GPII 1988 Insegnamenti - Visite pastorali del Vescovo di Roma - Roma


1. "Loda anima mia il Signore, tuo creatore" (cfr. Ps 146[145],1).

Ecco ci riuniamo nel giorno del Signore per lodare Dio. Nel giorno in cui il Creatore (come leggiamo nel libro della Genesi) (Gn 2,2) "cesso da ogni lavoro", dopo aver portato a termine l'opera della creazione - rendiamo gloria a lui insieme con tutto l'universo, che da lui prende il suo inizio.

Lo facciamo a nome di tutte le creature partecipando al sacrificio di Cristo.

Questo è il giorno del Signore per ogni cristiano. Per ogni comunità.

Per la vostra parrocchia.


2. Lodiamo Dio insieme col salmista: egli "è fedele per sempre": il Dio dell'alleanza.

Egli è colui che "rende giustizia agli oppressi", che "dà il pane agli affamati" - come gli chiediamo ogni giorno.

Dio è colui che "ridona la vista ai ciechi": ridona in particolare la vista dello spirito.

Egli "rialza chi è caduto".

Egli "sostiene l'orfano e la vedova"... (Ps 146[145],6-9).


3. Proprio la vedova si trova al centro della odierna liturgia della Parola.

Questa è una ben nota figura del Vangelo: la povera vedova che getto nel tesoro "due spiccioli, cioè un quattrino" (Mc 12,42) - (quale è il valore approssimativo di questa moneta?).

Gesù osservava "come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte" (Mc 12,41).

Vedendo la vedova e la sua offerta disse ai discepoli: "Questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri... Tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere" (Mc 12,43-44).


4. La vedova del Vangelo ha il suo parallelo nell'antica alleanza. La prima lettura della liturgia dal libro dei Re, ricorda un'altra vedova, quella di Zarepta, che su richiesta del profeta Elia divise con lui tutto ciò che aveva per sé e per suo figlio: il pane e l'olio, anche se ciò che aveva bastava solo per loro due.

Ed ecco - secondo la predizione di Elia - avvenne il miracolo: la farina della giara non si esauri e l'orcio dell'olio non si svuoto... e così fu per diversi giorni (cfr. 1R 17,14-17).


5. Una comune caratteristica unisce ambedue le vedove - quella dell'antica e quella della nuova alleanza -. Tutte e due sono povere e al tempo stesso generose: danno tutto quello che è nella loro possibilità. Tutto ciò che possiedono. Tale generosità del cuore è una manifestazione del totale affidamento a Dio. E perciò la liturgia odierna giustamente ricollega queste due figure con la prima beatitudine del discorso della montagna di Cristo: "Beati i poveri in spirito" / perché di essi è il Regno dei cieli (Mt 5,3).

I "poveri in spirito" - così come quella vedova di Zarepta ai tempi di Elia, e quell'altra del tempio di Gerusalemme, ai tempi di Cristo - dimostrano nella loro povertà una grande ricchezza dello spirito.

Infatti: il povero in spirito è ricco nello spirito. E proprio solo colui che è ricco in spirito può arricchire gli altri.

Cristo insegna che "di essi è il Regno dei cieli". 6. Per noi che partecipiamo al sacrificio eucaristico questa indicazione è particolarmente importante. Solo quando la nostra presenza qui rivela quella "povertà in spirito" di cui parla la beatitudine di Cristo, solo allora possiamo offrire la nostra offerta al grande "tesoro spirituale" della Chiesa: possiamo portare questa offerta all'altare in quello spirito che Dio, nostro creatore, e Cristo, nostro redentore, s'aspettano da noi.

La lettera agli Ebrei parla di Cristo, eterno sacerdote, che intercede in nostro favore presentando al cospetto di Dio Padre il sacrificio della croce sul Golgota.

E questo unico, santissimo e indefinito valore del sacrificio di Cristo abbraccia anche le offerte che noi portiamo all'altare.

Occorre che queste offerte siano simili allo spicciolo di quella vedova del tempio gerosolimitano, ed anche all'offerta della vedova di Zarepta dei tempi di Elia.

Occorre che queste nostre offerte presentate all'altare - la nostra partecipazione all'Eucaristia - portino in sé un segno della beatitudine di Cristo circa i "poveri in spirito".


7. La Chiesa intera oggi medita la verità racchiusa in queste parole della liturgia. Mi è dato oggi, come Vescovo di Roma, meditarle insieme con voi fedeli della parrocchia di san Luigi Gonzaga, ai Parioli. Il vostro patrono, san Luigi, ha vissuto in pienezza ia beatitudine evangelica della povertà in spirito, cioè dello spogliamento degli onori e dei beni terreni per conquistare la vera ricchezza, che è il Regno di Dio. Diceva infatti al padre, marchese di Castiglione delle Stiviere: "Un marchesato non mi basta, io miro un regno"; intendeva riferirsi evidentemente al Regno dei cieli. Per attuare questo suo desiderio Luigi rinuncio al titolo e all'eredità paterna per entrare nel noviziato romano della Compagnia di Gesù. Si fece povero per diventare ricco. Annoterà più tardi in un suo scritto: "Anche i principi sono cenere, come i poveri". così come la "povera vedova", diede tutto al Signore con generosità e slancio, che ha dell'eroismo.

Scelse infatti per sé le incombenze più umili, dedicandosi al servizio degli ammalati, soprattutto nell'epidemia di peste che colpi Roma nel 1590, e dando la sua vita per essi.


8. Desidero salutare cordialmente tutti i presenti: il Cardinale vicario, Ugo Poletti; il Vescovo ausiliare del settore nord, Monsignor Salvatore Boccaccio; il parroco, Monsignor Stefano De Grado, e i sacerdoti suoi collaboratori nell'animazione cristiana di questa zona dei Parioli.

Un pensiero speciale va anche alle religiose ed alle persone consacrate, che vivono ed operano nell'ambito della parrocchia: alle suore dorotee di Vicenza; alle suore del PIME; alle Ancelle dell'Immacolata ed alle Suore Oblate di san Luigi.

Un saluto affettuoso e riconoscente rivolgo pure a tutti i laici, impegnati insieme nella catechesi e nella testimonianza della fede e della carità.

Mi riferisco a tutti gli appartenenti all'Azione Cattolica, alla Conferenza di san Vincenzo, all'Apostolato della Preghiera, alla Comunità dei Neocatecumenali, ai Gruppi del Vangelo e degli Scouts, al consiglio parrocchiale.

Il mio saluto vuole essere un atto di ringraziamento per l'opera di apostolato che avete svolto in questi anni, ma anche un atto di incoraggiamento a perseverare in questa testimonianza evangelica, ben consapevoli che nell'operare il bene non vi mancherà l'aiuto del Signore, anche se a volte potrete sentirvi deboli ed incapaci.

Vi esorto ad accettare il vostro impegno con generosità per trasformare veramente la vostra parrocchia in una comunità solidale, in cui ciascuno si senta coinvolto e corresponsabile.

Il mio saluto si allarga a tutto il Popolo di Dio che è in questa parrocchia, a cominciare dai sofferenti nel corpo e nello spirito; ai poveri ed ai bisognosi, agli anziani, agli handicappati, agli emarginati ed a coloro che vivono nella solitudine.

A tutte le persone di buona volontà che si sentono parte viva ed operante della comunità parrocchiale dico: non stancatevi di cercare tutte le occasioni che il Signore vi offre per allargare contatti e portare avanti quell'opera di promozione fondata sulla verità, sulla giustizia e sul rispetto della persona altrui, che costituisce, per chi si sente lontano dalla fede, il preambolo necessario alla conoscenza di Cristo, che voi avete la fortuna di professare con la vostra vita e con la pratica dei sacramenti della fede.


9. Siate lode vivente di Dio agli occhi di chi cerca il Signore, ma non lo ha ancora trovato. Ripetete col salmista: "Loda, anima mia, il Signore, tuo creatore".

Cari fratelli e sorelle! Imparate a lodare Dio; rendete gloria a lui a nome di tutte le creature.

Imparate a farlo nello spirito della "povera vedova" dell'odierna liturgia, perché il sacrificio della gloria trovi la sua "risonanza" evangelica nel cuore di Cristo.

Imparate - sempre nuovamente - imparate a partecipare all'Eucaristia perché la vostra vita cristiana maturi e s'arricchisca mediante "la povertà in spirito".

Amen! [L'impegno affidato alla gioventù] Ciò vuole dire che i giovani di questa parrocchia vivono nello spirito del Vangelo, nello spirito che ci ha portato Gesù. E lo vivono non come un'idea, o un complesso di idee, ma come persona divina.

Cristo ci ha aperto attraverso la sua croce, la sua resurrezione, la sua redenzione: ci ha portato il dono. La sua prima parola agli apostoli dopo la passione e la resurrezione fu questa: ha tramandato lo Spirito Santo; ha dato, ha offerto lo Spirito Santo agli apostoli, e in essi l'ha aperto a tutta la Chiesa, a tutte le generazioni dei cristiani. Noi siamo interiormente lavorati dallo Spirito Santo; lui lavora in noi. E questo è lo spirito di Cristo, lo spirito evangelico.

Non è un'idea solamente: è una persona, è una realtà vivente. E' una comunione con Dio Padre, con Dio Figlio nello Spirito Santo.

E così cominciamo ogni volta la celebrazione eucaristica con queste classiche parole paoline, che esprimono la dimensione della nostra vita.

Tutto questo s'inserisce anche nella caratteristica della vostra parrocchia, che ha come patrono un giovane, uno dei più grandi santi giovani della Chiesa: una figura straordinaria, con una vita breve ma esemplare. Viveva sulla terra ma viveva già anche nella dimensione soprannaturale: "ad maiora natus".

D'altra parte questo grande santo non aveva doti diverse da quelle che ciascuno di noi possiede: era battezzato con lo stesso Battesimo, cresimato con la stessa Cresima, si alimentava con la stessa Eucaristia, con lo stesso pane di Cristo; si confessava come noi ci confessiamo, nello stesso sacramento della Riconciliazione.

Viveva la sua vita straordinaria, eroica, con le stesse fonti, con le stesse forze che sono a nostra disposizione.

E questo ci dice che tali forze in noi devono essere operanti per portare frutti significativi; forse non dello stesso grado - poiché esistono anche diversi gradi nella partecipazione dei doni divini - ma in misura sufficiente, in grado meritevole, che possa fare di noi testimoni di Cristo, cristiani autentici, apostoli. Giovani per i giovani. Da parte mia sono contento di incontrare i giovani delle parrocchie di Roma, perché attraverso la loro presenza si vede tutto l'impegno, la disponibilità, quell'impegno e quella disponibilità che sono un bene della Chiesa, ma anche un bene per ciascuno di voi. Non c'è un progetto di vita migliore, più concreto di quello che possiamo trovare seguendo Cristo. Ed è questo, carissimi giovani di tutti i gruppi e di tutte le associazioni della parrocchia, che io vi auguro, pensando con il vostro patrono a ciascuno di voi, alla vostra vocazione, al cammino che sta davanti a voi. E vi benedico affinché portiate avanti il progetto di vita che viene dalla vostra fede, dalla vostra speranza, nel quale si fa carne la vostra carità.

[Al Consiglio pastorale e alle associazioni parrocchiali] Questa relazione mi ha richiamato alla mente un'analogia paolina.

Sappiamo bene che san Paolo ha usato questa analogia per esprimere la natura della Chiesa: il corpo di Cristo. E' un'intuizione che può anche sembrare un po strana: Chiesa, corpo. Ma riflettendo, e cercandone le ragioni, si vede sempre meglio che il corpo - il corpo umano - è un'insieme, un agglomerato, una unità straordinariamente perfetta. E un'insieme di elementi diversi: nel corpo c'è diversità, anche una estrema diversità, come ben sappiamo, e ancor meglio sanno gli studiosi di scienze biologiche umane. Ma al tempo stesso c'è l'unità di elementi così diversi. C'è un motivo molto profondo per questa analogia paolina: la Chiesa è il corpo di Cristo. Vuol dire che Cristo, con la sua incarnazione, con la sua redenzione, con la sua croce e resurrezione, con i suoi sacramenti, è diventato un centro di unificazione di tante persone. Potenzialmente di tutti gli uomini. Abbraccia e unisce tutta l'umanità. Noi non sappiamo in che misura ciascuno dei nostri fratelli e sorelle della famiglia umana appartiene a questo corpo. E' un mistero. Ma certamente è anche una profonda realtà. Cristo ha redento tutti, ha abbracciato tutti, e tutti si trovano in questa unità soprannaturale causata una volta e per sempre da lui.

Ecco più o meno una breve esegesi di questa analogia paolina tra il corpo di Cristo e la Chiesa. Vi ho pensato, ascoltando il vostro presidente, perché nella Chiesa ci sono dimensioni diverse: essa è nello stesso tempo, universale e locale, particolare; è la Chiesa di Roma e delle Indie, del Brasile e del Sudan, di tanti Paesi del mondo, di tanti popoli del mondo. In questa Chiesa vi sono dunque diverse Chiese, diverse comunità particolari, sino ad arrivare alla famiglia, che si chiama "Chiesa domestica", passando attraverso la parrocchia.

Quest'ultima è una Chiesa particolare molto speciale. Ecco, voi siete la parrocchia. Siete persone, ma come rappresentanti della parrocchia siete anche un corpo: il corpo dei parrocchiani. Che cosa vi unisce? Un sentimento, una consapevolezza della responsabilità. Una responsabilità maggiore di quella degli altri? Non lo sappiamo esattamente, ma possiamo supporlo.

Ora questa consapevolezza della responsabilità vi unisce: responsabilità per la Chiesa, la Chiesa concreta che è la vostra parrocchia.

Questo corpo che è la vostra parrocchia certamente si trova in un edificio, possiamo dire una casa, che sembra insufficiente alla sua vera dlmensione. Avete ereditato questa chiesa, onorata dal titolo di san Luigi Gonzaga, grande giovane, patrono dei giovani; forse una volta era adeguata al corpo che costituiva la vostra parrocchia. Oggi non sembra più sufficiente. E come di questa insufficienza fare sufficienza? Sappiamo che vi sono dimensioni del corpo materiali; e vi sono dimensioni dello spirito. Sono convinto che in questa angustia di spazio parrocchiale, in senso materiale, fisico, voi potete certamente sviluppare una larghezza dello spirito, una dimensione dello spirito propria della vocazione cristiana. Perché la vocazione cristiana è larga, non è mai chiusa, è sempre aperta agli altri come nel corpo ogni cellula è aperta all'altra cellula e, tutte insieme all organismo intero.

Allora questa larghezza proviene dall'apertura: apertura dei cuori, apertura degli intenti, apertura delle preoccupazioni, apertura dell'amore. Ecco, con tutte queste considerazioni volevo arrivare alla parola amore. Per augurarvi, carissimi fratelli e sorelle, questo amore che "fa la Chiesa, che fa la sua vera natura, il suo dinamismo, la sua missione, e anche la sua estensione, al di là degli spazi diversi. L'amore contiene tutto, abbraccia tutto, interagisce in tutto. Vi auguro l' amore, nella vostra parrocchia, nonostante l'angustia della vostra chiesa di san Luigi Gonzaga, insufficiente per la vostra comunità.

[Con i neocatecumenali il congedo dalla parrocchia] Il radicalismo evangelico, che incontriamo in diverse pagine dei Vangeli, si esprime soprattutto con le parole: dare la vita. Cristo certamente era un maestro, un "rabbi", ha insegnato, ma ci ha detto tutto e alla fine, pienamente, dando la vita. Con la sua morte e la sua resurrezione. E la sua ultima parola è la parola più completa. Allora: dare la vita. Io vedo che nelle vostre comunità neocatecumenal1 questa parola si fa carne. Sono tanti che sono pronti a dare la vita: in modi diversi, e sono tanti. Lo sa bene lo Spirito Santo.

Un'altra considerazione è legata alla parola lievito. Sappiamo bene la parabola del Vangelo che parla del lievito. Ecco, voi siete un lievito, un lievito che fa crescere la pasta. La Chiesa è una massa, l'umanità è una massa maggiore.

Anche la Chiesa è una massa. Ma questa massa qualche volta è una massa inerte, non sufficientemente catechitizzata, non sufficientemente alimentata dai sacramenti, non sufficientemente consapevole di quello che è il Battesimo. Il Battesimo è, possiamo dire, il primo lievito in ciascuno di noi, che ci fa vivere la vita di Cristo. Cristo crocifisso, morto e risorto: questo ci fa vivere personalmente nel nostro corpo, nella nostra anima, nella nostra persona il Battesimo. Noi siamo sempre insufficientemente consapevoli di quello che è il nostro Battesimo. San Paolo ci ha lasciato indicazioni, messaggi perfetti su quello che è il Battesimo.

Noi pero siamo sempre al di sotto nella consapevolezza di ciò che è, della sua realtà, di quello che vuol dire. Ecco perché ci vuole il lievito per far crescere la consapevolezza del Battesimo, che è esso stesso un lievito, un lievito sacramentale; ci vuole pero un lievito anche apostolico.

Basandovi su questa consapevolezza, vi fate lievito per la massa nelle chiese, nelle diocesi, nelle parrocchie, e fate si che si realizzi una parola che corrisponda pienamente a quello che voleva Cristo dagli apostoli: andate. Non diceva: prendete i palazzi, le ricchezze, le case... no. Gli diceva: andate. così anche voi siete itineranti in corrispondenza alla parola di Cristo. Anche il Papa, nonostante la sua casa, il Vaticano, la Basilica di san Pietro, cerca di essere anche lui un po' itinerante.

Non ho preteso di esaurire tutto l'argomento. Ma in queste quattro osservazioni potete già incontrare voi stessi, potete già trovare la vostra immagine, trovare anche un incoraggiamento per restare sempre quello che siete, quello che volete essere. Ma vedete in queste parole anche la mia benedizione e speriamo che essa esprima e porti con sé la grazia del Signore. Il lievito, l'itineranza, cresce nella grazia del Signore.

Il catechista che poco fa ci ha detto di aver sentito un rumore nel suo cuore, nella sua coscienza certo lo ha sentito perché c'era Kiko che ha operato, ma soltanto come strumento umano. In realtà era lo Spirito che ha operato, la Grazia del Signore, lo Spirito Santo che ha cominciato a soffiare. E' stato lo Spirito a soffiare e a non lasciare in pace questo signore. Perché Cristo non è venuto per lasciarci in pace. E' venuto a portarci la pace, la più grande pace alla quale aspirava la persona umana: la pace con Dio, la riconciliazione; ma non è venuto a portarci la vita comoda, tranquilla, no, certamente no.


Data: 1988-11-06 Data estesa: Domenica 6 Novembre 1988




Alle conferenze episcopali nel XX dell'"Humanae Vitae" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il dono è la "legge nuova", la radice e la forza della vita morale della coppia e della famiglia

Testo:


1. Con intima gioia rivolgo il mio affettuoso saluto a tutti voi, fratelli nell'episcopato, e ai tanti altri fratelli che voi rappresentate.

Al saluto si accompagna il mio grato apprezzamento per la disponibilità ad impegnare una parte del vostro tempo e tutta la vostra carità pastorale nella riflessione su di un argomento di particolare importanza per la vita e per la missione della Chiesa.

Uno speciale ringraziamento devo inoltre al Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ha organizzato questo incontro e che ne sta seguendo i lavori.

Ringrazio il Cardinale presidente per le sue parole introduttive.


2. Il motivo dell'incontro è il XX anniversario dell'enciclica "Humanae Vitae", che Paolo VI pubblico il 25 luglio 1968 sul grave problema della retta regolazione della natalità. Nell'allocuzione del mercoledi successivo alla pubblicazione dell'enciclica lo stesso Paolo VI confido ai fedeli i sentimenti che l'avevano guidato nell'adempimento del suo mandato apostolico. Diceva: "Il primo sentimento è stato quello d'una nostra gravissima responsabilità. Esso ci ha introdotto e sostenuto nel vivo della questione durante i quattro anni dovuti allo studio e alla elaborazione di questa enciclica. Vi confideremo che tale sentimento ci ha fatto anche non poco soffrire spiritualmente. Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo, e abbiamo anche molto pregato... Invocando i lumi dello Spirito Santo, abbiamo messo la nostra coscienza nella piena e libera disponibilità alla voce della verità, cercando d'interpretare la norma divina che vediamo scaturire dall'intrinseca esigenza dell'autentico amore umano, dalle strutture essenziali dell'istituto matrimoniale, dalla dignità personale degli sposi, dalla loro missione al servizio della vita, non che dalla santità del coniugio cristiano; abbiamo riflettuti sugli elementi stabili della dottrina tradizionale e vigente della Chiesa, specialmente poi sopra gli insegnamenti del recente Concilio, abbiamo ponderato le conseguenze dell'una o dell'altra decisione, e non abbiamo avuto dubbio sul nostro dovere di pronunciare la nostra sentenza nei termini espressi dalla presente enciclica" (cfr. Inegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 870-871).

A tutti sono note le reazioni, talvolta aspre e persino sprezzanti, che anche in alcuni ambienti della stessa comunità ecclesiale l'enciclica "Humanae Vitae" ha ricevuto. Il mio venerato predecessore le aveva chiaramente previste.

Scriveva, infatti, nell'enciclica: "Si può prevedere che questo insegnamento non sarà forse da tutti facilmente accolto: troppe sono le voci - amplificate dai moderni mezzi di propaganda - che contrastano con quella della Chiesa. A dire vero, questa non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin Fondatore, "segno di contraddizione" (cfr. Lc 2,34), ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica" (Pauli VI HV 18).

D'altra parte Paolo VI nutri sempre una profonda fiducia nella capacità degli uomini d'oggi di accogliere e di comprendere la dottrina della Chiesa sul principio della "connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo" (Pauli VI HV 12).

"Noi pensiamo - egli scriveva - che gli uomini nel nostro tempo sono particolarmente in grado di affermare il carattere profondamente ragionevole e umano di questo fondamentale principio" (Pauli VI HV 12).


3. In realtà, gli anni successivi all'enciclica, nonostante il persistere di critiche ingiustificate e di silenzi inaccettabili, hanno potuto mostrare con crescente chiarezza come il documento di Paolo VI fosse non solo sempre di viva attualità, ma persino ricco di un significato profetico.

Una testimonianza di particolare valore è stata offerta dai Vescovi nel Sinodo del 1980, che così scrivevano nella "Propositio 22": "Questo sacro Sinodo, riunito nell'unità della fede col successore di Pietro, fermamente tiene ciò che nel Concilio Vaticano II (cfr. GS 50) e, in seguito, nell'enciclica "Humanae Vitae" viene proposto, e in particolare che l'amore coniugale deve essere pienamente umano, esclusivo e aperto alla nuova vita (Pauli VI HV 11 et cfr. HV 9 HV 12)".

Io stesso poi nell'esortazione post-sinodale "Familiaris Consortio" ho riproposto, nel più ampio contesto della vocazione e della missione della famiglia, la prospettiva antropologica e morale della "Humanae Vitae" sulla trasmissione della vita umana (cfr. Pauli VI HV 28-35). così come ho dedicato, durante le udienze del mercoledi, le ultime catechesi sull'amore umano nel piano divino a confermare e ad illuminare il principio etico fondamentale dell'enciclica di Paolo VI circa la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo dell'atto coniugale, interpretato alla luce del significato sponsale del corpo umano.

Tra i frutti del Sinodo dei Vescovi sui compiti della famiglia del 1980 si deve ricordare la costituzione di due importanti organismi ecclesiali, destinati l'uno a stimolare l'attività pastorale circa il matrimonio e la famiglia, e l'altro a promuovere la riflessione scientifica.

Il primo organismo è il Pontificio Consiglio per la Famiglia, con il quale veniva profondamente rinnovato il precedente Comitato Pontificio per la Famiglia voluto da Paolo VI. Nell'esortazione "Familiaris Consortio" indicavo il senso e la finalità del nuovo organismo nell'essere "un segno dell'importanza che attribuisco alla pastorale della famiglia nel mondo, e al tempo stesso uno strumento efficace per aiutare a promuoverla ad ogni livello" (FC 73).

Il secondo organismo è l'Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, voluto "affinché si metta sempre più in luce con metodo scientifico la verità del matrimonio e della famiglia, e laici, religiosi e sacerdoti possano conseguire in questo ambito una formazione scientifica sia filosofico teologica sia nelle scienze umane, cosicché il loro ministero pastorale ed ecclesiale sia assolto in modo più idoneo e più efficace per il bene del Popolo di Dio" ("Magnum Matrimonii", 3). Già fondato e operante da alcuni anni presso la Pontificia Università Lateranense, esso ha ricevuto riconoscimento giuridico nel 1982 e ha continuato il suo lodevole impegno allargando la sua attività ad altri Paesi. In questi stessi giorni l'Istituto ha programmato il Secondo Congresso Internazionale di Teologia Morale sul tema "Humanae Vitae: 20 anni dopo", con riflessioni ed analisi che si muovono nella linea delle preoccupazioni pastorali proprie anche di questa vostra riunione.

La gravità dei problemi oggi sollevati nell'ambito del matrimonio e della famiglia rende sempre più necessario che all'interno delle conferenze episcopali nazionali o regionali, e talvolta anche in singole diocesi, si costituiscano e si rendano operanti organismi analoghi a quelli ora ricordati: solo così i problemi possono trovare, con il dovuto approfondimento dottrinale, valide risposte pastorali opportunamente coordinate con le iniziative degli altri organismi ecclesiali.


4. La presente riunione riveste una particolare importanza già per il fatto stesso di svolgersi tra Vescovi qui convenuti quali rappresentanti delle conferenze episcopali dei rispettivi Paesi, in cui sono loro affidati specifici incarichi in questo settore della pastorale. La problematica teologica e pastorale suscitata dall'enciclica "Humanae Vitae" e dall'esortazione "Familiaris Consortio", venerati fratelli, rappresenta senz'altro un capitolo fondamentale della vostra sollecitudine di maestri e di pastori della verità evangelica e umana circa il matrimonio e la famiglia.

Questo incontro che viviamo può essere per voi una preziosa occasione perché, mediante lo scambio delle esperienze, si possa meglio descrivere e analizzare l'attuale situazione della Chiesa, sia riferendo gli sviluppi collegati alla tematica della "Humanae Vitae" sia informando circa la risposta che, nelle diverse situazioni sociali e culturali, si è data al riguardo.

Il metodo di questi lavori e i risultati che li coroneranno potranno forse suggerire l'opportunità di riprendere anche in futuro simili incontri. Essi, infatti, si muovono nel contesto d'una collaborazione già in atto tra il Pontificio Consiglio per la Famiglia e gli episcopati dei vari Paesi, soprattutto in occasione delle visite "ad limina". Le molteplici difficoltà a cui deve far fronte la famiglia nel mondo contemporaneo inducono ad auspicare l'ulteriore consolidamento di tale collaborazione al fine di offrire agli sposi ogni possibile aiuto per meglio corrispondere alla vocazione loro propria.


5. Da più parti il riferimento all'enciclica "Humanae Vitae" si collega, quasi automaticamente, all'idea della "crisi" che ha investito e continua ad investire la morale coniugale.

Senza dubbio si devono riconoscere le molteplici e talvolta gravi difficoltà che in questo campo i sacerdoti e le coppie incontrano, gli uni nell'annunciare la verità intera sull'amore coniugale e le altre nel viverla.

D'altra parte le difficoltà a livello morale sono il frutto e il segno di altre difficoltà più gravi che toccano i valori essenziali del matrimonio quale "intima comunità di vita e di amore coniugale" (GS 48). La perdita di stima nei riguardi del figlio come "preziosissimo dono del matrimonio" (GS 50) e persino il rifiuto categorico di trasmettere la vita, talvolta per una malintesa concezione della procreazione responsabile, e la interpretazione del tutto soggettiva e relativistica dell'amore coniugale, spesso così diffusi nella nostra società e nella nostra cultura, sono il segno evidente dell'attuale crisi matrimoniale e familiare.

Alle radici della "crisi", la esortazione "Familiaris Consortio" ha individuato una corruzione dell'idea e della prassi della libertà, che viene "concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere" (FC 6).

Più radicalmente ancora è da rilevarsi una visione immanentistica e secolaristica del matrimonio, dei suoi valori e delle sue esigenze: il rifiuto di riconoscere la sorgente divina, da cui derivano l'amore e la fecondità degli sposi, espone il matrimonio e la famiglia a dissolversi anche come esperienza umana.

Nello stesso tempo la situazione attuale presenta anche aspetti positivi, tra i quali emerge la riscoperta delle "risorse" di cui l'uomo e la donna dispongono per vivere la verità intera dell'amore coniugale.

La prima e fondamentale risorsa è il sacramento del Matrimonio, ossia Gesù Cristo stesso che si fa presente e operante per mezzo del suo Spirito e rende gli sposi cristiani partecipi del suo amore verso l'umanità redenta. Questo "sacramento" manifesta pienamente e porta a supremo compimento quel "sacramento primordiale della creazione" per il quale fin dal "principio" l'uomo e la donna sono stati creati da Dio a sua immagine e somiglianza e chiamati all'amore e alla comunione. così l'uomo e la donna, mentre realizzano la loro "umanità" secondo la vocazione matrimoniale, sono posti al servizio non solo dei figli ma anche della Chiesa e della società.

Il periodo post-conciliare ha favorito una progressiva crescita della consapevolezza del significato ecclesiale e sociale del matrimonio e della famiglia: sono questi il luogo più comune e, nello stesso tempo, fondamentale nel quale si esprime la missione dei laici nella Chiesa. La "Carta dei diritti della famiglia" emanata dalla Santa Sede nel 1983 su richiesta del Sinodo dei Vescovi, costituisce un momento di particolare importanza per la coscienza del significato sociale e politico della vita di coppia e di famiglia: queste non sono semplici destinatarie, ma vere e proprie "protagoniste" di una "politica" al servizio del bene comune familiare.


6. Di fronte alle difficoltà e alle risorse della famiglia di oggi, la Chiesa si sente chiamata a rinnovare la coscienza del compito che ha ricevuto da Cristo nei riguardi del prezioso bene del matrimonio e della famiglia: il compito di annunciarlo nella sua verità, di celebrarlo nel suo mistero e di farlo vivere nell'esistenza quotidiana da "coloro che Dio chiama a servirlo nel matrimonio" (Pauli VI HV 25).

Ma come svolgere questo compito nelle presenti condizioni di vita della Chiesa e della società? Lo scambio di idee e di esperienze durante questo vostro incontro permetterà certamente di trovare alcune significative risposte.

può essere comunque opportuno, all'inizio dei vostri lavori, offrire qualche suggerimento e formulare qualche proposta.

E' quanto mai urgente ravvivare la coscienza dell'amore coniugale come dono: è il dono che mediante il sacramento del Matrimonio lo Spirito Santo, il quale nell'ineffabile mistero della Trinità è la persona-dono (cfr. DEV 10), effonde nel cuore degli sposi cristiani. Questo stesso dono è la "legge nuova" della loro esistenza, la radice e la forza della vita morale della coppia e della famiglia. E in realtà il loro "ethos" consiste nel vivere tutte le dimensioni del dono: - la dimensione coniugale, che chiede agli sposi di diventare sempre più un cuor solo e un'anima sola, rivelando così nella storia il mistero della stessa comunione di Dio uno e trino; - la dimensione familiare, che chiede agli sposi di essere disposti "a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia" (GS 50), accogliendo dal Signore il dono del figlio (cfr. Gn 4,1); - la dimensione ecclesiale e sociale, per la quale i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, "hanno, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio" (LG 11), e nello stesso tempo assumono e sviluppano - come "prima e vitale cellula della società" (AA 11) - le loro responsabilità nell'ambito sociale e politico; - la dimensione religiosa, per la quale la coppia e la famiglia rispondono al dono di Dio e nella fede, nella speranza e nella carità fanno di tutta la loro vita un "sacrificio spirituale gradito a Dio per Gesù Cristo" (cfr. 1P 2,5).

Senza trascurare insegnamenti che pure hanno la loro importanza, come sono quelli che riguardano gli aspetti antropologici e psicologici della sessualità e del matrimonio, lo sforzo pastorale della Chiesa deve porre decisamente al primo posto la diffusione e l'approfondimento della coscienza che l'amore coniugale è dono di Dio affidato alla responsabilità dell'uomo e della donna: in questa linea devono muoversi la catechesi, la riflessione teologica, l'educazione morale e spirituale.

E' inoltre, quanto mai urgente che si rinnovi in tutti, sacerdoti, religiosi e laici, la coscienza dell'assoluta necessità della pastorale familiare come parte integrante della pastorale della Chiesa, madre e maestra. Ripeto con convinzione l'appello contenuto nella "Familiaris Consortio": "Ogni Chiesa locale e, in termini più particolari, ogni comunità parrocchiale deve prendere più viva coscienza della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore in ordine a promuovere la pastorale della famiglia. Ogni piano di pastorale organica, ad ogni livello, non deve mai prescindere dal prendere in considerazione la pastorale della famiglia" (FC 70).

L'esigenza insopprimibile che la fede diventi cultura deve trovare il suo primo fondamentale luogo di realizzazione nella coppia e nella famiglia. Il fine della pastorale familiare consiste non solo nel rendere le comunità ecclesiali più sollecite verso il bene cristiano e umano delle coppie e delle famiglie, in particolare di quelle più povere e in difficoltà ma anche e soprattutto nel sollecitare il "protagonismo" proprio e insostituibile delle coppie e delle famiglie stesse nella Chiesa e nella società.

Per una pastorale familiare efficace e incisiva occorre puntare sulla formazione degli operatori, anche suscitando vocazioni all'apostolato in questo campo vitale per la Chiesa e per il mondo. Le parole di Gesù: "La messe è molta ma gli operai sono pochi" (Lc 10,2) valgono anche per il campo della pastorale familiare. Occorrono "operai" che non temano le difficoltà e le incomprensioni nel presentare il progetto di Dio sul matrimonio, disposti a "seminare nelle lacrime" ma nella sicurezza di "mietere con giubilo" (cfr. Ps 126[125],5).


7. Dio vuole che ogni famiglia diventi in Gesù Cristo una "Chiesa domestica" (cfr. LG 11): da questa "Chiesa in miniatura", come ama spesso chiamare la famiglia san Giovanni Crisostomo (cfr. ex. gr., S. Ioannis Chrysostomi "In Genesim", Serm. VI, 2; VII, 1), dipende per la maggior parte il futuro della Chiesa e della sua missione evangelizzatrice.

Anche l'avvenire d'una società più umana, perché ispirata e sostenuta dalla civiltà dell'amore e della vita, dipende in gran parte dalla "qualità" morale e spirituale del matrimonio e della famiglia, dipende dalla loro "santità".

Questo è il fine supremo dell'azione pastorale della Chiesa, di cui noi Vescovi siamo i primi responsabili. Il XX anniversario della "Humanae Vitae" ripropone a tutti noi questo fine con la medesima urgenza apostolica di Paolo VI, che concludeva la sua enciclica rivolgendosi ai fratelli nell'episcopato con queste parole: "Con i sacerdoti vostri cooperatori e i vostri fedeli, lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre più vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel nostro presente" (Pauli VI HV 30).

Nel far mie queste esortazioni vi saluto ancora una volta, carissimi confratelli, vi offro la mia benedizione apostolica e anche propongo di fare la stessa benedizione insieme, tutti noi, per i nostri collaboratori, sacerdoti, comunità diocesane, parrocchiali, per le nostre famiglie.


Data: 1988-11-07 Data estesa: Lunedi 7 Novembre 1988





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