GPII 1988 Insegnamenti - Congedo dal Mozambico - Aereoporto Internazionale di Maputo

Congedo dal Mozambico - Aereoporto Internazionale di Maputo

Titolo: Qui, nell'Africa Meridionale, il futuro dell'uomo dipende in gran parte dalla volontà degli uomini

Testo:

Eccellentissimo signor Presidente, miei cari fratelli nell'episcopato, eccellenze, cari fratelli e sorelle, e amici del Mozambico.


1. Vorrei, nel momento in cui mi congedo da voi, esprimere tutta la gratitudine che sento, per la cordiale accoglienza che ho avuto nella vostra terra, sia qui a Maputo sia a Beira e a Nampula, nonostante le circostanze, non facili, in cui si trova il vostro Paese. Ringrazio vivamente e di cuore, tramite i presenti, tutto il popolo mozambicano: grazie! Mi sento in dovere di esprimere la mia profonda gratitudine a sua eccellenza il signor Presidente della Repubblica, ai miei fratelli Vescovi, ai membri del governo, alle altre autorità e ai responsabili del destino di questo Paese. E' impossibile nominare, anche soltanto sommariamente, tutti - persone e gruppi - coloro che ho incontrato in questi giorni; d'altra parte non vorrei dimenticare nessuno. Il mio ringraziamento va a tutti. Nessuno deve sentirsi trascurato o meno apprezzato! La mia riconoscenza va anche a coloro i cui sentimenti religiosi o umanitari non si esprimono nella fede cattolica, ma che hanno voluto comunque incontrarmi sapendo che tutti, in fondo, ci prodighiamo per il bene dell'uomo.


2. Mi sia concesso di esprimere qui il mio compiacimento per il ruolo che ha avuto la Chiesa nel Mozambico nella preparazione e nello svolgimento di questa visita.

Per questo, nel ringraziare i Vescovi, ringrazio i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici, ed infine tutti coloro che hanno dato generosamente il loro tempo, il proprio talento, i loro sforzi e le loro prove di amore affinché gli incontri fossero il più possibile fruttuosi. Ho avuto la grande consolazione di sentire il fervore e di vedere l'entusiasta compostezza dei partecipanti negli incontri e nelle celebrazioni, preparati con tanta cura, per fare "Chiesa con Pietro" in queste memorabili giornate. Non dimentico i rifugiati e gli esiliati, i poveri, gli infermi, i minorati fisici e tutti coloro che soffrono e non hanno potuto prendere parte ai nostri incontri. Sono certo che hanno offerto il loro sacrificio e le loro sofferenze perché tutto andasse bene. Che Dio sia il loro conforto! 3. Mi sembra di avere appena iniziato la mia visita pastorale nella vostra amata patria. Non so se la divina Provvidenza mi concederà di tornare. Ma una cosa è certa: porto con me un buon ricordo della vitalità della Chiesa in questa terra.

E' stata mia intenzione stimolare tutti gli operatori dell'evangelizzazione e tutti gli uomini di buona volontà a contribuire all'"opera buona" qui iniziata da Dio (cfr. Ph 1,6). E continuero a pregare affinché quest'"opera buona" sia portata avanti per il benessere di tutti i mozambicani.

Avendo già ricevuto la fede cristiana, è ora necessario approfondirla ed essere coerenti con essa al fine di edificare una civiltà cristiana autentica che abbracci il meglio delle tradizioni di questo popolo e che realizzi al tempo stesso l'universalità della Chiesa. Non è il Vangelo che deve cambiare; sono le culture che debbono integrarlo, sforzandosi di assimilare i semi di vita e di salvezza, portati da nostro Signore Gesù Cristo con destinazione universale.

Vado via pienamente fiducioso che la buona novella di amore di Dio Padre, che si è rivelata in suo Figlio Gesù Cristo, attraverso una evangelizzazione autentica e globale, continuerà a chiamare gli uomini alla fede, alla fratellanza e alla vita eterna; e attraverso l'azione continua dello Spirito Santo, dovrà penetrare nel cuore delle masse, poiché la "gioia" della salvezza è il fermento destinato a fare lievitare anche "tutta la massa" dell'amato popolo mozambicano.


4. Porto via, nei miei occhi e nel mio cuore, molte immagini della vita e della bellezza della vostra terra. E desidererei che fossero solo queste. Purtroppo la realtà mi obbliga a confessare che porto con me altre meno liete immagini dell'uomo mozambicano, dell'uomo concreto, che è "cammino della Chiesa" e che in questo momento è protagonista della storia da costruire; e non tutte sono immagini di felicità. Porto con me anche immagini di sofferenza. Questa si riflette nello sguardo inquieto di molti bambini, nello sguardo incerto di molti giovani, nello sguardo stanco di molti adulti e nello sguardo triste degli anziani.

Ma nel Mozambico c'è anche la speranza ed è proprio con viva speranza che mi congedo da questo benevolo popolo, chiedendo a Dio che la mia breve visita pastorale possa contribuire al bene della società nazionale e la rafforzi affinché questa offra a tutti condizioni migliori di vita e diventi una grande famiglia dove regnino la fratellanza e l'amore, come frutto della pace e della giustizia.


5. Non ignoro i molti e difficili problemi che il Mozambico deve risolvere, come anche tanti altri Paesi di questa regione africana. Adesso, dopo aver concluso la visita a quattro di questi Paesi ed essendo prossimo a lasciare il vostro, posso dire che sono stato guidato dalla preoccupazione di insistere su temi che i Vescovi di questi Paesi, recentemente riuniti ad Harare, mi hanno voluto sottoporre: la giustizia, la pace e la dignità della persona umana, ovviamente in una prospettiva cristiana.

Questa regione dell'Africa, purtroppo, conosce inoltre le contraddizioni evidenti anche nelle altre regioni del mondo: accanto alla ricchezza di risorse che ci sono a disposizione - mai come oggi così evidente - sussiste una povertà estrema, che rispecchia fedelmente la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro (cfr. Lc 16,20); e accanto all'aspirazione reale e ampiamente condivisa a promuovere la persona umana, ancora persistono dolorose violazioni dei diritti fondamentali di ogni uomo. In fondo, se vogliamo analizzare questo duplice ordine di contrasti, non sarà difficile scoprire quello che nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis", veniva indicato come la assolutizzazione di atteggiamenti umani in un cedimento più o meno forte alla brama di possesso con tutte le possibili conseguenze (cfr. SRS 37).


6. Non sono solo le singole persone che diventano vittime di tale aberrazione; possono esserlo anche le nazioni e persino i blocchi di nazioni. In ultima analisi, si tratta delle conseguenze di un male morale, del frutto di molti peccati, che creano le "strutture di peccato" spesso conniventi con varie forme di idolatria: idolatria del denaro, dell'ideologia, della classe o della tecnologla.

Ora, la diagnosi del male è soltanto l'inizio, che deve essere accompagnato dalla prognosi e dalla conseguente applicazione di rimedi e infine dall'eliminazione delle cause di questo male; in questo caso, di un male morale, che si trova a livello dei comportamenti umani. Il cammino da percorrere sarà necessariamente quello del cambiamento delle attitudini spirituali, come ho più volte affermato fin dalla mia prima enciclica: "una vera conversione della mente, della volontà e del cuore" a favore dell'uomo illuminata dal principio di solidarietà in senso lato, che porti alla ricerca efficace di istituzioni e meccanismi appropriati per salvaguardare e promuovere la dignità autentica della persona umana (cfr. RH 16).

Lasciando questa terra africana, vorrei esprimere una parola di fiducia e di speranza a tutti coloro che hanno responsabilità politiche, sociali e culturali, affinché intraprendano coraggiosamente il cammino di una nuova civiltà: la "civiltà dell'amore", basata su valori spirituali e morali, come ho ripetuto in tutte le latitudini del globo, sorretto dalla forza di Dio e dalla Chiesa che rappresento.


7. Si! Senza amore non si costruisce una vita sociale giusta e duratura, senza amore le famiglie si disgregano. Senza amore i gruppi sociali si annullano gli uni gli altri. Senza amore i popoli perdono il senso della solidarietà, perfino della regola più elementare di "non fare agli altri quello che non vorrebbero fosse fatto a loro". Senza amore il mondo si disumanizza. Ai violenti dominati dal disamore, bisogna rispondere con amore, nella certezza che l'amore è l'unico argomento in grado di portarli alla "conversione", e di elevare la piattaforma d'incontro ad un livello autenticamente umano.

Una civiltà di giustizia, di pace e di amore significa il riconoscimento della dignità di ogni persona umana; significa che questa può esercitare i suoi diritti fondamentali senza restrizioni né limitazioni, pretestuosamente giustificate dalla segregazione razziale o dalla discriminazione sociale. Quanto più gli uomini e le donne dell'Africa Australe, senza distinzione di colore, di sesso o di convinzioni politiche e religiose, potranno contribuire e partecipare al bene comune, in una prospettiva futura, tanto più la pace sarà una realtà sicura e durevole. Questa regione dell'Africa è ricca di risorse economiche; e non lo è meno di risorse umane. Perché allora si presenta così lento il vero sviluppo sociale? La risposta, urgente, spetta alle parti interessate. A ogni uomo che vive qui è necessario intraprendere il cammino della conversione alla causa dell'uomo: in questo sta, senza dubbio, la fonte della pace o il suo consolidamento. Qui, nell'Africa Australe, il futuro dell'uomo dipende in gran parte dalla volontà degli uomini.


8. Pertanto, da questa promettente e tormentata terra del Mozambico, voglio rivolgere un pressante appello affinché gli uomini e le donne di tutte le razze valutino quello che debbono modificare in se stessi; e, tutti insieme, considerino quello che hanno la possibilità di fare, perché nella loro patria e fra le nazioni dell'Africa regni finalmente la pace. E' nell'esercizio del mio compito di Vicario di Cristo, Principe della Pace, che mi appello alla coscienza di tutti e di ciascuno.

Vado via, ma ciò che mi è stato concesso di vivere durante questi nove giorni di visita, trascorsi in terra africana, soprattutto qui nel Mozambico, rimarrà nel mio spirito e nel mio cuore. Tutti coloro che soffrono nel corpo o nell'anima possono essere certi che, se già mi erano presenti in spirito, lo saranno ancora di più in avvenire, con l'amore di Cristo e con la preghiera.

Addio, terra del Mozambico! Attraverso le vie della concordia e di una solidarietà rispettosa della dignità delle persone, dei gruppi e delle comunità legittime, i tuoi figli possono vincere le sfide che tu presenti loro. Il tuo progresso, la giustizia, la pace e la felicità dei tuoi figli - ottenuti e condivisi da tutti, con la solidarietà internazionale - sono le condizioni per il tuo futuro prospero e sono anche gli auguri che formulo, nel chiedere a Dio Onnipotente di colmarti di benedizioni.

Addio Mozambico! Alla prossima volta! "Hosi Katekisa Moçambique"! "Hosi Katekisa Africa"!


Data: 1988-09-19 Data estesa: Lunedi 19 Settembre 1988




Lettera al Patriarca di Antiochia dei Maroniti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Il Signore risparmi al Libano nuove e drammatiche prove"

Testo:

A sua Beatitudine Nasrallah Pierre Sfeir Patriarca di Antiochia dei Maroniti.

L'affezione e l'interesse che provo per il Libano e la sua popolazione mi rendono particolarmente vicino alla Beatitudine vostra e ai suoi compatrioti, in queste ore in cui potrebbe essere messo in pericolo il positivo svolgimento dell'elezione del Presidente della Repubblica, con la grave ripercussione che una simile azione provocherebbe per l'avvenire stesso della nazione.

Desidero assicurare vostra Beatitudine e ciascun libanese della mia ardente preghiera, affinché il Signore risparmi a questo Paese nuove e drammatiche prove. Che egli ispiri ai responsabili, sui quali incombono così pressanti doveri, lungimiranza e coraggio per non servire che il bene comune! In un momento così decisivo è fondamentale, in effetti, che nessun'altra considerazione prevalga sul rispetto della legalità, per la salvaguardia dei principi che appartengono al prezioso patrimonio della vostra tradizione.

Il mio pensiero si volge, infine, verso tutti i cristiani del Libano, in particolare verso i figli della Chiesa cattolica. Voglia il Signore accordare loro la grazia di saper testimoniare, sotto la guida saggia dei loro pastori, i valori evangelici. Prego di tutto cuore perché "radicati e fondati nella carità" (Ep 3,17), si sforzino di scongiurare la diffidenza e le divisioni per ritrovare, con tutti i loro compatrioti, la via della concordia e della riconciliazione.

Affidando questi fratelli alla materna intercessione di nostra Signora di Harissa, chiedo a Dio di donare loro luce e forza, mentre in segno del mio costante affetto, accordo di cuore a vostra Beatitudine e a tutti i figli del Libano la mia paterna benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 20 settembre 1988.


Data: 1988-09-20 Data estesa: Martedi 20 Settembre 1988









Al nuovo Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede - Città del Vaticano Roma)

Titolo: La Chiesa desidera manifestare al mondo la necessità di rispettare i valori e i diritti sovente compromessi

Testo:

Signor Ambasciatore.

La ringrazio vivamente delle gentili parole che mi ha indirizzato nell'inaugurare la sua missione diplomatica. Nel ricevere l'eccellenza vostra, voglio dire quanto mi rallegra che la Francia sia rappresentata da uno dei suoi più eminenti diplomatici, con una notevole esperienza della vita internazionale, che - ne sono certo - contribuirà al buon proseguimento delle relazioni positive e improntate alla reciproca stima che sono una molto antica tradizione tra la Francia e la Sede apostolica.

Lei ha evocato, signor Ambasciatore, dei ricordi personali che mi toccano particolarmente. Nella mia patria, dove lei rappresentava la Francia, lei ha manifestato la continuità della lunga amicizia che lega i suoi compatrioti ai polacchi; ne fa fede la sua partecipazione alle celebrazioni durante la mia visita nel 1982.

A pochi giorni da un nuovo viaggio in una regione del suo Paese, lei mi richiama alla memoria le precedenti visite pastorali, la bellezza dei luoghi carichi di storia, i momenti di devozione comune, gli incontri personali così preziosi nella loro diversità, così come - non posso dimenticarlo - la grandissima cortesia manifestata a mio riguardo dalle più alte autorità francesi e dai loro collaboratori. E' per me una gioia, nel corso della mia visita a Strasburgo alle istituzioni europee, ritrovare presto il popolo di Francia delle diocesi di Alsazia e di Lorena.

La Francia che lei rappresenta, nazione cristiana fra le più antiche, è stata un terreno particolarmente ricco irrigato in profondità dalle fonti evangeliche nel corso dei secoli. Si è costituito un mirabile patrimonio; e, qui, non penso solo ai monumenti e ai risultati della cultura, ma penso all'opera di tante generazioni di uomini, che costituisce la vasta e viva memoria della sua nazione. Ogni personalità si forma attraverso la prova, e così anche la sua nazione ha conosciuto nella sua storia la sofferenza, i conflitti, le crisi e le divisioni; ha conosciuto anche l'esaltazione del successo e della espansione.

Luogo di scambi, terra di accoglienza, questo Paese ha saputo assimilare e unire il contributo di correnti culturali formatesi altrove. Auspichiamo che la Francia, che gode oggi di quello che le hanno donato i suoi figli in passato, continui a svolgere il ruolo tanto apprezzato da molti popoli del mondo.

Il mio pensiero va ora in particolare alla Chiesa cattolica di Francia, che è sempre stata un centro vivo di iniziative, di audacia e generosità missionaria, di ricerca intellettuale, di fioritura di santità. A Lione, ho potuto ricordare i martiri più antichi e, nello stesso giorno, associare al numero dei beati l'apostolo dei ceti popolari che fu Antoine Chevrier nel XIX secolo. Come non ricordare anche che, recentemente, sono stato testimone della venerazione da parte del popolo del Lesotho per il beato Joseph Gérard, un missionario venuto dalla Francia orientale per più di cinquant'anni di apostolato instancabile e luminoso? E domenica avro la gioia di associare al numero dei beati il padre Frédéric Janssoone, testimone del Vangelo in Terrasanta e in Canada.

Nel suo Paese, la Chiesa è stata spesso segnata da prove e divisioni. Ma ancora oggi si manifesta il coraggio dei suoi vescovi, i suoi sacerdoti, i suoi religiosi, i suoi laici; gli uni e gli altri si assumono la loro parte di responsabilità nella vita interna e nella missione della Chiesa. Non mancano i segni di speranza e di rinnovamento; anche qui, lo posso constatare nei più diversi incontri con i suoi compatrioti.

I cristiani prendono parte anche alla vita civile. Molto spesso, essi si impegnano con generosità nello sforzo del suo Paese perché aumenti nel mondo il rispetto della dignità dell'uomo, una reale solidarietà per lo sviluppo e la pace, il senso della reciproca accoglienza tra i popoli. In questo, essi contribuiscono a promuovere i valori ispirati dal Vangelo che il suo popolo è impegnato a difendere.

Lei ha ricordato anche, signor Ambasciatore, la presenza a Roma di numerosi francesi; essi sono a disposizione della Curia o delle istituzioni accademiche pontificie, o anche si tratta di religiosi o religiose con responsabilità nella direzione degli istituti religiosi. Le garantisco che ho spesso occasione di apprezzare la loro competenza e abnegazione. Penso anche ai seminaristi e ai sacerdoti che compiono la loro formazione in questa città che costituisce un luogo privilegiato di scambi intellettuali e di mutua conoscenza dove si può acquisire una esperienza utile dell'universalità della Chiesa.

Tra la Francia e la Santa Sede lei ha sottolineato l'esistenza di posizioni vicine in diversi campi della vita internazionale. In un mondo mobile, dove evolvono sia le situazioni degli stati che i costumi di vita dei popoli, la Santa Sede cerca di ricordare senza posa i fondamenti del bene comune che attingono alla natura stessa dell'uomo. In unità con i pastori delle Chiese locali, ella desidera manifestare, di fronte agli appelli che riceve, la necessità di rispettare i valori e i diritti ancora troppo spesso disattesi. Questo vale per la soluzione di situazioni drammatiche come quelle da lei ricordate, che riguardano popoli a me molto vicini, e per i quali il suo Paese e la Santa Sede cercano di favorire la pace, ciascuno muovendosi in funzione della propria competenza e della propria missione. Preoccupazioni simili hanno condotto la Santa Sede a prendere posizione di fronte a problemi come il debito estero, di cui lei stesso ha evidenziato la gravità.

In questo senso - come lei sa - la Santa Sede sostiene l'azione delle organizzazioni internazionali, nella misura delle sue possibilità. Perché la ragion d'essere di queste istituzioni è precisamente di assicurare la pace, la sicurezza e la libertà, di favorire tutte le forme utili di cooperazione per il bene di tutti.

Le relazioni diplomatiche stabilite dalla Sede apostolica con numerosi Paesi nascono dal suo costante desiderio di essere attenta alla vita dei popoli, alle loro difficoltà come ai loro successi. Questa forma di contatto offre alla Santa Sede delle occasioni positive per il dialogo e la riflessione comune. Sono lieto della sua disponibilità a prendere parte a questi incontri a nome del suo Paese.

Signor Ambasciatore, la prego di esprimere a sua eccellenza il Presidente della Repubblica francese la mia gratitudine per il suo interessamento - di cui lei si è fatto interprete - alle relazioni del suo Paese con la Santa Sede e di presentargli i miei auguri per l'esercizio del suo alto ufficio.

Auspicando, eccellenza, un positivo svolgimento della sua missione, le assicuro l'impegno della Santa Sede per darle l'appoggio desiderato, nello spirito delle cordiali relazioni che l'uniscono al suo Paese.


Data: 1988-09-23 Data estesa: Venerdi 23 Settembre 1988




Congedo da Castel Gandolfo - Roma

Titolo: Incontro con la comunità di Castel Gandolfo

Testo:

Signor sindaco! Membri dell'amministrazione civica e dipendenti tutti del comune di Castel Gandolfo! Sono lieto di questo incontro con voi, prima di lasciare questa bella cittadina, al termine delle ferie estive. Saluto innanzitutto il signor sindaco, che ringrazio di cuore per le gentili parole con le quali ha saputo interpretare i sentimenti dei presenti e dell'intera cittadinanza; saluto poi i membri del consiglio comunale e tutti i dipendenti dell'amministrazione municipale.

Desidero esprimervi la mia profonda gratitudine per le attenzioni e le premure, volte a rendere il mio soggiorno, qui a Castel Gandolfo, riposante, tranquillo e gradevole, e per la sollecitudine con la quale avete cercato di venire incontro alle esigenze di coloro che, in questa estate, si sono recati quassù per far visita al successore di Pietro.

Mi congedo da voi portando nel cuore il ricordo di un soggiorno gratificante sia per il clima mite, sia per l'opportunità di incontri e di riflessioni. Volendo contraccambiare tanta cordialità dimostratami, elevo al Signore una speciale preghiera perché corrobori col suo aiuto il vostro impegno di servizio alla cittadinanza e vi confermi nel proposito di fattiva concordia e di efficace collaborazione nella amministrazione della cosa pubblica. Un ricordo particolare va anche alle vostre rispettive famiglie; in particolare ai bambini, agli anziani e agli ammalati: su di essi invoco la continua assistenza divina e la materna intercessione della Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani.

Voglia il Signore concedere a tutti copiosi doni di prosperità e di pace. In pegno di essi imparto volentieri a voi qui presenti e all'intera popolazione di Castel Gandolfo la mia benedizione.

[Il Santo Padre ha poi così salutato le forze dell'ordine:] Signor questore, signor ispettore generale di Polizia presso il Vaticano, signori funzionari della polizia di stato e della polizia stradale, signori ufficiali dell'Arma dei Carabinieri.

Nel lasciare questa cittadina per far ritorno in Vaticano, desidero esprimere a voi tutti il mio più sentito ringraziamento per il generoso servizio d'ordine da voi svolto durante la mia permanenza qui a Castel Gandolfo.

Vi sono grato per le parole che mi sono state rivolte e che così bene riflettono i sentimenti di ciascuno di voi. Ma vi sono riconoscente soprattutto per l'opera da voi svolta con tanto impegno, sorretti sempre da un vivo senso del dovere, quali leali funzionari dello stato e figli fedeli della Chiesa.

Mi compiaccio con voi perché nell'adempimento dei vostri compiti vi siete sforzati di usare quelle qualità di correttezza nei modi e di vigile responsabilità, che fanno onore alla tradizione delle vostre scuole di formazione.

Spero poi che la vostra vicinanza alla Sede di Pietro sia per voi non solo titolo di onore, ma anche motivo di meditazione sulle grandi verità della fede cristiana, che continuamente risuonano nel Magistero pontificio, richiamando innumerevoli folle assetate della parola di verità del Vangelo. Non si può stare a contatto di queste verità così alte senza lasciarsene penetrare fino all'intimo del cuore.

Voi siete testimoni oculari di questo flusso di pellegrini che viene a rafforzare la propria fede al centro del cristianesimo e ne siete in qualche modo coinvolti. Sappiate trarne profitto e vivere coerentemente il vostro impegno civile e cristiano.

Da parte mia vi assicuro che vi seguo nel vostro quotidiano servizio con la preghiera.

A conferma di questi sentimenti vi imparto la mia affettuosa benedizione.


Data: 1988-09-24 Data estesa: Sabato 24 Settembre 1988




All'inaugurazione del nuovo reparto di terapia cardiologica intensiva del "Gemelli" - Roma

Titolo: Le facoltà di medicina assicurino una formazione non solo scientifica, ma anche morale e spirituale

Testo:

Illustri signori.


1. Sono lieto di trovarmi qui fra voi per un avvenimento importante qual è l'inaugurazione, compiuta poco fa, del nuovo "reparto di terapia cardiologica intensiva" presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di questa Università. Si tratta certamente di un momento significativo nel processo di adeguamento delle strutture sanitarie alle conquiste tecnologiche, che è l'obiettivo al quale questa Facoltà è molto sensibile.

Il nuovo reparto, infatti, assicura moderni mezzi di diagnosi e terapia per una delle emergenze più critiche nella storia di una cardiopatia, lo scompenso cardiaco, evento che, per la sua frequenza e pericolosità, rappresenta un'autentica sfida al diagnostico e al terapeuta.

Per celebrare la realizzazione di tali nuove strutture avete organizzato un simposio scientifico avente per tema: "Nuove prospettive nella fisiopatologia e nella terapia dello scompenso cardiaco congestizio". Saluto tutti gli illustri Professori ordinari di Cardiologia che hanno preso parte a questo importante convegno, apportandovi il contributo delle loro ricerche e delle proprie esperienze quotidiane a contatto con i malati.

Mentre esprimo il mio compiacimento per questo fervore di attività che l'Università Cattolica del Sacro Cuore promuove per favorire il progresso scientifico, rivolgo il mio particolare saluto al Rettore Magnifico, professor Adriano Bausola, e al professor Ugo Manzoli, ai quali va la mia profonda gratitudine anche per le amabili espressioni con cui hanno voluto accogliermi ed introdurre questo significativo incontro. Ringrazio pure l'Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei Quaranta, per il cospicuo dono delle apparecchiature, in esecuzione delle volontà di Cesare Tumedei.

L'odierna inaugurazione, e i lavori del simposio appena concluso, mentre ribadiscono la volontà dell'uomo di servire sempre meglio la vita mediante l'impegno convergente della scienza e della tecnica, fanno riflettere sulla natura di una terapia intensiva che, per raggiungere veramente la realtà integrale del paziente, dev'essere insieme morale e spirituale, cioè "umana".

L'amministrazione della vostra Università ha inteso creare un nuovo reparto di terapia intensiva nel contesto dell'obiettivo più generale dell'"umanizzazione della medicina", a cui urge essere tanto più sensibili quanto più critiche sono le condizioni del paziente.


2. Le nuove strutture, e i contributi scientifici apportati da tanti illustri docenti, varranno ad assicurare l'assistenza ai pazienti affetti da infarto del miocardio con metodologie di avanguardia, atte a migliorarne la qualità della vita. Quanto ciò sia importante appare con evidenza se si considera che l'unità di terapia intensiva presuppone la presenza di pazienti che, esposti a gravissime forme di rischio, versano in una condizione che sfiora addirittura la soglia del mistero. Lo studio della terapia intensiva, perciò, svolge un ruolo qualificante nell'ambito di una Facoltà di Medicina e Chirurgia in una Università che si dice e vuole essere cattolica. Se, infatti, la facoltà di mdicina in qualsiasi università è istituzionalmente destinata a preparare medici idonei, tale facoltà in una università cattolica deve prefiggersi specificamente lo scopo di preparare medici ed operatori sanitari non solo a misura dell'uomo, ma anche in vista ed a servizio della sua dimensione religiosa e trascendente. Sappiamo che l'uomo creato da Dio a sua immagine e somiglianza, è unità inscindibile di materia e di spirito, in cammino nel tempo verso un'altra condizione di vita, che sarà eterna.

Per assicurare al paziente un'assistenza che investa l'"integrità della persona", occorre che quanti s'affaticano al suo capezzale si muovano, oltre che secondo i parametri della scienza, anche secondo quelli dello spirito, che è quanto dire, secondo questa visione totale della vita umana.

Pertanto in tutte le facoltà di medicina delle università ci si dovrà adoperare perché sia assicurata una formazione scientifica accompagnata da idonea formazione morale e spirituale alla luce del messaggio cristiano. Una formazione che sarà opportunamente impartita anche a coloro che non hanno il dono della fede, poiché i valori evangelici non circoscrivono, ma allargano le prospettive della scienza proprio nel senso del servizio all'uomo.


3. Questo approccio integralmente umano, perché illuminato dal riferimento alla trascendenza ed al destino superiore dell'uomo, raggiunge il paziente nella totalità della sua condizione e preserva l'operatore sanitario dal pericolo di cedere all'abitudine e di farsi meno sensibile di fronte alla sofferenza dell'infermo. Se la professione sanitaria trascurasse o smarrisse il senso della vocazione e della missione, verrebbe meno ogni capacità di raggiungere l'uomo nella profondità del suo essere e sarebbe evanescente l'ideale del servirlo come fratello. Allora anche le più sofisticate metodiche di intervento mancherebbero al loro fine, limitandosi a rispondere a semplici istanze di laboratorio, e non già alla preminente domanda di vita.

La legittima fierezza, che nasce dal poter disporre di un nuovo reparto tecnicamente molto avanzato sia dunque occasione per riflettere sulla necessità e l'urgenza di una sempre più accurata formazione professionale e spirituale per il bene di chi è sofferente ed insieme fratello.

Con animo grato imploro ogni divina ricompensa su quanti, con la generosità del loro contributo economico e per l'intenzione di tradurre in strumento di bene il frutto del loro lavoro, hanno reso possibile l'attuazione di questa iniziativa al servizio della vita, che è dono di Dio.

A tutti i partecipanti al convegno, e in particolare agli organizzatori e relatori, imparto la mia benedizione.


Data: 1988-09-25 Data estesa: Domenica 25 Settembre 1988




Ai giovani dell'Azione Cattolica Italiana - Palazzo dello Sport dell'EUR (Roma)

Titolo: "Date ai vostri fratelli laici l'esempio di un'obbedienza frutto di libera determinazione"

Testo:

Carissimi giovani dell'Azione Cattolica Italiana.


1. Vi saluto con gioia uno ad uno e vi dico che sono assai lieto di incontrarvi tanto numerosi in questo Palazzo dello Sport.

Vi ringrazio del dono che mi fate con questa vostra visita e confido che l'esperienza di comunione, che oggi vivete, susciti in voi echi profondi, capaci di incidere efficacemente sull'orientamento della vostra esistenza.

Possa questo incontro inserirsi come un momento forte e costruttivo nella vostra storia di giovani e di giovani laici animatori della fede cristiana nelle mille contrade d'Italia, da cui provenite.

Saluto i responsabili dell'associazione, in particolare sua eccellenza monsignor Antonio Bianchin, vostro Assistente Generale,e il suo nuovo collaboratore, don Antonio Lanfranchi, il quale per mandato della Conferenza episcopale assume l'incarico di Assistente Centrale del Settore Giovani dell'Azione Cattolica Italiana, succedendo a monsignor Ignazio Sanna, che ringrazio per il generoso servizio svolto in questi anni tra voi. Ringrazio anche la signorina Maria Campatelli, vice Presidente nazionale del Settore Giovani, per il significativo indirizzo che ha voluto rivolgermi a nome di tutti voi.


2. Il tema che vi raduna è espresso con uno slogan stimolante: "Per una festa senza fine. Il segreto della libertà": è una frase, questa, che vede accostate due parole chiave della nostra fede e di ogni autentica esistenza umana: festa e libertà.

E' importante che sappiate andare oltre la suggestività dello slogan, cogliendo la verità profonda che esso contiene. La proposta cristiana - dicevo recentemente ai giovani di Torino (cfr. "Allocutio ad iuvenes in urbe taurinensi habita", die 3 sept. 1988) - non può dirsi afferrata quando ci si trattiene sull'onda del sentimento, o ci si accontenta di una religiosità vaga e indistinta.

Il dispiegarsi di parole impegnative, e perfino affascinanti, non può sostituire il possesso reale di ciò che le parole evocano.

Soffermiamoci dunque un poco sulla parola che, nello slogan, si propone come un obiettivo da raggiungere, cioè una "festa senza fine". Occorre subito precisare che la festa, per il cristiano, non è una situazione che si annuncia raggiungibile solo in un domani imprecisato. Noi cristiani siamo già in festa, poiché viviamo non a caso in quel "giorno" che, secondo le parole di Gesù, "Abramo vide e se ne rallegro" (cfr. Jn 8,56).

Per noi la profezia è adempiuta, e la promessa realizzata. La nostra festa nasce dalla presenza del Signore che, da allora e per sempre, riempie i nostri giorni e i nostri cuori. Il cristiano è in festa perché ha già incontrato il Tutto: in un certo senso si può quindi dire che non gli manca nulla. I suoi occhi sono pieni di stupore, nel suo animo abita la speranza che non delude. Egli è nella gioia perché circondato e compenetrato dalla luce che proviene dall'adorabile persona di Gesù. Certo, il cristiano vive contemporaneamente nell'attesa: tutta la sua esistenza terrena è un pellegrinaggio verso quella patria che non è di questo mondo e nella quale abita soltanto la pienezza della gioia. Anzi, in questo pellegrinaggio il cristiano sa di dover camminare al seguito di Gesù, sulla via della croce. E tuttavia egli è già nella gioia, appunto perché cammina col suo Signore.

Il cristiano, in particolare il giovane cristiano, è già dunque in uno stato di festa: avendo scoperto il "tesoro" e la "perla" preziosa, vende per essi ogni altra cosa e se li procura (cfr. Mt 13,44s). Egli decide cioè di impegnare tutto quello che ha, di impegnare addirittura se stesso, perché la festa non finisca. Rimane aperto al "di più" e diventa capace di scelte ardimentose, al fine di essere sempre più radicalmente in festa. Come la biblica "fidanzata" dinanzi al "diletto" che viene (cfr. Ct 2,8), egli tende le braccia per essere ormai sempre in festa. Possiamo dire paradossalmente che lo stato di festa, mentre fa rivivere sul volto del giovane i segni della figliolanza perduta, cancellando ogni traccia di devastazione e di rovina, contemporaneamente gli apre ulteriori possibilità di festa, amplia sconfinatamente gli orizzonti del suo cuore. Come le vergini del Vangelo attendono nella notte lo sposo, che forma tutta la loro festa, così il giovane cristiano sa vegliare e sacrificarsi per non perdere l'occasione di partecipare alla festa vera (cfr. Mt 25,1-13).


3. Tuttavia, è qui implicito necessariamente un "segreto", come dice lo slogan del vostro incontro. Si tratta della libertà, o meglio di un certo modo di intendere la libertà. "Che cosa significa essere liberi?", chiedevo nella "lettera ai giovani", in occasione dell'anno internazionale ad essi dedicato. E subito spiegavo: "Essere veramente liberi non significa affatto fare tutto ciò che mi piace, o ciò che ho voglia di fare. La libertà contiene in sé il criterio della verità, la disciplina della verità. Essere veramente liberi significa usare la propria libertà per ciò che è un vero bene... significa essere un uomo di retta coscienza, responsabile, essere un uomo "per gli altri"" ("Epistula Apostolica ad iuvenes internationali vertente anno iuventuti dicato", 13, die 26 mar. 1985: , VIII, 1 [1985] 788). In altre parole, se volete essere in una festa senza fine, è necessario - ed è impresa grandiosa - che investiate la vostra libertà nell'avventura della liberazione dal male e della crescita dell'uomo nuovo che è nato in voi al fonte battesimale. La dinamica della festa nasce nell'abbandono del credente, giorno dopo giorno, alla grazia dello Spirito Santo che abita nel suo cuore.

E' vero che l'andare verso Dio non esige che si voltino le spalle al mondo: la fede in Cristo - dicevo ai giovani di Torino - non aliena dalla modernità, dalla creatività. Ma a patto che immediatamente si aggiunga l'altro aspetto di questa verità, cioè che il vero modo per non girare le spalle al mondo è quello di correre verso l'incontro col Signore.

Una festa vera e sovrabbondante la sperimenterete già qui in terra se, imboccando la strada di un robusto e coerente radicalismo evangelico, farete quello che Gesù ha comandato ai suoi amici di fare: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato" (cfr. Jn 13,34-35).


4. Desidero aggiungere una parola riguardo al metodo di lavoro che vi siete dati per questo incontro. So infatti che i giovani di Azione Cattolica di ciascuna diocesi hanno stabilito un gemellaggio con i colleghi giovani di un'altra diocesi e, nello stesso tempo, con i giovani di una parrocchia romana.

E' uno stratagemma simpatico che vi fa cogliere, facendone l'esperienza, una realtà profonda e gioiosa - festosa, si potrebbe dire - quella dell'unità che vi raccoglie tutti, simultaneamente e in ogni direzione, nella Chiesa.

Dalle vostre diverse comunità ecclesiali di appartenenza avete sentito il richiamo, anzi, l'attrattiva che esercitano la città e la Chiesa di Roma, e siete venuti. Ora che siete qui, percepite la tensione doppiamente apostolica che già i padri dei primi secoli riconoscevano a questa città, centro di irradiazione missionaria e nel contempo riferimento privilegiato per l'unità ecclesiale (cfr. S. Irenaei "Adv. haereses", 3, 3, 2). Qui infatti c'è la tomba dell'apostolo a cui il Signore affido il servizio primaziale nella Chiesa. Qui c'è la Cattedra di verità, sulla quale si perpetua il compito assegnato a Pietro: "Conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32).

Ebbene, con le iniziative che avete in programma in questi giorni, voi date risalto proprio al legame che unisce la Chiesa di Roma con tutte le Chiese sparse in Italia e nel mondo. In primo luogo, voi potete meglio comprendere come "la Chiesa che è in Roma debba sempre misurare se stessa con il metro della comunità universale, in mezzo alla quale il Signore l'ha posta" ("Homilia ad Missam in a. D. 1987 conclusione", 5, die 31 dec. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 1673). L'accorrere dei fedeli e dei pellegrini, al pari del vostro accorrere odierno, sta a dire che "la Chiesa romana deve guardare a se stessa non soltanto con i propri occhi, ma in pari tempo con gli occhi di tutti coloro che la guardano... e hanno diritto di guardare e di esigere" da essa ("Homilia ad Missam in a. D. 1987 conclusione", 5, die 31 dec. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 1673). Mi auguro pertanto che, grazie alle parrocchie da cui provenite, Roma sappia essere nei vostri confronti all'altezza della sua vocazione. Che sia ospitale e "servizievole", partecipe essa stessa dell'ufficio "petrino", che è anzitutto ministero di servizio.

Ma voi, a vostra volta, con la vostra vivacità di fede, testimoniate che il mistero della Chiesa, "una, santa, cattolica e apostolica", è presente in ogni Chiesa particolare in tutto il mondo (cfr. LG 26). Da qui proviene la varietà delle esperienze di cui siete portatori e in cui la cattolicità si esprime. Occorre pero aver chiaro che, all'interno della cattolicità, "le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa" (LG 13). Qui si esprime la missione singolare di questa Chiesa di Roma, dove è posta la Cattedra di Pietro, la quale, presiedendo alla comunione universale della carità, "veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto la serva" (LG 13).

Pertanto, il ministero di Pietro e dei suoi successori raggiunge ciascuna delle vostre Chiese particolari e si esprime in esse non "dall'esterno", quasi fosse una struttura giustapposta e superfua, bensi "dall'interno", dall'"essenza stessa di ogni Chiesa particolare" ("Angelopoli, ad episcopos Civitatum Foederatarum Americae Septemtrionalis coram admissos", die 16 sept. 1987: , X, 3 [1987] 552ss). Raggiunge anche voi, carissimi giovani, le vostre persone e le vostre associazioni, con il vincolo dell'amore di Cristo e la sollecitudine del servizio pastorale, in perfetta comunione e reciproca collaborazione con i vostri Vescovi, che guardano a voi con grande speranza e cordiale fiducia.


5. Occorre pertanto che voi prendiate rinnovata coscienza del valore che hanno ed hanno avuto sempre per la vostra associazione il riferimento e l'attaccamento ai pastori. Fin dalle sue origini, l'Azione Cattolica Italiana ha vissuto e operato in stretto legame di speciale collaborazione con i Vescovi e i sacerdoti, fin dall'inizio ha avuto una particolare dedizione al successore di Pietro.

Un'intuizione e una scelta che furono profetiche e che ora tocca a voi sviluppare, con sempre nuova fedeltà e sempre nuova intraprendenza apostolica.

Approfondirete così, secondo il modo che vi è proprio, in quanto membri della grande famiglia dell'Azione Cattolica, la vocazione e missione dei laici cristiani, secondo l'insegnamento del Concilio, ora ripreso dall'ultimo Sinodo dei Vescovi. Dice infatti la costituzione "Lumen Gentium": oltre l'apostolato che spetta a tutti i fedeli, "i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l'apostolato della gerarchia, alla maniera di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano l'apostolo Paolo nel Vangelo, faticando molto per il Signore (cfr. Ph 4,3 Rm 16,3ss)" (LG 33).

Uno di questi modi, e certamente tra i più significativi, è quello dell'Azione Cattolica. Non esitate dunque a lavorare in stretta e docile sintonia col Papa, con i Vescovi, con i sacerdoti. Date ai vostri fratelli laici l'esempio di un'obbedienza piena, gioiosa, operosa, frutto di libera determinazione. Non abbiate timore di abdicare così a qualcosa della vostra laicità, della vostra dignità e libertà di laici cristiani: chi più direttamente collabora con i pastori, assumendo come proprio fine lo stesso fine apostolico della Chiesa, e agisce per conseguenza sotto la superiore direzione della gerarchia (AA 20), non per questo risponde in modo meno pieno alla propria vocazione di laico cristiano. Al contrario, esprime questa vocazione in una forma particolarmente preziosa per l'edificazione della comunità ecclesiale, per l'opera di "implantatio evangelica" a cui oggi, anche in Italia, la Chiesa è chiamata per la testimonianza cristiana in una società ampiamente secolarizzata.


6. Carissimi giovani di Azione Cattolica, desidero terminare queste parole esprimendovi ancora il mio affetto e la mia fiducia. Nello stesso tempo vi chiedo di tenere sempre viva in Italia la genuina tradizione dei giovani cattolici, che tali sono nella vita e col cuore. Vi chiedo di farlo incrementando, singolarmente e in gruppo, lo slancio della missione, perché la "festa" è per sua natura "effusiva", ha bisogno di espandersi, di coinvolgere e di comunicare. Siate giovani trascinatori di altri giovani nelle vostre comunità. Maria santissima, che è beata perché ha creduto, vi protegga sempre con la sua materna intercessione e vi assista sempre sulle vie della fede, della preghiera, della missione.

Il Papa vi vuol bene e vi benedice.


Data: 1988-09-24 Data estesa: Sabato 24 Settembre 1988





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