GPII 1980 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Il santo padre annuncia l'enciclica "Dives in Misericordia"

Recita dell'Angelus - Il santo padre annuncia l'enciclica "Dives in Misericordia"

"Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22).

Oggi, prima domenica di avvento, desidero ricordare queste parole della costituzione pastorale "Gaudium et Spes". Infatti con l'avvento inizia, per così dire, sempre di nuovo quel corteo dei cuori umani verso Cristo, che rivela loro il mistero del Padre e del suo amore. E perciò ho desiderato molto che con la prima domenica di avvento venisse collegato l'annuncio dell'enciclica "Dives in Misericordia", il cui principale scopo è di ricordare l'amore del Padre, rivelato in tutta la missione messianica di Cristo, incominciando dalla sua venuta nel mondo fino al mistero pasquale della sua croce e della risurrezione.

Tale enciclica, che reca la data di oggi anche se sarà pubblicata fra qualche giorno, ha come tema la misericordia di Dio. La Chiesa e il mondo hanno bisogno della misericordia, la quale esprime l'amore più forte del peccato e di ogni male, in cui è avvolto l'uomo e la sua esistenza terrena.


2. Anche oggi i nostri pensieri e i nostri cuori si rivolgono verso le regioni dell'Italia, che sono state colpite dalla catastrofe del terremoto. Lo esige la dimensione della disgrazia, che si è abbattuta su moltissimi nostri fratelli e sorelle, togliendo la vita ad alcune migliaia di persone e portando il lutto in tante famiglie. Numerosi feriti si trovano negli ospedali. Sono adulti, giovani, bambini. Migliaia di famiglie hanno perso la casa e hanno bisogno di essere protetti, tanto più nella presente stagione.

Sarebbe difficile non scorgere, con vera edificazione, in mezzo a tutte queste sofferenze, i molteplici sforzi, che provengono dalla solidarietà umana e dall'amore cristiano del prossimo, per andare incontro ai bisogni dei nostri fratelli e sorelle tanto provati. A tale riguardo desidero manifestare particolare apprezzamento a quelle famiglie italiane e a quelle istituzioni religiose che, con carità cristiana e lodevole generosità, hanno aperto le porte delle loro case per accogliere alcuni dei fratelli colpiti dal terremoto, offrendo ad essi temporaneamente un riparo.

Il Signore benedica quanti danno o daranno ospitalità - nella misura delle proprie possibilità - nell'intimo del loro focolare alle persone provate dal sisma, specialmente a quelle che per età o per condizioni di salute maggiormente soffrono.

Nel raccomandare a Dio, in questo momento così difficile della loro vita, tutti i fratelli e sorelle delle zone devastate dal terremoto, chiediamo che la generosità dei cuori e la solidarietà dell'intera società possano pienamente corrispondere alle esigenze del momento.


3. Vorrei oggi rivolgere un particolare ricordo ai fratelli e sorelle della Chiesa cattolica che vivono nella federazione di Malesia, nella repubblica di Singapore e nel sultanato di Brunei, fiorenti paesi del sud-est asiatico. Qualche tempo fa i Vescovi di quelle regioni hanno compiuto la visita "ad limina apostolorum".

E' stata per me una particolare gioia potermi incontrare con questi zelanti pastori. La comunità cattolica conta sette circoscrizioni ecclesiastiche e circa 450.000 fedeli, chiamati a testimoniare il Vangelo in un ambiente caratterizzato da molteplicità di razze, culture e fedi religiose. Quei cattolici rappresentano una energia giovane e dinamica, che dà un contributo non indifferente al bene dei propri paesi anche in campo educativo ed assistenziale.

Non mancano, è vero, alcune difficoltà dovute talvolta ad incomprensioni e difetto di tolleranza religiosa. Sono sicuro, pero, che quelle Chiese sapranno essere all'altezza della loro vocazione nella professione della loro fede e nell'impegno di solidarietà umana nell'ambito delle proprie comunità locali.

Formulo anche l'augurio che le vocazioni sacerdotali e religiose possano crescere ed affido questi miei auspici all'intercessione della Madonna, Regina delle missioni.

[Omissis. Seguono i saluti ai giovani musicisti provenienti dalla diocesi di Belluno; alla "Chiesa sorella" di Costantinopoli; a tutti i presenti.]

Data: 1980-11-30 Data estesa: Domenica 30 Novembre 1980.


Ad un pellegrinaggio torinese - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'uomo di oggi ha bisogno della testimonianza cristiana

Cari fratelli e sorelle di Torino! 1. Sono lieto di incontrarmi ancora una volta con voi, dopo la visita fatta alla vostra città nell'aprile scorso. Tutti vi saluto con animo paterno, a cominciare dal vostro Pastore, il Cardinale Arcivescovo Anastasio Ballestrero e dal Cardinale Michele Pellegrino, che vi accompagnano, ai rappresentanti del Clero, dei Religiosi e delle Religiose, ai giovani, ai sofferenti ed ai vari gruppi di Parrocchie e movimenti cattolici dell'Arcidiocesi torinese. Il vostro pellegrinaggio tanto numeroso e certamente denso di spiritualità mi reca conforto e attesta ulteriormente quanto siate devoti e fedeli al Successore di Pietro.

Perciò vi ringrazio e vi do il mio cordiale benvenuto, così come voi lo avete dato a me in occasione del mio indimenticabile viaggio. Tutti insieme confessiamo la nostra comune e salda fede nel Signore, mentre viviamo un momento forte di vicendevole carità.


2. E' bello per me rivivere in questo momento la giornata trascorsa a Torino, a contatto con una gente laboriosa e generosa, capace di impegno non superficiale ma sentito e radicato. Ricordo con piacere gli incontri, oltre che con le Autorità, soprattutto con i degenti del Cottolengo, con la gioventù a Valdocco, e con l'intera Cittadinanza, davanti alla Cattedrale per la celebrazione della S. Messa e alla Gran Madre di Dio, per non dire di quelli particolari col Presbiterio diocesano e con le Suore dei vari Istituti. Ho potuto così costatare un'efficace testimonianza di amore alla Chiesa. Certo esso derivava da una solida adesione a Cristo, che della Chiesa è il solo Capo ed il solo Sposo, poiché se l'è acquistata col proprio sangue (cfr. Ac 20,28), come ben ci rammenta anche la preziosa Sindone, che voi custodite e che ho potuto venerare in forma straordinaria in quella circostanza.


3. Ma la mia parola oggi vuol farsi anche incoraggiamento ed esortazione a tutti voi ed a quanti voi qui rappresentate. Siate sempre degni della vostra tradizione cristiana. Pensare alla storia della Chiesa torinese significa necessariamente richiamare alla memoria le figure di alcuni Santi universalmente noti, tra cui spiccano san Giuseppe Benedetto Cottolengo e san Giovanni Bosco. E, come tutti sanno, si tratta sempre di una santità molto concreta, basata su di una peculiare attenzione all'uomo o, detto in termini evangelici, su di un autentico amore per il prossimo. E' di questa testimonianza cristiana che l'uomo d'oggi e di sempre ha bisogno. Del resto, è in questo modo che il cristiano realizza compiutamente la sua identità. Infatti, come ci insegna san Paolo, ciò che conta per chi vive in Cristo Gesù è "la fede che opera per mezzo della carità" (Ga 5,6). Questa fede e questo amore occorre far vedere in atto: con essi si nutre e cresce la comunità ecclesiale, con essi pure si dà il più valido contributo costruttivo all'intera società umana. Ma occorre mantenere il giusto rapporto tra i due elementi, secondo la loro successione proposta dall'apostolo. Per noi cristiani è la fede la radice della carità, cioè alla base di tutto sta il nostro confronto con il Signore crocifisso: "Poiché l'amore di Cristo ci spinge (caritas Christi urget nos), al pensiero che uno è morto per tutti" (2Co 5,14). Questo è necessario per non cadere nella semplice filantropia o in entusiasmi facili ma di breve durata, bensi per dare al nostro impegno in favore dell'uomo il fondamento incrollabile dello stesso amore, con cui Dio ci è venuto incontro nella croce di Gesù Cristo e da cui assolutamente nulla "potrà mai separarci" (Rm 8,39).


4. Carissimi, tornando a casa, portate ai vostri Cari, agli amici ed a quanti conoscete il saluto più cordiale del Papa. Dite loro, specialmente a quelli che soffrono, che egli li ricorda sempre nella preghiera ed assicura loro il proprio affetto. Mi è caro, infatti, augurare a tutti ogni bene, affinché la vostra umana prosperità si accompagni inscindibilmente con una vera crescita cristiana, a livello sia personale che ecclesiale. E vi assista sempre la grazia del Signore, di cui è pegno la particolare Benedizione Apostolica, che molto volentieri imparto a tutti.

Data: 1980-11-30 Data estesa: Domenica 30 Novembre 1980.


L'omelia alla messa nella parrocchia di san Leonardo da Porta Maurizio ad Acilia - Acilia (Roma)

Titolo: L'avvento è la nuova chiamata a rivestirsi di Gesù Cristo

Carissimi fratelli e figli.

1. Nell'ascoltare le parole del Vangelo di oggi secondo Matteo, davanti ai nostri occhi vengono spontaneamente alla memoria gli avvenimenti che durante la settimana scorsa hanno scosso tutta l'Italia: il grande terremoto che ha colpito le regioni della Campania e della Basilicata da Potenza ad Avellino, fino al litorale, ai porti di Napoli e di Salerno.

Improvvisamente, la sera di domenica scorsa è giunta la prima potente scossa che ha distrutto le abitazioni degli uomini e i santuari del Signore togliendo la vita a migliaia di abitanti, adulti e bambini. Martedi scorso ho visitato alcune località colpite dal terremoto. Sono stato nell'ospedale accanto ai letti dei feriti più gravi: teste ferite, gambe e mani fratturate, toraci schiacciati. Inoltre il clima generale di paura. Gli abitanti, di fronte al pericolo di nuove scosse che potrebbero togliere loro la vita o la salute, abbandonano le case e si accampano nelle strade e nei campi.

Mentre noi tutti, con spirito di umana solidarietà, vogliamo venire in aiuto ai nostri fratelli e connazionali, travolti dalla disgrazia, nello stesso tempo questi avvenimenti richiamano davanti agli occhi, con una particolare forza comparativa, il quadro terribile che ogni anno è tracciato nei vangeli di questa prima domenica di avvento: annunci di distruzione e di morte, nell'attesa escatologica della "venuta del Figlio dell'uomo" (Mt 24,39).


2. La storia degli uomini e delle nazioni, la storia dell'umanità intera fornisce sufficienti prove per affermare che in tutti i tempi si sono moltiplicate disgrazie e catastrofi, calamità naturali, come terremoti, o quelle causate dall'uomo, come guerre, rivoluzioni, massacri, omicidi e genocidi. Inoltre ciascuno di noi sa che la nostra esistenza terrena conduce alla morte, giungendo un giorno così al suo termine. Il mondo visibile, con tutti i beni e le ricchezze che nasconde in se stesso, alla fine non è capace di darci altro che la morte: il termine della vita.

Tale verità, pur essendo ricordata anche nella liturgia di oggi, prima domenica di avvento, non è tuttavia la verità specifica annunciata in questo giorno festivo, ed in tutto il periodo di avvento. Essa non è la parola principale del Vangelo.

Quale è quindi la parola principale? L'abbiamo letto poco fa: la venuta del Figlio dell'uomo. La parola principale del Vangelo non è "la dipartita", "l'assenza", ma "la venuta" e "la presenza". Non è neppure "la morte", ma "la vita". Il Vangelo è la buona novella, perché pronuncia la verità sulla vita nel contesto della morte. La venuta del Figlio dell'uomo è l'inizio di questa vita. E di tale inizio ci parla appunto l'avvento, che risponde alla domanda: come deve vivere l'uomo nel mondo con la prospettiva della morte? L'uomo al quale, in un batter d'occhio, può essere tolta la vita, come deve vivere in questo mondo, per incontrarsi col Figlio dell'uomo la cui venuta è l'inizio della nuova vita, della vita più potente della morte? 3. Proprio su ciò desidero riflettere insieme con voi, cari parrocchiani della comunità di Acilia, dedicata a san Leonardo da Porto Maurizio: la parrocchia che mi è stato dato di visitare oggi. Infatti, come Vescovo di Roma e successore di san Pietro, sono il vostro Vescovo; e il dovere principale dei Vescovi, ereditato dagli apostoli, è di visitare le singole comunità cristiane e mantenere con esse un vivo legame.

Desidero quindi, in occasione dell'odierna visita, salutare cordialmente voi tutti, che costituite la parrocchia di san Leonardo con le sue 12.000 anime e le 3.000 famiglie. Saluto affettuosamente il Cardinale vicario ed il Vescovo ausiliare, monsignor Clemente Riva, che partecipano alla mia sollecitudine per il bene di questa parrocchia, affidata ai frati francescani minori della provincia romana. Ad essi dirigo il mio riconoscente pensiero per la loro zelante opera di apostolato, da tempo esercitata con assiduità e sacrificio, mentre ricordo particolarmente il benemerito parroco, padre Guido Anagni, che vi assiste spiritualmente da venti anni, con impegno quotidianamente condiviso dai suoi collaboratori, e tutto inteso a formare cristiani convinti e responsabili. La mia benevolenza cordiale si estende alle care e generose suore battistine, che svolgono una insostituibile opera, ai singoli gruppi del laicato, che non tralasciano di studiare e percorrere le vie spesso ardue di una responsabile ed illuminata collaborazione. Ai bambini, agli anziani, ai malati, ai giovani ed agli adulti, ai lavoratori ed agli impiegati, a tutti apro il mio cuore per far sentire la mia viva partecipazione ad ogni loro problema e fatica, e per dire soprattutto che sono qui in mezzo a voi, al fine di confermarvi nella viva attesa di Cristo salvatore, che è fermezza nella fede e gioia nella speranza.


4. Ed ecco, ci incontriamo tutti nella prima domenica di avvento. Quale è questa verità che ci penetra e vivifica oggi? Quale messaggio ci annunzia la santa Chiesa, nostra madre? Non è, come ho già detto, un messaggio di paura e di morte, ma è il messaggio della speranza e della chiamata.

Prendiamo come esempio la seconda lettura; ecco ciò che l'apostolo Paolo dice ai romani di allora, ma che dobbiamo prendere a cuore noi romani di oggi: "Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata il giorno è vicino" (Rm 13,11-12).

In realtà, diversamente da come si può essere indotti a pensare, la salvezza è più vicina e non più lontana. Infatti, vivendo in un'epoca di secolarizzazione, siamo testimoni di comportamenti di indifferenza religiosa ed anche di programmi ed ideologie atee o addirittura anti-teistiche. Si sarebbe indotti così a pensare che gli indici umani smentiscono il messaggio dell'odierna liturgia. Essa invece - pur facendo riferimento anche a questi "indici umani" - proclama tuttavia la verità divina e preannuncia il disegno divino che non viene mai meno, che non cambia anche se possono cambiare gli uomini, i programmi, i progetti umani. Quel disegno divino è il disegno della salvezza dell'uomo in Cristo, che una volta intrapreso perdura, e conseguentemente mira al suo compimento.

Ma l'uomo può essere a tutto ciò sordo e cieco. Egli può entrare sempre più profondamente nella notte benché si avvicini il giorno. può moltiplicare le opere delle tenebre benché Cristo gli offra "l'arma della luce".

Quindi, l'invito pressante della odierna liturgia è quello dell'apostolo: "Rivestitevi del Signore Gesù Cristo" (Rm 13,14). Questa espressione è in un certo senso la definizione del cristiano. Essere cristiano vuol dire "rivestirsi di Cristo". L'avvento è la nuova chiamata a rivestirsi di Gesù Cristo.

Dice ancora l'apostolo: "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie... e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rm 13,13-14).


5. Che cosa significa inoltre l'avvento? L'avvento è la scoperta di una grande aspirazione degli uomini e dei popoli verso la casa del Signore. Non verso la morte e la distruzione, ma verso l'incontro con lui.

E perciò nella liturgia di oggi sentiamo questo invito: "Andiamo con gioia incontro al Signore".

E lo stesso salmo responsoriale ci delinea, per così dire, l'immagine di quella casa, di quella città, di quell'incontro: "E ora i nostri piedi si fermano / alle tue porte, Gerusalemme! / Là salgono insieme le tribù / le tribù del Signore, / secondo la legge di Israele, / per lodare il nome del Signore. / Là sono posti i seggi del giudizio, / i seggi della casa di Davide. / Per i miei fratelli ed i miei amici / io diro: Su di te sia pace! / Per la casa del Signore nostro Dio, / chiedero per te il bene" (Ps 121[122]).

Si. Il Signore è il Dio della pace, è il Dio dell'alleanza con l'uomo.

Quando nella notte di Betlemme i poveri pastori si metteranno in cammino verso la stalla in cui si compirà la prima venuta del Figlio dell'uomo, li condurrà il canto degli angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).


6. Questa visione della pace divina appartiene a tutta l'attesa messianica nell'antica alleanza. Sentiamo oggi le parole di Isaia: "Egli sarà giudice fra le genti / e sarà arbitro fra molti popoli. / Forgeranno le loro spade in vomeri, / le loro lance in falci; / un popolo non alzerà più la spada / contro un altro popolo, / non si eserciteranno più nell'arte della guerra. / Casa di Giacobbe, vieni, / camminiamo nella luce del Signore" (Is 2,4-5) L'avvento porta con sé l'invito alla pace di Dio per tutti gli uomini.

E' necessario che noi costruiamo questa pace e continuamente la ricostruiamo in noi stessi e con gli altri: nelle famiglie, nei rapporti con i vicini, negli ambienti di lavoro, nella vita dell'intera società.

Lavorate con spirito di fraterna solidarietà affinché la vostra parrocchia cresca sempre più come comunità di fedeli, di famiglie, di gruppi - mi riferisco particolarmente a tutti i vostri gruppi organizzati - in comunione di verità e di amore. La comunità parrocchiale, infatti, si edifica sulla parola di Dio, trasmessa e garantita ai pastori, è alimentata dalla grazia dei sacramenti, è sostenuta dalla preghiera, è unita dal vincolo della carità fraterna. Ogni suo membro si senta vivo, attivo, partecipe, corresponsabile, coinvolto in effettivi compiti di evangelizzazione umana. In tal modo la vostra parrocchia diviene segno e strumento della presenza di Cristo nel quartiere, irradiazione del suo amore e della sua pace.

Per servire tale pace di molteplici dimensioni, bisogna ascoltare anche queste parole del profeta: "Venite, saliamo sul monte del Signore, / al tempio del Dio di Giacobbe, / perché ci indichi le sue vie / e possiamo camminare per i suoi sentieri. / Poiché da Sion uscirà la legge / e da Gerusalemme la parola del Signore" (Is 2,3).

Anche per la vostra comunità ecclesiale, l'avvento è il tempo in cui si devono imparare di nuovo la legge del Signore e le sue parole. E' il tempo di una intensificata catechesi. La legge e la parola del Signore devono penetrare di nuovo il cuore, devono ritrovare la loro conferma nella vita sociale. Esse servono il bene dell'uomo!. Esse costruiscono la pace! La vostra parrocchia è dedicata a san Leonardo da Porto Maurizio, francescano dalla parola bruciante, che percorse l'Italia per ammonire e convertire folle immense, richiamando alla penitenza ed alla pietà, pur vivendo egli un'intima unione con Dio. A lui, tanto amato dai romani del suo tempo e già venerato come santo fin dal momento della sua morte a san Bonaventura sul Palatino, affido la vostra parrocchia, i vostri propositi di vita cristiana, la vostra fedeltà, nel tempo presente, a Cristo Signore.


7. Cari fratelli e figli: eccoci allora dunque di nuovo all'inizio del cammino. E' iniziato di nuovo l'avvento: il tempo della grazia, il tempo dell'attesa, il tempo della venuta del Signore, che perdura sempre. E la vita dell'uomo si sviluppa nell'amore del Signore, nonostante tutte le dolorose esperienze della distruzione e della morte, verso il finale compimento in Dio.

Il Figlio dell'uomo verrà! Noi ascoltiamo queste parole con la speranza, non con la paura, benché siano piene di una profonda serietà.

Vegliate... e siate pronti perché non sapete in quale giorno il Figlio dell'uomo verrà.

Vieni, Signore Gesù! Marana tha!

Data: 1980-11-30 Data estesa: Domenica 30 Novembre 1980.


Messaggio a Dimitrios I

Titolo: Questa unione nella preghiera favorirà la comunione delle Chiese

A Sua Santità Dimitrios I Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico.

L'anno scorso abbiamo festeggiato insieme Sant'Andrea, il primo Apostolo ad essere chiamato e fratello di Pietro. La preghiera fu al centro di quell'incontro caloroso e fraterno. Il tempo trascorso da allora non ha indebolito i sentimenti che provammo, né il ricordo di quell'evento; al contrario, li ha approfonditi e ravvivati. Quest'anno, la celebrazione del Santo Patrono della vostra Chiesa mi offre ancora l'occasione per inviarvi una delegazione, presieduta dal nostro caro fratello il Cardinale Willebrands; egli trasmetterà a Sua Santità, al suo Santo Sinodo, al clero e a tutto il popolo fedele, il saluto affettuoso mio e della Chiesa di Roma: "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di dio e la comunione dello Spirito santo sino con tutti voi" (2Co 13,13).

E' con gioia e speranza ogni anno rinnovate che celebriamo le feste dei due fratelli, i Santi Apostoli Pietro e Andrea. Sono convinto infatti che questa unione nella preghiera aiuterà le nostre Chiese sorelle ad avvicinare il giorno in cui la piena comunione sarà ristabilita nel mondo come esempio di vera riconciliazione e contributo alla pace fra gli uomini.

Il dialogo teologico che la commissione mista fra le Chiese Cattolica ed Ortodossa a cominciato quest'anno all'isola di Patmos, così ricca di ricordi apostolici e di suggestioni profetiche, è un evento della più alta importanza per le relazioni fra le nostre Chiese. L'atmosfera di calorosa carità fraterna che ha caratterizzato questo incontro, e l'impegno preso davanti al Signore di lavorare per ristabilire l'unità, ci permettono d'intravedere che progressi sostanziali saranno compiuti. Le vecchie divergenze che avevano condotto le Chiese d'Oriente e d'Occidente a smettere di celebrare insieme l'Eucarestia, saranno affrontate in un modo nuovo e costruttivo, di cui testimoniano sia il tema scelto per la prima fase del dialogo sia le sue prospettive generali.

La nostra preghiera accompagnerà il dialogo teologico affinché sia sempre più radicato nella verità, condotto nella sincerità e nella fedeltà reciproche e senza ombre, animato dallo Spirito di Dio e dunque fecondo per la vita della Chiesa. A questo fine, ho sollecitato la preghiera di tutti i fedeli cattolici e, per permetterci di crescere insieme nel Cristo, mi sono augurato che, là dove vivono insieme, cattolici ed ortodossi stabiliscano rapporti fraterni e una collaborazione disinteressata che possano progressivamente preparare la riarticolazione della nostra unità.

Carissimo fratello, sono questi alcuni dei pensieri, alcuni dei sentimenti e delle speranze che animano il mio cuore e che ho voluto esprimerle in queste poche righe. Vorrebbero esprimervi, con la mia ferma volontà di fedeltà a tutte le esigenze del Signore, la mia profonda e fraterna carità.

Dal Vaticano, il 24 novembre 1980.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-11-30 Data estesa: Domenica 30 Novembre 1980.


Ai Vescovi del Sinodo ucraino - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fedeltà della vostra Chiesa alla santa Sede testimoniata dagli antenati anche con il sangue

Eminentissimo signor Cardinale, eccellentissimo monsignor coadiutore, carissimi fratelli! Come umile successore di san Pietro, e padre di tutti i cattolici, porgo il mio saluto a voi che con il mio beneplacito siete riuniti qui a Roma, centro del mondo cattolico, in occasione di questo vostro importante Sinodo. La grazia dello Spirito Santo vi ha radunati qui, vicino alle tombe dei santi apostoli e vicino alla tomba, tanto cara a noi e a voi, di san Giosafat, Arcivescovo di Polozk, apostolo dell'unità delle Chiese. Siete venuti qui nella festa di questo martire per la fede, nel XVII anniversario della traslazione delle sue sante reliquie e della loro deposizione nella Basilica di san Pietro sotto l'altare di san Basilio Magno, vicino alle reliquie di san Gregorio Nazianzeno e accanto al secondo grande luminare dell'oriente, san Giovanni Crisostomo. Veramente grande è Dio nei suoi santi! Proprio ora celebriamo i 400 anni dalla nascita di san Giosafat, che è venuto al mondo nell'anno 1580 in terra di Volinia, nella città di san Vladimiro, battista della Rus'-Ucraina. Di questo rende testimonianza il biografo del santo, il Vescovo Jakiv Susza, e prima e dopo di lui altri uomini di fede. Che grande grazia per la vostra Chiesa e per il vostro popolo che la città di Vladimiro, luce del vostro popolo, abbia dato un così grande santo, proprio nel tempo più importante della vostra Chiesa, e qui ho in mente: il rinnovo dell'unione di tutta l'estesa metropolia di Kiev con questa sede apostolica, per mezzo della nota unione di Berest nell'anno 159 6. Questa grande opera è stata come sigillata dal sangue di san Giosafat ed è per questo che essa resiste così tenacemente.

Per conservare quest'opera gloriosa vi siete radunati qui, carissimi fratelli, per consultarvi vicendevolmente sulle importanti questioni pastorali della vostra Chiesa, così in patria come qui nel suo insieme. Voi tutti insieme avete considerato e ci avete indicati i nomi di coloro che sono ritenuti degni della dignità vescovile, e questo in modo particolare per le sedi vacanti di Filadelfia e di Chicago, in America, come pure per i Vescovi-ausiliari di alcuni vostri Vescovi. Inoltre avete posto la vostra attenzione in modo particolare sull'ormai vicino vostro giubileo millenario del battesimo della Rus'-Ucraina ai tempi del glorioso principe Vladimiro il Grande, che la Chiesa onora come santo.

Avete stabilito anche le nuove direttive per il rinnovamento delle vostre eparchie, delle vostre parrocchie, delle vostre famiglie e di tutta la vostra comunità, e tutto secondo la vostra tradizione cristiana e l'incrollabile insegnamento della Chiesa e alla luce dei decreti del recente Concilio Vaticano I.

Desidero assicurarvi, Vescovi della Chiesa ucraina, che rivolgo le mie fervide suppliche quotidianamente dinanzi all'altare di Dio e invoco le benedizioni per voi e per le anime affidato alle vostre cure. Che Iddio, che ha iniziato in voi questa buona opera, opera della diffusione e del rafforzamento del suo regno in terra, vi conceda le sue più abbondanti grazie.

La fedeltà della vostra Chiesa a questa santa Sede è stata testimoniata un tempo dai vostri antenati così durante il Concilio di Lione, come in seguito a Firenze per bocca del vostro metropolita, il futuro Cardinale Isidoro. Questa fedeltà è stata promessa, a nome di tutta la vostra gerarchia di quel tempo, dai Vescovi Ipazio Pozio e Cirillo Terleckyj davanti al Papa Clemente VIII, e - ciò che più conta - per questa fedeltà non pochi dei vostri fratelli e sorelle hanno dato la loro vita.

Mi rivolgo specialmente a lei, signor Cardinale, così sollecito delle sorti della Chiesa ucraina in patria e nella diaspora. Che il Signore la ricompensi e benedica lei e tutti i presuli zelanti. Siate benedetti in questo tempo del vostro Sinodo e per sempre! Benedico di tutto cuore voi tutti qui riuniti e con voi benedico i sacerdoti, monaci, monache, tutti i credenti in modo particolare, la vostra gioventù e quelli che oggi soffrono ancora per il nome di Gesù. Faccio fervidi voti per l'inizio delle celebrazioni del millennio del vostro cristianesimo, e in pegno delle più copiose benedizioni di Dio vi do di tutto cuore la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1980-12-01Data estesa: Lunedi 1Dicembre 1980.


Nella sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Udienza ad un gruppo di fedeli ucraini

Cari fratelli e sorelle ucraini! A voi tutti qui riuniti porgo il benvenuto col caro a noi e a voi saluto: "Slawa Isusu Chrystu!". Mi rallegro di tutto cuore di poter vedervi, rivolgervi la mia parola e benedirvi da vicino. Per me voi non stete soltanto dei semplici pellegrini, ma siete di famiglia, perché avete la fortuna di vivere a Roma, sede del successore di san Pietro apostolo.

Voi siete venuti oggi da me in questa particolare occasione, che è il Sinodo dei vostri Vescovi, convocato per mia volontà e desiderio. E il Sinodo dei Vescovi ucraini, sostenuto con le vostre sante preghiere adempie qui il grande compito per il bene della Chiesa e delle anime immortali e in modo particolare per la gloria di Dio e per la diffusione e il rafforzamento del regno di Gesù Cristo nel vostro popolo, tanto caro al mio cuore.

E una grande consolazione per me è il fatto che la vostra comunità a Roma sia così numerosa per numero e pregiata per la sua qualità. Essa si compone fondamentalmente dei numerosi candidati alla vita spirituale, cioè dei seminaristi, ed anche di sacerdoti, monaci e suore, studenti laici ed altri buoni ucraini, che viuono "sub umbra Petri". Particolare stima merita la degnissima persona di sua eminenza il Cardinale Giuseppe Slipyj, tanto benemerito della Chiesa, e del suo Arcivescovo coadiutore Miroslav Lubachivskyj, come pure di questi rappresentanti della vostra Chiesa, che nella nostra curia romana svolgono il loro importante servizio tanto per noi, vicario di Cristo sulla terra, come pure per questa sede apostolica.

Di tutto cuore benedico voi tutti qui presenti e coloro che sono cari al vostro cuore, vostri genitori ed amici, e con voi benedico tutto il popolo ucraino, così in patria come qui nella diaspora. In pegno delle copiose grazie divine imparto a voi tutti la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-12-01Data estesa: Lunedi 1Dicembre 1980.








Ad un gruppo di minatori - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede cristiana nobilita il lavoro

Cari fratelli! Voglio innanzitutto ringraziarvi per essere venuti a questo incontro, il quale, compiendosi nel giorno di santa Barbara, patrona di quanti lavorano in miniera, è un segno palese della vostra fede cristiana, oltre che della vostra devozione al successore di Pietro.

Pertanto, vi saluto cordialmente e vi do il benvenuto in questa casa, che è del comune pastore della Chiesa e perciò aperta a tutti. Quanto più essa doveva aprirsi a voi, cari minatori. Voi, infatti, rappresentate una categoria di persone, che esercitano uno dei lavori più pesanti, e inoltre mi richiamate alla memoria il lavoro, che io stesso ebbi a svolgere per alcuni anni nella mia giovinezza.

So per esperienza che si tratta di un'occupazione dura, anche se nel corso degli anni sono certamente stati apportati miglioramenti nelle tecniche di lavoro; posso perciò capire i vostri problemi e vi assicuro la mia affettuosa vicinanza.

Soprattutto voglio dirvi che, se è giusto il detto comune secondo cui il lavoro nobilita l'uomo, a sua volta è anche vero che solo la fede cristiana può nobilitare il lavoro stesso e addirittura renderlo più umano. Perciò, l'esortazione che vi rivolgo è di rinnovare e rinsaldare la vostra piena adesione a Cristo, redentore dell'uomo e nostro Signore. Solo lui ci permette di convogliare tutte le nostre energie verso la costruzione di una società, che sarà nuova soltanto se fondata finalmente sul rispetto e soprattutto sull'amore vicendevole.

Questo vi auguro con tutto il cuore, mentre ancora vi rinnovo i sentimenti della mia pastorale benevolenza. In particolare, vogliate portare il mio sincero saluto ai vostri cari ed ai vostri colleghi di lavoro, ai quali tutti aspico abbondanti favori celesti per una vita umana e cristiana prospera e serena.

In pegno di questi voti, sono lieto di impartirvi la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-12-04 Data estesa: Giovedi 4 Dicembre 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Il santo padre annuncia l'enciclica "Dives in Misericordia"