GPII 1980 Insegnamenti - Ai Vescovi caldei in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)


All'inaugurazione della cappella ungherese nelle grotte vaticane - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La strada maestra per costruire un Europa pacifica e veramente umana

Dicsertessek o Jesus Krisztus! Signor Cardinale, venerati confratelli nell'episcopato, illustri rappresentanti della nazione ungherese, cari fedeli.

Riuniti attorno all'altare del Signore per celebrare il sacrificio eucaristico, non è facile esprimere la commozione di questo momento, intensamente evocativo e denso di memorie, che segna, in certo senso, la conclusione solenne di manifestazioni pluricentenarie collegate con gli albori della Chiesa in Ungheria e con le origini della nazione ungherese.

1. Dopo la commemorazione del millennio della Chiesa in Ungheria e della nascita e del battesimo del re santo Stefano, che il mio predecessore Paolo VI ha esaltato con la lettera apostolica "Sancti Stephani ortum" del 6 agosto 1970, è stata solennemente ricordata, proprio in questi giorni, la ricorrenza dieci volte centenaria della nascita di san Gerardo, Vescovo e martire. Al termine di un decennio, contrassegnato da date tanto significative, l'inaugurazione di questa cappella assume il chiaro significato di un suggello e di una testimonianza perenni che, trasfigurati dalla suggestiva potenza dell'arte, indicano alle generazioni presenti e future il perdurante appello di momenti storici, sempre vivi nella coscienza nazionale e collegati con le idealità profonde di un popolo, la cui conversione a Cristo coincise con l'inizio della propria civiltà.


2. Desiderando approfondire con voi il valore di questa monumentale iniziativa, il primo motivo che si presenta alla nostra attenzione è quello di un omaggio di devozione a nostra Signora di Ungheria, la quale è stata costantemente implorata dal popolo, nelle ore più cruciali della vita nazionale.

Da quando santo Stefano affido la corona sacra, simbolo venerato dell'unità nazionale, ed il popolo intero, alle cure della Vergine santissima, fino alle ore dolorose e sconvolgenti dell'ultimo conflitto mondiale, non si è mai interrotta la corrente di fiduciosa preghiera dei figli di Ungheria verso colei che "con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli ed affanni" (LG 62).


3. Un altro significato evidente di questa mistica cappella è certamente quello di un'attestazione di fedeltà al successore di san Pietro. Il dono di essa da parte del Papa Paolo VI richiama il gesto munifico e pastorale insieme del sommo pontefice Silvestro II, il quale, nella sua sollecitudine per la giovane Chiesa ungherese, esaudi il desiderio di santo Stefano di avere presso la tomba di san Pietro un oratorio nazionale ed un ospizio per i pellegrini della sua terra.

L'unione di fede e di disciplina col romano pontefice viene celebrata da questo luogo sacro, il quale rimarrà come segno dell'inserimento vitale delle Chiese locali di Ungheria nella comunità universale della Chiesa di Cristo.


4. Nel soffermare, poi, lo sguardo sulle sculture che, dalle pareti laterali, fanno corona alla grande statua della Vergine e che rappresentano episodi della vita di santi e beati ungheresi, siamo invitati a riflettere sull'opera da essi svolta, in conformità al mandato evangelico di servire i propri fratelli, per elevare la condizione umana e sociale di un popolo, che era ancora ai primi passi verso traguardi di civiltà.

Di fronte a tanti esempi di santità che hanno illuminato i primi secoli della vita del popolo ungherese, sorge spontanea la considerazione che tale adesione eroica a Cristo crea uomini a lui profondamente conformi (cfr. Rm 8,29), disponibili al dono totale di sé, per l'affermazione della giustizia, della libertà e della pace. Infatti, come afferma il Concilio Vaticano II, "dalla santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano" (LG 40) e la fede incoraggia ed alimenta l'autentico progresso civile.


5. Mi sia consentita un'ultima considerazione. Dall'opera dei santi che abbiamo commemorato è nata una civiltà europea basata sul Vangelo di Cristo, ed è scaturito un fermento per un autentico umanesimo, permeato di valori perenni, radicandosi, altresi, un'opera di promozione civile nel segno e nel rispetto del primato dello spirituale.

La prospettiva aperta allora dalla fermezza di tali testimoni della fede è tuttora attuale e costituisce la strada maestra per continuare a costruire un'Europa pacifica, solidale, veramente umana, e per superare opposizioni e contrasti, che rischiano di sconvolgere la serenità dei singoli e delle nazioni.

Mi piace pensare che questa preziosa e già tanto amata cappella possa divenire un cenacolo di preghiera e di ispirazione per cristiani e uomini di buona volontà, desiderosi di essere efficaci operatori di pace in un'Europa unità.


6. Con questi sentimenti, esprimendo al Cardinale primate il mio grazie cordiale per le parole nobili ed affettuose che ha voluto rivolgermi, desidero indirizzare a ciascuno di voi, qui presenti, il mio saluto beneaugurante, che vuol raggiungere, attraverso la silenziosa ma sicura via del cuore, ciascuno dei figli di Ungheria.

Ad essi auspico di saper conservare fedelmente e di accrescere sempre più le ricchezze spirituali del passato, e cioè il prezioso patrimonio religioso e il generoso amore alla patria.

Accompagno il mio voto con una fervida preghiera alla "Magna Domina Hungarorum", nella confidente certezza che la sua protezione materna non delude mai le ardenti attese dei propri figli. Per sua intercessione e per quella di tutti i vostri santi, imploro su di voi, sulle vostre famiglie e sull'intera Ungheria l'abbondanza delle benedizioni divine.

Data: 1980-10-08 Data estesa: Mercoledi 8 Ottobre 1980.





Ai vicari castrensi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimoniate la Chiesa da pastori esperti

Cari fratelli.

I congressi internazionali di militari, in particolare quelli che hanno luogo ogni anno a Lourdes han già dato prova di sé. Ma è, io credo, la prima volta che i vicari castrensi si riuniscono provenendo da diversi paesi e continenti.

Desideravo avere il tempo di salutarvi, di felicitarmi con voi per questa iniziativa e di incoraggiarvi.

Dovete mettere in comune esperienze, differenti certo, ma parallele, confrontare problemi precisi che vi si pongono e ciò che voi intraprendete per farvi fronte. In ogni modo, vanno sviluppate questioni più grandi che cercherete di approfondire per chiarire le vie del vostro ministero.

Certe questioni fondamentali, di ordine etico, emergeranno sicuramente, attorno per esempio alla legittimità di certi metodi di difesa, della nozione di guerra "giusta" nel contesto d'oggi, della minaccia di utilizzazione degli armamenti nucleari - di cui io stesso ho parlato seriamente in molteplici circostanze - o di altri armamenti di grande potenza, della questione sempre più frequente dell'obiezione di coscienza. Voi siete evidentemente posti in un luogo in cui questi problemi sono resi più acuti. Questioni apparentemente teoriche, perché la soluzione non è nelle mani dei cappellani militari; ma questioni importanti e che vi riguardano, perché voi avete una parte speciale nella formazione della coscienza dei militari e dell'opinione pubblica; voi dovete dare una testimonianza di Chiesa, come pastori specializzati su questi difficili problemi.

Io penso tuttavia che il punto essenziale dei vostri fraterni dibattiti debba riguardare l'assistenza spirituale ai militari: è la vostra ragion d'essere.

Che campo immenso! Che compito complesso! Vi dovete occupare, da una parte, dei militari di carriera e delle loro famiglie. Malgrado i loro frequenti cambiamenti, è un ambiente relativamente stabile. Voi non siete il solo loro punto di riferimento nella Chiesa: hanno le loro parrocchie e diverse associazioni cristiane. Ma siete voi ad un titolo particolare i loro pastori, i confidenti della loro vita e i preti che possono aiutarli al meglio nella loro vita sacramentale e apostolica.

Sono affidati a voi, d'altra parte, l'insieme dei giovani militari di leva che fanno il loro servizio nazionale. Il periodo che essi trascorrono sotto le armi riveste una grande importanza nella loro evoluzione, anche se essi pensano sovente che questo periodo deve essere una parentesi senza interesse nella loro vita familiare e professionale. Quando si pensa che quasi la totalità dei giovani passa attraverso questa esperienza, il vostro ministero riveste un'urgenza considerevole. Siete posti al crocevia della vita delle nuove generazioni. Per i giovani che erano sostenuti fino a questo momento da un luogo tradizionalmente cristiano, questo periodo costituisce generalmente una prova, la prova della loro libertà, sul piano spirituale e morale, che può risolversi con un abbandono della pratica religiosa e della fede, ma anche con una apprezzabile maturazione delle loro convinzioni. Per altri, è un'occasione nuova per incontrare la Chiesa, dei cristiani, un cappellano. Il loro soggiorno in caserma è più limitato d'un tempo e spesso non comprende più la domenica. Ma i cappellani e tutti coloro che collaborano con essi possono impegnarsi a offrire loro altre occasioni di riflessione, di preghiera, di apertura ai bisogni degli altri. Possa il tempo del servizio militare divenire sempre di più, grazie al vostro contributo, un periodo supplementare e originale di preparazione umana e spirituale alla vita! Qui, lo zelo sacerdotale, apostolico, di ciascuno di voi cappellani gioca un ruolo capitale. Voi desiderereste evidentemente vederli più numerosi. Sostenete il loro difficile servizio, aiutateli come dei fratelli, incoraggiateli a circondarsi di laici cristiani la cui testimonianza è indispensabile, e a ben inserire i loro sforzi nella Chiesa, in armonia con il ministero complementare degli altri pastori.

Ma mi fermo qui, perché sono questioni che avete già dibattuto, o dibatterete con precisione. Che il Signore fortifichi la vostra speranza! Io lo prego di rendere fecondo il vostro apostolato e vi benedico di tutto cuore, cari fratelli, voi e coloro che con voi collaborano nei vostri differenti paesi.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-10-09 Data estesa: Giovedi 9 Ottobre 1980.


Ai Vescovi della Birmania in visita "ad limina" - Roma

Titolo: Questo è un rendimento di grazie, questa è un'ora di speranza

Cari fratelli nell'episcopato.

E' una grande gioia per me, come successore di Pietro nella sede di Roma, dare il benvenuto a voi miei fratelli Vescovi provenienti dalla Birmania, e abbracciarvi nell'amore di Gesù Cristo, il Verbo eterno e incarnato di Dio.

1. In questa vostra visita "ad limina", voi venite come ordinari delle quattro Chiese locali: Mandalay, Myitkyina, Bassein e Kengtung. Voi venite inoltre come rappresentanti di tutti i Vescovi di Birmania che servono tutto il popolo cattolico nella vostra terra. Vi saluto perciò con grande rispetto e amicizia, con profonda stima ed amore. Vi saluto come collaboratori del Vangelo, come Vescovi della Chiesa di Dio, che sono uniti con me e tutti i membri del collegio episcopale nei vincoli della fede e della carità, e che sono chiamati ad esercitare insieme - secondo il ruolo di ciascuno - la responsabilità per la Chiesa universale.


2. Vi saluto come gli eredi spirituali di autentici e generosi missionari, che operarono pazientemente e con perseveranza affinché il Vangelo si incarnasse nella cultura del vostro popolo e trasformasse le loro vite in virtù della sua propria nobilitante originalità. In voi la Chiesa autentica gli sforzi dei missionari, rende omaggio ai loro sacrifici e perpetua la loro memoria. Vi saluto come guide spirituali della fede, molti dei quali hanno dimostrato ed esercitato l'eroismo nella fede cattolica, dando in questo modo una splendida testimonianza a Gesù Cristo e al suo Vangelo.


3. così è davvero un'ora di rendimento di grazie. Nello stesso tempo noi esprimiamo la nostra gratitudine alla santissima Trinità per le benedizioni elargite alle vostre genti, per le grazie che hanno toccato le loro vite.

Attraverso Gesù Cristo noi rendiamo grazie perché la parola di Dio si radico nei cuori dei vostri antenati e porto frutti di giustizia e santità di vita di generazione in generazione. Noi rendiamo grazie per il grande dono della perseveranza che ha caratterizzato le vite di così tanti individui e comunità.

Noi lodiamo la potenza del mistero pasquale che solo poteva garantire la fedeltà a Cristo e alla Chiesa, che è stata e rimane una realtà indiscussa nella vostra esperienza cristiana. Nonostante difficoltà di vario tipo, nonostante ostacoli di varia natura, nonostante le immutabili esigenze del Vangelo - di fronte alle quali in ogni epoca la natura umana istintivamente indietreggia - la grazia di Gesù Cristo ha ripetutamente conquistato i cuori umani e ha sostenuto gli sforzi di così tanti fedeli che zelantemente si sforzano di assumere Cristo e di seguire le sue orme.

Attraverso l'azione dello Spirito Santo, la morte e la risurrezione di Cristo hanno operato una crescita tra il vostro popolo: i giovani hanno risposto alle vocazioni al sacerdozio e vita religiosa; molti laici hanno capito la dignità cristiana e hanno abbracciato con entusiasmo la loro missione; i catechisti hanno contribuito a rendere la Chiesa sempre più una comunità evangelizzata ed evangelizzatrice. Tutto ciò, venerabili fratelli, è dovuto alla grazia di Cristo, che in ogni epoca va riconosciuto e proclamato come il redentore dell'uomo e il salvatore del mondo.




4. Il nostro incontro è inoltre un'ora di rinnovamento. Presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo ci viene la sfida a dedicare noi stessi al Vangelo e alla sua proclamazione integrale e fedele. Siamo chiamati nelle nostre vite ad abbracciare di nuovo la parola di Dio con tutte sue esigenze, e a proporla fiduciosamente e coerentemente alle nostre genti nel nome di colui che era conosciuto come un "segno di contraddizione" (Lc 2,34) e una volta disse: "Stretta è la porta e angusta è la via che conduce alla vita" (Mt 7,14).

La nostra è anche una riconsacrazione all'ufficio pastorale che noi esercitiamo nel nome del buon pastore. Come Vescovi siamo chiamati a rendere visibile e attraente in noi stessi l'amore disinteressato e compassionevole di Gesù per il suo popolo. Solamente nell'intimità con Gesù noi troviamo la forza interiore per perseverare nella genuina preoccupazione per tutti i nostri fratelli e sorelle. Solamente atverso una santità di vita noi saremo capaci ministri e rappresentanti di un Cristo amoroso.


5. Questa è un'ora di rendimento di grazie e rinnovamento; è anche un'ora di speranza! Poiché lo Spirito di Dio è stato infuso nei nostri cuori e poiché il destino finale della Chiesa è nelle mani di Gesù, noi siamo sostenuti da una grande speranza. La nostra speranza è che ogni comunità dei fedeli di Birmania, uniti insieme nella potenza della parola di Dio e resi forti dai sacramenti di Cristo, possa adempiere sempre più efficacemente alla sua missione evangelizzatrice e servire la causa della promozione umana. In breve, che tutti i fedeli si rapportino con i loro vicini come Gesù fece con i suoi, come Gesù vuole che noi facciamo con i nostri. Cari fratelli, le parole di san Paolo oggi ci confermano nella nostra speranza: "Noi ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (1Tm 4,10).

E da questo dono di speranza impresso nei vostri cuori possa crescere, in ognuno di voi e nei vostri fratelli Vescovi in patria, una nuova fede in Cristo, una nuova sicurezza nel vostro ministero pastorale - una fede e una sicurezza che sono estranee ad ogni forma di contentezza umana, ma che derivano dalla confidenza in Cristo e nella sua parola, e sono forti nella promessa di Gesù, che dice: "Ecce ego vobiscum sum" (Mt 28,20).


6. In questo spirito di rendimento di grazie e di rinnovamento, con questa fresca speranza e fede, io vi prego di portare i miei saluti a tutti gli amati fedeli di Birmania.

Al clero, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e ai catechisti, e a tutte le componenti del laicato cattolico io mando la mia benedizione apostolica, con l'assicurazione delle mie preghiere, specialmente per gli ammalati e i sofferenti, per coloro che sono afflitti dalla solitudine e dal dolore. E a tutti i vostri fratelli non cristiani, particolarmente ai membri delle comunità buddiste, con le quali voi siete chiamati a vivere e a lavorare insieme, così come alle autorità dello Stato io offro i miei cordiali e rispettosi saluti.

E a voi, miei cari fratelli nell'episcopato: "Grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore" (1Tm 1,2).

[Traduzione dall'inglese]

Data: 1980-10-10 Data estesa: Venerdi 10 Ottobre 1980.


Ai partecipanti al congresso "Evangelizzazione e ateismo" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il dramma spirituale del nostro tempo

Eminenza, eccellenze, monsignore, cari fratelli e sorelle.

1. Vi ringrazio delle vostre parole. Come è facile constatare, l'ateismo è senza dubbio, uno dei fenomeni più grandi, e bisogna anche dire, il dramma spirituale della nostra epoca (cfr. GS 19).

Inebriato dal turbine delle sue scoperte, assicurato da un progresso scientifico e tecnico apparentemente senza limiti, l'uomo moderno si scopre inesorabilmente messo di fronte al suo destino: "A che scopo andare sulla luna - secondo l'espressione di uno degli uomini di cultura più prestigiosi della nostra epoca -, se è per suicidarsi?" (André Malraux, Préface à "L'enfant du rire" de P.Bockel, Grasset).

Cos'è la vita? Cos'è l'amore? Cos'è la morte? Da quando vi sono uomini che pensano, queste domande fondamentali non hanno cessato di impegnare il loro spirito. Da millenni, le grandi religioni si sono sforzate di fornire le loro risposte. L'uomo stesso, non appare, allo sguardo penetrante dei filosofi, nel suo essere, indissolubilmente "homo faber", "homo ludens", "homo sapiens", "homo religiosus"? E non è a quest'uomo che la Chiesa di Gesù Cristo intende proporre la buona novella della salvezza, portatrice di speranza per tutti, attraverso il flusso delle generazioni e il riflusso delle civilizzazioni? 2. Ma ecco che, in una gigantesca sfida, l'uomo moderno, dopo il rinascimento, si è eretto contro questo messaggio di salvezza, e si è messo a rifiutare Dio nel nome della sua stessa dignità di uomo. Dapprima riservato a un piccolo gruppo di spiriti, l'"intellighentia" che si considerava come un'élite, l'ateismo è oggi divenuto un fenomeno di massa che investe le Chiese. Molto di più, esso le compenetra dall'interno, come se i credenti stessi, ivi compresi coloro che si rifanno a Gesù Cristo, trovassero in sé una segreta connivenza rovinosa della fede in Dio, nel nome dell'autonomia e della dignità dell'uomo. Si tratta di un "vero secolarismo", secondo l'espressione di Paolo VI nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi": "Una concezione del mondo per la quale quest'ultimo si spiega da solo, senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio; Dio divenuto così superfluo e ingombrante. Un tale secolarismo per riconoscere il potere dell'uomo, finisce dunque per sorpassare Dio, e anche per negare Dio" (Pauli VI EN 55).


3. Tale è il dramma spirituale del nostro tempo. La Chiesa non saprebbe prenderne parte. Essa intende, al contrario, affrontarlo coraggiosamente. Perché il Concilio è stato inteso al servizio dell'uomo, non dell'uomo astratto, considerato come un'entità teorica, ma dell'uomo concreto, esistenziale, alle prese con i suoi interrogativi e le sue speranze, i suoi dubbi e le sue stesse negazioni. E' a quest'uomo che la Chiesa propone il Vangelo. Bisogna dunque che egli lo conosca, di quella conoscenza radicata nell'amore, che apre al dialogo nella chiarezza e nella confidenza tra gli uomini separati dalle loro convinzioni, ma convergenti nel loro stesso amore dell'uomo.

"L'umanesimo laico e profano, ha detto Paolo VI al tempo della chiusura del Concilio, è apparso nella sua terribile statura e ha in un certo senso sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo si è scontrata con la religione - perché ce n'è una - dell'uomo che si è fatto Dio. Che cosa ne è derivato? Uno choc, una lotta, un anatema? Tutto questo poteva capitare, ma non ha avuto luogo. La vecchia storia del samaritano è stata il modello della spiritualità del Concilio" (Pauli VI "Homilia in IX SS.Concilii sessione habita", die 7 dec. 1965: AAS 58 [1966] 55).

Io stesso, dalla tribuna delle Nazioni Unite, a New York, il 2 ottobre 1979, ho espresso questo augurio: "Il confronto tra la concezione religiosa del mondo e la concezione agnostica che è uno dei segni dei tempi, potrebbe conservare delle dimensioni umane leali e rispettose, senza portare danno ai diritti essenziali della coscienza di ogni uomo o di ogni donna che vive sulla terra" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad Nationum Unitarum legatos", 20, die 2 oct. 1979).

Tale è la convinzione del nostro umanesimo universale, che ci porta anche davanti a coloro che non condividono la nostra fede in Dio, in nome della loro fede nell'uomo - ed è questo il tragico fraintendimento da dissipare. A tutti, noi vogliamo dire con fervore: anche noi, quanto e più di voi, se ciò è possibile, abbiamo rispetto dell'uomo. così noi vogliamo aiutarvi a scoprire e a condividere con noi la gioiosa novella dell'amore di Dio, di quel Dio che è la sorgente e il fondamento della grandezza dell'uomo, egli stesso figlio di Dio, e divenuto nostro fratello in Gesù Cristo.


4. Voglio dirvi, cari amici, quanto sia felice di queste giornate di studio che vi hanno radunato a Roma, all'università pontificia urbaniana, sotto gli auspici dell'istituto superiore per lo studio dell'ateismo, promotore del vostro congresso internazionale su "evangelizzazione e ateismo".

Con molto interesse, ho visto il programma che mi avete inviato. E ho rilevato con simpatia la presenza d'illustri professori e uomini di studio, che sono felice di ricevere qui. A dire il vero, è quasi un sentimento di vertigine che sale allo spirito, scoprendo l'ampiezza del campo considerato, e le linee di ricerca che voi vi avete tracciato: aspetti fenomenologico, storico, filosofico e teologico dell'ateismo contemporaneo.

Il fenomeno infatti ci assale da tutte le parti: dall'oriente all'occidente, dai paesi socialisti ai paesi capitalisti, dal mondo della cultura a quello del lavoro. Nessuna età della vita vi sfugge, dalla giovane adolescenza in preda al dubbio, alla vecchiaia aperta allo scetticismo, attraverso i sospetti e i rifiuti dell'età adulta. E non vi è nessun continente che ne è risparmiato.

E questo che ha condotto il mio predecessore Paolo VI, di venerata memoria, a erigere in seno alla curia romana, a fianco del segretariato per l'unità dei cristiani e per i non cristiani, un altro organismo votato, per vocazione, allo studio dell'ateismo e al dialogo con i non credenti (cfr. Pauli VI "Regimini Ecclesiae Universae", die 15 aug. 1967: AAS 59 [1967] 920; GS 19-21 GS 92). Infatti deve essere chiaro agli occhi di tutti che la Chiesa vuole essere in dialogo con tutti, ivi compresi coloro che si sono allontanati da essa e la rifiutano, tanto nelle loro convinzioni affermate e decise che nei loro comportamenti decisi e perfino militanti. Gli uni e gli altri del resto sono intimamente implicati. Le motivazioni suscitano l'azione. E l'agire, a sua volta, modella il pensiero.


5. così è con riconoscenza che io accolgo le vostre riflessioni, per integrarle nel cammino pastorale della Chiesa in direzione di tutti coloro che, a titoli diversi, e in molti modi, certo, si rifanno poco o tanto all'ateisrno multiforme del nostro tempo. Cosa c'è infatti all'apparenza di comune tra paesi in cui l'ateismo teorico, si potrebbe dire, è al potere, e altri al contrario la cui neutralità ideologica professata ricopre un vero ateismo pratico? Senza dubbio la convinzione che l'uomo è, da sé solo, il tutto dell'uomo (cfr. Ioannis Pauli PP.

II "Homilia ad sacrorum alumnos in Seminario "Issy-les-Moulineaux" habita", die 1iun. 1980: "Insegnamenti di Gioavnni Paolo II", III,1[1980] 1594ss).

Certo, già il salmista andava ripetendo: "Insensati, coloro che dicono che non vi è alcun Dio" (Ps 14). E l'ateismo non è fenomeno d'oggi. Ma era come riservato alla nostra epoca di farne la teorizzazione sistematica, indebitamente pretesa scientifica, e di metterne in opera la pratica su scala di gruppi umani e anche di importanti paesi.


6. E nonostante ciò, come non riconoscerlo con ammirazione, l'uomo resiste davanti questi assalti ripetuti e questi fuochi incrociati dell'ateismo pragmatico, neopositivista, psicoanalitico, esistenzialista, marxista, strutturalista, nietzschiano... L'invasione delle pratiche e la destrutturazione delle dottrine, non impediscono, ma al contrario, perfino anche fanno sorgere, al cuore stesso dei regimi ufficialmente atei, come in seno a società chiamate consumistiche, un innegabile risveglio religioso. In questa situazione contrastante, c'è una vera sfida che la Chiesa deve affrontare, e un impegno gigantesco che deve realizzare, e per il quale essa ha bisogno della collaborazione di tutti i suoi figli: rendere di nuovo cultura la fede nei diversi spazi culturali del nostro tempo, reincarnare i valori dell'umanesimo cristiano.

Non è una richiesta pressante degli uomini della nostra epoca che, perfino disperatamente e come a tentoni, ricercano il senso del senso, il senso ultimo? A dispetto delle loro differenze di origine e di orientamento, le ideologie moderne si incontrano al crocevia dell'autosufficienza dell'uomo, senza che alcuna di esse riesca a colmare la sete di assoluto che lo attanaglia. Perché, "l'uomo supera infinitamente l'uomo", come notava Pascal nei suoi "Pensieri". E' perciò che, dalla troppa sicurezza delle sue certezze, come dal vuoto delle sue domande, sempre risorge l'istanza di questo infinito di cui egli non può allontanare da sé l'immagine, anche quando egli la fugge: "Tu eri dentro di me. E io ero fuori da me stesso", confessava già sant'Agostino (S.Augustini "Confessiones", X,27).


7. Nella sua enciclica "Ecclesiam Suam", Paolo VI s'interrogava su questo fenomeno, vedendovi la via di un dialogo di salvezza: "Le ragioni dell'ateismo, impregnate di ansietà, colorate di passione e di utopia, ma spesso anche generose, ispirate da un sogno di giustizia e di progresso, tese verso finalità d'ordine sociale divinizzate: tante succedanee dell'assoluto e del necessario... Gli atei, noi li vediamo anche a volte mossi da nobili sentimenti, disgustati dalla mediocrità e dall'egoismo di tanti mezzi sociali contemporanei, e in grado di improntare al nostro Vangelo delle forme e un linguaggio di solidarietà e di compassione umana: saremo noi un giorno capaci di ricondurre alle loro vere origini, che sono cristiane, queste espressioni di valori morali?" (Pauli VI "Ecclesiam Suam", die 6 aug. 1964).

L'ateismo proclama la necessaria scomparsa di ogni religione, ma è esso stesso un fenomeno religioso. Non ne facciamo, pertanto, un credente che si ignora. E non riconduciamo quello che è un dramma profondo a un fraintendimento superficiale. Davanti a tutti i falsi dèi che rinascono senza posa dal progresso, dal divenire, dalla storia, sappiamo trovare il radicalismo dei primi di fronte agli idolatri del paganesimo antico, e ridire con san Giustino: "Certo, noi lo confessiamo, noi siamo gli atei di questi pretesi dèi" (S. Iustini "Apologia I", VI, n. 1).


8. Siamo dunque, in spirito e verità, dei testimoni del Dio vivente, portatori della sua tenerezza di padre al vuoto di un universo rinchiuso su se stesso e oscillante dall'orgoglio luciferino alla disperazione disingannata. Come in particolare non essere sensibili al dramma dell'umanesimo ateo, di cui l'ateismo e più precisamente l'anticristianesimo, schiaccia la persona umana che esso aveva voluto liberare dal pesante fardello di un Dio considerato come un oppressore? "Non è vero che l'uomo non possa organizzare la terra senza Dio. Quel che è vero, è che, senza Dio, egli non può in fin dei conti che organizzarla contro l'uomo.

L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano" (Henry de Lubac, "Le drame de l'humanisme athée"; Pauli VI PP 42). A quattro decenni di distanza, ciascuno può riempire queste indicazioni premonitrici di padre de Lubac, del peso tragico della storia della nostra epoca.

Quale invito a ritornare al cuore della nostra fede: "Il redentore dell'uomo Gesù Cristo, è il centro del cosmo e della storia"(Ioannis Pauli PP. II RH 1). Il crollo del deismo, la concezione profana della natura, la secolarizzazione della società, la spinta delle ideologie, l'emergenza delle scienze umane, le rotture strutturaliste, il ritorno dell'agnosticismo, e il crescere del neopositivismo tecnicistico non sono tante provocazioni per il cristiano a ritrovare in un mondo vecchio tutta la forza della novità del Vangelo, sempre nuovo, sorgente inesauribile di rinnovamento: "Omnem novitatem attulit, semetipsum afferens?" E san Tommaso d'Aquino, a undici secoli di distanza, prolungava il motto di sant'Ireneo: "Christus initiavit nobis viam novam" (S. Thomae I-II 106,4, ad 1).

E' al cristiano che spetta di darne testimonianza. Egli porta certo questo tesoro in vasi di argilla. Ma non per questo egli è meno chiamato a porre la luce sul candelabro, affinché essa rischiari tutti coloro che sono nella casa.

E' anche il ruolo della Chiesa, della quale il Concilio ci richiamava che essa è portatrice di colui che, solo, è "lumen gentium". Questa testimonianza deve essere in una volta una testimonianza del pensiero e una testimonianza della vita. Poiché voi siete uomini di studio, io insistero in conclusione sulla prima esigenza, la seconda infatti ci riguarda tutti.


9. Imparare a ben pensare era una risoluzione che si professava ieri volentieri.

E' sempre una necessità primaria per agire. L'apostolo non ne è dispensato. Quanti battezzati sono divenuti estranei a una fede che forse non hanno posseduto in se stessi veramente perché nessuno l'aveva loro ben insegnata! Per svilupparsi, il seme della fede ha bisogno di essere nutrito della parola di Dio, dei sacramenti, di tutto l'insegnamento della Chiesa e questo in un clima di preghiera. E, per raggiungere gli spiriti guadagnando i cuori, bisogna che la fede si presenti per ciò che essa è, e non sotto falsi rivestimenti. Il dialogo della salvezza è un dialogo di verità nella carità.

Oggi, per esempio, le mentalità sono profondamente impregnate di metodi scientifici. Ora una catechesi insufficientemente informata della problematica delle scienze esatte come delle scienze umane, nella loro diversità, può accumulare ostacoli in una intelligenza, al posto di aprirvi il cammino all'affermazione di Dio. Ed è a voi, filosofi e teologi, che io mi rivolgo: cercate le vie per presentare il vostro pensiero in modo che sia di aiuto agli scienziati nel riconoscere la validità della vostra riflessione filosofica e religiosa. Perché ne va della credibilità, perfino della validità di questa riflessione, per molti spiriti influenzati, anche a loro insaputa, dalla mentalità scientifica con cui vengono a contatto mediante i mass-media. E già io mi rallegro che la prossima assemblea plenaria del segretariato per i non credenti nel marzo-aprile venturo approfondisca questo tema: "scienza e ateismo".

Bisogna concludere. Di fronte, più che mai, al dramma dell'ateismo, la Chiesa intende oggi rinnovare il suo sforzo di pensiero e di testimonianza, nell'annuncio del Vangelo. Quando uno sciame di domande assedia lo spirito dell'uomo in preda alla modernità, il mistero dimora al di là dei problemi. E, come il Concilio Vaticano II ci ha insegnato, "il mistero dell'uomo non si chiarisce veramente che nel mistero del Verbo incarnato" (GS 22 § 1). Che il suo spirito di luce ispiri il vostro lavoro intellettuale e che il suo spirito di forza animi la vostra testimonianza di vita! Accompagno questo augurio e questa preghiera con la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-10-10 Data estesa: Venerdi 10 Ottobre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Ai Vescovi caldei in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)