GPII 1980 Insegnamenti - A esponenti dell'Assemblea Nazionale del Libano - Città del Vaticano (Roma)


2. Come rappresentanti del popolo libanese, appartenete all'organismo fondamentale di ogni democrazia, espressione della volontà popolare, l'Assemblea Nazionale. La constatazione delle attività di questa fondamentale Istituzione dello Stato Libanese, mi conduce a considerarla un segnale confortante della ripresa di vitalità a livello delle Istituzioni libanesi in genere, così profondamente scosse dalla tempesta che si è abbattuta sul loro paese nel 1975 e che, sfortunatamente, infierisca ancora.

Pur evitando un ottimismo illusorio, vorrei nutrire la speranza che l'autorità dello Stato continui ad affermarsi sempre più a livello di tutti gli organismi e su tutto il territorio nazionale. Ogni cittadino ed ogni gruppo politico o sociale dovrebbero sentirsi provocati dal loro senso di responsabilità a dare il loro appoggio alla ricostruzione e all'efficacia delle istituzioni legali della Repubblica.


3. Infine, mi permetterete di attirare la vostra attenzione su una questione suggeritami dalla vostra visita. Questa è per voi una tappa di un viaggio che vi ha condotti verso alcune delle grandi città europee e che vi ha ultimamente permesso di partecipare al "Congresso Parlamentare Mondiale" di Berlino. Questa apertura della vostra Assemblea alle attività internazionali costituisce indubbiamente un segnale ed un simbolo del lavoro che bisogna intraprendere per contribuire alla risoluzione della crisi. Nei secoli scorsi, il Libano ha dato molto alla comunità mondiale, grazie alla sua civiltà millenaria e grazie al lavoro dei suoi figli, senza dimenticare quelli che l'emigrazione ha disperso nel mondo. E più recentemente, il Libano ha portato il suo contributo all'intesa e alla collaborazione fra i popoli grazie all'azione svolta dal suo Governo in seno ad Organismi Internazionali, l'ONU ad esempio, sin dalla loro creazione. D'altra parte, è ben noto come la comunità internazionale si sia interessata al Libano, aiutandolo sul piano economico e, soprattutto nei momenti critici, vegliando anche sulla sua sicurezza. Tuttavia, ci si dovrebbe domandare se tutte le possibilità sono state sfruttate in quest'ambito e se - al di là del quadro regionale nel quale ci si è impegnati in diversi modi per risolvere la crisi - non sia venuto il momento di fare appello ad un impegno più diffuso ed efficace da parte della Comunità Internazionale.

C'è forse bisogno di assicurarvi che la Santa Sede continuerà a seguire il destino del Libano senza pregiudizi di parte e secondo le possibilità concrete che le si presenteranno? Sapete bene che il mio predecessore, Papa Paolo VI, ed io stesso, ci siamo sempre preoccupati e ci siamo espressi più volte sugli altri problemi della vostra regione, che voi avete prima menzionato, ed in particolare su quello del popolo palestinese e sulla questione di Gerusalemme. Anche su questo punto, la Santa Sede continuerà a prestare la massima attenzione per contribuire ad una soluzione.

Vi prego di trasmettere il mio cordiale saluto al Signor Kamel el Assaad, Presidente della vostra Assemblea, e a tutti i vostri Colleghi. Vogliate ugualmente assicurare tutti i vostre concittadini che il Papa prega con fervore affinché il Libano viva in pace e perché conosca una nuova rinascita spirituale e materiale.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-10-02Data estesa: Giovedi 2 Ottobre 1980.


Ai partecipanti ai XII Giochi della Gioventù - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Integrare le doti fisiche con quelle spirituali

Cari dirigenti delle Federazioni Sportive aderenti al CONI, Cari ragazzi e ragazze! Mi è particolarmente gradita questa vostra visita, al termine delle gare nazionali dei Giochi della Gioventù, da voi svolte in questi giorni a Roma. Sono felice di vedervi, di darvi il benvenuto. Vi ringrazio per il pensiero delicato che avete avuto di venire a salutare il Papa prima di far ritorno alle vostre case ed alle regioni d'Italia da cui provenite e che bene rappresentate. Esprimo, in particolare, la mia riconoscenza al Dott. Franco Carraro, Presidente del Comitato Olimpico Italiano, per le significative parole, che anche a nome di tutti voi, ha voluto rivolgermi.

La vostra presenza entusiastica e festante ravviva nel mio animo tanti cari ricordi legati alla mia precedente esperienza pastorale in mezzo ai giovani sportivi della Polonia.

Voi ben conoscete la stima che la Chiesa nutre per voi, e come la fede cristiana non umilia, ma avvalora e nobilita lo sport nelle sue varie espressioni.

Voi sapete altresi con quale interesse il Papa segue le vostre attività sportive e con quale soddisfazione guarda ai vostri spettacoli agonistici, nei quali manifestate le non comuni doti di fortezza, di disciplina e di ardimento, di cui il Signore vi ha ornato. Il vostro Presidente ha ora parlato nei vostri confronti di allenamento alla "lealtà", all'"autocontrollo", al "coraggio", alla "generosità", alla "cooperazione" ed alla "fratellanza": ebbene, non sono questi altrettanti traguardi, a cui la Chiesa mira nell'educazione e promozione della gioventù? Non sono queste le istanze e le esigenze più profonde del messaggio evangelico? A questo proposito, mentre vi esorto a dare sempre il meglio delle vostre energie e delle vostre capacità nelle pacifiche competizioni sportive, vi ricordo al tempo stesso di non considerare lo sport come fine a se stesso, ma piuttosto come elemento prezioso che vi aiuti a dare alla vostra persona quella pienezza che proviene dalla integrazione delle doti fisiche con quelle spirituali.

In una parola, il corpo deve essere subordinato allo spirito, che dà luce, respiro e sprint alla vita, e che vi fa essere bravi sportivi, bravi cittadini e bravi cristiani.

Carissimi giovani, l'odierno incontro con voi si svolge in un momento particolarmente importante per la vita della Chiesa. Come molti di voi sanno, numerosi Vescovi, provenienti da ogni parte del mondo, sono convenuti in Vaticano per partecipare alla V Assemblea del Sinodo dei Vescovi sui compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. E' infatti quanto mai urgente ridare a tutte le famiglie cristiane quella bellezza, quella sua carica d'amore, tutte quelle virtù che le sono state impresse dal Signore. E' necessario che la famiglia sia realmente la palestra privilegiata, nella quale i vostri ideali spirituali, sportivi e sociali trovino un clima favorevole e la spinta necessaria per portarli avanti e farli maturare fino alla pienezza. Date anche voi il vostro contributo perché la vostra famiglia diventi sempre più vera scuola di forza spirituale e di allenamento alle grandi conquiste umane e sociali.

A tanto vi sia di aiuto e di stimolo la Benedizione Apostolica, che di gran cuore imparto a voi qui presenti, alle vostre Associazioni sportive locali, ai vostri cari e a quanti aderiscono a questo Comitato Olimpico Nazionale, in pegno della mia particolare benevolenza.

Data: 1980-10-02Data estesa: Giovedi 2 Ottobre 1980.


Il pellegrinaggio delle diocesi di Reggio Emilia e Guastalla - Aula Paolo VI, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il cristiano deve capire la realtà storica in cui vive

Carissimi fratelli e figli delle diocesi di Reggio Emilia e di Guastalla! 1. Sono assai lieto per questo incontro, che riveste un significato particolare per il motivo che lo ha ispirato e che lo qualifica: il Sinodo diocesano sul tema "l'evangelizzazione in terra reggiana e guastallese".

Il vostro Vescovo ha voluto far precedere tale importante avvenimento ecclesiale da tre significativi pellegrinaggi, per ottenere dal Signore abbondanza di luce e di grazia; un pellegrinaggio di sacerdoti in Palestina, per ricavare da quei luoghi santi il genuino spirito evangelico, il coraggio dell'autentica conversione e la passione missionaria; un pellegrinaggio di ammalati a Lourdes, nello scorso giugno, per affidare alla Vergine santissima l'itinerario sinodale; e, infine, l'odierno incontro "ad Petri sedem", per impetrare l'intercessione dei santi Pietro e Paolo e per ascoltare la parola confermatrice del Papa.

Vi ringrazio sentitamente per questa vostra presenza così numerosa e piena di fervore: il vostro gesto mi allieta e mi fa ben pensare sulle sorti delle vostre care diocesi. Vi ringrazio con profonda cordialità e porgo a ciascuno di voi il mio saluto, estendendolo a tutte le categorie di persone: ai sacerdoti e ai missionari, ai religiosi e alle religiose, ai laici responsabili dei vari settori della pastorale, ai seminaristi, a coloro che presiedono i vari istituti di carità e di beneficenza, a tutto il popolo che vive nelle vostre parrocchie e nei vostri comuni, ai piccoli e agli adulti, ai giovani e agli anziani, agli studenti, agli operai (so che sono presenti ben ottocento lavoratori dei comprensori delle ceramiche sassolesi), agli agricoltori, ai professionisti, e soprattutto ai numerosi ammalati ai quali assicuro un particolare ricordo nella preghiera.

Ma in modo speciale desidero manifestare al Vescovo e a voi tutti il mio vivo compiacimento per l'iniziativa del Sinodo. Il Signore vi assista, vi illumini e vi dia la consolazione di raccogliere abbondanti frutti di bene. Si tratta ora di perseverare nell'intento, seguendo le direttive del Vescovo; si tratta di sviluppare e approfondire i temi di catechesi proposti, in forma capillare e convincente, nelle varie parrocchie e per le varie categorie di persone, con la preoccupazione essenziale di creare e di formare delle "coscienze cristiane" in un contesto sociale che purtroppo, per vari motivi storici e culturali, si è laicizzato e secolarizzato. Ormai si comprende sempre di più come la fede non è una questione ereditaria e sociologica, bensi un valore strettamente personale, ricercato, raggiunto e vissuto con la forza del proprio impegno e con l'aiuto della grazia.


2. Nell'esortarvi a impegnarvi con instancabile dedizione, desidero incoraggiarvi nel vostro sforzo per conoscere il nostro tempo, con i suoi problemi e le sue risposte, con i suoi interrogativi, le sue conquiste e le sue sconfitte. Il cristiano deve rendersi conto della realtà storica in cui vive. Il cristiano deve essere realista e individuare senza timore le caratteristiche della società in cui è chiamato a vivere.

Ora, non è difficile constatare che nel campo filosofico e ideologico è presente una mentalità razionalista, agnostica e talvolta addirittura antiteista e anticristiana, per taluno l'unico ideale è quello del benessere pianificato e dell'edonismo. La crisi dei valori e penetrata nel sistema di vita quotidiano, nella struttura della famiglia, nella pedagogia, nel modo stesso di interpretare il senso dell'esistenza e il significato della storia.

E' una constatazione che il cristiano deve fare coraggiosamente, ricordando pero che non tutti i valori sono distrutti, che c'è una profonda "anima di verità", e che egli deve convivere in questo contesto storico, cercando di amare tutti e di essere luce sul candelabro e fermento nella massa in qualsiasi situazione venga a trovarsi. La conoscenza illuminata ed equilibrata del proprio tempo rende il cristiano saggiamente ottimista e lo salva dal rinchiudersi in vani lamenti: ogni epoca della storia deve essere capita ed amata per essere salvata da Cristo e dalla Chiesa.


3. Il cristiano deve poi rendersi pienamente conto del grande valore della sua religione.

La religione cattolica è rivelata da Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, morto in croce e risorto: quindi è una religione unica ed esclusiva, è garantita dal magistero della Chiesa; rimane misteriosa, perché divina, ed è esigente, perché salvifica. Non può mutare, perché deriva dalla stessa immutabilità di Dio creante e rivelante.

Oggi perciò è sempre più necessaria una cultura religiosa, metodica e completa; è necessario inculcare il senso del mistero, il bisogno assoluto della preghiera per accettare tutta la rivelazione e praticare in pienezza la legge morale; è necessario formare all'umiltà della mente e alla forza della volontà.

Il cristianesimo è una dottrina, ma è soprattutto una vita che in tanto viene compresa in quanto viene praticata, e viceversa; il problema non è tanto la "massa", ma la comunità, in cui ogni persona s'incontra con Cristo e diviene a sua volta testimone e strumento di redenzione dell'umanità. Ricordiamo ciò che disse Gesù stesso: "Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo unigenito Figlio, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,15-17).

La Sacra Scrittura ci fa comprendere che, nello sviluppo e nel contrasto della storia, Dio vuole l'evangelizzazione, la conversione e la santificazione delle anime.


4. Infine, il cristiano deve impegnare tutti i talenti, ma fare costante assegnamento sulla grazia.

Davanti ai problemi della società, è facile ed è umano lasciarsi prendere dallo sgomento e perfino dall'amarezza e dallo sconforto. La gravità delle questioni nei vari campi del vivere non permette talvolta di vedere soluzioni. E tuttavia la gravità dei problemi non deve togliere la fiducia e il coraggio dell'impegno; anzi, deve spingere a maggiormente pregare e santificare se stessi. Sempre più convincenti diventano le parole del divin maestro: "Senza di me non potete far nulla!" (Jn 15,5).

Carissimi, molto importante, anzi, forse decisiva è questa data del Sinodo diocesano nella storia della vostra salvezza! E perciò io con tutta l'ansia del mio ministero apostolico invoco per voi lo Spirito Santo ed i santi protettori di Reggio Emilia e di Guastalla.

Vi assista e vi sorregga la Vergine santissima, a cui fin dai più antichi tempi le vostre diocesi sono particolarmente devote, avendo edificato in suo onore maestosi santuari e numerose cappelle; pregatela ogni giorno, specialmente con il santo rosario, affinché la sapienza divina sempre vi illumini e vi accompagni, imitatela nella sua donazione totale alla volontà dell'Altissimo.

A voi tutti qui presenti, alle vostre amatissime diocesi e in particolare per i lavori del vostro Sinodo imparto di cuore la mia apostolica benedizione.

Data: 1980-10-04 Data estesa: Sabato 4 Ottobre 1980.


Alle autorità - Otranto

Titolo: Permanente ed universale messaggio per la Chiesa e per il mondo

Signor Ministro, Signor Sindaco, cari Cittadini di Otranto e della Penisola Salentina! 1. Sento il dovere, innanzitutto, di ringraziare vivamente le Autorità civili e religiose presenti per le cordiali parole di benvenuto che mi hanno rivolto non solo in questo sacro luogo, ma già all'aeroporto di Galatina, non appena ho messo piede nell'estremo lembo d'Italia. Ricambio con sincera deferenza il loro saluto, e lo estendo ben volentieri a tutti coloro che son qui convenuti per manifestarmi, oltre all'ossequio ed alla devozione, la loro soddisfazione per l'odierna mia visita. Ma trovandomi - ed è la seconda volta - nel sud dell'Italia, desidero anche rivolgere un affettuoso pensiero alle care popolazioni che vi abitano, delle quali conosco ed apprezzo molto l'espansiva bontà ed il calore umano.


2. Ho detto "sacro luogo", perché ci troviamo sul Colle dei Martiri: proprio qui, esattamente 5 secoli fa, si ebbe la splendida, univoca, eroica testimonianza delle centinaia e centinaia di figli di codesta Terra generosa, i quali, incitati e preceduti dall'esempio mirabile del Beato Antonio Primaldo, caddero ad uno ad uno per "tener fede alla fede". Felice, pertanto, è stata la scelta nel fissare il punto del nostro primo incontro nel "Locus martyrii": questo, infatti, è tale da definire immediatamente la ragione primaria del mio viaggio, che è - come sapete - di ricordare un evento tanto glorioso nella storia della Chiesa e di onorare coloro che ne furono i protagonisti.


3. Ciò facendo, il mio sguardo non si limita solo ad un passato pur tanto insigne e memorabile, ma si porta anche sulla realtà ecclesiale di oggi. I Martiri di Cristo - quelli delle prime generazioni, quelli della cosiddetta età media o dell'inizio dell'età moderna (è il caso dei vostri e nostri Martiri Idruntini), come quelli dei nostri tempi - offrono, infatti, un esempio che equivale ad un permanente ed universale messaggio per la Chiesa e per il mondo. Non è forse vero che il martirio s'impone di per se stesso, per le virtù che presuppone ed esprime? Non è forse vero che il Sacrificio, spinto fino alla "perdita" della vita, ha un suo proprio linguaggio, il quale trascende l'epoca, in cui è compiuto, e si rende intelligibile in tutti i tempi? Appunto questo è il motivo del culto perenne che, non soltanto in adempimento della norma liturgica, si presta ai Martiri.

Il sangue dei Martiri di Otranto, che bagno e consacro proprio queste zolle, è un tesoro prezioso che forma parte di quella nascosta energia che penetra ed alimenta, nella sua più profonda vitalità, la Chiesa a livello universale e locale. Ma - come è evidente - soprattutto per voi, fratelli dell'arcidiocesi di Otranto, e per voi, abitanti della Terra d'Otranto, esiste questo tesoro, fatto di meriti, di insegnamenti e di esempi.

Nel rinnovare l'espressione della mia gratitudine per la calorosa accoglienza riservatami in questa città tanto nobile per la sua origine e per la plurisecolare sua storia religiosa e civile, volentieri aggiungo l'augurio che la mia visita pastorale vi sia di incitamento e di sostegno non soltanto nella devota riconoscenza e nel legittimo orgoglio con cui riguardate ai Martiri vostri conterranei, ma anche e soprattutto nella professione intrepida di quella fede cattolica, della quale furono testimoni e campioni. Come essi, siate sempre anche voi di Cristo e con Cristo!

Data: 1980-10-05 Data estesa: Domenica 5 Ottobre 1980.


L'omelia sul Colle dei Martiri - Otranto

Titolo: "Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio"

1. Ci ha fatto venire oggi qui ad Otranto il ricordo dei martiri. Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio, sul quale, sin dall'inizio, si costruisce il regno di Dio, proclamato ed iniziato nella storia umana da Gesù Cristo.

La verità sul martirio ha nel Vangelo un'eloquenza piena di penetrante profondità ed insieme di trasparente semplicità. Cristo non promette ai suoi discepoli successi terreni o prosperità materiale; egli non presenta davanti ai loro occhi alcuna "utopia", come è capitato più di una volta e come capita sempre nella storia delle ideologie umane. Egli semplicemente dice ai suoi discepoli: "vi perseguiteranno". Vi consegneranno agli organi delle diverse autorità, vi metteranno in prigione, vi chiameranno davanti ai diversi tribunali. Tutto ciò "a causa del mio nome" (Lc 21,12).

La sostanza del martirio è legata, dall'inizio e nel corso di tutti i secoli, con questo nome! Noi qualifichiamo come martiri quei cristiani che, nel corso della storia, hanno subito sofferenze, spesso terrificanti, per la loro crudeltà "in odium fidei". Coloro ai quali "in odium fidei" veniva infine inflitta la morte. Quindi coloro che accettando, in questo mondo, le sofferenze e subendo la morte hanno reso una particolare testimonianza a Cristo.

Mettendo davanti agli occhi dei suoi discepoli l'immagine delle sofferenze che li aspettano a causa del suo nome, il maestro dice: "Questo vi darà occasione di render testimonianza" (Lc 21,13).


2. Cinquecento anni fa qui, ad Otranto, 800 discepoli di Cristo hanno reso appunto una tale testimonianza, accettando la morte per il nome di Cristo. Ad essi si riferiscono le parole che il Signore Gesù ha pronunciato sul martirio: "Sarete odiati da tutti per causa del mio nome" (Lc 21,17). Si. Sono stati oggetto d'odio.

Hanno bevuto per il nome di Cristo il calice di quest'odio fino in fondo, a somiglianza del loro maestro, il quale dalla cena pasquale si reco direttamente al Getsemani e li pregava: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice" (Lc 22,42). Tuttavia il calice dell'odio umano, della crudeltà e della croce non si è allontanato. Cristo, obbediente al Padre, l'ha vuotato fino in fondo: "Non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42).

La testimonianza del Getsemani e della croce è un sigillo definitivo, impresso su tutto ciò che Gesù ha fatto e insegnato. Egli, accettando la morte, ha dato la propria vita per la salvezza del mondo. I martiri di Otranto, accettando la morte, hanno dato la loro vita per Cristo. E in questo modo hanno reso una particolare testimonianza a Cristo.

La testimonianza dei martiri li introduce in modo particolare anche nel suo mistero pasquale. "Con la vostra perseveranza - dice Gesù - salverete le vostre anime" (Lc 21,19). Come egli stesso conquisto la nuova vita, accettando la morte, così i martiri accettando la morte, conquistano la vita, a cui Cristo ha dato inizio nella sua risurrezione.


3. "Quella" vita: la vita nuova e piena smentisce, in certo senso, l'esperienza della morte. Smentisce soprattutto la certezza di coloro che, infliggendo la morte, ritenevano di aver tolto la vita ai martiri, di averli privati della vita e di averli strappati in maniera definitiva dalla terra dei viventi.

"Agli occhi degli stolti parve che morissero; / la loro fine fu ritenuta una sciagura, / la loro dipartita da noi una rovina".

Così proclamava l'autore del libro della Sapienza (Sg 3,2-3) già molto tempo prima che Cristo pronunciasse le sue parole sul martirio.

"...ma essi sono nella pace" (Sg 3,3). Ma essi sono nella pace! Nell'atto del martirio ha quindi luogo una radicale, per così dire, contrapposizione dei criteri e dei fondamenti stessi del pensare. La morte umana dei martiri, la morte legata alla sofferenza e al tormento - così come la morte di Cristo sulla croce - cede, in un certo senso, dinanzi ad un'altra realtà superiore. L'autore del libro della Sapienza scrive: "Le anime dei giusti... sono nelle mani di Dio / nessun tormento le toccherà" (Sg 3,1).

Quest'altra realtà superiore non annulla il fatto del tormento e della morte, così come non annullo il fatto della passione e della morte di Cristo.

Essa, la "mano" invisibile di Dio trasforma soltanto questo fatto umano. Lo trasforma già perfino nella sua trama terrestre, mediante la potenza della fede che si rivela nelle anime dei martiri dinanzi al tormento ed alla sofferenza: "Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità" (Sg 3,4).

La forza di questa fede e la forza della speranza che proviene da Dio sono più potenti del castigo e della morte stessa. I martiri rendono testimonianza a Cristo proprio per questa forza della fede e della speranza. Essi, difatti, simili a Lui nella passione e nella morte, proclamano contemporaneamente la potenza della sua risurrezione. Basta ricordare qui come moriva il primo martire di Cristo, il diacono Stefano; egli si spense gridando: "Ecco io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio" (Ac 7,56).

Così dunque, grazie alla forza della fede ed alla potenza della speranza, cambiano in un certo senso le proporzioni: le proporzioni della vita e della morte, della sconfitta e della vittoria, dello spogliamento e dell'elevazione. L'autore del libro della Sapienza scrive in seguito: "In cambio d'una breve pena / riceveranno grandi benefici, / perché Dio li ha provati / e li ha trovati degni di sé" (Sg 3,5).


4. Qui tocchiamo un punto particolarmente importante nel fatto del martirio. Il martirio è una grande prova, in un certo senso è la prova definitiva e radicale.

E' la più grande prova dell'uomo, la prova della dignità dell'uomo al cospetto di Dio stesso. E' difficile dire a questo proposito più di quanto afferma proprio il libro della Sapienza: "Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé" (Sg 3,5).

Non esiste una misura più grande della dignità dell'uomo di quella che si trova in Dio stesso: negli occhi di Dio. Il martirio è dunque "la" prova dell'uomo che ha luogo agli occhi di Dio, una prova nella quale l'uomo, aiutato dalla potenza di Dio, riporta la vittoria.

Attraverso tale prova sono passati, nel corso della storia, numerosi confessori e discepoli di Cristo. Attraverso tale prova sono passati i martiri d'Otranto cinquecento anni fa. Attraverso tale prova sono passati e passano i martiri del nostro secolo, martiri spesso sconosciuti, oppure poco conosciuti, anche se si trovano non lontani da noi.

E così nell'odierna circostanza non posso non volgere il mio sguardo, oltre il mare, alla non distante eroica Chiesa in Albania, sconvolta da dura e prolungata persecuzione ma arricchita dalla testimonianza dei suoi martiri: Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e semplici fedeli.

Oltre che a loro, il mio pensiero va anche agli altri fratelli cristiani e a tutti i credenti in Dio i quali subiscono una simile sorte di privazioni in quella nazione.

Essere spiritualmente vicini a tutti coloro che soffrono violenza a causa della loro fede è un dovere speciale di tutti i cristiani, secondo la tradizione ereditata dai primi secoli. Direi di più: qui si tratta anche di una solidarietà dovuta alle persone ed alle comunità, i cui diritti fondamentali sono violati o perfino totalmente conculcati. Dobbiamo pregare perché il Signore sostenga questi nostri fratelli con la sua grazia in tali difficili prove. E vogliamo pregare anche per chi li perseguita ripetendo l'invocazione di Cristo sulla croce, rivolta al Padre: "Perdona loro perché non sanno ciò che fanno".

Molto spesso si cerca di qualificare i martiri come "colpevoli di reati politici". Anche Cristo è stato condannato a morte apparentemente per questo motivo: perché affermava di essere re (cfr. Lc 23,2). Non dimentichiamo, perciò, i martiri dei nostri tempi. Non comportiamoci come se essi non esistessero.

Ringraziamo Dio che essi hanno superato vittoriosamente la prova. Imploriamo la forza dello Spirito Santo per i perseguitati che ancora devono misurarsi con tale prova. Si compiano su di essi le parole del maestro: "Io vi daro lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere né combattere" (Lc 21,15).

Restiamo in comunione con i martiri. Essi scavano l'alveo più profondo del fiume divino nella storia. Essi costruiscono i fondamenti più consistenti di quella città divina che si eleva verso l'eternità. L'autore del libro della Sapienza proclama: "(Dio) li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto" (Sg 3,6).


5. Nella Chiesa in terra permane il ricordo e la venerazione dei santi martiri, come qui a Otranto, e in tanti altri luoghi d'Italia, d'Europa e del mondo. Nel regno di Dio essi ricevono insieme a Cristo una particolare forza e potere nel mistero della comunione dei santi e in tutta l'economia divina della verità e dell'amore.

"Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. Quanti confidano in lui comprenderanno la verità; coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell'amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti" (Sg 3,8-9).

I martiri, dinanzi alla maestà della divina giustizia, potrebbero gridare così come leggiamo nell'Apocalisse: "Fino a quando, sovrano, tu che sei santo e verace, non farai, giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?" (Ap 6,10). Tuttavia nella luce eterna della santissima Trinità, uniti nella suprema verità e nel perfetto amore, essi diventano portavoce della grazia e della misericordia per i loro fratelli e sorelle sulla terra. Lo diventano anzi per i loro stessi persecutori. Lo diventano soprattutto per la Chiesa, che secondo i disegni misericordiosi di Dio deve essere la "città divina" elevata tra i popoli, deve essere: "in Cristo come un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

E' perciò proprio questa Chiesa, riunita oggi a Otranto sulla grande tomba dei martiri, desidera nello spirito della missione che le è propria elevare, per il loro tramite, la sua preghiera a Dio. In questa preghiera si collocano al primo posto i problemi che noi oggi, da questa grande tomba dei martiri di Otranto, dopo 500 anni, vediamo in modo nuovo e con una nuova chiarezza, nella prospettiva della croce di Cristo e della missione della Chiesa.


6. Il Concilio Vaticano II, il quale ha affermato che "la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1), ha manifestato anche il suo atteggiamento coerente con tale professione nei confronti di quegli avvenimenti che, nel passato, hanno contrapposto reciprocamente musulmani e cristiani come nemici: "Se nel corso dei secoli tra cristiani e musulmani sono sorte non poche contese e inimicizie, questo sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare ciò che è passato, a praticare sinceramente la comprensione reciproca e a promuovere insieme i beni morali, la pace e la libertà" (NAE 3).

Per noi, queste parole hanno una importanza decisiva. Nel medesimo spirito ho già avuto occasione di parlare più di una volta: ad Ankara, capitale della Turchia, nella mia visita in quel paese l'anno scorso, ed anche a Nairobi, ad Accra, ad Ouagadougou e ad Abidjan durante il mio recente viaggio in terra africana.

Oggi, presso le tombe gloriose dei martiri d'Otranto, invoco l'intercessione di coloro le cui "anime sono nelle mani di Dio", e, insieme con tutta la Chiesa, elevo fervida preghiera affinché le parole dell'insegnamento del Concilio Vaticano II diventino sempre più una realtà.

Va, in questo momento, un pensiero deferente e cordiale alla Chiesa in Bisanzio che ebbe storici legami con la Chiesa locale di Otranto.

Da questa antica terra di Puglia, protesa come una testa di ponte verso il levante, noi guardiamo con attenzione e simpatia alle regioni dell'oriente e particolarmente là dove ebbero origine storica le tre grandi religioni monoteistiche, cioè il cristianesimo, l'ebraismo e l'islam. Abbiamo presente nella memoria ciò che il Concilio dice di "quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,45); popolo, in virtù dell'elezione, carissimo per ragione dei suoi padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29)". E in seguito leggiamo nella medesima pagina del Concilio Vaticano II: "Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale" (LG 16).

In pari tempo non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a situazioni particolarmente delicate che colà si sono create e tuttora sussistono. Sono scoppiati durissimi conflitti; la regione del medio oriente è pervasa da tensioni e contese, col rischio sempre incombente del riesplodere di nuove guerre. E' doloroso rilevare che spesso gli scontri si sono avuti seguendo le linee di divisione fra gruppi confessionali diversi, sicché è stato possibile per alcuni, purtroppo, alimentarli artificiosamente facendo leva sul sentimento religioso.

I termini del dramma medio-orientale sono noti: il popolo ebraico, dopo esperienze tragiche, legate allo sterminio di tanti figli e figlie, spinto dall'ansia di sicurezza, ha dato vita allo stato di Israele; nello stesso tempo si è creata la condizione dolorosa del popolo palestinese, in cospicua parte escluso dalla sua terra. Sono fatti che stanno sotto gli occhi di tutti. Ed altri paesi, come il Libano, soffrono per una crisi che minaccia di essere cronica. In questi giorni, infine, un aspro conflitto è in corso in una regione vicina, fra Iraq e Iran. Riuniti oggi qui, presso le tombe dei martiri di Otranto, meditiamo sulle parole della liturgia che proclamano la loro gloria e la loro potenza nel regno di Dio: "Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro". Quindi in unione con questi martiri, noi presentiamo al Dio unico, al Dio vivente, al Padre di tutti gli uomini i problemi della pace in medio oriente ed anche il problema, che tanto ci è caro, dell'avvicinamento e del vero dialogo con coloro ai quali ci unisce - nonostante le differenze - la fede in un solo Dio, la fede ereditata da Abramo. Lo spirito di unità, di reciproco rispetto e di intesa si dimostri più potente di ciò che divide e contrappone.

Libano, Palestina, Egitto, penisola arabica, Mesopotamia nutrirono da millenni le radici di tradizioni sacre per ciascuno dei tre gruppi religiosi; là ancora, per secoli, hanno convissuto sugli stessi territori comunità cristiane, ebraiche ed islamiche; in quelle regioni, la Chiesa cattolica vanta comunità insigni per antichità di storia, vitalità, varietà di riti, proprie caratteristiche spirituali.

Sovrasta alta su tutto questo mondo, come un centro ideale, uno scrigno prezioso che custodisce i tesori delle memorie più venerande, ed è essa stessa il primo di questi tesori, la città santa, Gerusalemme, oggi oggetto di una disputa che sembra senza soluzione, domani - se lo si vuole! - domani crocevia di riconciliazione e di pace.

Si, noi preghiamo perché Gerusalemme, anziché essere, come è oggi, oggetto di contesa e di divisione, divenga il punto d'incontro, verso cui continueranno a volgersi gli sguardi dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani, come al proprio focolare comune; intorno a cui essi si sentiranno fratelli, nessuno superiore, nessuno debitore agli altri; verso cui torneranno a dirigere i loro passi i pellegrini, seguaci di Cristo, o fedeli della legge mosaica, o membri della comunità dell'islam.


7. E adesso il nostro pensiero si rivolge ancora una volta verso la liturgia dei martiri. Noi guardiamo con gli occhi dell'autore dell'Apocalisse e vediamo nel grande cimitero di Otranto e, al tempo stesso, nella prospettiva dell'eterna Gerusalemme... vediamo: "sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa... venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli" (Ap 6,9 Ap 6,11).

Data: 1980-10-05 Data estesa: Domenica 5 Ottobre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - A esponenti dell'Assemblea Nazionale del Libano - Città del Vaticano (Roma)