GPII 1988 Insegnamenti - Visite pastorali del Vescovo di Roma - Roma


1. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Mc 13,31).

Noi sperimentiamo costantemente il fatto che tutto passa. Il mese di novembre ce lo ricorda in modo particolare, iniziando dalla solennità di Tutti i Santi e dalla Commemorazione di tutti i fedeli defunti.

Anche l'anno liturgico s'avvia verso la conclusione. Questa ne è la penultima domenica; nell'ultima celebreremo la solennità di Cristo Re: di Cristo le cui "parole non passeranno". Infatti egli stesso è l'inizio della vita eterna, e la sua parola rende testimonianza a tutto ciò che non passa, che è da Dio e che a Dio conduce.

Così dunque sulla scena del mondo che passa e dell'uomo con esso si apre l'orizzonte del Regno di Dio.


2. Cristo ci conduce verso questo regno come redentore, come sacerdote nella nuova ed eterna alleanza. Ce lo ricorda la liturgia nella lettera agli Ebrei: Gesù Cristo "avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio" (He 10,12). Con questo unico sacrificio "egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati" (He 10,14).

Intanto il passare dell'uomo sulla terra è già compenetrato dal sacrificio di Cristo, il cui valore e la cui potenza non passano. Questo sacrificio redentore imprime sul nostro passaggio terreno il segno della santità di Dio stesso. Noi trapassiamo avvicinandosi a colui che è tre volte santo.

Di tale passaggio ci parla appunto la liturgia di questa domenica.


3. E perciò le parole del salmo che abbiamo ascoltato allontanano da noi ogni tristezza.

Sono piene della gioia divina: "Il Signore è mia parte di eredità / e mio calice: / nelle tue mani è la mia vita" (Ps 16[15],5).

Quante cose dice il salmista con queste parole ispirate! Portiamo in noi un'eredità divina per opera del Figlio-Verbo, che si è fatto uomo per rivelarci il nostro eterno destino in Dio: così bisogna vedere la "sorte" dell'uomo. Quante volte l'uomo si lamenta della sua "sorte" terrena! La vita dell'uomo è nelle mani di Dio. Cristo, il salvatore del mondo, è colui che prende nelle sue mani la vita di ogni uomo.

Occorre soltanto che - secondo le parole del salmo - l'uomo ponga sempre innanzi a sé il Signore.

Allora non vacillerà, perché lui è alla sua destra (cfr. Ps 16[15],8).


4. Lui - Cristo, lui, le cui parole non passeranno, è colui del quale continua a parlare il salmo: "Mi indicherai il sentiero della vita, / gioia piena nella tua presenza, / dolcezza senza fine alla tua destra" (cfr. Ps 16[15],11).


5. In questo modo al di là della tristezza causata dalla fragilità umana, al di là della dolorosa necessità del morire, che è la "sorte" umana dell'uomo, si schiudono le prospettive della speranza.

"Di questo gioisce il mio cuore - dice il salmista - / esulta la mia anima; / anche il mio corpo riposa al sicuro, / perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, / né lascerai che il tuo santo veda la corruzione" (Ps 16[15],9-10).

La speranza di aver la vita! La speranza di aver la vita eterna! Il salmo ha uno specifico carattere messianico. Parla di Cristo che accetto la morte di croce e che abito "nel sepolcro", per rivelare con la sua risurrezione la vittoria sulla morte; per fare l'uomo partecipe di questa vittoria. Infatti egli è venuto perché noi tutti abbiamo la vita e l'abbiamo in abbondanza (cfr. Jn 10,10).


6. La caducità del mondo porta su di sé il segno di una "tribolazione", il segno di una multiforme sofferenza. Tuttavia questa tribolazione e questa sofferenza sono, secondo le parole di Cristo, preparazione alla venuta del Figlio dell'uomo.

"Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire... con grande potenza e gloria" (Mc 13,26).

La Chiesa, celebrando la liturgia eucaristica, sta quotidianamente di fronte al mistero di questa fede e grida: "Annunziamo la tua morte, Signore, / Proclamiamo la tua risurrezione, / Nell'attesa della tua venuta".

Tale è il ritmo del passare dell'uomo in Cristo, mentre sta dinanzi al mistero di Dio stesso - mentre l'Eucaristia è presente costantemente nella Chiesa come frutto della Parola che non passa mai.

E il giorno della fine del tempo è conosciuto soltanto da Dio. "Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre" (Mc 13,32).


7. Il mistero di questo passare dell'uomo in Cristo si vive in pienezza nella comunità ecclesiale, nell'assemblea liturgica. Di qui l'importanza del convenire insieme, del prendere parte alla vita della parrocchia e del sentirsi membri vivi ed operanti della Chiesa e nella Chiesa. Sono lieto di poter vivere oggi questo mistero in mezzo a voi, fedeli della parrocchia di Santa Maria Maggiore in San Vito: è il mistero di Cristo che muore e che risorge, il mistero della pasqua della settimana, che è la domenica; il mistero del passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalle tenebre alla luce. Sono venuto tra voi, cari fratelli e sorelle, per incoraggiarvi a continuare in questo sforzo di trasformazione spirituale, di cambiamento di bene in meglio della vostra situazione di cristiani impegnati, di cammino nella vostra fede.


8. Unitamente al Cardinale vicario Ugo Poletti e al Vescovo ausiliare monsignor Filippo Giannini, porgo il mio cordiale saluto al vostro parroco, monsignor Sisto Gualtieri, e ai sacerdoti suoi collaboratori nella cura pastorale di questo antico centro storico dell'Esquilino, posto sotto la celeste protezione della Vergine santissima, che veglia maternamente su tutti gli abitanti dalla splendida Basilica di Santa Maria Maggiore.

Un saluto particolarmente affettuoso giunga a tutti voi qui presenti ed agli appartenenti ad istituti operanti nell'ambito delle attività parrocchiali: ai superiori ed alunni dell'Istituto Orientale, del Seminario Lombardo, del Collegio Russicum, della Facoltà Teologica Alfonsiana; alle numerose famiglie religiose dimoranti in questa zona ed attive nell'opera di evangelizzazione: mi riferisco alle Suore di santa Elisabetta, alle Oblate del Bambin Gesù, alle Domenicane di santa Caterina da Siena, alle Missionarie Comboniane di san Pietro Claver, alle Discepole del Redentore, alle Figlie della Sapienza, alle Pie Discepole del Divin Maestro, alle Piccole Suore della sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone, alle Suore di Madre Teresa di Calcutta e alle Suore della santa Famiglia.

Saluto ancora i vari gruppi e associazioni che assistono il parroco nelle sue quotidiane incombenze: i membri del consiglio pastorale e per gli affari economici, dell'associazione dell'Azione Cattolica, del Gruppo 2000, che si interessa delle persone sole, anziane o ammalate; del circolo delle ACLI, che svolge l'opera di patronato sociale.

A tutti questi gruppi esprimo la mia gratitudine e il mio incoraggiamento a ben continuare nell'attività loro assegnata, prestando il loro prezioso contributo affinché la comunità parrocchiale sia sempre più viva e vitale, e sempre più cosciente della propria vocazione a partecipare alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

La vostra Chiesa è stata restaurata e riportata alle sue primitive linee architettoniche.

Mi fa piacere sapere di questo interessamento per il decoro della casa di Dio, ma occorre che essa diventi ora una Chiesa viva, perché non bastano le pietre a dare gloria a Dio. Occorre che essa diventi sempre più un luogo di preghiera, di elevazione spirituale e di solidale fraternità; occorre che ognuno senta la necessità di respingere ogni forma di individualismo e di chiusura nel proprio egoismo, e si apra alla comunione, alla condivisione ed alle esigenze comunitarie.

Non trascurate di frequentare la vostra Chiesa sia per la celebrazione eucaristica, in cui si rinnova il sacrificio della morte e risurrezione del Signore, sia per capire ed approfondire il proprio essere ed agire da cristiani al servizio dei fratelli. Incrementare l'impegno catechistico: la catechesi aiuta a diventare cristiani pienamente maturi; favorite incontri di catechesi non solo per i ragazzi, ma anche per i giovani e gli adulti. La cultura religiosa allarga la mente e il cuore per una migliore comprensione del valore della vita e delle responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini. Solo così il vostro passaggio su questa terra avrà un significato, perché ispirato a quelle "parole che non passano".


9. Fratelli e sorelle! La liturgia dell'odierna domenica parla del passare di ogni cosa, indicandoci nello stesso tempo la direzione verso ciò che non passa.

Questa liturgia è un grande insegnamento.

E contemporaneamente è una grande chiamata.

La chiamata è contenuta nelle parole di Cristo: "Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza... di comparire davanti al Figlio dell'uomo" (Lc 21,36).

Accogliamo questo appello.

Amen! [Al consiglio pastorale e ai catechisti] Penso anch'io che voi siete una comunità, una parrocchia di frontiera comprendente le varie realtà che avete elencato. E lo è anche se si prende in considerazione una grande realtà soprannaturale, che si chiama Santa Maria Maggiore. Ecco, occorre che la vostra parrocchia - che è anche dedicata a Santa Maria Maggiore, Santa Maria Maggiore in san Vito - occorre che la vostra parrocchia sappia bene coordinare, sappia bene avvicinare queste due realtà.

Perché essere di frontiera è anche una cosa positiva. Attraverso questa frontiera le persone, i gruppi, le comunità devono saper passare dal male al bene, dal peccato a Santa Maria Maggiore, dove non mancano confessionali...

Vi auguro di continuare la vostra opera con questa speranza, espressa dal vostro rappresentante. A tutti i membri del Consiglio pastorale auguro di essere consiglieri efficaci per il vostro parroco, in questa parrocchia di frontiera. E a ciascuno impartisco la benedizione del Signore.

[Ai rappresentanti delle associazioni] Vi ringrazio per la vostra relazione, che non era solo informativa, ma programmatica, analitica. Vi ringrazio per i doni significativi. Ringrazio tutti i gruppi. Nell'omelia, in chiesa, ne ho elencati parecchi. Qui ce ne sono tre: ACLI, Azione Cattolica e un gruppo che richiede una parola particolare visto che si interessa dell'età e anch'io ho superato i cinquant'anni.

E' comunque una bella cosa che di questa realtà degli anni e dell'età si preoccupi qui un "Gruppo 2000": vuol dire che si guarda al futuro. E' un nome coraggioso, il vostro. E' vero che il 2000 non è tanto lontano, ma sono pur sempre dodici anni...

Vi auguro di camminare verso il 2000 con grande coraggio. Quanto alla solitudine mi sono venute in mente queste parole, forse di san Bruno: O beata solitudine, tu sola beatitudine... Ecco, la solitudine può essere anche una benedizione di Dio, un luogo, una circostanza di felicità.

Auguro a questi solitari di poter trovare, con la presenza del Signore, con la sua grazia, con la vicinanza della madre di Cristo, che è la patrona principale di questa parrocchia - Santa Maria Maggiore - di poter trovare la felicità: non più tristezza, amarezza, ma una felicità di speranza, e che possano puntare non solo al 2000, ma ancora oltre. Vi benedica tutti Dio onnipotente.

[Alle numerose comunità religiose femminili presenti nel territorio parrocchiale] Avete cantato "Chiesa di Dio, popolo in festa, il Signore è con te". Il Signore, si, il Signore è con te, in modi tanto diversi. E' con te con la sua presenza storica, con la sua presenza fisica, eucaristica, sacramentale. Il Signore è con te attraverso le vocazioni diverse, i carismi diversi. Il Signore, sposo, è con te attraverso le sue spose. E tutta la Chiesa è sposa di Cristo.

Questo mistero viene espresso dalla vostra vocazione. Chiesa, sposa di Cristo...

Voi portate nei vostri cuori, nella vostra vocazione, nelle vostre attività, nelle vostre preghiere, nelle vostre sofferenze, ciascuna di voi porta questo mistero della Chiesa, questo mistero sponsale della Chiesa. Attraverso di voi Cristo sposo è con la sua sposa.

Vi auguro di trovare sempre in questa vostra vocazione, in questa vostra identità, una grande gioia e un grande coraggio, per incoraggiare gli altri, e anche il Papa. Benedico tutte voi qui presenti e le vostre comunità - questa parrocchia non è grande, ma è molto ricca di comunità religiose, soprattutto femminili - benedico le vostre comunità e le vostre congregazioni.

[L'impegno affidato alla gioventù] Il vostro collega ha parlato e da lui ho imparato parecchie cose. Per esempio, ho imparato che don Sisto, il vostro parroco, qualche volta scherza. Pero non avete detto niente del giovane collaboratore che gli sta a fianco... Ho imparato molto della vostra comunità giovanile, dei vostri impegni, delle vostre aspirazioni e ricerche, della vostra fedeltà nella preghiera, nello stare insieme davanti all'altare, a questa icona di Gesù nella chiesa.

Ecco, adesso vorrei attirare la vostra attenzione su due parole. La prima è la parola crescita. E' una parola usata dal vostro rappresentante in relazione alla fede. Crescere nella fede... E questo è molto importante perché a volte si parla di mancanza di fede e di perdita della fede. Tra i giovani, ma non solo fra i giovani. Ebbene, questa perdita, questo crollo della fede sono causati appunto dalla mancanza di una crescita nella fede. Perché la fede è una realtà organica. Se non cresce può indebolirsi, affievolirsi, e può anche morire, crollare. E allora, non lasciamo mai che la fede sia passiva, cerchiamo sempre di farla crescere.

L'altra parola che mi ha colpito è la parola approfondimento. Essa corrisponde alla prima perché, se da una parte con la crescita nella fede noi entriamo sempre più nel misterioso, soprannaturale mondo di Dio, con l'approfondimento entriamo sempre più nel nostro mondo interiore, conosciamo noi stessi, conosciamo il mistero dell'uomo. Perché anche l'uomo è mistero. Il Concilio Vaticano II ha detto che, con questo mistero dell'uomo, Cristo rivela a ciascuno di noi non solo Dio, ma anche l'uomo.

Ecco allora che approfondire vuol dire entrare nel proprio io umano, nella propria personalità, nella propria vocazione, entrare di più in questo mistero, che è il mistero della coscienza, della coscienza morale da cui traggono origine il bene e il male. Conoscere se stessi, come diceva sant'Agostino: "Cognoscam te, cognoscam me", queste due cose vanno insieme.

Vorrei augurarvi di camminare sempre su questa duplice strada: crescere nella fede, crescere nell'amore di Dio; e crescere anche nell'approfondimento della propria personalità e dignità umana. Questo programma non è centrato solo su un singolo uomo, non è un programma egocentrico. E' invece un programma allo stesso tempo comunitario e sociale. Perché l'uno e l'altro, la crescita nella fede e l'approfondimento di noi stessi devono portarci a vivere di più per gli altri.

Non ci può essere un altro frutto, un'altra conseguenza logica di questo duplice processo: accrescimento nella fede e approfondimento della nostra personalità umana. Vivere sempre più per gli altri, come Cristo. Cristo è il perfetto esempio di una tale crescita, di una tale liberazione dell'uomo. Vi auguro tutto questo nell'ambito delle vostre occupazioni, nei momenti di gioia e anche in quelli di sofferenza, e lo auguro per tutti i vostri cari. E insieme a loro vi benedico.


Data: 1988-11-13 Data estesa: Domenica 13 Novembre 1988




Presso la tomba di san Stanislao Kotska - sant'Andrea al Quirinale (Roma)

Titolo: "All'inizio del secondo decennio di ministero petrino ho voluto continuare il mio cammino con san Stanislao Kostka

Testo:

Amatissimo Padre generale, desidero ringraziarla per le sue parole così buone. Ci troviamo qui davanti ad una comunità composta dai padri gesuiti, perché è la vostra casa. Saluto tutti i membri della Compagnia, come anche saluto tutti i membri delle associazioni che trovano qui, nella chiesa di sant'Andrea al Quirinale, vicino alla tomba di san Stanislao Kostka, il loro centro spirituale.

"Consumatus in brevi, explevit tempora multa". Tutti ricordiamo queste parole che fanno una sintesi della vita del nostro santo. Le abbiamo recitate tante volte nella liturgia.

Veramente è una figura straordinaria per la brevità della vita e per la maturità della sua vocazione cristiana e religiosa.

Io, personalmente, cammino da tanti anni della mia vita, dagli anni dell'infanzia, non solamente della giovinezza, cammino assieme a questo santo patrono della gioventù specialmente in Polonia. E ho camminato anche qui a Roma, essendo vicino, come studente del Collegio Belga. Quasi ogni giorno venivo a pregare san Stanislao Kostka, a pregarlo e a cercare da lui una illuminazione spirituale, un aiuto. E la stessa abitudine avevano molti giovani studenti di diverse nazionalità, di diversi collegi. Mi ricordo molti giovani studenti tedeschi con il loro abito talare rosso - oggi scomparso - che, venivano qui, da san Stanislao Kostka.

Volevo continuare questo cammino che faccio con lui all'inizio del secondo decennio di questo mio ministero petrino a Roma.

Così ho sentito una necessità, un impulso, quasi un imperativo del cuore a venire proprio oggi, 13 novembre, presso la sua tomba, nel luogo dove egli ha compiuto il suo cammino terrestre e dove ha attraversato la soglia del cielo a cui sempre aspirava.

[Il Papa ha poi proseguito in lingua polacca:] Desidero rivolgermi ora ai miei connazionali riuniti qui davanti alla tomba di san Stanislao Kostka, il nostro caro patrono, il patrono dei giovani polacchi e non soltanto polacchi. Lo si capisce proprio qui a Roma. Il cammino della sua breve vita, iniziatosi a Rostkow in Mazowsze, attraverso Vienna e poi sino a Roma, lo si può paragonare ad una grande corsa verso la meta della vita di ogni cristiano qual è la santità.

La sua figura mi fa affiorare alla mente alcuni ricordi. Voglio rievocarne uno. Risale al 1962, il primo anno del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Quel giorno il servo di Dio Giovanni XXIII invito tutti noi Vescovi polacchi, e non solo polacchi, riuniti al Concilio, proprio qui in questa chiesa di sant'Andrea al Quirinale, Santuario di san Stanislao Kostka. Non dimenticheremo mai quel gesto d'amore verso il santo, verso la nostra patria e verso la nostra Chiesa in Polonia.

Quando ci troviamo dinanzi a questo straordinario personaggio i nostri pensieri vanno immediatamente ai giovani di tutto il mondo, ma soprattutto ai giovani della nostra Patria. Si, san Stanislao ebbe una giovinezza difficile, anche se veniva da una famiglia ricca, aristocratica, quasi regale. Anche i giovani polacchi d'oggi hanno una giovinezza difficile; a volte credono di non essere in grado di affrontare la vita; a volte cercano soluzioni al di fuori della patria. Per tutti, per quanti lasciano la patria e per quanti restano, san Stanislao possa essere il patrono, il patrono delle difficili vie della vita polacca, della vita cristiana. Cerchiamo sempre in lui il sostegno per l'intera gioventù polacca, per tutta la Polonia giovane. Egli è stato un grande cultore della Madonna: sebbene questa caratteristica non ci appartenga esclusivamente, tuttavia, lo ha unito in modo speciale a noi, alla nazione polacca. Fin dall'infanzia, fin dal periodo vissuto nella sua abitazione paterna, egli era unito a tutti i suoi connazionali nel grande amore verso la Madre santissima. E alla vigilia dell'Assunzione Maria lo chiamo in cielo. Affidiamo a Maria, Regina della Polonia, la nostra patria e la nostra nazione.

Credo che farà piacere a tutti concludere questo nostro incontro cantando l'"Appello di Jasna Gora".


Data: 1988-11-13 Data estesa: Domenica 13 Novembre 1988




All'Ambasciatore del Gambia presso la Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fondazione "Giovanni Paolo II" per il Sahel contributo alla pace, alla stabilità e allo sviluppo

Testo:

Signor Ambasciatore.

Sono lieto di riceverla e accogliere le lettere credenziali con cui sua eccellenza Alhaji Sir Dawda Kairaba Jawara, Presidente della Repubblica del Gambia, l'ha accreditata come ambasciatore straordinario e plenipotenziario presso la Santa Sede. Gli ossequi e i voti trasmessi da parte sua sono molto graditi e la prego di assicurare sua eccellenza delle mie preghiere per il bene suo e di tutto il popolo del suo Paese.

Come vostra eccellenza ha detto, le relazioni tra il Gambia e la Santa Sede sono caratterizzate da cordialità e rispetto vicendevole, poiché abbiamo in comune la preoccupazione di promuovere la pace, la giustizia e la libertà. E' mia speranza che nel corso della sua missione i legami tra noi si rafforzeranno ulteriormente, e il contributo della Chiesa cattolica allo sviluppo integrale del suo Paese aumenterà.

Ho notato con soddisfazione il suo accenno al ruolo significativo della Chiesa nel progresso del Gambia come stato nazionale ancor prima dell'avvento dell'indipendenza nel 1965. A cominciare dai primi missionari giunti tra la sua popolazione, la Chiesa ha cercato di servire da lievito per la trasformazione della società. Come lei ben sa, la Chiesa ritiene il suo contributo in questa sfera come parte essenziale della sua missione religiosa (cfr. GS 42). Ella considera le sue iniziative di sostegno ai programmi di assistenza e gli sforzi per migliorare la qualità della vita come realizzazione delle sue responsabilità verso Dio e il prossimo. Allo stesso modo, pensa che non ci deve essere opposizione tra l'impegno professionale e sociale e la vita religiosa (cfr. GS 43).

Il contributo della Chiesa allo sviluppo del suo Paese è garantito dalla difesa, da parte del governo, del prezioso diritto alla libertà religiosa.

Riguardo a questo fondamentale diritto umano, ho scritto nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno: "La libertà religiosa, in quanto attinge la sfera più intima dello spirito, si rivela punto di riferimento e, in certo modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali... Lo stato non può rivendicare una competenza, diretta o indiretta, sulle convinzioni religiose delle persone. Esso non può arrogarsi il diritto di imporre o di impedire la professione e la pratica pubblica della religione di una persona o di una comunità" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1988", 1, die 8 dec. 1987: , X, 3 [1987] 1334).

L'eccellenza vostra ha parlato del lavoro pionieristico della Chiesa nel campo dell'educazione notando che ha lasciato una traccia indelebile nella storia del suo Paese. Sono lieto nel constatare che le scuole cattoliche nel Gambia hanno dato un contributo così rimarchevole e godono di un'ottima fama. La Chiesa s'impegna per fornire un'educazione di buon livello impregnata di spirito evangelico. Tramite le sue scuole cerca di promuovere lo sviluppo integrale della persona per il bene della società (cfr. GE 3).

Ho molto gradito le sue amabili parole sull'impegno di aiuto nella regione del Sahel. Questi programmi sono primariamente agricoli e toccano perciò la maggioranza della vostra popolazione, che vive in zone rurali. Noto con piacere che la creazione della "Fondazione Giovanni Paolo II" per il Sahel ha fatto un gran bene al popolo del Gambia come pure di altri Paesi in quella regione. E' mia speranza che questi programmi, soccorrendo le vittime della siccità e attuando progetti specifici per la lotta contro la desertificazione e le sue cause, serviranno la causa delle pace e della stabilità, che sono davvero condizione necessaria per lo sviluppo.

Lei ha ricordato che il suo governo ha sempre accolto con favore gli incessanti sforzi della Santa Sede, a livello internazionale, per promuovere la pace e la comprensione tra i popoli e le nazioni. Come l'eccellenza vostra sa, queste iniziative si basano sulla fondamentale dignità di ciascun essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio.

La comune dignità cui partecipiamo in quanto membri della razza umana, esige che noi viviamo in armonia e nel mutuo rispetto, e che ci impegnamo per il bene comune. La coesistenza pacifica si realizzerà solo quando ognuno sarà convinto della nostra universale fraternità.

Signor Ambasciatore, all'inizio della sua missione, le assicuro la mia preghiera per un positivo svolgimento dei suoi compiti. I dicasteri della Santa Sede saranno sempre disponibili ad aiutarla nel compimento delle sue responsabilità. Sulla sua persona e sul Presidente, il governo e il popolo del Gambia invoco copiose benedizioni divine.


Data: 1988-11-14 Data estesa: Lunedi 14 Novembre 1988




Alla Plenaria di "Iustitia et Pax" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Forte richiamo al carattere universale e alla portata spirituale dei diritti umani

Testo:

Signori Cardinali, cari fratelli nell'episcopato, signore e signori.


1. Nel corso del colloquio di questi giorni sul tema "La Chiesa e i diritti dell'uomo", voi avete desiderato incontrare il Vescovo di Roma. Con piacere ricevo oggi e ringrazio il Cardinale Roger Etchegaray di aver richiamato in apertura lo spirito che anima i vostri incontri. I vostri lavori riguardano un tema particolarmente attuale in diverse regioni del mondo. Trattandosi di diritti il cui libero esercizio condiziona la pace, nel rispetto della dignità della persona umana, la Chiesa continua ad esserne preoccupata e a contribuire in modo positivo alla loro difesa. L'esistenza stessa della Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" tra i dicasteri della Santa Sede ne è un segno eloquente. Desidero esprimere la mia soddisfazione per l'iniziativa messa in atto dalla commissione, e ringrazio tutte le personalità che hanno aderito all'invito e hanno portato all'incontro il contributo della loro esperienza e competenza negli organismi internazionali direttamente impegnati nella difesa dei diritti dell'uomo. La presenza, accanto ai membri della Pontificia Commissione, di pastori, teologi, filosofi, giuristi e rappresentanti di organizzazioni ecclesiali specifiche, provenienti da diverse parti del mondo, dà alle vostre ricerche l'ampiezza di vedute che il tema scelto richiede.


2. Due importanti anniversari hanno ispirato l'iniziativa del vostro colloquio.

Sono lieto che partecipiate alla loro celebrazione approfondendone il significato.

In effetti, il Papa Giovanni XXIII ha pubblicato, venticinque anni fa, l'enciclica "Pacem in Terris". E quarant'anni fa, l'ONU ha proclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo. I due avvenimenti, come ben sapete, hanno tra loro un rapporto.

Il mio predecessore, Giovanni XXIII, inaugurando i lavori del Concilio Vaticano II, ha voluto dire al mondo, in un ultimo sforzo di zelo pastorale, l'urgenza di costruire la pace su solide fondamenta umane ed il desiderio della Chiesa di partecipare a questo lavoro che riguarda tutta l'umanità. Egli lanciava questo appello in un momento di grandi tensioni internazionali: lo sviluppo degli armamenti nucleari dava ad alcune crisi una gravità che minacciava tutto il mondo.

Nello stesso tempo, numerose nazioni giungevano all'indipendenza, la crescita economica sembrava ricca di promesse senza limiti. E tuttavia la disuguaglianza nella distribuzione dei beni restava forte. La divisione tra Est ed Ovest si irrigidiva. Gli spiriti erano divisi tra l'ottimismo provocato dallo sviluppo inaudito dei mezzi tecnici ed economici e la paura di conflitti catastrofici, a meno di vent'anni dalla seconda guerra mondiale.


3. Con un insegnamento chiaro e convincente, il Papa diceva a tutti "gli uomini di buona volontà" che era necessario fare la pace, e che non si poteva farlo senza il rispetto dei diritti dell'uomo, nella verità, la giustizia, la carità, la libertà.

Egli accoglieva come segno positivo lo sforzo di intenti che aveva portato alla fondazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo. Esprimeva l'accordo della Chiesa con l'essenza del documento, che voleva essere un autentico patto a favore di tutti gli uomini, a cominciare dai più indifesi e minacciati. Le Nazioni Unite avevano dichiarato esplicitamente che "il mancato riconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno condotto ad azioni di barbarie che ripugnano alla coscienza dell'umanità" ("Déclaration universelle des Droits de l'Homme", Préambule). Si era voluto reagire alla degradazione dell'uomo, al disprezzo della sua libertà e coscienza, che avevano in tempi recenti portato alle peggiori sventure.

Giovanni XXIII, riprendendo le grandi ispirazioni di Leone XIII e gli appelli dei Papi durante i due grandi conflitti mondiali ha presentato una notevole sintesi dei fondamenti e le condizioni della pace, che ha ricevuto un' ottima accoglienza anche al di fuori dell'ambito cattolico. Il Concilio Vaticano II ha continuato questa analisi, per meglio esprimere le preoccupazioni e il compito della Chiesa nel mondo contemporaneo. Le vie così aperte hanno permesso ai cristiani di approfondire il loro dialogo con quanti cercavano di consolidare la pace nel rispetto delle aspirazioni essenziali dell'uomo.


4. A un quarto di secolo dal messaggio di Giovanni XXIII e del Vaticano II, così approfondito da Paolo VI, la vostra riflessione sarà utile per fare il punto e chiarire con sempre maggior forza un insegnamento di cui la Chiesa sente l'urgenza. La Santa Sede si è spesso pronunciata sul tema dei diritti dell'uomo, sia attraverso il suo specifico magistero che nelle assise internazionali; io stesso ho avuto occasione di farlo in diverse circostanze, come all'ONU a New York e, qualche settimana fa, davanti alla Corte e alla Commissione Europee dei Diritti dell'uomo a Strasburgo. L'accoglienza riservata alla riflessione cristiana sui diritti dell'uomo costituisce un segno evidente dello spazio considerevole accordato alla difesa di questi diritti da parte delle organizzazioni internazionali e degli stati. Ma sappiamo bene che c'è ancora tanta strada da fare.

Nel corso di quest'incontro, per necessità breve, non tocchero tutti i temi da voi affrontati nel corso del vostro colloquio. Desidero tuttavia sottolineare il carattere universale dei diritti dell'uomo - come testimonia la varietà dei partecipanti qui riuniti - e il loro significato spirituale. Da un continente all'altro, da un ambito culturale all'altro, si prende coscienza di questo prezioso bene comune che è, in fondo, l'uomo stesso. L'essere umano è tale in quanto capace di libertà; in virtù della comune natura di tutti gli uomini, ogni società e ogni gruppo può creare le condizioni per l'esercizio di quel diritto fondamentale che chiamiamo libertà religiosa. Essi ne hanno il dovere, perché la grandezza dell'uomo viene dall'amore di cui Dio, suo Creatore, l'ha circondato facendone "l'artefice della sua riuscita o del suo fallimento" (Pauli VI PP 15). La Chiesa considera parte essenziale della sua missione il proclamare la dignità dell'uomo creato a immagine di Dio, amato da Dio al punto di essere salvato attraverso Cristo. Ecco perché i cristiani devono lavorare senza tregua per restaurare la dignità che l'uomo ha ricevuto dal Creatore e devono unire le loro forze con quelle degli altri per difenderla e promuoverla.


5. così parlando, il mio pensiero va a quegli uomini, ancora così numerosi, la cui coscienza non è ancora veramente libera di esprimersi, che aderiscono dal profondo alle più alte verità ma si vedono impediti di condividere le loro convinzioni con gli altri, di alimentarle e trasmetterle liberamente ai propri figli, di rendere in comune il culto pubblico a Dio. Desidero esprimere la sollecitudine fraterna del Papa e della Chiesa verso coloro che soffrono per la propria fede fino alle più gravi persecuzioni. Nel mondo di oggi, ci sono testimoni eroici della fede che ci ricordano, con un impegno senza riserve della loro persona, il prezzo della libertà religiosa. La loro testimonianza ci invita a comprendere quanto questa libertà di figli di Dio sia essenziale affinché sia salva la loro dignità, che è soprattutto di ordine spirituale. Non tocca forse a coloro che godono della libertà religiosa di mettere in risalto il carattere primario di tale diritto? Perché è nostra ferma convinzione che senza tale diritto di aderire ai valori spirituali e di esprimerli nella comunità, la stessa persona umana è in pericolo.


6. Nel corso di questi ultimi decenni, è fortunatamente aumentata l'attenzione rivolta ai diritti dell'uomo. Sono stati meglio precisati. Sono diventati in un certo senso un criterio per valutare la pertinenza delle decisioni dei governi o il sano fondamento degli accordi tra nazioni. Si sono create importanti istituzioni per garantire i diritti degli individui e anche delle comunità, sempre meglio riconosciuti. La Chiesa prende atto con soddisfazione di questo vasto movimento, pur sapendo che i limiti di questi sforzi si sentono ancora dolorosamente in molte zone e all'interno stesso di società che si potrebbero credere immuni da ogni genere di violenza alle persone.

Molti cristiani lavorano per la difesa dei diritti dell'uomo, spesso riuniti in associazioni volontarie ed efficienti, sostenuti dall'insegnamento della Chiesa e dall'appoggio dei pastori. Nello stesso spirito, voi avete dedicato una parte dei vostri lavori alla pastorale dei diritti dell'uomo. Desidero incoraggiare insieme a voi coloro che si impegnano in questa forma di servizio. La loro riflessione aiuta a meglio formare i giovani e gli adulti in una concezione equilibrata dei diritti dell'uomo; mette in luce i meccanismi della vita sociale e politica. La loro attività permette spesso di dare un sostegno fraterno a persone private dei diritti vitali, rendendo operativo un amore fraterno evangelico ben capace di superare le frontiere. Questo tipo d'impegno favorisce anche una collaborazione ecumenica e un dialogo costruttivo tra persone e gruppi di diversa fede ma disposti a collaborare per la promozione della dignità umana là dove è minacciata.

Auspico che questa pastorale, animata dai Vescovi e da quanti da loro delegati, applichi concretamente, nella carità, l'insegnamento dell'enciclica "Pacem in Terris" e del Concilio Vaticano II, insieme ai principi universalmente riconosciuti dopo la Dichiarazione del 1948. Mi auguro che non si tratti di iniziative riservate a gruppi specifici, ma di una preoccupazione comune e solidale di tutti.

Invoco su di voi la benedizione di Dio e prego per gli uomini e le donne del mondo che soffrono offesa alla loro dignità.


Data: 1988-11-15 Data estesa: Martedi 15 Novembre 1988










GPII 1988 Insegnamenti - Visite pastorali del Vescovo di Roma - Roma