezia, la vostra vita evangelica, espressione di una nuova parentela, è un annuncio soprattutto per loro che sono il futuro della società e della Chiesa.

Ancora oggi, anzi oggi più di ieri, potete e dovete far brillare davanti alle giovani la bellezza di una vita spesa tutta per il Signore a servizio dei fratelli.


7. Con la vostra castità voi annunciate alle giovani la bellezza dell'amore del cuore umano fecondato dal Vangelo, annunciate la risurrezione futura e la vita eterna, quella vita in unione con Dio, quell'amore che contiene in sé ed intimamente pervade tutti gli altri amori del cuore umano, quella liberazione portata da Gesù per tutti ("Redemptionis Donum", 11).

Nel suo "Magnificat", diventato il canto della Chiesa e dell'umanità che anela alla salvezza, Maria ha proclamato questa liberazione umana e femminile: ella "è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo" (RMA 37).

Ella, che "nella sua vita fu modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini" (LG 65), vi ammaestri, vi guidi nella maternità evangelica tipica della vostra vocazione.

Ella continua nei secoli ad essere una presenza materna, secondo la parola di Gesù: "Donna, ecco il tuo figlio", "Ecco la tua Madre" (cfr. Jn 16,26s).

"Non distogliete mai lo sguardo da Maria; ascoltatela quando dice "Fate quello che Gesù vi dirà"" (Jn 2,5). Pregatela anche con quotidiana premura, perché il Signore susciti di continuo anime generose, che sappiano dire di si alla sua chiamata.

A lei io vi affido e insieme con voi affido tutto il mondo dei giovani, affinché essi, da lei attratti, animati e guidati, possano conseguire, con la mediazione della vostra opera educativa, la statura di uomini nuovi per un mondo nuovo: il mondo di Cristo, maestro e Signore" ("Juvenum Patris", 20).

A lei vi affido, perché quale Donna Nuova, Madre della Chiesa e della nuova umanità, sia l'ispiratrice nella scoperta di una nuova identità femminile nella prospettiva del Vangelo. Ella renda feconda con la sua potente intercessione ogni vostra iniziativa e vi assista con la sua materna protezione.

Con questo auspicio vi benedico tutte di cuore.


Data: 1988-09-04 Data estesa: Domenica 4 Settembre 1988





GPII 1988 Insegnamenti - Incontro con i giovani nello stadio comunale - Torino