GPII 1980 Insegnamenti - Ai membri dell'ufficio centrale per l'insegnamento cattolico in Olanda - Città del Vaticano (Roma)


Ai direttori diocesani francesi di pellegrinaggi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il pellegrinaggio, momento originale della catechesi nella Chiesa

Carissimi amici, Arrivate da Loreto, al termine di giornate di amicizia, di riflessione e di preghiera che vi hanno dato nuova energia per compiere la missione particolare che i vostri rispettivi Vescovi vi hanno affidato. Non vi aspetterete certo dal Papa, in questo breve incontro, un discorso sull'arte di essere oggi Direttore diocesano dei Pellegrinaggi. Lasciatemi dunque dire soltanto un cordiale grazie per la vostra visita e farvi sentire quanto io condivida le vostre gioie e le vostre preoccupazioni pastorali.

1. Non sarete mai abbastanza felici e riconoscenti verso il Signore per dover guidare i vostri fratelli cristiani in luoghi altamente spirituali, in momenti privilegiati della loro esistenza. Amate passionalmente il vostro servizio alla Chiesa! Forse un po' eclissato nel recente passato, esso ritrova fortunatamente e quasi ovunque il suo giusto posto, spesso ben rivalorizzato. Se potessi intrattenermi con ognuno di voi, sono certo che mi confidereste le profonde e numerose gioie sacerdotali provocate dalle meraviglie compiute dal Signore nelle anime dei pellegrini.


2. Siete anche felici di aver contribuito ad allargare e qualificare i vostri gruppi diocesani o regionali di pastorale del pellegrinaggio. I vostri predecessori hanno diritto al vostro rispetto e alla vostra gratitudine. A voi, è stato dato il compito di cercare, formare e sostenere numerosi collaboratori, fra i laici come fra i vostri confratelli e i religiosi. Sappiate che il Papa vi approva e vi incoraggia. Affinché la vostra gioia permanga nella freschezza evangelica, mantenete in primo luogo, all'interno dei vostri gruppi, i legami di una fede e di una preghiera ardente, usate spesso le vostre capacità di riflessione, le vostre esperienze, date incessantemente prova di felice immaginazione! Che nessun gruppo diocesano si vanti di aver finalmente trovato la formula ideale, ma che tutti siano svegli ed aiutino con il loro dinamismo tale o tal'altro gruppo che si trova in difficoltà.


3. La vostra gioia è, e deve sempre essere, di saper superare i problemi organizzativi, di trasporto, di alloggio, di budget - che hanno sicuramente la loro importanza - e di ingegnarvi a condurre gli animi e i cuori dei vostri pellegrini sul cammino della conversione. Su questo piano, il vostro esempio personale, come quello dei vostri collaboratori, è capitale. Avete la responsabilità del clima che conduce le anime verso la luce di Dio. Anche i giovani e gli adulti, più o meno allontanatisi dalla fede, sono commossi dalle assemblee di preghiera o di canto dei cristiani. Sappiamo che Agostino a Milano fu scosso dalla melodia dei salmi, e che Paul Clodel fu colto dalla grazia durante i Vespri di natale a Notre-Dame di Parigi. La vostra gioia di animatori non è altro che una partecipazione alla gioia di Dio, Pastore del suo popolo, che riluce attraverso la Bibbia e il Vangelo.


4. la vostra felicità è infine di sperimentare il pellegrinaggio come un passo avanti o una riscoperta della missione che incombe su tutti i cristiani. Numerose confidenze personali, come le testimonianze o le condivisioni spirituali che si verificano durante o dopo i pellegrinaggi, vi permettono di ammirare giovani o adulti che si risvegliano ad una fede meglio integrata nella loro vita concreta, a delle responsabilità precise nella Chiesa o nel loro ambiente di vita, mentre alcuni cominciano ad intravedere la chiamata di Cristo al dono totale.


5. Vorrei infine aiutarvi a sopportare le vostre preoccupazioni pastorali. Conosco la vostra inquietudine per incanalare o almeno educare un "turismo religioso" che tenda a svilupparsi parallelamente all'espansione dei pellegrinaggi veri e propri, con il solo scopo di visitare luoghi di alta spiritualità. In questo campo, è importante mantenere o suscitare, con i responsabili e gli animatori di tale turismo, relazioni e dialoghi che potranno i loro frutti con il passare del tempo.


6. Spetta a voi inoltre, da un pellegrinaggio all'altro, da un anno pastorale all'altro, la preoccupazione dell'educazione dottrinale delle folle riunite.

Mettete sempre più alla prova questa vostra responsabilità. Ci sono temi dottrinali ed apostolici di grandissima importanza che bisogna avere il coraggio di riprendere e approfondire. I pellegrinaggi sono diventati, prima, durante e dopo il loro svolgimento, un momento originale della catechesi della Chiesa (cfr. Ioannis Pauli PP. II Catechesi Tradendae, CTR 47). Potete contribuire notevolmente alla rinascita di un bisogno dottrinale nel popolo di Dio, una condizione che resta sempre essenziale alla sua vitalità spirituale ed apostolica. Si potrebbero citare molti esempi di temi di pellegrinaggio scrupolosamente preparati, meditati ed integrati in seguito nella vita quotidiana.


7. Penso di unirmi a voi sottolineando anche la vostra preoccupazione per la qualità delle cerimonie che strutturano le giornate di pellegrinaggio, soprattutto la celebrazione dell'Eucarestia e il sacramento di riconciliazione la cui dimensione personale è molto importante difendere. Molto è già stato fatto per questo. Sappiamo che anche qui molti organismi, fra cui il Centro Pastorale d'accoglienza dei pellegrini di lingua francese, forniscono il loro contributo in merito. Vegliate attentamente e costantemente affinché ogni cerimonia sia degna, viva, raccolta, fedele alle norme saggiamente prescritte dal Papa e dai Vescovi, in una sola parola, esemplare. Le celebrazioni vissute durante un pellegrinaggio possono dare molto - o anche troppo poco - ai partecipanti che sono generalmente ben disposti. Ricordatevi anche che queste cerimonie servono da esempio a molte comunità parrocchiali diocesane. Misurate la vostra responsabilità.


8. Cari amici, avete in mano una delle chiavi dell'avvenire religioso dei nostri tempi: i pellegrinaggi cristiani, riscoperti e vissuti in tutte le loro dimensioni ed esigenze, e che possono corrispondere ad un'attesa più o meno cosciente di uomini e credenti insoddisfatti dalla realtà materialistica attuale. Le riunioni religiose, troppo disprezzate da alcuni, potrebbero evitare loro l'avventura di un'adesione a gruppi che cercano presso fonti equivoche un certo calore umano e religioso. E' tempo di accordare alla pastorale popolare dei pellegrinaggi un posto almeno uguale a quello che di deve dare all'indispensabile formazione di una élite. E' auspicabile di promuovere entrambe, senza opporle, ma in modo complementare e dinamico. E' con questa speranza che vi benedico di tutto cuore, voi e tutti i vostri devoti collaboratori.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-10-17 Data estesa: Venerdi 17 Ottobre 1980.


All'Azione Cattolica di Senigallia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Modernità del messaggio di santa Maria Goretti

Cari fratelli e sorelle! 1. Vi esprimo il mio compiacimento nell'accogliere oggi in quest'aula il vostro pellegrinaggio che rappresenta l'intera diocesi di Senigallia. Il mio cordiale saluto va innanzitutto al vostro Vescovo e mio confratello, che vi ha guidati a Roma dal successore di Pietro. E saluto tutti voi qui presenti, con particolare riferimento ai numerosi e cari ragazzi ed ai giovani catechisti parrocchiali. A tutti va il mio benvenuto paterno e affettuoso, nella certa speranza che l'odierno incontro sia davvero un'occasione propizia per rinnovare la nostra comune fede in Cristo Signore ed il nostro vicendevole amore, come le vicine tombe dei gloriosi apostoli ci stimolano a fare.


2. So che il motivo del vostro pellegrinaggio è dato dal 90° anniversario della nascita di santa Maria Goretti, nata a Corinaldo, una parrocchia della vostra diocesi, dove apprese i primi elementi della fede ed ebbe le prime esperienze di vita parrocchiale, anche se poi dovette seguire la famiglia nel suo trasferimento nella campagna pontina del Lazio. Voi avete inteso di rendere così omaggio alla singolare figura di una santa, la quale, se da una parte costituisce un vanto della vostra comunità diocesana, dall'altra brilla come esempio di virtù valido e proponibile alla società intera.

Maria Goretti, infatti, fu una martire della castità, cioè di uno specifico comportamento morale virtuoso, che nella storia del cristianesimo è sempre stato altamente onorato, anche se nel nostro come in altri tempi vi sono stati inferti molti attentati per deprezzarne il valore. Certo, il messaggio che proviene dalla storia di Maria Goretti non è di ordine manicheo, di svalutazione del corpo e della sessualità, poiché è propria della rivelazione biblica tutta una profonda e sana teologia del corpo. Si tratta, piuttosto, di un messaggio concernente sia la dignità personale a semplice livello umano, la quale va difesa da ogni sopruso e da ogni violenza, sia la consacrazione delle proprie energie anche fisiche al Signore ed alla Chiesa, nell'obbedienza radicale alla legge di Dio. Il cristiano non coltiva la castità o qualsiasi altra virtù soltanto per se stessa, facendone un fine isolato o un ideale assoluto. San Paolo ci ammonisce: "Se anche dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova" (1Co 13,3). La castità è un valore nobilissimo, se viene ordinata a Cristo Signore e inserita in tutto il contesto della tipica vita cristiana, alla quale lo Spirito Santo conferisce il proprio timbro fondamentale e inconfondibile, avendo tra i propri frutti anche "il dominio di sé" (Ga 5,22), preceduto e contornato da molti altri.


3. Perciò, l'invito che viene da Maria Goretti a tutti noi, ed in particolar modo ai giovani ed alle giovani, è di curare in profondità la propria identità battesimale e di inserire nel quadro di questa formazione, come una delle sue componenti, anche la coltivazione nutrita e gelosa della propria integra dignità non solo cristiana ma pure umana, di cui la castità è una espressione di prima importanza.

In questo senso, cari fratelli e sorelle, non dovete far altro che proseguire e intensificare tutte le attività di vita diocesana, che già vi contraddistinguono. Sono informato, infatti, che è fiorente tra voi l'Azione Cattolica Ragazzi, con le sue varie e feconde iniziative pedagogiche, che stimolano ad esperienze comunitarie di gioia e di impegno, e preparano ad una vita di responsabilità sia ecclesiale che civile.

Un settore decisivo, da voi curato, è pure quello dei catechisti. Ad essi voglio ricordare l'estrema serietà di questa funzione, tanto determinante per la crescita dei giovani nella fede. Tutto ciò che viene fatto per i catechisti e dai catechisti è certamente degno delle più elette grazie e ricompense celesti.

Sicuramente la forza di Maria Goretti affondo le proprie radici anche in quell'insegnamento catechistico, che ebbe la fortuna di ricevere nella propria famiglia.

E a voi, genitori, e non solo a quelli qui presenti, va il mio pressante ed incoraggiante invito a dedicare la vostra intelligenza cristiana alla famiglia ed ai figli. Maria Goretti, partita analfabeta da Corinaldo, trovo proprio nel papà e nella mamma la scuola migliore, poiché essi si erano formati con l'assidua partecipazione alla catechesi parrocchiale ed alla vita liturgica del paese d'origine. Si tratta di un esempio, che ben s'inquadra nella cornice dell'attuale Sinodo dei Vescovi, il quale proprio in questi giorni sta studiando i vari aspetti e problemi della famiglia nel mondo contemporaneo.


4. Sono lieto, pertanto, di augurare a tutti voi ogni bene nel Signore, al quale vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, affinché "vivendo" la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo" (Ep 4,15).

Sia lui ad accompagnarvi sempre con la sua grazia, di cui vuol essere pegno la mia apostolica benedizione, che di gran cuore imparto a tutti voi ed estendo ai vostri cari e a tutta la diletta diocesi di Senigallia.

Data: 1980-10-18 Data estesa: Sabato 18 Ottobre 1980.


All'Associazione Italiana Genitori riunita a congresso - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Coscienza della priorità della funzione formativa

Cari dirigenti ed appartenenti tutti all'Associazione Italiana Genitori! Vi ringrazio per questa vostra visita, che mi permette di incontrarmi personalmente con voi, benemeriti operatori per la promozione della famiglia, primaria ed insostituibile istituzione naturale, in cui l'uomo nasce e si forma, trovando in essa tutte quelle premesse che sono necessarie per lo sviluppo armonico della sua personalità.

Do a tutti il mio cordiale benvenuto, mentre esprimo la mia gratitudine al vostro presidente per il deferente indirizzo, che, interpretando anche i vostri pensieri, ha voluto ora tanto gentilmente rivolgermi.

1. So che siete convenuti a Roma per il vostro convegno nazionale che ha appunto per tema "famiglia anni '80: suoi compiti". Mi compiaccio per la scelta di tale argomento, il quale bene si armonizza con la vasta ed impegnativa tematica, che i padri sinodali stanno svolgendo in questi giorni per restituire all'istituto familiare tutte quelle prerogative volute dal Signore, ma che purtroppo sono oggi messe in pericolo da certe ideologie. Ho preso anche conoscenza della documentazione riguardante i principi, gli scopi e i campi di azione della vostra associazione, la quale mira a individuare tutto quanto concerne il bene e l'interesse dei figli sotto il profilo psicologico, educativo, culturale e sociale; vuol contribuire al compimento dell'opera educativa dei genitori, con particolare riferimento alle loro responsabilità in ordine all'istruzione scolastica, stimolando la costituzione di tutti quegli organismi destinati a far partecipare la famiglia alla vita della scuola e della comunità sociale; e cerca di intervenire presso le autorità competenti per proporre le soluzioni più idonee, affinché i genitori possano difendere i propri diritti con i mezzi loro offerti dalle istituzioni civili. In una parola, il vostro sforzo tende a dare voce ai genitori in quanto tali per tutti quei problemi che riguardano la crescita umana e spirituale dei loro figli, in particolare nella scuola statale, frequentata dalla stragrande maggioranza dei giovani italiani.


2. Ho visto con soddisfazione tutto ciò ed esprimo il mio augurio per l'attività e i metodi che guidano i vostri lavori seri, positivi, importanti ed urgenti. Ma non intendo inoltrarmi in questi problemi specifici del resto già da voi esplorati.

Non posso, tuttavia, non rilevare come il vostro convegno abbia concentrato i suoi interventi su un aspetto veramente importante della vita della vostra associazione, cioè quello relativo al contributo che essa può e deve portare in seno alle varie istituzioni, per infondere in esse quei riflessi di vita cristiana che conferiscano alle stesse la possibilità di essere veramente educative. Ciò significa che voi siete veramente coscienti della priorità che la funzione formativa ha nel complesso di tutto il processo che è proprio delle associazioni giovanili, e della scuola in particolare. Questa vostra presenza, attiva e generosa, intesa a sviluppare i rapporti tra famiglia e scuola nell'ambito della partecipazione sociale è quanto mai provvidenziale in un momento, in cui se ne avverte più acutamente il senso. Ebbene, abbiate sempre un concetto elevato del vostro servizio in difesa dei piccoli, dei fanciulli e della nuova generazione. Non arrossite mai di chiamarvi cristiani. Tale qualifica non indebolisce la forza della vostra funzione; al contrario, la potenzia e le conferisce la sua coesione, la sua identità. A condizione, pero, che sentiate sempre nei vostri animi la risonanza corroborante del nome cristiano, non solo come sorgente di fervore interiore, ma anche come un impegno ad una qualificazione rigorosa della funzione che assolvete, e nel tempo stesso uno stimolo a distinguervi nel vostro ambiente per il fedele e leale adempimento di tutti i vostri doveri di cittadini.


3. Un'ultima esortazione è questa: quali aderenti alla vostra associazione, che in brevi anni già opera in paesi della comunità europea, siate uniti! Mantenete compatta l'associazione con la vostra personale adesione e con l'apertura verso nuovi soci, soprattutto i giovani sposi, che abbiano eguali sentimenti nella promozione solidale dei vostri ideali e dei vostri interessi. In questo modo la vostra presenza nelle scuole, nei quartieri, nei consultori si rafforzerà e potrà far sentire più efficacemente la sua voce di fronte alle forze che si ispirano a ideologie contrarie alla famiglia ed alla autentica promozione della persona nella sua piena e vera libertà. Solo in questo modo, voi genitori sarete in grado di ottenere che nelle vostre famiglie, nella scuola, nel mondo del lavoro, in ogni momento e luogo della vita sociale i vostri figli siano educati, fin dalla tenera età, al rispetto delle persone, delle cose, delle opinioni altrui.

Auspico che l'impegno volontario, che ha caratterizzato il formarsi e l'affermarsi di codesto sodalizio, prosegua con sempre maggiore incisività per far sentire ancor più il suo peso in favore della famiglia che è al centro delle attenzioni e preoccupazioni della Chiesa.

Il Signore sia il sostegno, il conforto e il premio alle vostre meritorie attività. Con questi voti vi imparto di cuore la propiziatrice benedizione apostolica, che estendo volentieri ai vostri cari e a tutti gli appartenenti all'associazione.

Data: 1980-10-18 Data estesa: Sabato 18 Ottobre 1980.


Il nuovo deposito archivistico pronto dopo quattro anni di lavori - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Giovanni Paolo II inaugura l'ampliamento dell'archivio segreto

1. Sono assai lieto di rivolgere il mio cordiale saluto ai padri sinodali e alle personalità della curia romana, del corpo diplomatico e della cultura in questa felice occasione dell'inaugurazione dei nuovi ambienti dell'archivio segreto vaticano.

In particolar modo, desidero esprimere un vivo compiacimento ai Cardinali Sergio Guerri, pro-presidente della pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano, e Antonio Samoré, archivista di santa romana Chiesa, che ci hanno illustrato, sotto i relativi aspetti, quanto è stato fatto per giungere all'erezione dei nuovi ambienti, destinati all'archivio segreto vaticano, per la custodia, la cura e lo studio delle fonti documentarie degli organismi della santa Sede e di altri enti.

Non occorre mettere in risalto il prestigio che tale realizzazione conferisce alla santa Sede; non si può pero non sottolineare il grande servizio che essa rende alla Chiesa universale, oltre che al mondo intero. L'ampliamento dei locali dell'archivio segreto vaticano si è reso necessario per il costante aumento delle fonti documentarie che vi affluiscono. Sono scritti che attestano l'operato della Chiesa nelle sue molteplici manifestazioni: le relazioni fra la cattedra di Pietro e le Chiese locali, i rapporti fra la santa Sede e i governi dei vari paesi, l'attività del Papa nelle sue varie forme.

Bastano questi cenni per comprendere l'importanza dell'archivio, come strumento e fonte di governo, di diritto, di storia, in altre parole di conoscenza, di umanità e di cultura: esso non è soltanto una pura raccolta e conservazione di scritti, bensi riveste un aspetto dinamico, nelle sue diverse fasi di bene funzionale o amministrativo e di bene culturale. Si rifletta, ad esempio, sul fatto che i vari documenti relativi a questa sessione del Sinodo, come alle altre già celebrate o a quelle che verranno, saranno a suo tempo depositati in questo archivio, che custodirà, per così dire, nei secoli quanto attesta le ansie pastorali dei Vescovi in questo momento storico. E questi scritti saranno domani oggetto di studio, manifestando lo spirito col quale sono stati redatti.

A questo proposito sono da ricordare le parole del mio predecessore Paolo VI di venerata memoria, rivolte ai cultori degli archivi ecclesiastici: "...I nostri brani di carta sono echi e vestigia di questo passaggio del Signore Gesù nel mondo. Ed ecco, allora, l'avere il culto di queste carte, dei documenti, degli archivi, vuol dire, di riflesso, avere il culto di Cristo, avere il senso della Chiesa, dare a noi stessi, dare a chi verrà la storia del passaggio di questa fase del "transitus Domini" nel mondo" (Pauli VI "Allocutio", die 26 sept. 1963; "Insegnamenti di Paolo VI", I [1963] 614ss).


2. Questa inaugurazione dà inizio alle manifestazioni commemorative del I centenario dell'apertura dell'archivio segreto vaticano agli studiosi, decretata dal sommo pontefice Leone XIII alla fine dell'anno 1880 e iniziata nel 188 1. Da allora la ricerca storica poté avvalersi, proprio grazie a quell'evento, di una documentazione che per quantità e qualità non ha uguali nel mondo. Tale documentazione è venuta costantemente accrescendosi, con apporto di nuovo e vario materiale archivistico, fino a giustificare la necessità di questi nuovi ambienti.

Documenti e locali che ancora una volta la santa Sede mette a disposizione del mondo degli studi. Ed è stato proprio in armonia con le disposizioni leoniane e degli altri pontefici, miei predecessori, che ho voluto che uno dei primi atti del mio pontificato fosse l'apertura ai ricercatori di altre fonti documentarie, precisamente quelle del pontificato di Leone XIII ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II", I [1978] 400). La Chiesa desidera servire l'uomo anche in questo, nel consegnargli parte non indifferente della sua storia.


3. Effettivamente, l'archivio centrale della santa Sede ha una storia assai antica, che risale alle stesse origini della Chiesa. Con la pace costantiniana lo "scrinium Ecclesiae", indubbiamente già ricco di scritture pontificie, si venne strutturando in ufficio, che dovette prestare utilissimo servizio al Vescovo di Roma e alla cattolicità tutta. Lungo sarebbe tracciare qui la storia dell'archivio pontificio durante tutto l'arco del periodo medievale, e del resto essa è ben nota, almeno nelle sue grandi linee. Giova pero ricordare la cura con cui i pontefici romani sempre custodirono questo crescente patrimonio di storia: da Leone Magno a Gregorio Magno, a Gregorio VII, a Innocenzo III, a Bonifacio VIII, fino ai pontefici del periodo avignonese, che, pure in mezzo a gravi difficoltà, conservarono l'intero patrimonio archivistico. Grande impresa fu, dopo lo scisma d'occidente, raccogliere in unità i diversi archivi papali che si erano venuti formando; i pontefici del secolo XV e XVI, resi esperti dalle crescenti difficoltà per la conservazione di così importante materiale, decisero di collocare in Castel sant'Angelo la parte più preziosa degli archivi papali, mentre, poco dopo, Paolo V fece venire in Vaticano la parte più antica del materiale archivistico che giaceva presso diversi uffici della curia, riunendo, non senza fatica, in un unico luogo, il primo nucleo destinato a formare l'archivio segreto vaticano.

Ma la vita di tale archivio ha sempre conosciuto e conoscerà crescita e dinamismo. La conservazione del materiale e la sua riunificazione in un unico centro, sono solo alcune delle cure che hanno mostrato i miei predecessori verso questo grande istituto, perché bisogno più volte intervenire per la collocazione stessa dell'imponente gruppo di scritture, e furono necessarie opere non indifferenti di appropriata sistemazione. Fra gli ultimi interventi non si può tacere, oltre quelli di Leone XIII, che doto l'archivio di un'aula di studio, quello di Pio XI, che rese disponibili gli ambienti dell'antica pinacoteca donandoli all'archivio e fornendo agli studiosi una più adatta sala di consultazione. Dopo le difficoltà della seconda guerra mondiale, Pio XII provvide ancora l'archivio di nuovi ambienti e infrastrutture.

Il compianto nostro predecessore Paolo VI, infine, ai molti non piccoli miglioramenti da lui precedentemente voluti, aggiunse la coraggiosa decisione di ampliare l'archivio segreto vaticano con questi locali, che oggi felicemente giungono a compimento.


4. Indirizzandomi ora al personale dell'archivio segreto vaticano, mentre ne ammiro il prezioso lavoro al servizio della ricerca, che richiede pazienza e dedizione, desidero manifestare a ciascuno la mia gratitudine più viva e sincera, rivolgendo un particolare riconoscente pensiero al benemerito monsignor Martino Giusti, prefetto dell'archivio, nel quale, da 48 anni, egli presta con generoso impegno la sua opera.

Voglio dire anche un grazie agli studiosi presenti, ricordando loro il carattere storicamente solenne e sacro dei documenti, oggetto dei loro studi: non mi sembra inopportuno ripetere per tutti l'esortazione già rivolta da Pio XII agli allievi delle scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica, e di biblioteconomia (15 giugno 1942): "Studiatevi sempre più di penetrare... la sostanza ideale di quei documenti, in cui la parola e l'azione dei Papi toccano argomenti di principio e di dottrina; di quei documenti, che per il loro contenuto religioso e morale vanno ben oltre il caso singolo, e coi quali i romani pontefici hanno segnato le linee direttrici per la vita ecclesiastica in particolari paesi o in tutta la cristianità, facendo così opera di civiltà, di rinnovamento e di progresso. Il tempo che voi impiegate nel seguire, cercare e comprendere il pensiero e l'intento scientifico e morale di tali documenti, non è speso indarno per la vostra cultura né per lo scopo cui direttamente mira la vostra formazione: è anzi largamente ricompensato dai vantaggi, che ne risentite per il vostro studio, col provarne un nuovo sprone che vi ravvivi e più vi animi alla fatica".

Viva riconoscenza vada anche alla direzione generale dei servizi tecnici del governatorato dello Stato della Città del Vaticano e ai suoi collaboratori, alle imprese e alle loro maestranze.


5. Concludo ritornando col pensiero allo storico evento della apertura dell'archivio segreto vaticano. Leone XIII, in quell'occasione, volle far coincidere i concetti di ricerca storica e di ricerca della verità. Nella lettera "Saepenumero Considerantes" del 18 agosto 1883, egli scriveva: "Prima legge della storia è non osare di dir nulla di falso: e inoltre non tacere nulla di vero" ("primam esse historiae legem ne quid falsi dicere audeat: deinde ne quid veri non audeat). La lettera seguiva di poco l'apertura dell'archivio segreto vaticano, evento il cui valore era richiamato nello stesso testo dal pontefice come ispirato ad un unico, coerente disegno, nella fiducia che la verità "obscurari aliquando potest, extingui non potest".

Questi stessi intenti hanno guidato negli anni l'attività dell'archivio.

L'amore alla verità è amore all'uomo ed è amore a Dio. Con tale persuasione la Chiesa collabora con tutti i mezzi possibili alla conoscenza, alla diffusione della verità, e prosegue su questa via. Questa inaugurazione ne è una nuova conferma.

Ci guidi il Signore, sempre, in questa ricerca! A tutti vada l'apostolica benedizione, a conferma di questo voto che mi sgorga dal cuore.

Data: 1980-10-18 Data estesa: Sabato 18 Ottobre 1980.


Alla messa per la giornata missionaria - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tutti, sempre, dappertutto, siamo chiamati a collaborare all'evangelizzazione

Venerati fratelli e figli carissimi! "Nos autem praedicamus Christum crucifixum" (1Co 1,23).

Ho voluto questa speciale celebrazione nella ricorrenza della giornata missionaria mondiale per invitare a stimolare, ancora una volta, l'intera comunità ecclesiale a riflettere, nel raccoglimento della preghiera, intorno ad una causa di per sé primaria e sempre attuale, qual è quella dell'annuncio di Cristo alle genti. Ed ho voluto intorno a me come concelebranti alcuni missionari, i quali di questa medesima causa vogliono essere diretti attori e protagonisti e, proprio perché tra poco riceveranno dalle mie mani il crocifisso - simbolo quanto altri mai espressivo del loro lavoro e del loro sacrificio - hanno un diritto preferenziale ed un posto di particolare rilievo nel contesto di questo sacro rito. Ad essi, come ai loro confratelli e collaboratori lontani, religiosi, religiose e laici, va ora, anche a nome di voi tutti qui presenti, il mio saluto riconoscente ed affettuoso per la testimonianza esemplare e qualificata che hanno offerto ed offrono alla Chiesa ed al mondo.


2. Ma perché - vorrei chiedere - si celebra ogni anno la giornata missionaria? Si tratta, forse, di un fatto abituale che, a motivo del suo ritmo ripetitivo, è diventato scarsamente importante e manca, perciò di una concreta influenza? Voi sapete bene che tale giornata costituisce, in realtà, un'iniziativa relativamente recente: essa fu istituita nel 1926 dal mio venerato predecessore Pio XI, che proprio in quell'anno aveva dedicato allo sviluppo delle missioni l'enciclica "Rerum Ecclesiae" (cfr. Pii XI "Rerum Ecclesiae": AAS [1926], 65-83), e che per le singolari premure rivolte a questo vitale settore fu definito ai suoi tempi "il Papa delle Missioni". Accogliendo ben volentieri l'istanza del consiglio superiore della pontificia opera della propagazione della fede, egli volle "prescrivere" una tale "giornata di preghiere private e pubbliche in favore delle sante missioni, da celebrarsi in uno stesso giorno in tutte le diocesi, le parrocchie e gli istituti del mondo cattolico" (cfr. "Supplica" et "Rescritto": AAS 19 [1927] 23-24). Quanto agli scopi, ad essa assegnati, erano - come sono tuttora - evidenti e possono ben essere riassunti con un verbo: sensibilizzare, cioè interessare, educare e coinvolgere nella causa missionaria tutti i figli della Chiesa, richiamandoli alla perenne validità del mandato evangelico mediante un'azione coordinata, comprendente anzitutto la preghiera per le missioni, poi la conoscenza e l'illustrazione dei relativi problemi, nonché la raccolta degli aiuti necessari.

Da allora, per tutti gli anni successivi, la celebrazione ha avuto luogo regolarmente ed è stata rispettata come una sacra consegna, come dimostra, tra l'altro, la stessa assemblea liturgica che qui ci vede insieme riuniti.


3. Ma poi c'è stato il Concilio Vaticano II, il quale ha rielaborato tutta la "materia missionaria" ed ha approfondito l'ampia sua problematica anche in rapporto alle mutate circostanze storiche quali, ad esempio, il fenomeno della cosiddetta "decolonizzazione" e gli altri fenomeni, ad esso connessi, dell'indipendenza dei nuovi popoli e del loro sacrosanto cammino verso un ordinato ed originale sviluppo. Da qui è scaturito il decreto "Ad Gentes" che ci ha offerto quasi una nuova "magna charta" circa l'attività missionaria della Chiesa ai nostri tempi, sulla base degli immutabili principi dottrinali (cfr. AGD 2-9).

Sono cose a voi ben note, carissimi fratelli e figli. Quel che vorrei qui sottolineare è che detto documento conciliare si colloca in coerente continuità con la precedente e centrale costituzione dogmatica "Lumen Gentium": la Chiesa, che in questa aveva presentato se stessa come "universale sacramento di salvezza" (cfr. LG 48), fin dalle prime parole di quello riprendeva siffatta definizione e dichiarava formalmente di essere per sua natura missionaria (cfr. AGD 1-2).

Pertanto, possiamo dire: la Chiesa, come ha ripetuto con più forza a se stessa che, per volontà del suo divino fondatore, deve essere segno e strumento di salvezza per gli uomini, così ha parallelamente aggiunto che, per essere all'altezza di questa funzione, per corrispondervi in concreto nel suo itinerario attraverso la storia, dovrà sempre avere lo spirito e lo stile, la vigile tensione e la santa ambizione di essere e di rimanere autenticamente missionaria. Non sarà mai lecito alla Chiesa usare la formula conclusiva "missione compiuta" per ripiegare e dispensarsi, in tal modo, dall'insistere nell'impegno assunto: l'autodefinizione a cui sopra ho accennato, è insomma riprova e conferma dell'autocoscienza che il Concilio - questo grande evento di luce e di grazia - ha sviluppato e rafforzato in lei. E' come se lo Spirito lo avesse ancora ripetuto: "Conosci te stessa, e sii te stessa! Tu sei, in Cristo, l'organo di salvezza per tutte le genti; sii, dunque, missionaria!".


4. E' ormai tempo, pero, di penetrare più addentro nel vivo di questa celebrazione, passando dalla mirabile prospettiva ecclesiologico-pastorale, a noi aperta dal Concilio, alla mistica atmosfera che è connaturale e, perciò, indispensabile ogni volta che ci accingiamo a rinnovare sui nostri altari il sacrificio della croce. Ora, per entrarci non c'è modo migliore che quello di fermare la nostra attenzione sulle letture bibliche, che sono state testé proclamate. Resta sempre vero che è la parola di Dio la strada maestra per incamminarci verso di lui, in unione con Gesù Cristo, suo Figlio prediletto e nostro amatissimo salvatore.

Già la lettura profetica di Isaia, proponendo la visione di tutte le genti che affluiscono lassù verso il tempio del monte del Signore, non soltanto ci mette in sintonia con quell'universalismo ch'è peculiare caratteristica dell'attività missionaria, ma ci inserisce, altresi, in quella corrente salvifica che - come ben sappiamo - si offre a tutti gli uomini, senza alcuna discriminazione o distinzione di lingua, di razza, di colore e di condizione: "salus pro omnibus", perché infinito ed inesauribile è il valore del corpo, che Cristo ci ha dato, e del sangue, da lui versato per noi (cfr. Lc 22,19-20 1Co 11,24-29 1P 1,19 1Jn 1,7).

Dopo le parole del profeta abbiamo ascoltato quelle dell'apostolo e poi, soprattutto, quelle di Gesù, riprese dal Vangelo secondo Marco. Di fronte alla consegna, o mandato supremo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15) - in cui ancora una volta risuona, in tutta evidenza, l'accento universalistico - non c'è soltanto da considerare o da rilevare la prontezza, l'esattezza o la puntualità dell'esecuzione: "Allora essi partirono e predicarono dappertutto" (Mc 16,20). Non c'è solo questo: io direi che, a proposito di quelle grandi parole del Signore, è l'apostolo a suggerirci qualcosa che rappresenta, nello stesso tempo, un commento autorevole ed un'analisi penetrante. Se Gesù, infatti, dopo aver impartito il comando di andare e di predicare, aveva ammonito che la salvezza dipende dalla fede e dal ricevimento del battesimo (cfr. Mc 16,16), Paolo mediante una lucida disamina logica e teologica individua le varie fasi ed i distinti momenti che collegano strettamente tra loro la salvezza e la missione. Come ci si salva? Egli risponde: ci si salva, se si invoca il Signore; ma per invocarlo bisogna credere; e per credere bisogna sentir parlare; e per sentir parlare bisogna annunciare; e per annunciare bisogna essere inviati (cfr. Rm 10,13-15). Ecco, dunque, i passaggi obbligati tra il punto di partenza e quello di arrivo. Ecco come dall'invio o missione viene a dipendere l'auspicata destinazione finale ch'è la salvezza, attraverso la stretta cruciale della fede, recepita dopo l'attento ascolto di chi l'annuncia e, quando sia divenuta scelta personale e profonda convinzione del cuore, esprimentesi anche nella confessione della bocca (Rm 10,9-10).


5. In tal modo l'apostolo ci ha insegnato la fondamentale e determinante importanza o, meglio, l'insostituibilità della missione e della predicazione evangelica nella vita e per la vita della Chiesa: si tratta, in effetti, di compiti che configurano la sua vocazione specifica e la sua identità più profonda (cfr. Pauli VI EN 14). così avveniva ai tempi di san Paolo, allorché egli ed i coapostoli, fedelissimi ed obbedientissimi interpreti della volontà del maestro, affrontando disagi e difficoltà di ogni genere, si portarono in tutte le regioni del mondo allora conosciuto per annunciare il Vangelo.

Rinvigoriti interiormente dallo Spirito, ma sempre umanamente sprovvisti di risorse e di mezzi, essi lavorarono con grande zelo; ma - badiamo bene alla espressione dell'evangelista - era Dio che agiva sovranamente, potentemente con loro: "mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi" (Mc 16,20).

Oggi è come allora! Oggi deve essere come allora! Da una parte, bisogna che noi obbediamo all'impreteribile mandato di nostro Signore e, quindi, dobbiamo lavorare, impegnandoci tutti, pur nella varietà delle forme e nella diversità delle prestazioni, ma in organica e sostanziale unità di intenti, per l'annuncio e per la diffusione del Vangelo. Si, fratelli, anche se non ci rechiamo nei territori di missione, abbiamo furti, abbiamo sempre, abbiamo dappertutto la possibilità e l'obbligo di collaborare in tale attività evangelizzatrice, la quale è presentata come "officium Populi Dei fundamentale" nel citato decreto (AGD 35). Proprio per questa suprema ragione, vengono ivi passati distintamente in rassegna ai fini della cooperazione missionaria i rispettivi doveri della Chiesa universale, delle singole comunità cristiane, dei Vescovi, dei presbiteri, degli istituti di perfezione e dei laici (cfr. AGD 36-41).

Dall'altra parte, consapevoli della nostra insufficienza e pochezza, dovremo sempre ricordare che la nostra operosità - fatta di diligenza, di fedeltà e di sacrifico - di per se stessa non basta né potrà mai bastare: chi agisce, chi converte, chi chiama alla fede illuminando le menti e toccando i cuori, chi effettivamente conduce alla salvezza è Dio onnipotente e misericordioso. Sotto questo secondo aspetto possiamo senz'altro affermare che la missione è umiltà e, quindi, si accompagna necessariamente a quell'atteggiamento interiore che ci fa ripetere "Siamo servi inutili" (Lc 17,10) ed esige un generoso spirito di servizio. così appunto ci ha insegnato, con la parola ed ancor più con l'esempio, Gesù Cristo stesso, il quale "venne non per esser servito, ma per servire e per dare la sua vita in redenzione per molti" (Mt 20,28).

Questa vita che il Signore ci ha dato - e noi sappiamo bene in che modo ed a che prezzo - è ancora, come sempre, a disposizione nostra ed è insieme a disposizione di tutti gli uomini nostri fratelli. Tra pochi istanti, nel mistero ineffabile del sacrificio eucaristico, questa vita sarà di nuovo immolata ed offerta "per noi e per tutti" sul nostro altare. In intima unione con Cristo, sacerdote e vittima, dobbiamo attingerne in abbondanza per salvarci, per salvare.

Data: 1980-10-19 Data estesa: Domenica 19 Ottobre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Ai membri dell'ufficio centrale per l'insegnamento cattolico in Olanda - Città del Vaticano (Roma)