GPII 1980 Insegnamenti - Alla solenne eucarestia in suffragio degli ultimi due Papi - Basilica Vaticana (Roma)

Alla solenne eucarestia in suffragio degli ultimi due Papi - Basilica Vaticana (Roma)

Titolo: Importanza dell'opera di Paolo VI e del breve pontificato di Giovanni Paolo I

1. "Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna, alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni" (1Tm 6,11-12).

Queste parole dell'apostolo, tratte dalla liturgia di questa domenica, ci permettono, a due anni dalla morte, di rinnovare il ricordo del Papa Giovanni Paolo I, il quale fu chiamato alla sede di Pietro il 26 agosto 1978 e da essa fu richiamato alla casa del Padre, per raggiungere la vita eterna il 28 settembre, dopo aver terminato il suo servizio, durato appena 33 giorni, in questa sede: "Cerca di raggiungere la vita eterna, alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni".


2. Quanto ci dicono queste parole! Quanto dicono a tutti coloro che salutarono con gioia l'elevazione del Cardinale Albino Luciani, patriarca di Venezia, alla sede di san Pietro; a tutti coloro che lo ricordano e quasi vedono ancora il suo volto buono, mansueto, così facilmente illuminato da un sorriso sereno verso ogni uomo.

E quanto dicono queste parole ai sacerdoti, per i quali egli è stato ad un tempo fratello e padre, particolarmente per quei sacerdoti, ai quali tanto volentieri predicava gli esercizi spirituali. Poco tempo fa ho avuto modo di leggere il testo di questi meravigliosi esercizi, pieni del suo spirito, dal linguaggio figurativo, adatti in ogni loro passo alla realtà della vita sacerdotale ed incentrati intorno alla figura del buon samaritano. Si vede bene quanto era a lui caro questo personaggio, quanto si identificava con esso. Si può anche supporre che una tale figura sarebbe diventata l'ispiratrice principale di quel pontificato, che ha avuto, invece, appena il tempo di iniziare. Davvero, egli fu per la Chiesa e per il mondo "magis ostensus, quam datus!".


3. Noi, Vescovi riuniti per la presente sessione del Sinodo, lo ricordiamo ancora come partecipante alla sessione del 197 7. Nell'aula sinodale io occupavo un posto vicino a lui, proprio davanti a lui. Undici mesi dopo quella sessione egli fu chiamato alla sede di san Pietro, ed un anno dopo di essa ormai non viveva più! Non ha fatto neppure in tempo a pubblicare quel documento sul tema della catechesi, nel quale doveva esprimersi, su richiesta dell'assemblea sinodale, il frutto del suo lavoro; ed era, questo, un tema a lui tanto caro. Tuttavia, durante il periodo di appena quattro settimane del suo pontificato, egli ha fatto in tempo a darne un'espressione particolare specialmente mediante le sue catechesi tenute nelle udienze generali del mercoledi, e dedicate alla fede, alla speranza e alla carità.

Né possiamo, d'altra parte, dimenticare le parole che proprio sul tema del Sinodo dei Vescovi pronuncio nel suo primo radiomessaggio, all'indomani della sua elezione: dopo aver dichiarato, quale sua prima intenzione, quella di sviluppare "sine intermissione" l'eredità del Concilio Vaticano II, impegnandosi ad applicarne le sapienti norme, egli si rivolse ai Cardinali del sacro collegio ed a tutti i Vescovi della Chiesa di Dio, "la cui collegialità - aggiunse - vogliamo fortemente avvalorare, giovandoci della loro opera nel governo della Chiesa universale, sia mediante l'organo sinodale, sia attraverso le strutture della curia romana" (cfr. "Insegnamenti di Giovanni Paolo I", pp. 15-17). Sono, queste, parole assai chiare, a dimostrazione del suo formale impegno di "valorizzare" il Sinodo.

E' per questo che noi oggi, nel momento in cui siamo di nuovo riuniti nel Sinodo, consideriamo come un particolare bisogno del cuore ricordare davanti a Dio il nostro fratello e padre, Papa Giovanni Paolo I, chinando il capo dinanzi all'inscrutabile mistero della provvidenza, quale si è manifestato nella sua venuta e nella sua dipartita, e ringraziando perché egli ha conservato "senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo" (1Tm 6,14).


4. La figura di Giovanni Paolo I dirigerà sempre i nostri pensieri verso i suoi due predecessori nella sede di san Pietro, i cui nomi congiuntamente egli assunse in eredità, come se volesse affermare che non è lecito separarli e che, essendo al servizio nella sede di Pietro, è necessario proseguire la loro opera.

Se oggi attraverso i nomi stessi di Giovanni e di Paolo indirizziamo il nostro pensiero verso i suoi due predecessori, i quali hanno inaugurato, in certo senso, una nuova epoca nella Chiesa, dobbiamo in modo particolare rivolgere questo pensiero insieme alla preghiera e al sacrificio verso il Papa Paolo VI, prima di tutto perché il secondo anniversario della sua morte risale soltanto ad alcune settimane fa e precede di poco l'odierno anniversario della morte del suo immediato successore.

Tra le tante opere compiute, Paolo VI passerà alla storia come colui che, mettendo in pratica l'insegnamento del Concilio Vaticano II circa la collegialità, ha dato vita proprio a questo Sinodo dei Vescovi, per il quale ci riuniamo in sessione ordinaria ormai per la quinta volta. Fondamentale, a questo riguardo, appare il testo del documento istitutivo "Apostolica Sollicitudo", perché, con un anticipo di tre mesi sulla conclusione stessa del Concilio, fissava i lineamenti tuttora validi del nuovo organismo ecclesiale, concepito come "peculiare sacrorum Antistitum consilium", e segnatamente ne indicava lo spirito e le finalità: favorire la più stretta unione e l'opportuna collaborazione tra il sommo pontefice e i Vescovi di tutto il mondo (cfr. Pauli VI "Apostolica Sollicitudo": AAS 57 [1965] 775ss).


5. Inaugurando la precedente sessione ordinaria del Sinodo dei Vescovi con una concelebrazione nella Cappella Sistina, Paolo VI salutava l'assemblea come "stupendo esempio di comunione ecclesiale" e, rivolgendosi alla coscienza personale dei singoli Vescovi presenti, diceva, tra l'altro, così: "Siamo scelti, siamo chiamati, siamo investiti dal Signore di una missione trasformatrice. Come Vescovi, siamo i successori degli apostoli, i pastori della Chiesa di Dio. Un dovere ci qualifica: essere testimoni, essere portatori del messaggio evangelico, essere maestri di fronte all'umanità. Tutto questo vogliamo ricordare, venerati confratelli, per ravvivare la coscienza della nostra elezione, della nostra vocazione, delle responsabilità dell'ufficio grande, pericoloso, incomodo che ci è stato affidato; ma soprattutto per riconfermare tutta la nostra fiducia nell'assistenza di Cristo alle nostre sofferenze, alle nostre fatiche. alle nostre speranze".

Ed ancora: "Essere veri apostoli di Cristo oggi è un grande atto di coraggio, e insieme un grande atto di fiducia nella potenza e nell'aiuto di Dio; aiuto che Iddio non potrà certamente far mancare, se il cuore dell'apostolo sarà aperto all'influsso delicato e possente della sua grazia".

E continuava: "Il panorama del mondo, sul quale s'affaccia la responsabilità di noi evangelizzatori, ci dà l'idea dell'immensità, ci fa toccare con mano il peso della nostra missione. Quanto, quanto c'è ancora da fare! Ne risulta a prima vista un'inferiorità schiacciante, un'inadeguatezza da parte nostra che può sembrare insufficienza totale. Ma è per questo che deve affermarsi e confermarsi il nostro impegno: lo sguardo sul mondo e sull'avvenire non deve generare l'accidia...

Tutt'altro: lungi dal ripiegarci in noi stessi, appunto per reagire alla tentazione dell'inerzia, noi dobbiamo essere certi che la "virtù", ossia la forza, l'aiuto, il soccorso del Signore è con noi" (cfr. "Insegnamenti di Paolo VI", XV [1977] 888-890).

Furono, queste, le parole corroboranti che sentimmo il 30 settembre del 197 7. Era necessario che oggi esse risuonassero di nuovo in mezzo a noi, per rendere testimonianza alla continuità di questa grande causa, per servire la quale ci siamo di nuovo riuniti.


6. A questo punto, pero, poiché nel pomeriggio mi rechero in pellegrinaggio a Subiaco con i rappresentanti delle conferenze episcopali dei paesi europei, non posso tralasciare di fare un riferimento sia pur breve ad un altro degli insigni meriti di Paolo VI. Alludo a ciò che egli disse e decise e fece perché nella coscienza dell'Europa moderna rimanesse sempre viva, quale attivo fermento, la memoria del grande contributo di pensiero e di opere ad essa dato da san Benedetto e, più in generale, dalla tradizione benedettina. Dopo aver proclamato il santo "patrono d'Europa", egli si porto a Montecassino a visitare la sua tomba, consacro la Chiesa del risorto arcicenobio, ed in un discorso memorabile parlo della società "oggi tanto bisognosa di attingere linfa nuova alle radici,... le radici cristiane che san Benedetto per tanta parte le diede". Ed opportunamente nominava le superiori motivazioni, cioè i "due capi, che fanno tuttora desiderare l'austera e soave presenza di Benedetto fra noi: per la fede, che egli e l'ordine suo predicarono nella famiglia dei popoli, in quella specialmente che si chiama Europa; la fede cristiana, la religione della nostra civiltà, quella della santa Chiesa, madre e maestra delle genti; e per l'unità, a cui il grande monaco solitario e sociale ci educo fratelli, e per cui l'Europa fu la cristianità. Fede ed unità: che cosa di meglio potremmo desiderare ed invocare per il mondo intero, e in modo particolare per la cospicua ed eletta porzione che si chiama Europa?" (cfr. "Insegnamenti di Paolo VI", II [1964] 606).

Proprio sulla base di questa storica eredità, lo stesso pontefice, ricevendo in diverse occasioni gruppi di Presuli appartenenti alle nazioni europee, ribadi più volte il dovere, anzi la missione di esser di incitamento alle altre nazioni e di collaborare con più responsabile impegno alla diffusione della fede. Ai rappresentanti di alcune conferenze episcopali d'Europa ricordo "il valore degli esempi delle Chiese di questo continente dinanzi alle altre aree del mondo cattolico e, soprattutto, dinanzi alle Chiese di più recente formazione", le quali dalle Chiese più antiche si attendono il necessario aiuto (cfr. "Insegnamenti di Paolo VI", V [1967] 495).

Gli stessi concetti egli ripeté nel marzo 1971ai presidenti e delegati delle conferenze d'Europa riuniti a Roma per costituire lo speciale "consiglio" degli episcopati europei. In tale occasione volle ricordare ancora una volta il carattere unitario della tradizione, della civiltà e del costume degli abitanti del continente ed esorto a "dare una testimonianza evangelica di fede, di speranza, di carità, di giustizia e di pace considerate le importantissime cause, che in Europa sollecitano la Chiesa e l'umana società", senza dimenticare, peraltro, i bisogni della Chiesa universale, specialmente nel terzo mondo (cfr. "Insegnamenti di Paolo VI", IX [1971] 221-222).


7. Voglia "il re dei regnanti e il Signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini qui sulla terra ha mai visto né può vedere" (1Tm 6,15-16) svelare nell'eternità beata lo splendore della sua santità "faccia a faccia" ed ammettere alla comunione con sé nell'eterna carità i due nostri venerabili e amati fratelli e padri: Paolo VI e Giovanni Paolo I.

"A lui l'onore e la potenza per sempre!".

Data: 1980-09-28 Data estesa: Domenica 28 Settembre 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ricordo dei predecessori e di tre grandi santi

1. Oggi, i Vescovi riuniti al Sinodo hanno ricordato il secondo anniversario della morte di Papa Giovanni Paolo I, insieme col secondo anniversario, distante appena di qualche settimana, della morte di Papa Paolo VI, che ha istituito il Sinodo dei Vescovi ed ha presieduto, mediante i suoi delegati, a tutte le precedenti sessioni, partecipando anche personalmente ai lavori di ognuna di esse negli anni 1967-1969 (sessione straordinaria), 1971, 1974, 197 7. Rispondendo alle proposte dell'episcopato di tutto il mondo, Paolo VI ha stabilito i temi delle varie sessioni, ognuna delle quali ha contribuito moltissimo al processo dell'autentica realizzazione del Concilio, soprattutto dal punto di vista pastorale. Basti soltanto ricordare i temi delle due ultime sessioni: evangelizzazione e catechesi, da cui sono nate, in seguito, due esortazioni apostoliche, la "Evangelii Nuntiandi" e la "Catechesi Tradendae" di grande importanza per il lavoro di tutta la Chiesa. Il tema dell'attuale sessione costituisce quasi un prolungamento delle due precedenti.


2. Oggi pomeriggio, insieme con i rappresentanti delle conferenze episcopali d'Europa - e con la partecipazione degli ospiti provenienti dagli altri continenti - desideriamo onorare san Benedetto nell'anno giubilare del 1500° anniversario della sua nascita. Come è noto, Papa Paolo VI, nel 1964, ha dichiarato san Benedetto patrono d'Europa. E perciò i rappresentanti degli episcopati europei ritengono giustamente che è un particolare loro dovere di recarsi a Subiaco, luogo così strettamente legato alla vita di san Benedetto (ed anche di sua sorella santa Scolastica), e li raccomandare a Dio, per intercessione di questo santo, i difficili problemi del continente europeo, delle singole nazioni, ed anche i compiti della Chiesa.


3. Non posso, poi, in questa occasione, passare sotto silenzio il fatto che il 30 settembre si compiranno i cento anni dal giorno in cui Papa Leone XIII, pubblicando l'enciclica "Grande Munus", ha esteso il culto liturgico dei santi Cirillo e Metodio alla Chiesa universale (prima, infatti, tali due santi godevano soltanto del culto locale).

I santi Cirillo e Metodio, nativi di Tessalonica, legati alla tradizione della Chiesa costantinopolitana, mediante la loro attività tra i popoli della penisola balcanica e del bacino del Danubio, sono diventati i veri apostoli dei popoli slavi. Traducendo i libri liturgici in lingua antico-slava, non solo hanno reso un grande servizio all'evangelizzazione, ma anche alla cultura dei popoli slavi, proprio fin dalle sue fondamenta.

Ricordando ciò, ringrazio Dio per questa grande opera dei santi Cirillo e Metodio, i cui frutti permangono tuttora.

Raccomandiamo tutti i popoli alla loro protezione: i popoli, ai quali essi hanno predicato il Vangelo, o alla cui evangelizzazione indirettamente hanno contribuito.

[Omissis. Seguono i saluti ai campeggianti; ai pellegrini di Canale d'Agordo e Belluno; alle religiose partecipanti al convegno nazionale di animazione missionaria.]

Data: 1980-09-28 Data estesa: Domenica 28 Settembre 1980.


Pellegrinaggio al Sacro Speco - Subiaco

Titolo: Operare come san Benedetto contro ogni forma di schiavitù

Venerabili e carissimi fratelli.

1. Oggi il grande giubileo di san Benedetto ci ha fatto venire a Subiaco. Vi ha già dato l'occasione di presiedere, nelle vostre patrie, nelle vostre diocesi, a importanti celebrazioni, non solo per i monaci e le monache, ma per tutto il Popolo di Dio affidato alle vostre cure, come ho fatto io stesso a Norcia e a Montecassino. Ma oggi, la scelta del luogo santificato da san Benedetto - il Sacro Speco - e la composizione della vostra assemblea dà un rilievo eccezionale a questa celebrazione.

Un millennio e mezzo è trascorso dalla nascita di questo grande uomo, che ha meritato nel passato il titolo di "patriarca dell'occidente", e che e stato chiamato ai nostri giorni, da Papa Paolo VI, il "patrono dell'Europa". Già questi titoli testimoniano che la luce della sua persona e della sua opera ha superato le frontiere del suo paese e non si è limitata solamente alla sua famiglia benedettina: questa ha del resto conosciuto una magnifica espansione ed è provenendo da numerosi paesi e continenti, che i suoi figli e le sue figlie si sono riuniti, una settimana fa, a Montecassino, per venerare la memoria del loro padre comune e fondatore del monachesimo occidentale.

Oggi, a Subiaco, ci sono i rappresentanti degli episcopati d'Europa che si ritrovano per testimoniare, in presenza dei Vescovi del mondo intero riuniti in Sinodo, a quale punto san Benedetto da Norcia sia inserito profondamente e organicamente nella storia d'Europa, e in particolare quanto gli sono debitori le società e le Chiese, del nostro continente, e come, nella nostra epoca critica, esse volgono i loro sguardi verso colui che è stato designato dalla Chiesa come loro patrono comune.

Consacrando l'abbazia di Montecassino risorta dalle rovine della guerra, il 2 ottobre 1964, Paolo VI segnalava le due ragioni che fanno sempre desiderare l'austera e dolce presenza di san Benedetto tra noi: "La fede cristiana che lui e il suo ordine hanno predicato, specialmente nella famiglia d'Europa..., e l'unità attraverso la quale il grande monaco solitario e sociale ci ha insegnato ad essere fratelli e attraverso la quale l'Europa divenne cristiana". "E' perché questo ideale spirituale dell'Europa fosse ormai sacro e intangibile" che il mio venerato predecessore proclamava quel giorno san Benedetto "patrono e protettore dell'Europa". E il breve e solenne "pacis nuntius" che consacrava questa decisione, ricordando i meriti del grande abate, "messaggero di pace, artigiano dell'unità, maestro di civilizzazione, araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in occidente", riaffermava che lui e i suoi figli, "con la croce, il libro e l'aratro", portarono "il progresso cristiano alle popolazioni che si stendevano dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall'Irlanda alle pianure di Polonia".


2. San Benedetto fu prima di tutto un uomo di Dio. Egli lo è diventato seguendo, in modo costante, la via delle virtù indicate nel Vangelo. Fu un vero pellegrino del regno di Dio. Un vero "homo viator". E questo pellegrinaggio è stato accompagnato da una lotta che è durata tutta la sua vita: una battaglia innanzitutto contro se stesso, per combattere "l'uomo vecchio" e fare sempre più posto in sé all'"uomo nuovo". Il Signore ha permesso che, grazie al santo Spirito, questa trasformazione non rimanesse un avvenimento per lui solo, ma che divenisse una sorgente di luce, penetrando la storia degli uomini, penetrando soprattutto la storia d'Europa.

Subiaco fu e rimane una tappa importante di questo percorso. Da un parte, fu luogo di ritiro per san Benedetto da Norcia, egli vi si ritiro dall'età di quindici anni per essere più vicino a Dio. E nello stesso tempo un luogo che ben manifesta ciò che egli è. Tutta la sua storia resterà segnata da questa esperienza di Subiaco: la solitudine con Dio, l'austerità di vita, e la separazione di questa vita molto semplice con qualche discepolo, perché e là che è cominciata una prima organizzazione della vita cenobitica.

E per questo che vengo anch'io in questo alto luogo del Sacro Speco e del primo monastero.


3. Uomo di Dio, Benedetto lo fu realizzando continuamente il Vangelo, non solamente allo scopo di conoscerlo, ma anche di tradurlo interamente in tutta la sua vita. Si potrebbe dire che l'ha riletto in profondità - con la profondità della sua anima -, e che l'ha riletto nella sua ampiezza, secondo la dimensione dell'orizzonte che aveva sotto gli occhi. Questo orizzonte fu quello del mondo antico che era sul punto di morire e quello del mondo nuovo che era sul punto di nascere. Tanto nella profondità della sua anima che nell'orizzonte di questo mondo, egli ha affermato tutto il Vangelo: l'insieme di ciò che costituisce il Vangelo e nello stesso tempo ciascuna delle sue parti, ciascuno dei passi che la Chiesa rilegge nella sua liturgia, e anche ciascuna frase.

Si, l'uomo di Dio - "benedictus", il benedetto, Benedetto - si compenetra in tutta la semplicità della verità che vi è contenuta. Ed egli vive questo Vangelo. E vivendolo, egli evangelizza.

Paolo VI ci ha lasciato in eredità san Benedetto da Norcia come patrono d'Europa. Cosa voleva dirci con questo? Prima di tutto può essere che noi dobbiamo innalzarci senza posa alla traduzione del Vangelo, che deve essere tradotto interamente e in tutta la nostra vita. Che noi dobbiamo rileggerlo con tutta la profondità della nostra anima e in tutta la sua ampiezza, secondo la dimensione dell'orizzonte del mondo che noi abbiamo davanti al mondo. Il Concilio Vaticano II ha posto fermamente la realtà della Chiesa e della sua missione sull'orizzonte del mondo che giorno dopo giorno le diviene contemporaneo.

L'Europa costituisce una parte essenziale di questo orizzonte. In quanto continente nel quale si trovano le nostre patrie, essa è per noi un dono della provvidenza, che ce l'ha affidata allo stesso tempo come un'opera da realizzare.

Noi, in quanto Chiesa, e in quanto pastori della Chiesa, dobbiamo rileggere il Vangelo e annunciarlo nella misura dei compiti che sono inerenti alla nostra epoca. Noi dobbiamo rileggerlo e predicarlo nella misura delle attese che non smettono di manifestarsi nella vita degli uomini e delle società, e nello stesso tempo nella misura delle contestazioni che noi incontriamo nella loro vita. Cristo non smette mai di essere "l'attesa dei popoli" e nello stesso tempo egli non smette di essere il "segno di contraddizione".

Si, sulle tracce di san Benedetto, il compito dei Vescovi d'Europa è d'intraprendere l'opera di evangelizzazione nel mondo contemporaneo. così facendo, essi si rifanno a ciò che è stato elaborato e costruito quindici secoli fa, allo spirito che l'ha ispirato, al dinamismo spirituale e alla speranza che ha segnato questa iniziativa; ma è un'opera da intraprendere in modo rinnovato, a prezzo di nuovi sforzi, in funzione dell'attuale contesto.


4. E' in questa cornice dell'evangelizzazione che assume tutto il suo senso la dichiarazione dei Vescovi d'Europa che abbiamo appena letto: "Responsabilità dei cristiani di fronte all'Europa d'oggi e di domani". Questo documento, elaborato in comune, è un apprezzabile frutto della responsabilità collegiale dei Vescovi di tutto il continente europeo. E' senza dubbio la prima volta che l'iniziativa assume una tale ampiezza. Si tratta di un documento, in qualche modo, della Chiesa cattolica in Europa, che è rappresentata, in modo particolare, dai Vescovi come pastori e maestri di fede. Saluto con gioia questo incoraggiante segno di una responsabilità collegiale che progredisce in Europa, di una unità meglio consolidata tra gli episcopati. Questi episcopati si trovano infatti in paesi dalle situazioni molto diverse, che si tratti dei loro sistemi sociali o economici, dell'ideologia dei loro stati o della posizione della Chiesa cattolica, che forma a volte una maggioranza indiscutibile, altre volte una piccola minoranza al fianco di altre Chiese, o in rapporto a una società molto secolarizzata.

Confidando nel carattere benefico, stimolante, degli scambi e della cooperazione, come ho già molte volte detto, io incoraggio con tutto il cuore il proseguimento di una tale collaborazione, che ben si iscrive nella linea del Concilio Vaticano II. Essa non è d'altra parte estranea alla pratica benedettina e cistercense di una interdipendenza e di una cooperazione tra i differenti monasteri dispersi attraverso l'Europa.

Nella dichiarazione resa pubblica oggi e in questo alto luogo, vi esprimo a giusto titolo la preoccupazione di una unità ecclesiale estesa. L'Europa è infatti il continente in cui le separazioni ecclesiali hanno avuto la loro origine e si sono manifestate con forza. Vale a dire che le Chiese in Europa - quelle sorte dalla Riforma, l'ortodossa e la Chiesa cattolica, che rimangono legate in modo speciale all'Europa - hanno una responsabilità particolare sul cammino dell'unità, sul piano della comprensione reciproca, dei lavori teologici e della preghiera.

Ugualmente, di fronte alle comunità cattoliche degli altri continenti, qui rappresentate, la Chiesa d'Europa deve caratterizzarsi per l'accoglienza, il servizio e lo scambio reciproco, per aiutare queste Chiese sorelle a trovare la loro propria identità, nell'unità della fede, dei sacramenti e della gerarchia.

Insomma è una testimonianza comune della vostra cura pastorale che voi date oggi, cari fratelli, che noi diamo oggi, in funzione dei bisogni e delle attese. Io non ho ripreso qui ciò che è stato abbondantemente esposto in questo documento comune. Si tratta di tracciare un cammino di evangelizzazione per l'Europa, e di seguirlo, con i nostri fedeli. E' un'opera da continuare e da riprendere senza posa. Il prossimo "symposium" dei Vescovi d'Europa non ha per tema "l'autoevangelizzazione dell'Europa?" E questo ci riporta al grande progetto, all'iniziativa senza pari di san Benedetto, di cui certe caratteristiche specifiche hanno enormi conseguenze umane, sociali e spirituali.


5. San Benedetto da Norcia è divenuto patrono spirituale dell'Europa perché, come il profeta, egli ha fatto del Vangelo il suo nutrimento, e ne ha gustato in una volta la dolcezza e l'amarezza. Il Vangelo costituisce infatti la totalità della verità sull'uomo: è insieme la gioiosa novella e nello stesso tempo la parola della croce. Attraverso esso vediamo rivivere, in maniere diverse, il problema del ricco e del povero Lazzaro - con il quale la liturgia di questo giorno ci ha resi familiari - in quanto dramma della storia, in quanto problema umano e sociale.

L'Europa ha inscritto questo problema nella sua storia; essa l'ha portato ben al di là delle frontiere del suo continente. Con esso ha seminato l'inquietudine nel mondo intero. Dalla metà del nostro secolo, questo problema è ritornato, in un certo senso, in Europa; esso si pone anche nella vita delle sue società. Non manca di essere l'origine delle tensioni. Non smette di essere l'origine delle minacce.

Di queste minacce, io ho già parlato il primo giorno dell'anno, facendo allusione a questo grande anniversario di san Benedetto; ricordavo, di fronte ai pericoli della guerra nucleare che minacciano l'esistenza stessa del mondo, che "lo spirito benedettino è uno spirito di salvataggio e di promozione, nato dalla coscienza del piano divino della salvezza ed educato nell'unione quotidiana della preghiera e del lavoro". Esso "è agli antipodi di ogni programma di distruzione".

Il pellegrinaggio che noi compiamo oggi è dunque ancora un grande grido e una nuova supplica per la pace in Europa e nel mondo intero. Noi preghiamo affinché le minacce di autodistruzione che le ultime generazioni hanno fatto sorgere all'orizzonte della loro vita si allontanino da tutti i popoli del nostro continente e di tutti gli altri continenti. Noi preghiamo affinché si allontanino le minacce d'oppressione degli uni da parte degli altri: la minaccia della distruzione degli uomini e dei popoli che, nel corso delle loro lotte storiche e a prezzo di tante vittime, hanno acquisito il diritto morale di essere se stessi e di decidere da se stessi.


6. Che si trattasse del mondo che ai tempi di san Benedetto si limitava all'antica Europa, o del mondo che, nello stesso tempo, stava per sorgere, il loro orizzonte passava attraverso la parabola del ricco e del povero Lazzaro. Al momento in cui il Vangelo, la buona novella del Cristo, entrava nell'antichità, sopportava i pesi dell'istituzione della schiavitù. Benedetto da Norcia trovo nell'orizzonte del suo tempo le tradizioni della schiavitù, e nello stesso tempo rileggeva nel Vangelo una verità sconcertante sulla riconciliazione definitiva della sorte del ricco e del povero Lazzaro. Leggeva anche la gioiosa verità sulla fraternità di tutti gli uomini. Dagli inizi il Vangelo costituirà dunque un richiamo a superare la schiavitù nel nome dell'eguaglianza degli uomini agli occhi del Creatore e Padre.

Nel nome della croce e della redenzione.

Questa verità, questa buona novella dell'eguaglianza e della fraternità, non è stato san Benedetto che l'ha tradotta in regola di vita? Egli l'ha tradotta non solamente in regola di vita per le sue comunità monastiche, ma più ancora, in sistema di vita per gli uomini e per i popoli. "Ora et labora". Il lavoro, nell'antichità, era la sorte degli schiavi, il segno dell'avvilimento. Essere libero significava non lavorare, e dunque vivere del lavoro degli altri. La rivoluzione benedettina mette il lavoro al cuore stesso della dignità dell'uomo.

L'uguaglianza degli uomini intorno al lavoro diviene, attraverso il lavoro stesso, come un fondamento della libertà dei figli di Dio, della libertà grazie al clima di preghiera in cui si vive il lavoro. Ecco qui una regola e un programma. Un programma che comporta degli elementi. La dignità del lavoro non può infatti essere tratta unicamente da criteri materiali, economici. Essa deve maturare nel cuore dell'uomo. E essa non può maturare nel profondo che mediante la preghiera.

Perché è la preghiera che dice in definitiva all'umanità ciò che è l'uomo del lavoro, colui che lavora con il sudore della sua fronte e anche con la fatica del suo spirito e delle sue mani. Essa ci dice che egli non può essere schiavo, ma che egli è libero. Come afferma san Paolo: "lo schiavo che è stato chiamato dal Signore, è un libero affrancato dal Signore" (1Co 7,22). E Paolo, che non ha creduto indegno di un apostolo di "affaticarsi lavorando con le proprie mani" (1Co 4,12) non ha paura di mostrare agli anziani di Efeso le sue proprie mani che hanno provveduto ai propri bisogni e a quelli dei suoi compagni (cfr. Ac 20,34).

E' nella fede di Cristo e nella preghiera che il lavoratore scopre la sua dignità.

E' ancora san Paolo che precisa: "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida: "Abbà, Padre!". Dunque non sei più schiavo, ma figlio" (Ga 4,6-7).

Non abbiamo visto recentemente uomini che, di fronte a tutta l'Europa e al mondo intero, univano la proclamazione della dignità del loro lavoro alla preghiera? 7. Benedetto da Norcia, che per la sua azione profetica ha cercato di far uscire l'Europa dalle tristi tradizioni della schiavitù, sembra dunque parlare, dopo quindici secoli, a numerosi uomini e a molteplici società che bisogna liberare dalle diverse forme contemporanee di oppressione dell'uomo. La schiavitù pesa su colui che è oppresso, ma anche sull'oppressore. Non abbiamo conosciuto, nel corso della storia, delle potenze, degli imperi che hanno oppresso nazioni e popoli in nome della schiavitù ancora più forte della società degli oppressori? La parola d'ordine "ora et labora" è un messaggio di libertà.

Di più, questo messaggio benedettino non è oggi all'orizzonte del nostro mondo, un richiamo a liberarsi dalla schiavitù del consumismo d'un modo di pensare e di giudicare, di stabilire i nostri programmi e di condurre il nostro stile di vita unicamente in funzione dell'economia? In questi programmi scompaiono i valori umani fondamentali. La dignità della vita è sistematicamente minacciata. La famiglia è minacciata, vale a dire questo legame essenziale reciproco fondato sulla confidenza delle generazioni, che trova la sua origine nel mistero della vita e della pienezza di tutta l'opera dell'educazione. E' anche tutto il patrimonio spirituale delle nazioni e delle patrie che è minacciato.

Siamo in grado noi di frenare tutto questo? Di ricostruire? Siamo in grado di allontanare dagli oppressi il peso della costrizione? Siamo capaci di convincere il mondo che l'abuso della libertà è un'altra forma di costrizione? 8. San Benedetto ci è stato donato come patrono dell'Europa dei nostri tempi, del nostro secolo, per testimoniare che siamo capaci di fare tutto questo.

Noi dobbiamo solamente assimilare di nuovo il Vangelo nel più profondo della nostra anima, nella cornice della nostra attuale epoca. Dobbiamo accettarlo come un nutrimento. Si riscoprirà allora un po' alla volta il cammino della salvezza e della pace come in quei tempi lontani in cui il Signore dei signori ha posto Benedetto da Norcia, quale lampada sul candelabro, quale faro sulla strada della storia.

E' lui infatti che è il Signore di tutta la storia del mondo, Gesù Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per noi, al fine di arricchirci con la sua povertà (cfr. 2Co 8,9).

A lui onore e gloria per i secoli! [Traduzione dal francese]

Data: 1980-09-28 Data estesa: Domenica 28 Settembre 1980.



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