GPII 1988 Insegnamenti - All'Ambasciatore del Bangladesh presso la Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)

All'Ambasciatore del Bangladesh presso la Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La garanzia di professare la fede religiosa rafforza l'integrità morale di un popolo

Testo:

Signor Ambasciatore.

E' un piacere riceverla oggi e accogliere le lettere che la accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Popolare del Bangladesh. Desidero esprimere la mia gratitudine per i saluti e gli ossequi a me presentati da parte del suo Presidente, sua eccellenza Hussain Muhammad Ershad e la prego di assicurarlo della mia preghiera all'Altissimo per il bene suo e di tutto il popolo del Bangladesh. In particolare desidero esprimere la mia orante sollecitudine e solidarietà per le vittime delle recenti alluvioni che hanno seminato la devastazione nel suo Paese.

Nell'accoglierla, signor Ambasciatore, ricordo la mia visita nella sua patria nel 1986. Fu per me una gioia sperimentare la vostra cordiale ospitalità e incontrare la ricchezza culturale del vostro popolo, la cui lunga storia è stata ricca di molti contributi linguistici, culturali e religiosi. Venni nel vostro Paese "come un pellegrino nell'"anima" del popolo del Bangladesh" e come "un fratello nella nostra comune umanità; un fratello nella nostra adorazione dell'unico Dio vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini; un fratello nella solidarietà umana, in ascolto della voce dell'umanità che implora in tutto il mondo dignità, giustizia e pace" ("Allocutio in aëronavium portu urbis "Dacca" in Bangladesa", 1, die 19 nov. 1986: , IX, 2 [1986] 1475s).

La mia visita aveva anzitutto un significato religioso. Desideravo confermare nella fede i miei fratelli e sorelle della Chiesa cattolica e incoraggiare al rispetto e alla stima tutto il popolo, che fossero musulmani, indù, buddisti o cristiani. Ripeto oggi la mia fervida speranza che i seguaci delle diverse tradizioni religiose presenti nel suo Paese continuino a vivere in armonia cercando una sempre maggiore comprensione e apprezzamento vicendevole.

Lei ha ricordato l'importanza della dimensione spirituale nell'ethos nazionale e anche la protezione e il rispetto da parte del suo governo nei confronti della libertà religiosa del popolo del Bangladesh. Desidero sottolineare che la difesa della libertà per l'individuo di professare le sue convinzioni religiose rafforza l'integrità morale del popolo e perciò favorisce una più giusta società al servizio del bene comune. Come ho scritto nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno: "La fede religiosa, facendo si che l'uomo comprenda in modo nuovo la propria umanità, lo porta a ritrovarsi pienamente, mediante il dono sincero di sé, a fianco degli altri uomini, li affratella, li rende più attenti, più responsabili, più generosi nella dedizione al bene comune" ("Nuntius ob diem ad pacem favendam dicatum pro a. D. 1988", 3. die 8 dec. 1987: , X, 3 [1987] 1337).

Signor Ambasciatore, lei ha parlato delle recenti misure messe in atto per promuovere le aspirazioni democratiche del suo popolo. Desidero offrire il mio incoraggiamento ad ogni iniziativa che garantisce le libertà fondamentali. Il Concilio Vaticano II insegna che tutti i cittadini devono godere del diritto-dovere di "partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo della cosa pubblica, sia alla determinazione del campo d'azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti" (GS 75).

Ringrazio sua eccellenza per il suo amabile riconoscimento dell'impegno della Santa Sede a favore della pace e dello sviluppo. Lei ha parlato specificamente della sua dedizione alla causa del disarmo, della comprensione e cooperazione tra le diverse religioni del mondo e della soluzione dei problemi che affliggono molte nazioni del mondo. Nel cercare soluzioni a questi problemi internazionali, la sola strada da percorrere per la vittoria della pace e della giustizia è la strada del mutuo rispetto, della fraternità universale e dello sviluppo integrale. Le relazioni e i sistemi politici, economici, sociali e culturali devono essere impregnati dai valori della solidarietà e del dialogo. E c'è la necessità di un grado superiore di ordinamento internazionale che vigili sul bene comune di tutti i popoli (cfr. SRS 43).

Ho notato, signor Ambasciatore, che lei ha parlato di cordiali relazioni tra il suo governo e la Santa Sede. E' mia speranza che la collaborazione, da sempre caratteristica delle nostre relazioni diplomatiche, servirà alla promozione e allo sviluppo di questi legami di amicizia.

L'eccellenza vostra può esser certa della disponibilità della Santa Sede ad assisterla nel compimento della sua missione diplomatica. Nell'assumere il nuovo incarico, le offro i miei auguri e l'assicurazione della mia preghiera per lo svolgimento fruttuoso delle sue responsabilità. Sulla sua persona e su tutto il popolo del Bangladesh invoco la benedizione dell'Altissimo.


Data: 1988-11-10 Data estesa: Giovedi 10 Novembre 1988




Alla III Conferenza Internazionale degli Operatori Sanitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Assicura a ogni uomo una parabola vitale che lo conduca dal concepimento al tramonto naturale non anticipato né compromesso da condizioni di vita subumane

Testo:

Illustri signori.


1. A voi il mio saluto deferente e cordiale. Sono lieto di questo incontro; esso mi consente di avvicinare ancora una volta tanti qualificati maestri della medicina, qui convenuti per prender parte a questa Conferenza Internazionale che il Pontificio Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari ha opportunamente promosso sul tema "Longevità e qualità della vita".

L'argomento si rivela quanto mai attuale alla luce dei modificati rapporti percentuali tra le varie fasce di età della popolazione mondiale. Oggi, in realtà si registra in tutto il mondo un costante aumento del numero degli anziani: ciò comporta da parte di tutti un maggiore impegno etico, morale, politico, sociale ed organizzativo, affinché siano ad essi garantite adeguata sicurezza ed efficace assistenza.

Non è in questione soltanto il mondo della medicina, il cui compito è di rendere possibile il benessere di questa particolare età della vita prevenendo le malattie e promovendo quanto è attuabile per assicurare l'autosufficienza dell'anziano; in causa sono anche la famiglia e le strutture della comunità, a cui spetta di adoperarsi perché l'anziano possa continuare ad esprimersi, come elemento attivo, inserito nel proprio contesto familiare e sociale. Soltanto l'impegno solidale di tutti potrà consentire all'anziano di ottenere il doveroso riconoscimento della sua presenza attiva nella società. Se, infatti, per la sua dimensione, è moderno il problema della valorizzazione della terza età, antica è l'intuizione della legittimità del desiderio delle persone anziane di continuare ad essere inserite costruttivamente nella vita, non soltanto familiare ma individuale e associata.

Tale desiderio trova il suo riscontro nel grave obbligo morale, avvertito dalla coscienza di ogni uomo e sancito pure nella Sacra Scrittura, di offrire adeguata assistenza alle persone anziane. Tra i comandamenti del Decalogo ve n'è uno che stabilisce: "Onora tuo padre e tuo madre come il Signore Dio tuo ti ha comandato" (Dt 5,16). La Bibbia non richiama soltanto il rispetto e l'obbedienza dovuta ai genitori, ma anche l'obbligo di giustizia di assisterli e curarli quando essi non siano più in grado di provvedere a se stessi: "Ricorda che essi ti hanno generato; che darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?" (Si 7,28).


2. I grandi mutamenti sociali e culturali dell'ultimo cinquantennio, connessi col progresso tecnologico, a sua volta frutto di uno straordinario sviluppo nel campo delle scienze, hanno profondamente modificato i rapporti tra le generazioni. Nei Paesi in via di sviluppo le culture locali hanno conservato più saldi i legami con la tradizione e più stabile il ruolo dell'anziano, considerato espressione dell'unità familiare. Ma nelle nazioni industrializzate l'evoluzione è stata tanto rapida e incisiva, da trasformare profondamente il contesto sociale fondato sulla famiglia patriarcale: la situazione delle persone anziane ne ha risentito vivacemente il contraccolpo.

Contemporaneamente, l'igiene maggiormente seguita, la medicina preventiva, i farmaci moderni, una migliore e più adeguata alimentazione, hanno elevato in tali nazioni, in meno di un secolo, la vita media dell'uomo di circa trent'anni. Di qui il notevole incremento percentuale degli anziani. Tale aumento pone una serie di problemi di ordine strutturale ed economico, ai quali la società fatica a rispondere.


3. Sociologi e medici distinguono due categorie di anziani, gli autosufficienti e quelli che non lo sono, evitando tuttavia di considerare fattore discriminante la sola sufficienza motoria, dal momento che non pochi anziani affetti da non-autosufficienza motoria godono di pieno equilibrio psichico e di vivace lucidità mentale. Come è ovvio, se minori sono i problemi della prima categoria, più gravi ed urgenti sono quelli posti dai non autosufficienti, ai quali deve essere procurata una assistenza sicura, dignitosa, specifica.

Di questi problemi la presente Conferenza Internazionale intende farsi carico, sottolineando lo stretto nesso che deve essere mantenuto tra longevità e qualità della vita. Non basta, infatti, assicurare il soddisfacimento dei bisogni primari connessi con la longevità: occorre anche tener conto delle esigenze poste dalla dignità personale dell'anziano, mettendo a sua disposizione quell'insieme di provvidenze, che gli consentano di condurre un'esistenza accompagnata da una attività idonea all'età. Solo un adeguato impegno delle energie fisiche e psichiche, infatti, potrà salvaguardare in lui una solida coscienza di sé ed una costruttiva volontà di vivere. Dipenderà pertanto dalla qualità della vita che si riuscirà ad assicurare all'anziano, se meno netta sarà la distinzione tra le diverse età e se potrà addirittura configurarsi la prospettiva di una vita in qualche modo senza età.


4. Di fatto, oggi, il rifiuto del modello familiare patriarcale, specie nei Paesi ricchi, ha favorito il crescente fenomeno dell'affidamento dell'anziano alle strutture pubbliche o private, le quali, nonostante i buoni intendimenti, in genere non sono in grado di aiutarlo totalmente a superare la barriera dell'isolamento psicologico e soprattutto dell'emarginazione familiare, privandolo del calore della famiglia, dell'interesse per la società, dell'amore alla vita.

Occorre perciò creare strutture di accoglienza che tengano sempre maggiormente conto di queste esigenze psicologiche e spirituali dell'essere umano, dalle quali dipende in misura determinante la "qualità della vita" di chi è giunto a tale stadio. Ciò potrà offrire una soluzione "umana" all'anziano che non abbia una propria famiglia su cui far conto o che non sia in grado di autogestirsi o che, comunque, liberamente desideri avvalersi di una di tali strutture, ritenendola confacente alla propria situazione.

Bisogna, tuttavia, affermare con forza che non è quella la soluzione ideale. L'obiettivo verso cui ci si deve orientare è che l'anziano possa restare nella sua casa, contando eventualmente su adeguate forme di assistenza domiciliare. In ciò, all'impegno pubblico potrà affiancarsi l'azione del volontariato, con l'apporto delle iniziative ispirate dagli insegnamenti della Chiesa cattolica, come anche da quelli di altri movimenti religiosi e umanitari, meritevoli di rispetto e di gratitudine.


5. Per l'attuazione di un simile orientamento, la cui indole non è solo tecnica ma morale e sociale, è necessario richiamarsi ad alcuni fondamentali valori - quali la sacralità della vita umana, la dignità della persona, l'intangibilità della sua libertà - che sono inscritti nella coscienza di ciascuno e costituiscono le strutture portanti di ogni autentica civiltà. Nel caso dell'anziano, poi, il pensiero deve andare anche al debito di riconoscenza che la società ha verso di lui per quanto egli ha fatto a vantaggio del bene comune durante gli anni di attività.

Questi valori acquistano una particolare ricchezza di contenuto nella luce della rivelazione biblica, che presenta l'essere umano come fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26) e raccomanda: "Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo... perché la pietà verso il padre non sarà dimenticata" (Si 3,12-14).


6. Il progresso scientifico degli anni recenti ha compiuto sostanziali progressi nel campo della terapia di patologie caratteristiche dell'età avanzata. In base alle attuali acquisizioni, oggi è possibile prevenire o almeno ritardare l'insorgenza di alcuni di tali fenomeni provvedendo ad un adeguato e orientato invecchiamento, nel quale hanno parte anche fattori esterni come l'alimentazione, l'ambiente, l'educazione sanitaria, l'igiene.

Vi sono pero altri fenomeni patologici, nei confronti dei quali le cognizioni attualmente disponibili sono ancora insufficienti per programmare un'azione preventiva e curativa. Ciò pone ai cultori di questo settore della medicina il dovere di un rinnovato impegno per acquisire più precise conoscenze circa l'eziologia di tali forme morbose e la loro cura adeguata.

Non posso pero non richiamare l'attenzione di tutti sulla necessità che l'impegno comune non si esaurisca nella ricerca di farmaci sempre più sofisticati e costosi a vantaggio praticamente solo degli anziani dei Paesi ricchi. Occorre che lo sforzo delle nazioni sviluppate si volga anche a quelle vaste zone del mondo in cui, nonostante il permanere di una ammirevole solidarietà familiare, la povertà endemica, le malattie, l'insufficienza dei mezzi, la carenza delle strutture, i condizionamenti psicologici, abbreviano drammaticamente la vita di tanti fratelli, facendo della longevità un improbabile traguardo. Se, infatti, l'adoperarsi per una longevità qualitativamente apprezzabile è impegno doveroso della scienza e della tecnologia, non lo è meno sforzarsi perché ad ogni uomo sia assicurata una parabola vitale che lo conduca dal concepimento al naturale tramonto, non anticipato né compromesso da condizioni di vita subumane. I Paesi ricchi non devono perciò dimenticarsi dei Paesi meno fortunati nei quali, a causa dell'elevata popolazione, soltanto a pochi è garantita un'idonea assistenza. Le grandi industrie farmaceutiche, attraverso una politica umanitaria dei rispettivi Stati, non dovrebbero far mancare a questi Paesi quei farmaci, dolorosamente chiamati "orfani" che, non più necessari dove maggiore è il benessere, possono risultare decisivi in vastissime aree del mondo. Dobbiamo essere grati a coloro che in questo campo stanno avviando iniziative concrete e disinteressate.


7. Illustri signori, lo stretto rapporto che nel tema stesso della vostra conferenza avete giustamente posto tra longevità e qualità della vita lascia intendere che dovrebbe considerarsi una inadeguata conquista l'aumento percentuale della aspettativa di vita, se la qualità dell'esistenza non procedesse di pari passo. Tuttavia, per perseguire efficacemente un tale obiettivo è necessario coinvolgere l'intero corpo sociale, affinché maturi una nuova sensibilità nei confronti di questo problema. Alla medicina preventiva e curativa deve accompagnarsi un'azione a largo raggio che preveda istituzioni e strutture in grado di aprire agli anziani i settori della cultura, dell'istruzione, delle più varie attività.

La possibilità di continuare a coltivare interessi stimolanti e a svolgere attività utili fa si che l'anziano non solo si senta vivo, ma anche contento di esserlo. Ogni nuovo giorno di vita gli apparirà allora nella sua luce vera: quella di un dono della provvidenza sempre amorevole di Dio.

Il contributo che voi, scienziati, medici, ricercatori, studiosi, potete recare al perseguimento di questo obiettivo resta, comunque, preminente. A voi, perciò, mi rivolgo per esortarvi ad orientare il vostro impegno con rinnovato slancio verso la salvaguardia, la difesa, e la promozione dell'intera personalità dell'uomo in età avanzata, affinché al declino naturale delle energie fisiche non s'accompagni il degrado delle capacità psichiche e intellettuali che, proprio nella persona anziana, possono attingere le prerogative della piena maturità e della saggezza. Dice infatti la Scrittura: "Corona magnifica è la canizie ed essa si trova sulla via della giustizia" (Pr 16,31).

Porsi al servizio della persona anziana significa rendersi benemeriti verso la vita di tutti, perché significa render possibile quel pieno esplicarsi delle potenzialità dell'uomo che, per essere peculiari di ciascuna età della vita, tutta l'arricchiscono per il bene di tutti. Qui, sta la grandezza del vostro impegno, illustri signori, qui la sua nobiltà ed insostituibilità. Possa esso contribuire a rendere sempre più vera la parola del salmo: "Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore" (Ps 92[91],15s).

Con questo augurio invoco su di voi e sui vostri lavori la divina assistenza, in pegno della quale vi imparto di cuore la mia benedizione.


Data: 1988-11-10 Data estesa: Giovedi 10 Novembre 1988




A dirigenti e dipendenti della fabbrica "Enbasa" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Udienza a lavoratori spagnoli

Testo:

Il mio saluto ed il mio cordiale benvenuto ai componenti della impresa "Enbasa", insieme al mio ringraziamento per questa visita che avete voluto farmi. Mi fa piacere sapere che nel programma del vostro viaggio c'è anche il proposito di pregare per la Chiesa universale e per la vostra patria, davanti alle tombe degli apostoli. Mi complimento con voi per questo e vi incoraggio ad approfondire, durante la permanenza a Roma, una visione di fede che vi permetta di dare a Dio il posto che gli spetta nella vostra vita, nell'ambito familiare e sociale.

Allo steso tempo come uomini e donne che lavorano, vi incoraggio affinché conserviate nella vostra vita questa visione cristiana nei confronti della persona, del suo destino eterno e del valore trascendente del suo lavoro, affinché il mistero della vostra esistenza si possa realizzare alla luce del Vangelo, con l'aiuto della forza redentrice di Gesù Cristo.

La Chiesa nutre un grande apprezzamento per voi che conoscete, come Maria e Gesù di Nazaret, lo sforzo e la fatica. Essa desidera condividere le vostre difficoltà e speranze. Chiedo a Dio che sappiate da parte vostra offrire ai vostri compatrioti ed alla Chiesa stessa, il valido apporto dei tanti valori di cui siete portatori.

Pregandovi di portare il saluto del Papa agli altri membri dell'impresa che non hanno potuto venire, così come alle vostre famiglie, vi imparto con affetto la benedizione apostolica.


Data: 1988-11-11 Data estesa: Venerdi 11 Novembre 1988




Omelia alle esequie del Cardinale Mario Nasalli Rocca - Roma

Titolo: Una lunga e intensa vita sacerdotale, dedita al servizio della Santa Sede e delle anime

Testo:


1. "Se siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo anche con lui!" (Rm 6,8).

Queste parole della lettera di san Paolo ai Romani, che abbiamo ora ascoltate, ispirano la nostra partecipazione a questa liturgia eucaristica in suffragio del Cardinale Mario Nasalli Rocca di Corneliano, che ci ha lasciati dopo una lunga e intensa vita sacerdotale, dedita al servizio del Signore, della Santa Sede e delle anime.

Di fronte alla morte si sente naturalmente sgomento e sconcerto, ma se si pensa che siamo stati redenti da Cristo e vivificati dalla grazia del Battesimo, e che l'anima immortale continua la sua vita, in attesa della risurrezione, il nostro spirito si apre alla speranza e si illumina di certezze.

E' ancora san Paolo che ce lo assicura: "Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Uniti come siamo a Cristo durante l'esistenza terrena, lo saremo anche nella vita che non conosce tramonto.

Siamo raccolti attorno alla bara del nostro fratello Cardinale: è una cerimonia esequiale di addio, in cui la Chiesa asperge la salma con acqua benedetta, la profuma con l'incenso, come fa per l'altare e il Libro Sacro, accende il cero pasquale per esprimere la venerazione che nutre per il corpo che è stato tempio dello Spirito Santo e per richiamare il destino ultraterreno di chi si diparte dalla scena di questo mondo. Meditando queste verità eterne, rivelateci dalla Parola di Dio e ricordando la lunga esistenza del Cardinale Nasalli Rocca, viene spontaneo esclamare: "Quanto è soave e gioioso vivere e morire in Cristo, per poi godere sempre con lui!". Infatti, ci dice ancora san Paolo: "Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso... Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore" (Rm 14,7).


2. Anche questo degno presule nella sua vita miro costantemente al Signore. A lui si addicono i versetti del salmista: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verro e vedro il suo volto?" (Ps 41). Nei suoi molteplici impegni e nelle sue varie mansioni, visse sempre con l'animo rivolto al Signore, con amore e con fervore, come egli stesso ha narrato nella sua interessante autobiografia "Accanto alle anime".

Nato a Piacenza nel 1903 e compiuti gli studi primari, entro nel Seminario Romano Minore e poi in quello Maggiore, dove consegui i gradi accademici in teologia: fu ordinato sacerdote nel 1927 dal Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, suo parente. Si laureo poi in Diritto Canonico, avviandosi così a svolgere numerosi incarichi nella Curia romana. Nel 1955 Papa Giovanni XXIII lo designo suo Maestro di Camera e Paolo VI lo confermo in tale servizio. In seguito alla emanazione della costituzione apostolica "Regimini Ecclesiae Universae" divenne prefetto del Palazzo apostolico. Nel Concistoro del 28 aprile 1969, Paolo VI lo elevo alla dignità cardinalizia.

Pur svolgendo con accurata diligenza importanti e delicati servizi "Accanto ai Papi", come egli intitolo un suo volume, volle sentirsi anche impegnato nel ministero sacerdotale. Va ricordato il suo apostolato come predicatore e come animatore nell'Istituto delle Missioni al popolo, fondato a Roma dal padre Imperiali e soprattutto la assidua e caritatevole opera di assistenza ai carcerati, che egli svolse a "Regina Coeli" in Roma. In questo ministero, così importante ma anche così difficile, profuse con passione le sue doti di carità e di paternità, inculcando in tutti fiducia, serenità e speranza.

Nel terribile periodo della seconda guerra mondiale, egli assistette fino all'ultimo ben cinquanta condannati a morte, affrontando anche rischi notevoli, ma riportando una profonda consolazione per aver confortato e sostenuto quei poveri infelici, coinvolti in gravi situazioni. Egli narro poi queste sue esperienze pastorali nel libro "Accanto ai condannati a morte", tracciando in esso anche preziose linee pastorali per l'apostolato in ambienti tanto delicati, come quelli da lui frequentati.


3. Con questo cuore sacerdotale egli visse e svolse il suo ministero a servizio delle anime e a gloria di Dio. Il raccoglimento, la preghiera, la devozione all'Eucaristia, testimoniata anche dal dono di un artistico altare mobile alla Basilica di San Pietro, alimentavano in lui la fede, la speranza e la carità. Uomo di Dio, si teneva costantemente orientato al soprannaturale con sincera rettitudine. Per questo egli può essere ascritto alla categoria dei servi buoni e fedeli, i quali fanno della vita una costante attesa del momento supremo, e, al sopraggiungere di quel momento, vengono accolti nella gioia del Signore. Abbiamo fiducia che la sua anima, purificata dai segni della debolezza umana, sia già accolta nella beatitudine della visione di Dio.

Conceda il Signore buono e misericordioso il premio eterno che il Cardinale Nasalli Rocca si è meritato con le sue opere di carità e col suo incessante zelo sacerdotale; mentre noi chiediamo a lui nel momento del congedo da questa terra di accompagnarci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua preghiera, affinché nell'ora della nostra morte possiamo anche noi, preparati e sereni, raggiungere la vita felice che non finirà mai, quella vita eterna promessa e donata da Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia gloria nei secoli dei secoli.

Amen!


Data: 1988-11-11 Data estesa: Venerdi 11 Novembre 1988




Messaggio per il centenario del Pontificio Collegio Canadese - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La verità è la regola d'oro per la ricerca intellettuale cristiana

Testo:

Signori Cardinali, cari fratelli nell'episcopato, cari amici.

Sono lieto di partecipare alla celebrazione del centenario del Pontificio Collegio Canadese a Roma, un'istituzione che ha saputo creare un legame prezioso e duraturo tra la Chiesa del Canada e la Sede apostolica.

Saluto fraternamente i Cardinali presenti, in particolare il cardinale Paul-Emile Léger che ha dato un significativo impulso alla vita del collegio subito dopo gli anni difficili della guerra, e il Cardinale Edouard Gagnon, che fu il rettore successivo. Mi fa piacere rivedere qui diversi Vescovi canadesi in quest'anno della loro visita "ad limina". Agli anziani e ai sacerdoti che formano l'attuale comunità del collegio, i miei cordiali saluti e auguri.

In una Chiesa locale, è particolarmente utile l'approfondimento, da parte di alcuni membri del clero, della comprensione del messaggio cristiano nell'ambito di studi universitari. Dall'epoca della fondazione della Chiesa in Canada, i pastori hanno avuto cura di dare una formazione di buona qualità ai sacerdoti e hanno sviluppato le istituzioni universitarie. Non posso dimenticare il ruolo svolto in questo campo dalla Compagnia di san Sulpizio. Proprio grazie ai sulpiziani i vostri predecessori hanno fondato questa casa a Roma, nel secolo scorso; sempre guidata dai membri della Compagnia, essa consente ad alcuni sacerdoti di continuare la formazione, utilizzando tutte le risorse di cui è ricca la città eterna. Dall'epoca della fondazione, l'insegnamento superiore ha continuato a svilupparsi in Canada, ma permane nello spirito delle università la possibilità che una parte degli studenti continui a venire qui per una formazione complementare.

Insisto spesso sul termine "verità", che è la regola d'oro per la ricerca intellettuale cristiana. Qualunque sia la specializzazione scelta - gli studi biblici, patristici o storici, la teologia dogmatica o la teologia morale - si tratta sempre di una ricerca più impegnativa della verità della rivelazione, la verità più alta e vitale per l'uomo; la verità tutta intera consente all'uomo di sviluppare le potenzialità del suo essere seguendo il cammino dei discepoli di Cristo. In un mondo in cui le correnti intellettuali divergono e si scontrano, in cui si insinua spesso la tentazione del dubbio e del relativismo, è giusto che dei giovani acquistino gli strumenti di conoscenza più rigorosi per diventare in grado di applicare il necessario discernimento, di condurre un dialogo utile, nella fede, con la cultura contemporanea, mettendo la loro competenza al servizio delle diverse necessità della missione della Chiesa nel loro Paese.

La fondazione di un collegio a Roma dà agli studenti la possibilità di un'esperienza diversa dalla vita universitaria nel proprio Paese e nello stesso tempo la completa. Essi hanno la possibilità di ricevere l'insegnamento di professori che provengono da tutte le parti del mondo. Attraverso il rapporto quotidiano con gli altri studenti, essi acquistano consapevolezza delle aspirazioni e preoccupazioni dei sacerdoti, degli uomini e delle donne di altre culture e con esperienze di vita ecclesiale diverse dalla propria. In modo molto concreto, gli studenti a Roma possono sperimentare l'universalità della Chiesa, la sua diversità e la ricchezza della sua unità. La prossimità alla Santa Sede ne è un importante fattore. Penso che essi possano testimoniare di persona sullo spirito con cui il successore di Pietro, con i suoi diretti collaboratori, svolge la sua missione e il suo insegnamento.

Studiare a Roma non dà solo eccezionali possibilità di lavoro accademico ed esperienza personale. La città stessa, con le sue reliquie e le sue istituzioni ecclesiastiche, è un costante richiamo alla presenza quasi tangibile dei primi fondatori, Pietro e Paolo, e dei martiri e dei santi. Il patrimonio culturale di Roma, che si manifesta con tanta evidenza nei resti del passato e nei tesori d'arte, si è accresciuto nei secoli per la santità cristiana e la salda fedeltà alla fede e alla virtù cristiana, in mezzo alle vicissitudini della storia. Non potremmo dire che Roma è un luogo privilegiato per imparare le lezioni del passato e, ancor di più, per fondare le nostre convinzioni attuali nel terreno generoso che le precedenti generazioni hanno reso fecondo? Non rappresenta forse Roma un costante richiamo a vivere la comunione dei santi, la solidarietà delle membra del corpo di Cristo, che resta uno e indiviso nei secoli? Cari fratelli, lo scopo ultimo di un'istituzione come il Collegio Canadese è di preparare uomini per il servizio pastorale al Popolo di Dio. Durante le vostre esperienze di lavoro, non dimenticate mai che la risposta fondamentale alle attese dell'umanità è l'amore di Cristo vissuto e condiviso dai suoi discepoli.

Nel celebrare il centenario del Pontificio Collegio Canadese, rendiamo grazie a Dio per tutti i suoi doni alla Chiesa del Canada. Affidiamo il vostro futuro al Figlio dell'uomo che ha dato se stesso per noi e per tutti. Affidiamo voi, Vescovi, con tutti i sacerdoti, religiosi e laici del vostro nobile e dinamico Paese alla potente intercessione di Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Come segno della mia unione spirituale, volentieri imparto la mia apostolica benedizione.


Data: 1988-11-11 Data estesa: Venerdi 11 Novembre 1988




Alla Pontificia Commissione per la revisione del "Codex Iuris Canonicis" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La sollecita promulgazione del Codice orientale permetterà alla Chiesa di respirare con entrambi i polmoni nella "tranquillitas ordinis"

Testo:


1. Con viva gioia vi rivolgo il mio saluto, venerati fratelli, che prendete parte all'assemblea plenaria della Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico orientale. Lo faccio tanto più volentieri in quanto mi vedo circondato dai massimi rappresentanti di quelle Chiese le cui tradizioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita cristiana la Chiesa cattolica ha tenuto in gran conto, come s'esprime l'importante decreto conciliare "Sulle Chiese Orientali Cattoliche" (OE 1). In esse, infatti "essendo illustri di veneranda antichità, risplende la Tradizione apostolica tramandata dai Padri, che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale" (OE 1). Tali Chiese, benché diversificate tra di loro "in ragione dei cosiddetti riti, cioè per la liturgia, per disciplina ecclesiastica e patrimonio spirituale" (OE 3), formano una "mirabile comunione", di modo che la "varietà nella Chiesa non solo non nuoce alla sua unità, ma anzi la manifesta" ("Orentalum Ecclesiarum", 2), in quanto si tratta di una "varietà tendente all'unità" che "dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa" (LG 23).

Tale "varietà" si rispecchia felicemente nel collegio dei membri di questa commissione fin dal suo inizio, per espresso volere di Papa Paolo VI di venerata memoria. E' per me motivo di gioia accogliervi oggi nella mia casa e dare a ciascuno il bacio della pace nella comunione di "un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo, un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ep 4,5).

Il successore di Pietro, il Vescovo della Chiesa di Roma che "presiede alla carità", come si esprime sant'Ignazio di Antiochia, si trova con gioia in mezzo a coloro che presiedono le antiche Chiese patriarcali, che la costituzione "Lumen Gentium" presenta in questi termini: "Per divina provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi fondate dagli apostoli e loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari aggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l'unità della fede e l'unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri" (LG 23).


2. Pertanto, mi compiaccio di rinnovare un fraterno e cordiale benvenuto prima di tutto alle loro Beatitudini i Patriarchi qui presenti, all'Arcivescovo maggiore e poi ai Metropoliti, Arcivescovi e Vescovi, uniti con loro nello stesso collegio dei membri di questa commissione. Nelle loro persone saluto ed abbraccio i fedeli delle Chiese affidate alla loro sollecitudine pastorale.

Saluto altresi i Cardinali e Vescovi di Curia, presenti a questo incontro e li ringrazio per la collaborazione che mi prestano, secondo le rispettive competenze, nel disimpegno della mia responsabilità pastorale verso le Chiese orientali.

Sono grato dal profondo del cuore a Dio onnipotente, Padre nostro, da cui "discende ogni dono perfetto", per averci concesso di radunarci insieme nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e sotto la protezione della "Theotokos" la beatissima Vergine Maria.

Devo sottolineare che gli ultimi passi decisivi per la convocazione di questa assemblea sono stati fatti sotto la speciale protezione di Maria santissima durante l'anno mariano. Mi ricordo che nel ricevere, il giorno 29 gennaio di quest'anno, il vice presidente della commissione, monsignor Emilio Eid e il segretario di essa, padre Ivan Zuzek, SJ, dissi che la futura assemblea plenaria dei membri di questa commissione, pur riunendosi ad anno mariano ormai concluso, si sarebbe potuta considerare come una continuazione di esso. La "Theotokos" stessa presieda questa assemblea con la sua materna presenza, come avvenne nel cenacolo, nel giorno di Pentecoste. Tutto si faccia sotto il suo materno sguardo, sotto la sua guida e protezione.

Le lodi innalzate alla nostra Madre celeste durante l'anno mariano qui a Roma nei riti orientali di tutte le cinque tradizioni - alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana - siano propiziatrici per la buona riuscita dei vostri lavori. Sei volte, durante tale anno, ci siamo raccolti in devota preghiera con molti di voi dinanzi alla icona della Madre di Dio e sono stati momenti indimenticabili di grande consolazione.


3. La regolamentazione della disciplina canonica ha sempre suscitato la costante cura della Chiesa, fin dai primi concilii ecumenici tenuti in oriente.

Quando si intensificarono i contatti con le venerate Chiese orientali nella piena comunione con la Sede apostolica romana, divenne anche più intensa la sollecitudine per una codificazione relativa alle singole Chiese orientali.

Fu a partire dal Concilio Vaticano I che si penso ad una codificazione canonica comune. Allora, oltre alle suppliche esplicite di avere un Codice per tutta la Chiesa latina, come consta dalla "Praefatio" del "Codex Iuris Canonici" promulgato nel 1917, furono espressi anche i primi voti di avere un Codice di Diritto Canonico per le Chiese orientali, "un Codice autorevole" completo e generale, ("Congressus VI Commissionis orientalis", die 4 dec. 1868: Mansi, t. 49, col. 1012).

Da allora sono passati quasi 120 anni e molte furono le vicissitudini e difficoltà che si dovettero superare per avviare e far progredire i lavori di redazione del desiderato Codice comune a tutte le Chiese orientali. La celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, con la grandiosa opera di aggiornamento di tutta la disciplina canonica della Chiesa che l'accompagno, impose una nuova pausa di riflessione. A Concilio concluso, il mio predecessore di beata memoria, Paolo VI, istitui l'attuale commissione nel 1972 con il compito di preparare "la riforma del "Codex Iuris Canonici Orientalis" sia nelle parti già pubblicate... sia nelle restanti parti, già ultimate, ma non ancora pubblicate", come fu comunicato al Cardinale Presidente della Commissione il 10 giugno dello stesso anno. Il medesimo Pontefice volle sottolineare il carattere orientale della Commissione nella sua allocuzione alla prima assemblea plenaria, il 18 marzo 1974, con le seguenti parole: "La costituzione e la forma di questa nostra Commissione tutelano per quanto è possibile, la sua indole orientale, come risulta dalla molteplicità delle Chiese, e nello stesso tempo apertamente dimostrano che noi desideriamo che gli stessi orientali portino a termine il Codice: tale Codice condurrà a quella carità, grazie alla quale nel mondo di oggi le Chiese possono fiorire sempre più e assolvere al compito apostolico ad esse affidato con nuovo vigore" (Pauli VI "Allocutio ad Pontificiam Commissionem CIC Orientali recognoscendo", die 18 mar. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 265).

Nella stessa allocuzione di Paolo VI furono autorevolmente delineate le linee maestre da seguire nell'arduo lavoro di aggiornamento della disciplina canonica orientale, tuttora valide come "Magna Carta" della Commissione. Tra le massime espresse da Paolo VI voglio riferirmi in particolare a quanto fu detto circa la "duplice preoccupazione di mantenere la congruenza sia con il Concilio Vaticano II sia con la Tradizione d'oriente", di modo che la revisione del Codice orientale venisse fatta "secondo l'intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II e la Tradizione orientale nostra sorella". Con queste parole furono chiaramente definite le competenze della Commissione che, nel suo lavoro, doveva attenersi a quanto stabilito dal Concilio Vaticano II e nel contempo alle genuine tradizioni orientali, che lo stesso Concilio voleva "salve e integre" (OE 2), ammettendo solo i cambiamenti necessari "per ragione del proprio organico progresso" (OE 6) delle Chiese orientali.

In particolare, per quanto riguarda "diritti e privilegi" dei Patriarchi, è necessario tenere presente che il Concilio Vaticano II vuole che essi "siano ripristinati secondo le antiche tradizioni di ogni Chiesa e i decreti dei Concilii ecumenici", richiamandosi in una apposita nota a vari Concilii ecumenici, ad iniziare dal canone 6 del primo Concilio di Nicea e dichiarando che questi "diritti e privilegi sono quelli vigenti al tempo dell'unione dell'oriente e dell'occidente, quantunque debbano essere alquanto adattati alle odierne condizioni" (OE 9). Pertanto, anche in questa assemblea plenaria, nel vagliare le singole proposte è doveroso attenersi ai dettami dei Concilii ecumenici, specialmente del Concilio Vaticano II, in primo luogo a quanto esso ha espressamente sancito nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium", nel decreto "Unitatis Redintegratio" e nel decreto "Orientalium Ecclesiarum".

In altra materia particolarmente attuale, cioè quella dei diritti dei coniugi, i padri non mancheranno di considerare l'opportunità di dare il giusto rilievo al principio evangelico della "reciproca sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo", in modo che tale principio, anche grazie ad un'appropriata legislazione, riesca a "farsi strada nei cuori, nelle coscienze, nel comportamento e nei costumi" (MD 24.4).


4. Quando, all'inizio del mio ministero sulla Cattedra di Pietro, visitai gli uffici della Commissione e fui informato da monsignor Miroslav Marusyn, allora vice presidente, circa lo svolgimento dei lavori della Commissione, mi rallegrai profondamente del progresso fatto. Si era allora alla fine della cosiddetta prima fase dei lavori relativa alla stesura degli schemi delle varie sezioni del progettato Codice, la fase indubbiamente più difficile, in cui si impegnarono con generosa dedizione, i diversi "Coetus studiorum" costituiti dai consultori della Commissione. In seguito, nella seconda fase dei lavori, la cosiddetta "denua recognitio" dei primi schemi, tutta la gerarchia delle Chiese orientali diede la sua efficace collaborazione, insieme con altri organi di consultazione, tra i quali i dicasteri della Curia romana, le unioni dei superiori religiosi, le università ecclesiastiche di Roma ed alcune altre che hanno cattedre o settori specializzati di teologia e di diritto canonico orientale. A tutti va un contributo di meritata riconoscenza.

E' inoltre gradito costatare che quanto si è detto per il "Codex Iuris Canonici" della Chiesa latina alla sua promulgazione, si sta verificando per il Codice orientale, cioè che esso si sta elaborando in uno spirito altamente collegiale e in modo palese a tutti con la pubblicazione dei singoli schemi nel periodico della Commissione, "Nuntia".

Promulgato il "Codex Iuris Canonici" per la Chiesa latina all'inizio del 1983, si è fatta sempre più pressante la necessità di completare l'aggiornamento della disciplina canonica della Chiesa universale. A questo fine si sono fatti appropriati passi per dare un impulso particolare ai lavori della Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico orientale e di quella incaricata della revisione della costituzione apostolica "Regimini Ecclesiae Universae", riguardante la Curia romana.

Con la promulgazione della costituzione apostolica "Pastor Bonus", il giorno 28 giugno di quest'anno, è terminato il lavoro di quest'ultima Commissione, a completamento non solo del "Codex Iuris Canonici" della Chiesa latina, ma anche del Codice delle Chiese orientali, in quanto si tratta di una legge riguardante la Chiesa universale. E' naturale quindi che questa costituzione apostolica venga pubblicata nelle edizioni ufficiali di entrambi i Codici.

Per quanto riguarda il Codice orientale, tuttavia, non si è ancora arrivati in porto. E' pero necessario che la Chiesa universale respiri pienamente con "entrambi i polmoni", di oriente e d'occidente, e viva tutta intera nella "tranquillità dell'ordine" e che anche le Chiese orientali abbiano un Codice che "crei tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato alla fede, alla grazia e ai carismi, renda più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono", come ho scritto nel promulgare il "Codex Iuris Canonici" per la Chiesa latina.

Per dare maggiore impulso ai lavori della Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico orientale, ho voluto esprimere, nell'allocuzione conclusiva della seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985, l'auspicio della "pubblicazione, in tempi brevi, del Codice di Diritto Canonico per le Chiese orientali secondo la Tradizione delle stesse Chiese e le norme del Vaticano II" ("Allocutio Synodo extraordinaria exeunte ad Patres congregatos habita", 6, die 7 dec. 1985: , VIII, 2 [1985] 1430). Allo stesso fine e per mettere in rilievo l'importanza del nuovo Codice per la vita e la missione delle Chiese orientali, nell'allocuzione alla Curia romana del 28 giugno 1986, ho indicato come uno dei tre compiti specifici prioritari quello che "in un tempo abbastanza breve sia dato alle venerate Chiese d'oriente un Codice, nel quale possano riconoscere non solo le loro tradizioni e discipline, ma anche e soprattutto il loro ruolo e la loro missione nel futuro della Chiesa universale e nell'ampliamento della dimensione del Regno di Cristo Pantocrator" ("Allocutio in Petriona basilica ad eus qui in Romana Curia ministerium suum implent coram admissos", 7a, die 28 iun. 1986: , IX, 1 [1986] 1961).

Ho rilevato con piacere la prontezza della Commissione a rispondere a questo appello, quando mi è stato consegnato, il 30 ottobre 1986, da monsignor Emilio Eid, vice presidente della Commissione, lo "Schema Codicis Iuris Canonici Orientalis" con la preghiera di poterlo inviare, come prescritto dall'iter della Commissione, al vostro esame, membri della Commissione, possibilmente con la data del 17 ottobre, festa di sant'Ignazio, Vescovo di Antiochia e Padre della Chiesa.

Volentieri ho dato il mio assenso ad entrambi i desideri. Mi sono ancor più compiaciuto quando ho appreso nell'udienza concessa al vice presidente e al segretario della Commissione il 29 gennaio di quest'anno, che, essendo state ricevute le vostre osservazioni allo Schema ed essendo state vagliate da un apposito "Coetus de expensione observationum", si era pronti per procedere alla convocazione di questa assemblea plenaria e che vi era una fondata speranza che il compito affidato alla Commissione potesse essere assolto definitivamente col presentarmi un "Codex" sotto ogni aspetto degno di essere promulgato come Codice comune di tutte le Chiese orientali cattoliche, "vehiculum caritatis" per la "salus animarum" di tutti i fedeli appartenenti a tali Chiese.

Con questo auspicio e affidando di nuovo i lavori di questa assemblea alla beatissima Vergine Maria, la "Theotokos", Madre di Dio e madre nostra, vi invito a procedere nel cammino tracciato "in nomine Domini" e con la mia benedizione.


Data: 1988-11-12 Data estesa: Sabato 12 Novembre 1988





GPII 1988 Insegnamenti - All'Ambasciatore del Bangladesh presso la Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)