GPII 1988 Insegnamenti - Il commiato in Piazza Castello - Torino

Il commiato in Piazza Castello - Torino

Titolo: "Torino, terra di missione"

Testo:


1. E' giunto il momento del commiato ed io vorrei salutarvi tutti, uno ad uno, carissimi fratelli e sorelle di questa città di Torino e di tutto il Piemonte, terra di santi, patria di don Bosco.

Saluto con effusione di affetto il vostro Cardinale Arcivescovo e tutti i Vescovi della regione. Saluto in particolare il Rettore maggiore della Società Salesiana di san Giovanni Bosco, don Egidio Vigano; esprimo a lui ed a tutti i figli di don Bosco il mio vivo compiacimento per questa commemorazione giubilare.

Saluto poi tutti i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, i seminaristi.

Rivolgo un grato e deferente pensiero al signor sindaco, al signor ministro Carlo Donat Cattin che qui rappresenta il governo italiano, agli amministratori della regione, della Provincia e della città, alle autorità civili, militari ed accademiche.

A tutti dico il mio grazie per la calorosa accoglienza, per la gioia e per la ricchezza spirituale degli incontri, che hanno segnato le tappe di questo mio pellegrinaggio ai luoghi legati alla memoria di don Bosco. Tutti porto nel cuore! 2. Sono venuto tra voi per commemorare, nel centenario della morte, uno dei figli più illustri della vostra terra, del vostro popolo e della vostra Chiesa locale.

Il centenario di don Bosco e la continuità delle sue opere, che da Torino ancor oggi si irradiano in tutto il mondo, è stato un'occasione privilegiata per riflettere sui doni che Dio ha fatto e fa a questa Chiesa torinese, sull'autenticità e coerenza della sua testimonianza, sul significato della presenza della comunità ecclesiale nella Torino di oggi.

In questa metropoli di nobili tradizioni religiose, storiche e culturali, nella quale fervono l'impegno e l'operosità dell'uomo, pur tra le tensioni e le difficoltà dei grandi agglomerati urbani, la Chiesa di Cristo è ben radicata ed operante. Erede di un singolare patrimonio spirituale la Chiesa nella vostra città è una realtà viva e vivificante, come il lievito di cui parla il Vangelo. La sua presenza non è rumorosa, ma non per questo è meno efficace nell'annuncio, meno generosa nella carità, meno disponibile nel servizio.


3. Le profonde e rapide mutazioni culturali, sociali e tecnologiche del nostro tempo richiedono, tuttavia, di ripensare costantemente forme e modi di questa presenza della Chiesa nella città dell'uomo, tante sono le esigenze e le attese, alle quali devono corrispondere l'annuncio del Vangelo e le iniziative della solidarietà fraterna. E' questa una grande sfida che impegna la vostra Chiesa di Torino. E' l'esempio che vi ha lasciato don Bosco, inesausto ricercatore di sempre più adeguate prospettive di apostolato, è al contempo uno stimolo sempre valido e una forza a ben continuare sulla via da lui tracciata.

Torino, terra di missione! Si, fratelli e sorelle! Ma questa città che ha espresso tanti maestri di spiritualità, santi sacerdoti, religiosi e laici di ammirevole ardore apostolico, questa città culla di benemerite congregazioni missionarie e che ospita opere educative ed assistenziali di prim'ordine, non è esente da una certa mentalità secolaristica e da atteggiamenti consumistici, che rischiano di portare ad una insidiosa scristianizzazione l'odierna società ed all'impoverimento e allo smarrimento dei valori più sacri.


4. E' necessaria perciò una nuova evangelizzazione in ogni settore della vita della città: nel mondo del lavoro, che ha conosciuto negli ultimi anni notevoli trasformazioni, con significative conseguenze per i suoi riflessi sociali. Nei nostri incontri ho raccolto l'eco, per così dire, di uno smarrimento, che in qualche animo diviene particolarmente angoscioso. Le ragioni dell'economia, le esigenze della produzione non debbono mai avere il sopravvento sulla dignità del lavoratore e sulle esigenze vitali della sua famiglia, né l'organizzazione dell'industria e dei servizi può portare, come accade, ad una diminuzione della solidarietà. Il mondo del lavoro attende dalla Chiesa un messaggio di verità e di fiducia sul primato dell'uomo rispetto ai ritmi ed alle logiche produttive, sul significato etico dell'attività che associa l'uomo all'opera di Dio Creatore e, nel sudore e nel sacrificio quotidiano, alla stessa redenzione della croce di Cristo. Attendono soprattutto questa parola di verità i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, nel quale non di rado si sentono defraudati dei tesori più veri della loro giovinezza. La attendono i disoccupati, i sotto-occupati, coloro che svolgono la loro opera con più pesante fatica.

Ma vi è un'altra urgenza di evangelizzazione. Torino, capitale del lavoro, ha attirato e continua ad attirare un ingente numero di immmigrati, con le loro famiglie. A coloro che sono giunti dalla campagna e dalla montagna piemontese, o da altre regioni d'Italia, particolarmente dal Mezzogiorno, si aggiunge un crescente afflusso di stranieri. Certo, non sono nati oggi i problemi di accoglienza, di rispetto, di integrazione; essi, pero, si sono fatti oggi più gravi ed impellenti. Di fronte a queste esigenze di solidarietà fraterna, la Chiesa non rimane inerte. Essa ha a cuore il bene di tutti i suoi figli ed è consapevole di rendere un insostituibile servizio alla comunità cittadina, prima ancora che con le iniziative assistenziali, con l'insegnare ed il favorire l'esercizio della comune fratellanza.


5. Quanto più urgono le necessità dell'uomo, tanto più la presenza della Chiesa si fa operante e feconda. Rispettosa delle legittime autonomie e competenze, essa chiede tuttavia di non essere disconosciuta, tenuta al margine. In nome e sull'esempio del suo Maestro e Signore, la Chiesa si incarna in tutta la realtà cittadina: nella vita culturale, del lavoro, dei servizi, del tempo libero. Essa privilegia, certamente, come il Buon Pastore, colui che si trova svantaggiato, emarginato e bisognoso; ma proprio per questo la sua premura è di stimolo per tutti ad assumersi i doveri ed a farsi carico delle responsabilità che spettano a ciascuno. Impegnata in prima persona, con le sue istituzioni ed un volontariato che vuole essere sempre più generoso, la Chiesa offre a tutte le componenti sociali, e da esse spera di ottenere, una collaborazione leale, fattiva e cordiale.

Il mio pensiero si rivolge in modo particolare ai giovani, che crescono in una società che talora sembra inadeguata a corrispondere alle loro speranze.

Penso ai giovani che non trovano casa o lavoro, a quelli che cadono nella spirale della droga, della violenza, della delinquenza comune. E penso ai poveri: ai "nuovi poveri", come si suol dire, ma anche ai poveri di sempre, nascosti e spesso dimenticati nelle pieghe di una metropoli troppo frettolosa e talvolta egoista.

Penso agli anziani, agli ammalati, a coloro che soffrono la solitudine, a chi è privo di un qualsiasi affetto umano.


6. Torino, terra di missione! Cari fratelli e sorelle, questa missione è affidata a ciascuno di voi. Gravi sono i problemi e molteplici gli ostacoli, ma Gesù è con voi: la sua grazia è diffusa nei vostri cuori, vi anima la sua carità, vi conforta la sua parola.

Non vi scoraggiate, non indietreggiate mai davanti alle esigenti istanze del Vangelo! Portatelo nel mondo del lavoro, della ricerca, della scuola.

Rendetelo presente là dove ferve la vita della vostra città. Aiutate ogni fratello a riscoprirlo nella memoria dell'insegnamento ricevuto dai genitori. Attirate col fervore della carità coloro che si sono allontanati per altre vie. Irradiate attorno a voi la gioia della vita della grazia. Trasformate il volto della vostra città, nel segno dell'amore e della pace.

In questa missione vi aiuti Maria Ausiliatrice, la Vergine Consolata, a cui la vostra comunità è filialmente legata.

L'Arcivescovo mi ha chiesto di prorogare per Torino le celebrazioni dell'anno mariano fino al 1° gennaio prossimo, festa della Madre di Dio e Giornata Mondiale della Pace. Volentieri accolgo questa richiesta, affidandovi a Maria. La sua intercessione, quella di don Bosco e di tutti gli altri santi torinesi e piemontesi, ottengano a voi, alle vostre famiglie, a questa città antica e fiera, a questa terra generosa, l'aiuto e la grazia del Signore.

Vorrei ancora ringraziare per il dono della vostra presenza così numerosa. Vorrei ringraziare per i doni particolari offertimi dalla signora vostro sindaco, doni particolari e molto preziosi: i documenti della collaborazione dell'amministrazione cittadina di allora con don Bosco e della sua collaborazione con la città di Torino.

Davanti alla Basilica di Maria Ausiliatrice ho lasciato un messaggio religioso e pastorale alla città di Torino. Non voglio ripeterlo, ma voglio ripetere una parola che è il nucleo di questo messaggio: Torino, il Papa ti vuole bene! Ecco, come segno di quella benevolenza il Papa non ha altri modi, non ha altri mezzi; solamente quello di una benedizione e di una preghiera. Vi benedica Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo. A Torino, al Piemonte, a tutti i torinesi, a tutti i piemontesi: arrivederci!


Data: 1988-09-04 Data estesa: Domenica 4 Settembre 1988




Lettera al Cardinale Myroslav Ivan Lubachivsky - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per la ricorrenza del 50° di sacerdozio

Testo:

Al nostro venerabile fratello Cardinal Ivan Lubachivsky, Arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini.

Il prossimo 21 settembre, venerabile nostro fratello, proverai di nuovo la gioia che provasti 50 anni fa, quando fosti ordinato sacerdote e avevi lo sguardo rivolto al futuro, poiché avevi già stabilito con decisa volontà di spendere tutto il tuo ministero al servizio di Dio e per la salvezza delle anime.

Nel ricordare quell'avvenimento, senza dubbio sentirai risuonare nel petto una voce che dice: "Bravo, servo fedele, che hai mantenuto interamente i propositi, le promesse, il patto fatto con me". Sarà quella voce dolcissima del Signore, che approva tanti anni del tuo ministero sacerdotale. In consonanza con quella sarà la nostra voce, anzi in totale accordo, come vogliamo testimoniare con questa lettera breve ma piena di ammirazione, di affetto, di gratitudine. Ripercorrendo questo lungo tempo della tua vita, non possiamo fare a meno di significarti i sentimenti di tal genere. Questo infatti merita la tua opera costante, soprattutto spesa nelle città dell'America del Nord, come Hamtramck, Latrobe, Wilkes Barre, Milwakee, Cleveland, Richmond, Philadelphia, Washington, Stanford. In questa attività si distinguono la direzione spirituale degli studenti del seminario e l'insegnamento, nel quale ti segnalasti grandemente per la tua preparazione, innanzitutto in teologia, in filosofia, nella Sacra Scrittura: queste discipline ti offrirono molto materiale per scrivere opere sulla Sacra Scrittura, la liturgia, e per la stesura di molte omelie.

Famoso per questi motivi e in seguito all'attività pastorale tra i cristiani dell'Ucraina, fosti ritenuto degno di essere nominato Esarca di Filadelfia degli Ucraini, - e ci viene in mente il giorno in cui, il 13 Settembre 1979, ti abbiamo consacrato Vescovo nella Cappella Sistina - e l'anno seguente fosti ritenuto degno di essere scelto come collaboratore del capo dei Vescovi Ucraini, del Cardinal Josef Slipyi, a cui succedesti quattro anni dopo come Arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini.

Noi, infine, considerata la tua attività apostolica, le tue eccelse virtù, l'acuto ingegno, l'amore alla religione cattolica e la saldissima fedeltà verso questa Sede apostolica, per dare un giusto riconoscimento a questi tuoi meriti, ti abbiamo chiamato a far parte del Collegio dei Cardinali della Chiesa Romana, desiderando così in un certo senso continuare anche la memoria del tuo egregio predecessore, di cui si rinnova in te l'amarezza dell'allontanamento dalla sede di Leopoli. Forse questo dolore offusca la serenità del tuo animo in questo anno, in cui ricorre il Giubileo del tuo sacerdozio e il millennio della conversione della Russia, tua patria per la cui commemorazione quest'anno abbiamo pubblicato in gennaio la lettera apostolica "Euntes in Mundum" e il messaggio "Magnum Baptismi Donum" in febbraio. Ma la concomitanza di queste ricorrenze non è forse motivo di maggiore gioia? E' infatti perché quel dono rimanga nei secoli, e là dove è stato dato, e presso le nazioni e i popoli stranieri, tu per tutto il tempo del tuo sacerdozio e dell'episcopato hai speso tutte le tue forze e ancora ti adoperi, sostenuto dalla certezza che quel dono divino non potrà essere distrutto da nessuna potenza umana.

E noi ti auguriamo questa duplice gioia, venerabile nostro fratello; con tutto il cuore, questa gioia noi invochiamo dal generosissimo elargitore di doni celesti, mentre gli siamo grandemente riconoscenti perché non smette di inviare tali operai nella sua vigna, quale sei tu: e anche tu certamente nutri verso di lui sentimenti di infinita gratitudine.

Ciò che noi invochiamo, ciò che noi preghiamo, la nostra apostolica benedizione renda presente, la benedizione che noi di cuore ti impartiamo, e della quale vogliamo partecipino anche coloro che ti saranno intorno nel giorno in cui celebrerai il tuo anniversario di sacerdozio, per manifestare la loro devozione nei tuoi confronti, la stima e l'affetto.

Dal Vaticano, 5 Settembre 1988, decimo di Pontificato.


Data: 1988-09-05 Data estesa: Lunedi 5 Settembre 1988









Lettera ai Ministri generali delle Famiglie francescane nella ricorrenza del IV° centenario della proclamazione di san Bonaventura a dottore della Chiesa

Titolo: Teologo dell'amore serafico guida nell'itinerario verso Dio

Testo:

Ai diletti figli John Vaughn, Lanfranco Serrini, Flavio Roberto Carraro, José Angulo Quilis, Ministri geneali delle Famiglie francescane.


1. E' per me motivo di vivo compiacimento la vostra iniziativa di celebrare uno speciale simposio sull'"Itinerarium mentis in Deum" di san Bonaventura nella ricorrenza del IV° centenario della sua proclamazione a dottore della Chiesa universale (cfr. Xysti V Bulla "Triumphantis Hierusalem", in "Bullarium Rm.", 1588).

Molto opportunamente avete così inteso richiamare l'attenzione intorno ad un'opera tanto piccola di mole, quanto densa di spirituale contenuto, invitando al tempo stesso gli uomini di oggi e, segnatamente, tutti i confratelli francescani a riprenderla in mano per ascoltare ancora l'alto insegnamento del dottore serafico. E', infatti, salutare mettersi alla sua scuola e rivivere la sua esperienza, percorrendo la strada che, sull'esempio di san Francesco, egli stesso percorse quando gli fu concesso di ritirarsi nella tranquilla solitudine della Verna, alla ricerca della "pace dello spirito" (S. Bonaventurae "Itinerarium mentis in Deum", prol., 2).

L'approfondita riflessione su ciò che san Bonaventura scrisse nel luogo stesso dove lo aveva meditato, contribuirà a far meglio discernere, alla luce della fede, quali siano anche nell'epoca nostra i veri segni della presenza di Dio e delle sue intenzioni sulla vocazione integrale dell'uomo.


2. Una delle idee feconde dell'"Itinerarium" è la riflessione sul mistero dell'uomo, considerato nella luce del mistero del Verbo incarnato. A tale visione sono da ricondurre l'origine dell'uomo, la sua vita e la sua morte. Il pellegrinaggio sulla terra è per l'uomo un viaggio di ritorno, poiché la sua destinazione ultima è anche il suo primo inizio: "Da Cristo veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti" (LG 3).

Il progresso dell'itinerario verso Dio è, pertanto, collegato alla ferma persuasione che il punto d'arrivo è già in qualche modo presente lungo il cammino che ad esso conduce. Tutto il mondo è pieno di luci divine, che promanano dall'atto creatore del Padre, secondo l'esemplarità del Verbo eterno, il quale era dal principio presso Dio ed era Dio, e venne in questo mondo per illuminare ogni uomo e tutto l'uomo (cfr. Jn 1,1 Jn 1,9). Questi perciò - osserva il santo - sarebbe veramente cieco e sordo e muto, se non fosse illuminato dai tanti splendori delle cose create, se non sapesse ascoltare il concerto di tante voci e se davanti a tante meraviglie non lodasse il Signore (cfr. S. Bonaventurae "Itinerarium mentis in Deum", cap. I,15).


3. In ordine a questa impostazione dell'opera è significativa una riflessione del Papa Paolo VI, che mi piace qui riproporre: "Itinerario: pare a noi di scoprire in questo stesso titolo un movimento dello spirito ricercatore, conforme al gusto inquieto e progrediente della cultura contemporanea, la quale, si, si propone la ricerca, ma spesso lungo i sentieri del sapere speculativo della filosofia e della teologia, facilmente si stanca e si arresta a determinate stazioni, quasi fossero ultime o supreme, mentre l'itinerario, rivolto alla mèta che solo può compensare la fatica dell'aspro e lungo cammino, prosegue verso il termine sommo della divina verità la quale coincide con la divina realtà" (Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 873). La verità e la realtà divina, oltre che essere il termine dell'itinerario dell'uomo, ne è anche la preparazione e la causa. L'accesso definitivo ad essa dopo la morte deve essere preceduto da un suo graduale compimento durante la vita. Il santo scrive che sulla Verna san Francesco, all'apparizione del serafico crocifisso, fece Pasqua con Cristo: compi, cioè, il suo passaggio in Dio, ed è questo un invito rivolto a tutti gli uomini spirituali perché facciano un tale passaggio (cfr. S. Bonaventurae "Itinerarium mentis in Deum", cap. VII, 2-3).

Per i discepoli del Signore ciò avviene principalmente ad opera degli elementi del pane e del vino, che nella santissima Eucaristia diventano il corpo e il sangue di Cristo per produrre in loro lo stesso passaggio. Il Concilio Vaticano II ci ripete in proposito le certezze di sempre della Chiesa: "Un viatico per il cammino il Signore ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede, nel quale gli elementi della natura coltivati dall'uomo vengono trasformati nel suo corpo e nel suo sangue glorioso", la cui partecipazione "altro non opera se non che ci mutiamo in ciò che riceviamo" (GS 38 LG 26).

La nostra ascesa a Dio comporta questo decisivo recupero di interiorità, al vertice della compenetrazione del mistero dell'uomo col mistero di Cristo, che ci farà "abbandonare tutte le operazioni dell'intelletto e riversare in Dio la pienezza dell'amore" (S. Bonaventurae "Itinerarium mentis in Deum", cap. VII, 4), per vivere ben radicati e fondati in Cristo e fortemente corroborati nella fede (cfr. Col 2,6s)


4. A questo livello di alta spiritualità si è posto san Bonaventura, anche nello studio e nell'insegnamento della fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa. Ricordo al riguardo un notissimo testo che ricorre nel prologo dell'"Itinerarium" ed a cui fecero riferimento Paolo VI ed il Concilio Vaticano II, per indicare una norma da tener sempre presente, affinché non avvenga che la dottrina sacra "illumini la mente, ma non accenda la carità": la dottrina cattolica della rivelazione dovrà diventare "alimento della vita spirituale" (cfr. Insegnamenti di Poalo VI, II [1964] 172; OT 16).

Anch'io, all'inizio del mio ministero di successore di Pietro rivolgendomi al Consiglio internazionale per la catechesi, volli richiamare quelle stesse espressioni, sempre valide, con le quali il dottore serafico ammoniva gli insegnanti del suo tempo: "Nessuno pensi che possa bastargli la lettura senza la pietà, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l'ammirazione, l'attenzione senza la gioia, l'attività senza la pietà, la scienza senza l'amore, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio senza la grazia divina, l'indagine senza la sapienza ispirata da Dio" (, II [1979] 976).

Ritengo che ciò possa costituire anche per i partecipanti a codesto Simposio un motivo ispiratore per una rinnovata e corroborante meditazione.

In questa vigilia del terzo millennio cristiano si leva da molte coscienze l'invocazione a Cristo, come a colui che solo ha parole di vita eterna (cfr. Jn 6,68), perché si riducano nel mondo i deserti della speranza, si riaccenda la certezza che soltanto la verità che viene da Dio può assicurare tutte le libertà degne dell'uomo.

A tal fine si richiede che l'annuncio del Vangelo sia insieme testimonianza vissuta e che colui che lo annuncia "sia interiormente infiammato dagli ardori dello Spirito Santo, inviato da Cristo sulla terra" (S. Bonaventurae "Itinerarium mentis in Deum", cap. VII, 4).

Auspicando che lo Spirito Santo illumini con la sua luce beatificante la celebrazione di codesta riunione di studio, sono sicuro che ne scaturiranno preziose indicazioni e fervidi propositi non solo per le Famiglie francescane, che in san Bonaventura vedono il più insigne teologo dell'amore serafico e la guida sicura nella ricerca di Dio, ma anche per tutta la Chiesa, impegnata oggi più che mai nel ritrovare per l'uomo moderno le vie di un rinnovato e sicuro itinerario verso Dio.

Fratelli e figli carissimi, nella luce dell'anno mariano testè concluso, vi esorto a guardare anche alla Vergine Maria, madre di Dio e madre nostra, la quale in questo stesso itinerario resta un esempio impareggiabile da imitare, avendo fatto di tutta la sua vita una ininterrotta peregrinazione nella fede e nella contemplazione (cfr. RMA 13ss).

Con questi sentimenti e pensieri vi imparto una speciale benedizione apostolica, estensibile a tutti i figli di san Francesco.

Dal Vaticano, l'8 settembre dell'anno 1988, decimo di Pontificato.


Data: 1988-09-08 Data estesa: Giovedi 8 Settembre 1988




Al Congresso dell'Accademia europea di anestesia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non nascono da vera compassione le soluzioni mediche che violano la legge naturale e la verità rivelata.

Testo:

Signore e signori.


1. E' un piacere ricevere oggi i partecipanti al X Congresso annuale della Accademia europea di anestesia. Sono lieto del vostro desiderio di includere questa udienza nel programma del vostro incontro a Roma, perché mi offre l'opportunità di manifestare la mia stima per la vostra onorata professione e di assicurarvi il sostegno orante della Chiesa per tutti coloro che servono l'umanità con la scienza medica e l'arte di guarire.

In modo particolare, desidero esprimere il mio apprezzamento per gli scopi della vostra Accademia, come l'impegno di migliorare la formazione pratica e teorica di quanti si preparano a lavorare nel campo dell'anestesia. Penso, anche, alla vostra promozione della ricerca scientifica in questo e altri campi vicini della medicina e al vostro desiderio di facilitare un dialogo fruttuoso con le autorità istituzionali e politiche su questioni di mutuo interesse e preoccupazione. Un altro contributo di particolare significato possono essere i vostri sforzi per sviluppare una più grande collaborazione tra gli operatori sanitari di tutti i Paesi europei, assicurando così un più ricco scambio culturale e un migliore uso delle risorse mediche e delle nuove scoperte della ricerca scientifica.


2. La professione medica, come la stessa Chiesa, è al servizio della famiglia umana, e precisamente al servizio dei malati e dei sofferenti. Alla luce di questa vostra altissima missione vorrei parteciparvi alcune riflessioni sulla natura etica della vostra vocazione.

Come anestesisti, voi cercate di alleviare il dolore delle persone ferite in qualche incidente o sottoposte a cure mediche. Nel vostro lavoro, voi collaborate sempre con altri specialisti, rendendo possibili gli interventi chirurgici o altri tipi di trattamenti medici. In ogni caso, voi ponete la vostra abilità ed esperienza al servizio dei malati e sofferenti.

Tuttavia, come ben sapete, per quanto il vostro impegno sia pieno di dedizione ed efficacia, non potete mai vincere completamente la realtà del dolore e della sofferenza. Potete sospenderla per un certo lasso di tempo; in molti casi, potete ridurre la sua intensità fino a un grado sopportabile, ma la sofferenza e il dolore restano una parte inevitabile dell'esperienza terrena di ogni essere umano. Ciò significa che il vostro lavoro professionale vi costringe sempre a guardare in faccia il mistero della sofferenza umana.


3. Nella mia lettera apostolica sul significato cristiano della sofferenza umana, ho scritto di come Cristo, diventando uomo e soprattutto assumendo su di sé la sofferenza, ha dato un significato e un valore redentivo al dolore e alla sofferenza della vita umana. Infatti proprio attraverso la sua personale sofferenza Cristo ha compiuto la nostra eterna salvezza. La sofferenza è stato il mezzo scelto da Dio per esprimere il suo eterno amore per noi e per offrirci il dono della redenzione.

Attraverso il suo esempio, Gesù ci ha insegnato a prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle che soffrono; e ha detto ai suoi discepoli, inviandoli davanti a sé, "curate i malati... e dite loro "Si è avvicinato a voi il regno di Dio"" (Lc 10,9). Alleviare il dolore, dunque, e curare i malati è una professione di grande valore morale. Nello stesso tempo, è una professione che esige elevati valori morali e una condotta etica coraggiosa, specialmente in un periodo storico in cui le verità morali fondamentali vengono messe in questione. Per esempio, alcuni tra i nostri contemporanei propugnano la messa a termine della vita umana attraverso l'eutanasia, come soluzione cosiddetta pietosa al problema dell'umana sofferenza. 4. Voi che lavorate nel campo dell'anestesia siete forse particolarmente sensibili alle richieste di coloro che invocano la cosiddetta soluzione pietosa dell'eutanasia, proprio perché la vostra professione mira a ridurre il dolore degli altri. Questo è vero proprio nei casi di intensa e prolungata sofferenza.

Pur comprendendo le intenzioni soggettive di quanti richiedono l'eutanasia, non dovete perdere di vista i fatti oggettivi e la realtà ultima implicati nella questione.

A questo proposito, vorrei richiamare la vostra attenzione sui principi fondamentali espressi nella Dichiarazione sull'eutanasia, enunciata con la mia approvazione dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. In questo documento, la questione viene enunciata in termini molto chiari. Esso dichiara: "può accadere che, a causa di una sofferenza prolungata ed intollerabile, per profonde ragioni personali o di altri, alcuni possono essere portati a credere di poter legittimamente richiedere la morte o ottenerla per altri. Sebbene in questi casi la colpa individuale sia leggera o addirittura assente, ciononostante l'errore di giudizio in cui cade la coscienza, forse in buona fede, non cambia la natura di questo atto di uccidere che sarà sempre in sé da respingere. La richiesta di persone gravemente ammalate che talvolta chiedono di morire non deve essere accolta come un reale desiderio di eutanasia; in realtà si tratta quasi sempre di una richiesta angosciata di aiuto e di amore" (Congr. pro Doctr. Fidei "Declaratio de Euthanasia", II).

Confrontando questo grave male morale e altre serie minacce alla dignità della persona umana, dobbiamo restare fermi nella convinzione che non può esserci nessuna soluzione medica pietosa che violi la legge naturale e sia in opposizione con la verità rivelata della parola di Dio. Alla fine, dobbiamo ricordare che nessun dottore, nessuna infermiera, nessun operatore medico, nessun essere umano insomma è l'arbitro finale della vita umana, né della propria né di quella di un'altra persona. Questo ambito appartiene soltanto a Dio, creatore e redentore di tutti noi.


5. Ci sono molte altre difficili questioni etiche cui vi trovate di fronte, inevitabilmente, nella vostra nobile professione, questioni che richiedono giudizi ponderati di coscienza insieme alla vostra competenza medica. Questo perché c'è una sempre più evidente necessità di una seria informazione etica per tutte le persone impegnate nel campo medico.

Una tale formazione è appropriata e necessaria per il fatto che il vostro desiderio è non solo di servire ciascun paziente con diligenza e competenza professionale, ma anche di provvedere una cura "pienamente umana" che affronti i bisogni della persona nella sua interezza. In questo campo, desidero assicurarvi l'interesse e la preoccupazione della Chiesa, che desidera offrirvi assistenza attraverso la guida del suo insegnamento morale e la ricchezza del suo patrimonio spirituale. Nella reciproca collaborazione possiamo servire meglio i sofferenti.

In questa linea desidero richiamare un punto da me sottolineato alcuni anni fa, in un discorso all'Associazione Medica mondiale: "Non si può che rendere omaggio all'immenso progresso compiuto... dalla medicina del diciannovesimo e ventesimo secolo. Ma, come vedete, è più che mai necessario superare la divisione tra scienza ed etica, ritrovare la loro profonda unità. Voi avete a che fare con l'uomo, la cui dignità è proprio dell'etica salvaguardare" ("Allocutio ad eos qui XXXV coetui Consociationis medicorum ab omnibus nationibus interfuerunt coram admissos", die 29 oct. 1983: , VI, 2 [1983] 917ss).

Le mie parole di oggi, cari amici, vogliono essere anzitutto espressione di stima ed incoraggiamento nel vostro generoso impegno per l'assistenza dei sofferenti. Affido di cuore voi e il vostro lavoro al Signore della vita, Dio e Padre di tutti. Egli ricolmi di abbondanti benedizioni voi e i vostri cari.


Data: 1988-09-08 Data estesa: Giovedi 8 Settembre 1988




A un gruppo di Vescovi USA in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La solidarietà: espressione della vita della Chiesa e del suo interiore dinamismo in Gesù Cristo

Testo:

Cari fratelli nel Signore Gesù Cristo.


1. Per la settima volta quest'anno ho la gioia di ricevere nella Sede di Pietro i miei fratelli Vescovi degli Stati Uniti in visita "ad limina". In voi, Vescovi della I e VIII regione, saluto l'amatissimo popolo che costituisce la Chiesa nel New England e negli Stati del Minnesota, Nord Dakota e Sud Dakota. Mi rendo conto che c'è grande diversità tra le vostre regioni e tra le vostre Chiese locali, ma so che voi tutti fate esperienza di una sfida comune nel vivere la fede una, santa, cattolica e apostolica.

Nel corso delle visite precedenti, ho avuto occasione di riflettere con i Vescovi sulla missione pastorale della Chiesa. Tutti i miei discorsi miravano ad aiutarli a guidare le loro comunità ecclesiali a vivere la vita di fede il più pienamente possibile. così ho potuto trattare una serie di argomenti di grande importanza per tutte le diocesi americane: il mistero della Chiesa come vive negli Stati Uniti - la mirabile realtà della grazia di Dio - che ho potuto testimoniare di persona e che deve sempre essere richiamata al vertice della santità; la preparazione per il millennio, periodo di particolare rinnovamento della Chiesa nella sua identità e nella sua missione; il richiamo alla penitenza e alla riconciliazione; il richiamo alla preghiera; una riflessione su Gesù Cristo, che è l'unico che comunica il mistero di Dio e rivela l'uomo a se stesso; e, per finire, l'unità organica, in Cristo, degli sforzi antropocentrici e teocentrici della Chiesa, compreso il suo compito di proclamare la dignità e i diritti umani. Oggi, cari fratelli, vorrei continuare con una riflessione sulla consapevolezza che la Chiesa negli Stati Uniti deve avere della sua missione di solidarietà con tutti gli uomini.


2. La Chiesa, come i singoli individui che la compongono, è grande nel darsi (cfr. GS 24). Come le singole persone, la comunità ecclesiale ritrova se stessa nell'uscire da sé e nel donarsi. La solidarietà è l'espressione della vita della Chiesa e del suo dinamismo in Cristo. Una tale solidarietà comprende una consapevolezza pratica della grande rete di interdipendenza che esiste tra i membri del Popolo di Dio. Essa consiste in un fermo e perseverante impegno per il bene di tutti (cfr. SRS 38).

In quanto corpo di Cristo, la Chiesa scopre e mette in atto la solidarietà al livello di mistero divino, ad ogni livello della sua cattolicità e a ogni livello delle umane necessità. Tutte le Chiese particolari che compongono l'unica Chiesa cattolica sono chiamate a vivere la stessa solidarietà universale con le Chiese sorelle, nella consapevolezza dell'unica comunione cattolica che le unisce nella missione di Cristo. Ogni Chiesa locale esprime questa interdipendenza nella fede, nell'amore e in ogni cosa che tocca la vita delle persone. Ogni Chiesa locale riconosce la sua interdipendenza nella necessità di essere aperta agli altri ed imparare da loro, come anche nell'aiutarli a portare i loro pesi secondo l'espressione di san Paolo: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo" (Ga 6,2). Ovunque, nella Chiesa universale, l'esperienza dei fedeli è di bisogno, là è richiesta la risposta della solidarietà. Per la Chiesa, la solidarietà è l'espressione della cattolicità del suo essere, poiché ella raggiunge tutti i suoi figli e figlie nella necessità.


3. Proprio perché è la Chiesa, ella è chiamata ad abbracciare tutti gli uomini nel bisogno, a rispondere alle necessità di tutti. La Chiesa riconosce e proclama con chiarezza l'interdipendenza e interrelazione universale dei bisogni degli uomini.

Nella vostra lettera pastorale sulla pace e sulla giustizia economica, voi avete ben espresso questo punto, come Conferenza episcopale, dicendo: "Dal momento che ci professiamo membri di una Chiesa "cattolica" o universale, noi dobbiamo manifestare una attenzione particolare per il benessere di tutti nel mondo... Noi ci impegnamo in questa visione globale" ("Economic Justice for All", 363). E ancora: "L'interdipendenza del mondo significa una struttura di problemi umani tra loro collegati. Importante quanto la pace nell'era nucleare, non risolve o dissolve l'altro più grande problema dei nostri giorni" ("The Challenge of Peace", III, B, 3).

Per la Chiesa, la solidarietà è un atteggiamento morale e sociale da educare, una virtù da praticare, un dovere da esprimere in molte forme di fraterna assistenza e collaborazione. Dal momento che la solidarietà è determinante nel progresso sociale, la Chiesa negli ultimi decenni ha sentito il bisogno di mettere in evidenza la dimensione mondiale. Questa dimensione mondiale o carattere universale della dottrina sociale della Chiesa ha caratterizzato la "Mater et Magistra", la "Gaudium et Spes" e la "Populorum Progressio", e ora è stata ulteriormente approfondita nella mia enciclica "Sollicitudo Rei Socialis". Per citare Paolo VI a questo proposito: "Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale" (Pauli VI PP 3).


4. La solidarietà è in sé rilevante come virtù umana e cristiana, ma è ancor più rilevante nel suo rapporto con la pace. E' certo un fattore di pace nel mondo moderno, e quando include la solidarietà nella verità, libertà, giustizia e amore, diventa una solida base per un nuovo ordine mondiale. La solidarietà è un fattore di pace in quanto è fondamentale per lo sviluppo: "Lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità" (Pauli VI PP 43).

E' importante per la Chiesa rendersi conto che ella esercita la solidarietà con il mondo intero come espressione della sua vita ecclesiale. La sua preoccupazione sociale, come il suo zelo evangelico, non conosce confini, proprio perché ella è la Chiesa, "come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

Nello stesso tempo, la Chiesa per sua volontà vive la solidarietà con una dimensione ecumenica ed interreligiosa, che ella considera estremamente importante. Ella vive per servire - come Cristo - la causa dell'umanità: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). La Chiesa sa anche di dover imitare i sentimenti di Cristo verso l'umanità; ella spesso ricorda le sue parole: "Sento compassione di questa folla" (Mt 15,32).


5. Con questi sentimenti la Chiesa è chiamata a comprendere e a fronteggiare una molteplicità di bisogni tra loro differenti, dimostrando la sua solidarietà e offrendo aiuto secondo i suoi mezzi e la sua specifica natura. Questa grande apertura agli altri è stata caratteristica della Chiesa degli Stati Uniti. E' un dono di Dio nel cuore del vostro popolo; deve essere alimentato, conservato, ponderato e messo in azione. Nel corso della mia prima visita negli Stati Uniti nel 1979, così ho parlato ai Vescovi a Chicago: "L'evidente interessamento per gli altri è stato un impegno fattivo del cattolicesimo americano, ed oggi ringrazio i cattolici americani per la loro grande generosità... Per me quindi questa è un'ora di solenne gratitudine" ("Allocutio ad sacros Praesules Conferentiae Episcopalis Americae Septemtrionalis in urbe "Chicago", habita", die 5 oct. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 [1979] 629ss). Nuovamente esprimo questi sentimenti.

La solidarietà di cui parliamo è quella vera che si esprime in uno spirito di condivisione, unito a una sensibilità umana, e motivato dalla carità soprannaturale. E' una preoccupazione sociale che abbraccia tutti gli uomini, donne e bambini nella globalità della loro persona, che comprende i loro diritti umani, la loro condizione in questo mondo e il loro destino eterno. Non possiamo prescindere da nessuno di questi elementi. E' una solidarietà che accetta e sottolinea l'uguaglianza della dignità umana fondamentale e si traduce in preghiera, con la formula di Gesù: "Padre nostro... Dacci oggi il nostro pane quotidiano".

Tutte le necessità dell'uomo entrano nella preoccupazione della Chiesa e invitano al coinvolgimento di tutti i suoi membri. Come ho scritto, la collaborazione è l'atto proprio della solidarietà (cfr. SRS 39), e insieme la solidarietà e la collaborazione sono mezzi per difendere i diritti umani e per servire la verità e la libertà degli uomini. Che meraviglia questa solidarietà cresciuta negli Stati Uniti oggi tra tanti uomini e donne di buona volontà che si impegnano nella difesa e il servizio della vita! Davvero essi contribuiscono a questo grande ideale americano di "libertà e giustizia per tutti!".

La solidarietà è una risposta alla sfida di Cristo e quando viene vissuta nel nome di Cristo e della sua Chiesa, viene fatto senza distinzione di credo, sesso, razza, nazionalità o appartenenza politica. L'intenzione ultima può essere solo la persona umana nel bisogno.


6. Tra i segni positivi di una nuova preoccupazione morale nel mondo, una preoccupazione in aumento tra i cattolici degli Stati Uniti, ci sono non solo una rinnovata consapevolezza della dignità dell'uomo, ma anche la convinzione della fondamentale interdipendenza di tutti gli uomini, soprattutto nell'affrontare la povertà e il sottosviluppo. Di conseguenza, c'è una coscienza crescente del fatto che la pace è indivisibile e che lo sviluppo reale è condiviso da tutti o non è vero sviluppo (cfr. SRS 17). Da questo punto di vista vediamo come sono importanti le relazioni economiche e commerciali tra i paesi e i popoli del mondo, e come è importante che in questo campo ci sia giustizia.

In quanto pastori del Popolo di Dio, voi avete chiesto di riflettere sull'indivisibilità della pace e sulle conseguenze dell'interdipendenza economica.

Voi avete dichiarato che "tutti noi dobbiamo affrontare la realtà di questi legami economici e le loro conseguenze e vederli come una grazia... che può unire tutti noi in una stessa comunità della famiglia umana" ("Economic Justice for All", 363).


7. Il ventesimo anniversario della "Populorum Progressio" ha offerto alla Chiesa intera l'opportunità di riflettere ancora sul significato e contenuto dell'autentico sviluppo umano, per gli individui e per i popoli. Questa riflessione deve continuare nella Chiesa per l'importanza di questo tema legato alla sua missione di servizio nel nome di Cristo. Le dimensioni integrali, interiori e trascendenti del progresso umano meritano attenzione, così come i fattori economici, sociali e culturali del sottosviluppo e della povertà.

La mia ultima enciclica ha cercato di risottolineare la realtà trascendente dell'essere umano e perciò di precisare nuovamente il significato dell'autentico sviluppo per la natura specifica dell'uomo. Da questi principi derivano molte conclusioni a favore della dignità dell'uomo. Il sottosviluppo in tutte le sue forme si identifica e combatte più facilmente quando si conosce la vera natura dello sviluppo. La distinzione tra "essere" e "avere" resta essenziale per la comprensione dell'autentico progresso. Per questa ragione Paolo VI preciso che l'esclusiva ricerca dell'avere è un ostacolo reale allo sviluppo e che "l'avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale" (Pauli VI PP 19). Se consideriamo l'importanza dei diritti umani per la persona umana, risulta chiaro che essi debbono essere difesi con forza in ogni programma di sviluppo. A questo scopo devono essere mobilitate tutte le risorse della solidarietà umana. E' evidente l'insufficienza degli sforzi individuali. Occorre concentrare gli sforzi per identificare l'autentico progresso e per assicurare che tutti lo raggiungano, attraverso la solidarietà universale.


8. Povertà e sottosviluppo sono settori cui dedicare particolare cura sociale. A livello internazionale il sottosviluppo dei popoli è accompagnato e aggravato dall'enorme problema del debito estero. I singoli problemi della fame, dei senza tetto, la disoccupazione e la sotto-occupazione sono enormi e richiedono la collaborazione creativa di ogni comunità ecclesiale.

Un esempio straordinario della solidarietà creativa dei cattolici americani è il "Catholic Relief Services" (Servizio Cattolico di Assistenza), fondato dai Vescovi americani nel 1943 in Europa e in Nord Africa.

Successivamente, e con non minor creatività, l'organizzazione ha risposto, per conto della Chiesa cattolica degli Stati Uniti, ad altri bisogni in tutto il mondo, ed è ancora conosciuta oggi come "la struttura ufficiale di aiuto e sviluppo oltre-oceano dei cattolici americani". Questa organizzazione, che tanto ha fatto in passato, e ancora è così necessaria per un efficace servizio nel mondo di oggi, è un risultato dell'applicazione dei principi su cui ci siamo soffermati a riflettere.

Nel caso del "Catholic Relief Services", i Vescovi americani hanno pensato e stabilito un completo programma ecclesiale sulla base dei principi di interdipendenza, solidarietà e collaborazione, da portare avanti con acuta sensibilità umana e la potenza della carità cristiana. La motivazione ultima della solidarietà (per la Chiesa e le sue istituzioni) resta l'amore di Dio, in Cristo, per tutti gli uomini: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16).


9. A fianco di queste preoccupazioni sociali c'è e ci deve essere sempre la risposta della Chiesa ai bisogni più elevati dell'umanità. La sua missione religiosa spinge la Chiesa, "opportune et inopportune", a ripetere con Gesù: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4 cfr. Dt 8,3). Come il Verbo incarnato - e finché egli tornerà nella gloria - la Chiesa deve continuare a vivere la solidarietà con tutti gli uomini, consapevole del fatto centrale della storia: "il Verbo si è fatto carne" (Jn 1,14).

Cari fratelli: nell'amore di Cristo invio i miei saluti e benedizioni alle vostre Chiese locali perché siano forti e pratichino la solidarietà nel suo nome.


Data: 1988-09-09 Data estesa: Venerdi 9 Settembre 1988





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