GPII 1980 Insegnamenti - All'Associazione dei Giornalisti Europei - Città del Vaticano (Roma)


L'omelia alla beatificazione di don Luigi Orione, suor Maria Anna Sala e Bartolo Longo - Basilica vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un sacerdote, una religiosa e un laico confermano che tutti siamo chiamati alla santità

Carissimi fratelli e figli! "Gaudeamus omnes in Domino, hodie, diem festum celebrantes sub honore beatorum nostrorum".

Così oggi possiamo giustamente cantare, in questa grandiosa solennità, mentre i nostri spiriti si elevano nella contemplazione della gloria celeste raggiunta da tre nuovi beati: don Luigi Orione, suor Maria Anna Sala e Bartolo Longo.

1. E' giorno di festa perché la Chiesa ci dice che essi entrano ufficialmente nel culto dei fedeli cristiani e possono essere invocati e pregati, come già partecipi dell'eterna felicità. E' giorno di festa, perché la Chiesa per loro mezzo ci indica in modo autorevole e sicuro la meta della nostra vita e la strada per raggiungerla, ricordandoci con san Paolo che "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18); ed è giorno di grande festa perché la Chiesa universale, e in particolare l'Italia, gioiscono insieme ai figli della divina provvidenza, alle suore di santa Marcellina, e ai cittadini di Pompei e di Napoli, per l'onore pubblicamente tributato a questi tre campioni della fede e della carità.

Si, il Signore è vicino a noi e ci fa comprendere per loro mezzo la sua volontà circa il nostro destino terreno ed eterno: la salvezza e la santificazione dell'uomo, creato "nella giustizia e nella santità vera" (Ep 4,24). I tre nuovi beati, che oggi invochiamo, per strade diverse e per prove dolorose, hanno combattuto la buona battaglia, hanno mantenuto la fede, hanno perseverato nella carità, raggiungendo così il premio (cfr. 2Tm 4,7). Ed ora, insieme alla moltitudine dei santi, sono per noi luce e conforto, sostegno e consolazione; essi camminano con noi e per noi, come maestri ed amici; essi sono un dono dell'Altissimo, con il loro esempio, la loro parola, la loro intercessione.

Salga perciò, in questo momento, a Dio, autore della grazia, la nostra commossa riconoscenza.


2. Raccogliamoci ora per riflettere in modo particolare sul singolare messaggio che ognuno dei tre beati propone alla nostra meditazione.

Don Luigi Orione ci appare come una meravigliosa e geniale espressione della carità cristiana.

E' impossibile sintetizzare in poche frasi la vita avventurosa e talvolta drammatica di colui che si defini, umilmente ma sagacemente, "il facchino di Dio". Pero possiamo dire che egli fu certamente una delle personalità più eminenti di questo secolo per la sua fede cristiana apertamente professata e per la sua carità eroicamente vissuta. Egli fu sacerdote di Cristo totalmente e gioiosamente, percorrendo l'Italia e l'America Latina, consacrando la propria vita a coloro che più soffrono, a causa della sventura, della miseria, della cattiveria umana. Basti ricordare la sua operosa presenza fra i terremotati di Messina e della Marsica. povero tra i poveri, spinto dall'amore di Cristo e dei fratelli più bisognosi, fondo la piccola opera della divina provvidenza, le piccole suore missionarie della carità e in seguito le sacramentine cieche e gli eremiti di sant'Alberto.

Apri anche altre case in Polonia (1923), negli Stati Uniti (1934) e in Inghilterra (1936), con vero spirito ecumenico. Volle poi concretizzare visibilmente il suo amore a Maria erigendo a Tortona il grandioso santuario della Madonna della Guardia. E' per me commovente pensare che don Orione ebbe sempre una particolare predilezione per la Polonia e soffri immensamente quando la mia cara patria nel settembre del 1939 venne invasa e dilaniata. So che la bandiera polacca bianco-rossa, che egli in quei tragici giorni porto trionfalmente in corteo al santuario della Madonna, è ancora appesa alla parete della sua poverissima camera di Tortona: li egli stesso la volle! E nell'ultimo saluto che egli pronunzio la sera dell'8 marzo 1940, prima di recarsi a Sanremo, dove sarebbe morto, disse ancora: "Io amo tanto i polacchi. Li ho amati fin da ragazzo; li ho sempre amati... Vogliate sempre bene a questi vostri fratelli".

Dalla sua vita, tanto intensa e dinamica, emergono il segreto e la genialità di don Orione: egli si è lasciato solo e sempre condurre dalla logica serrata dell'amore! Amore immenso e totale a Dio, a Cristo, a Maria, alla Chiesa, al Papa, e amore ugualmente assoluto all'uomo, a tutto l'uomo, anima e corpo, e a tutti gli uomini, piccoli e grandi, ricchi e poveri, umili e sapienti, santi e peccatori, con particolare bontà e tenerezza verso i sofferenti, gli emarginati, i disperati. così enunciava il suo programma di azione: "La nostra politica è la carità grande e divina che fa del bene a tutti. Sia la nostra politica quella del "Pater noster". Noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Anime e anime! Ecco tutta la nostra vita; ecco il grido e il nostro programma; tutta la nostra anima, tutto il nostro cuore!". E così esclamava con lirici accenti: "Cristo viene portando sul suo cuore la Chiesa e nella sua mano le lacrime e il sangue dei poveri; la causa degli afflitti, degli oppressi, delle vedove, degli orfani, degli umili, dei reietti: dietro a Cristo si aprono nuovi cieli: è come l'aurora del trionfo di Dio!".

Ebbe la tempra e il cuore dell'apostolo Paolo, tenero e sensibile fino alle lacrime, infaticabile e coraggioso fino all'ardimento, tenace e dinamico fino all'eroismo, affrontando pericoli d'ogni genere, avvicinando alte personalità della politica e della cultura, illuminando uomini senza fede, convertendo peccatori, sempre raccolto in continua e fiduciosa preghiera, talvolta accompagnata da terribili penitenze. Un anno prima della morte così aveva sintetizzato il programma essenziale della sua vita: "Soffrire, tacere, pregare, amare, crocifiggersi e adorare". Mirabile è Dio nei suoi santi, e don Orione rimane per tutti esempio luminoso e conforto nella fede.


3. Suor Maria Anna Sala ci insegna l'eroica fedeltà al particolare carisma della vocazione.

Entrata tra le suore marcelline a ventun anni, comprese che il suo ideale e la sua missione dovevano essere unicamente l'insegnamento, l'educazione, la formazione delle fanciulle nella scuola e nelle famiglie.

Suor Maria Anna fu semplicemente e totalmente fedele al carisma fondamentale della sua congregazione. Tre grandi insegnamenti sgorgano dalla sua vita e dal suo esempio: la necessità della formazione e del possesso di un buon carattere fermo, sensibile, equilibrato; il valore santificante dell'impegno nel dovere assegnato dall'obbedienza e l'importanza essenziale dell'opera pedagogica.

Suor Maria Anna volle acquisire virtù di capacità in massimo grado, convinta che in tanto si può dare in quanto si possiede; e si appassiono del suo incarico di insegnante, santificandosi nell'adempimento del proprio lavoro quotidiano. Mise in pratica il messaggio di Gesù: "Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto" (Lc 16,10). Imparino dalla nuova beata, soprattutto le religiose, ad essere liete e generose nel loro lavoro, anche se nascosto, monotono, umile! Imparino tutti coloro che si dedicano all'opera educativa a non spaventarsi mai delle difficoltà dei tempi, ma ad impegnarsi con amore, pazienza e preparazione nella loro così importante missione, formando ed elevando gli animi ai supremi valori trascendenti. Particolarmente oggi la scuola ha bisogno di educatori saggi, seri, preparati, sensibili e responsabili.


4. Infine, ecco ancora Bartolo Longo, il fondatore del celebre santuario di Pompei, dove con profonda devozione mi recai or è un anno; egli è l'apostolo del rosario, il laico che ha vissuto totalmente il suo impegno ecclesiale.

Bartolo Longo fu strumento della provvidenza per la difesa e la testimonianza della fede cristiana e per l'esaltazione di Maria santissima in un periodo doloroso di scetticismo e di anticlericalismo.

A tutti è nota la sua lunga vita, ispirata da una fede semplice ed eroica e densa di episodi suggestivi, durante la quale sgorgo e si sviluppo il miracolo di Pompei. Iniziando dall'umile catechesi ai contadini della valle di Pompei, e dalla recita del rosario davanti al famoso quadro della Madonna, fino all'erezione dello stupendo santuario e all'istituzione delle opere di carità per i figli e le figlie dei carcerati, Bartolo Longo porto avanti con intrepido coraggio un'opera grandiosa che ancora oggi ci lascia stupiti ed ammirati.

Ma soprattutto è facile notare che tutta la sua esistenza fu un intenso e costante servizio della Chiesa in nome e per amore di Maria.

Bartolo Longo, terziario dell'ordine domenicano e fondatore della istituzione delle suore "figlie del santo rosario di Pompei", si può veramente definire "l'uomo della Madonna": per amore di Maria divenne scrittore, apostolo del Vangelo, propagatore del rosario, fondatore del celebre santuario in mezzo ad enormi difficoltà ed avversità; per amore di Maria creo istituti di carità, divenne questuante per i figli dei poveri, trasformo Pompei in una vivente cittadella di bontà umana e cristiana; per amore di Maria sopporto in silenzio tribolazioni e calunnie, passando attraverso un lungo Getsemani, sempre fiducioso nella provvidenza, sempre ubbidiente al Papa e alla Chiesa.

Egli, con in mano la corona del rosario, dice anche a noi, cristiani della fine del XX secolo: "Risveglia la tua fiducia nella santissima Vergine del rosario... Devi avere la fede di Giobbe!... Santa Madre adorata, io ripongo in te ogni mia afflizione, ogni speranza, ogni fiducia!" (11marzo 1905).


5. Carissimi! Oggi la Chiesa propone alla nostra meditazione e alla nostra imitazione un sacerdote, una religiosa ed un laico: è davvero sintomatica questa coincidenza dei tre "stati" di vita! Si può dire che è un avvenimento ed un incoraggiamento a tutte le categorie che formano il popolo di Dio, che costituiscono la Chiesa pellegrinante verso il cielo: tutti siamo chiamati alla santità; per tutti ci sono le grazie necessarie e sufficienti; nessuno è escluso! Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità... Nei vari generi di vita e nei vari uffici un'unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre, seguono Cristo povero, umile, e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria" (LG 42e).

Don Orione, suor Maria Anna e Bartolo Longo, nel richiamarci questa dottrina fondamentale, ci danno una lezione di suprema importanza: la necessità della propria santificazione, perseguita con serietà, sincerità, umiltà e costanza: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia!" (Mt 6,33) ammoniva Gesù.

La tentazione più subdola, e sempre ricorrente, è quella di voler cambiare la società mutando solamente le strutture esterne; di voler rendere felice l'uomo sulla terra, soddisfacendo unicamente ai suoi bisogni e ai suoi desideri. I nuovi beati che oggi preghiamo dicono a tutti, sacerdoti, religiosi e laici, che l'impegno primo e più importante è quello di cambiare se stessi, di santificare se stessi, nell'imitazione di Cristo, nella metodica e perseverante ascetica quotidiana: il resto verrà in conseguenza.

Eleviamo fidenti la nostra preghiera ai nuovi beati, che già hanno raggiunto la gioia eterna del cielo: don Luigi Orione, suor Maria Anna Sala, Bartolo Longo intercedete per la Chiesa, che avete tanto amato! Aiutateci, illuminateci, accompagnateci nel nostro cammino, sempre avanti, con Maria! Estendete il vostro sguardo e il vostro amore all'umanità intera, bisognosa di certezza e di salvezza! E attendeteci nella gloria del cielo, che già possedete! Amen! Amen! Alleluia!

Data: 1980-10-26 Data estesa: Domenica 26 Ottobre 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'opera di unità e santità dello Spirito Santo

1. Oggi in questo nostro incontro all'"Angelus", desidero insieme con voi, cari romani e cari pellegrini, esprimere prima di tutto la gratitudine allo Spirito Santo, dato da Cristo agli apostoli e alla Chiesa per compiere in essa l'opera di unità e di santità.

Opera di tale unità si è dimostrato il Sinodo dei Vescovi, che ieri ha terminato i suoi dibattiti, dedicati ai compiti della famiglia cristiana. I Vescovi partecipanti al Sinodo, convenuti da tutti i continenti e dai loro diversi paesi, hanno affrontato con grande senso di realismo la situazione della famiglia nel mondo contemporaneo, situazione differenziata e talvolta non facile. Si sono soffermati, con dovuta attenzione e con senso di responsabilità pastorale, su quei punti dell'insegnamento della Chiesa, che sembrano suscitare le più grandi difficoltà. Meditando su problemi così importanti, parlando con la libertà dovuta al loro ministero e ascoltando pure volentieri la voce dei componenti laici, che hanno partecipato al Sinodo in veste di uditori, essi hanno elaborato una serie di proposizioni finali, in cui non è possibile non scorgere quel "dono di unità nello Spirito Santo", per il quale la Chiesa non cessa di pregare.

Oggi, terminati i lavori del Sinodo, desidero dinanzi a voi, ed insieme a voi qui riuniti, esprimere la gratitudine allo Spirito Santo, per questa opera di unità che egli ha compiuto ai nostri occhi.


2. Desidero anche esprimere la gratitudine per l'opera di santità, di cui noi siamo stati partecipi oggi, ultima domenica di ottobre, mediante la beatificazione di don Luigi Orione, di suor Maria Anna Sala e di Bartolo Longo: il primo, fondatore dei figli della piccola opera della divina provvidenza e delle piccole suore missionarie della carità; la seconda, delle religiose marcelline di Milano; e il terzo, ideatore del famoso santuario di Pompei, dedicato alla Madonna del rosario. Un sacerdote, una religiosa ed un laico! Tutta la Chiesa oggi esulta di gioia e di riconoscenza verso l'Altissimo e verso i tre nuovi beati, che invoca con filiale preghiera. Che cosa hanno compiuto di eroico durante la loro vita? Hanno amato! Sempre, con coraggio, con costanza! Hanno amato Dio come Padre, con ardente fervore e con totale fiducia; hanno amato la Chiesa con umiltà e obbedienza, cercando di perfezionarla con la propria santificazione; hanno amato l'Italia loro diletta patria, con impegno operoso e continuo, aiutando i poveri, consolando gli afflitti, accogliendo gli abbandonati, educando i fanciulli e i giovani, responsabilizzando tutti con la loro testimonianza.

Invochiamo con affetto i nuovi beati! Ascoltiamoli! Imitiamoli! Essi continuano ad amarci e ad aiutarci dal cielo.


3. Infine, come ogni volta, anche oggi la nostra preghiera dell'"Angelus" ci ricorda la risposta che l'angelo Gabriele ha dato alla Vergine di Nazaret: "Lo Spirito Santo scenderà su di te... Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio" (Lc 1,35).

Ringraziando per l'opera di unità e di santità che, grazie allo Spirito Santo, vengono partecipate alla Chiesa dei nostri tempi, non cessiamo di ringraziare per quest'opera suprema e fondamentale dalla quale derivano tutte le altre, come da una sorgente inesauribile.

Ringraziamo per il Verbo che, per opera dello Spirito Santo, si fece carne nel seno di Maria, venne ad abitare in mezzo a noi e continua ad abitarvi, guidando la Chiesa nella verità e nell'amore verso il compimento definitivo del mistero della comunione dei santi.

Data: 1980-10-26 Data estesa: Domenica 26 Ottobre 1980.


Al pellegrinaggio dei ferrovieri italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vivete la fede nella famiglia e nel lavoro

Fratelli e sorelle carissimi! 1. Desidero dirvi la mia profonda gioia e la mia sincera soddisfazione per questo odierno incontro, che fa seguito a quello dell'8 novembre dello scorso anno, in occasione della XXI "Giornata del Ferroviere", ed a quello del 7 settembre scorso, in occasione della mia visita alla Stazione ferroviaria di Velletri, costruita - come è noto - nel 1862sotto il pontificato di Pio IX.

So quanto avete desiderato ed atteso questa Udienza. Parecchi di voi, provenienti da tutte le Regioni d'Italia, hanno fatto notevoli sacrifici per poter essere oggi qui presenti. Pertanto, alla mia gioia debbo aggiungere i sentimenti della mia gratitudine per voi tutti, convenuti in questo luogo come ad una serena, cordiale ed affettuosa festa di famiglia.

Rivolgo il mio saluto a tutti voi ed a tutti i 220.000 Ferrovieri d'Italia, che operano sia nella sede centrale di Roma sia negli altri 15 Compartimenti. Il mio saluto va ai Capistazione, ai Macchinisti, ai Conduttori, ai Capitreno; ai Dirigenti del Movimento, ai Manovratori, ai Manovali, agli Addetti agli impianti elettrici, di trazione, di segnalamento, di sicurezza e di telecomunicazione; ai Tecnici, ai Sorveglianti, ai Casellanti, a tutti gli Addetti alle officine ed agli impianti di riparazione, di manutenzione, di pulizia del materiale; né posso dimenticare gli Ufficiali ed i Marinai-ferrovieri dei Servizi di Traghetto.

A tutti voi, a tutta la grande Famiglia dei Ferrovieri d'Italia, va il mio pensiero affettuoso.


2. Con la vostra presenza voi volete, in certo modo, restituire la visita, da me fatta ai vostri Colleghi del Compartimento Ferroviario di Roma, riprendere un dialogo, non mai interrotto, ed esprimere, con molta schiettezza, la vostra adesione alla Cattedra di Pietro.

Il primo ricordo ed impegno che io intendo raccomandarvi ed affidarvi è quello della testimonianza della fede cristiana. Si, fratelli e sorelle carissimi! Questa vostra presenza è il segno concreto e chiaro che voi siete venuti a Roma in pellegrinaggio di fede, per proclamare apertamente, dinanzi all'opinione pubblica, la vostra fede, quel tesoro incommensurabile ricevuto nel santo Battesimo e coltivato dalle cure dei vostri genitori, dei vostri sacerdoti e dei vostri educatori. Voi volete ripetere, con piena consapevolezza e con legittima fierezza, sulla tomba di san Pietro le parole semplici e sublimi, che la Chiesa vi consegno nel momento del Battesimo, cioè il Simbolo Apostolico: "Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra... Credo in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, incarnato, morto per noi, risorto... Credo nello Spirito Santo, che ha parlato per mezzo dei Profeti... Credo la Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica...". Il simbolo della fede cattolica, che ogni domenica recitate nella santa Messa, deve essere sempre meditato, approfondito, perché penetri nel tessuto della vostra interiorità, animi il vostro comportamento, le vostre azioni, orienti i vostri rapporti con Dio, con voi stessi, con gli altri, di modo che la vostra vita quotidiana - in famiglia e nel posto di lavoro - sia in coerente sintonia con la fede che professate: una fede, la quale ci insegna che la vostra vita non si esaurisce nelle realtà di questo mondo, ma ha come termine finale Dio stesso; una fede, la quale ci dice che noi camminiamo, anzi corriamo per raggiungere il Cristo e quindi non dobbiamo diventare schiavi delle cose della terra. "Noi tutti siamo una specie di corridori, - ci avverte san Basilio il Grande - ciascuno va rapidamente verso la meta. Proprio per questo noi viviamo. Durante questa vita tu sei un viandante. Devi oltrepassare tutto, lasciar tutto alle tue spalle. Scorgi lungo la strada un germoglio, una pianta, una sorgente o qualche altra cosa che vale la pena vedere: ne godi per un attimo e poi prosegui. Ti imbatti in rocce, valli, precipizi, scogli, tronchi, fiere, rettili, spine: devi tribolare per un poco, ma poi li superi e vai avanti".

Una fede cristiana limpida e senza rispetto umano darà serenità alla vostra vita e sarà di incisivo esempio a quanti vi conoscono: "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli", ci ha detto Gesù nel "Discorso della Montagna" (Mt 5,16).


3. Alla fede in Dio, in Cristo, nella Chiesa, voi saprete certamente unire un profondo senso della famiglia, concepita ed impostata alla luce della Parola di Dio, cioè come una "Chiesa in miniatura", una "Chiesa domestica", nella quale l'amore è santificato dalla grazia di Dio e dalla preghiera e reso più profondo dalla vicendevole dedizione, per la quale i piccoli e grandi sacrifici della vita di ogni giorno vengono affrontati con piena fiducia nella Provvidenza di Dio.

Vedo con molto piacere che parecchi di voi siete venuti qui insieme con i vostri familiari, volendo sottolineare con questo gesto la vostra risposta gioiosa e franca alle preoccupazioni e trepidazioni della Chiesa, che, mediante l'Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, in tutto questo mese di ottobre ha meditato sui compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo.

Amate la vostra famiglia! Proteggete la vostra famiglia! Siate fieri della vostra famiglia! Che essa sia sempre il focolare caldo ed accogliente, in cui possiate conservare e tramandare i grandi valori spirituali, gelosamente custoditi per le future generazioni! 4. Un ultimo impegno vorrei lasciarvi come ricordo di questa indimenticabile giornata: l'attaccamento al vostro lavoro.

Sappiamo quanto sia duro, sfibrante, non di rado pericoloso, il lavoro dei Ferrovieri. Ma sappiamo anche quanto esso sia meritorio, prezioso e indispensabile per il buon andamento delle strutture della società.

Desidero approfittare di questa odierna circostanza per dirvi, pubblicamente, il mio plauso - al quale si unisce certamente anche quello del popolo italiano - per quello che fate, giorno e notte, a prezzo di tanti sacrifici. Adempite a questo vostro dovere con la consapevolezza di dare un contributo serio e determinante per l'ordinato sviluppo sociale ed economico del vostro Paese. Voi, che siete ferrovieri "cristiani", partecipate ai a gruppi di evangelizzazione", ai "gruppi di comunità", che si sono costituiti nelle varie sedi dipartimentali ed in molte Stazioni ferroviarie d'Italia. Nella preghiera, nella riflessione sulla Parola di Dio e sull'insegnamento della Chiesa, nell'impegno comune verso i fratelli, sarete gli apostoli, capaci di coinvolgere i vostri colleghi di lavoro in un cammino di fede e in una autentica ed integrale promozione umana.

Auguro a voi, alle vostre famiglie, ai vostri Cappellani ed a tutte le persone che vi sono care la pace e la gioia, che provengono dal Signore, e di cuore vi imparto l'Apostolica Benedizione, segno della mia costante benevolenza e del mio profondo affetto.

Data: 1980-10-26 Data estesa: Domenica 26 Ottobre 1980.


Ai religiosi e religiose di don Orione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Mantenete lo spirito del vostro fondatore

Accogliete il mio saluto più affettuoso, voi, religiosi e religiose di Don Orione, Superiori, Sacerdoti, Suore e fratelli, che oggi giustamente esultate e sentite più vicina e più confidente la dolce e austera figura del vostro Padre Fondatore. Don Orione, che con la sua lungimirante intelligenza comprese perfettamente le caratteristiche e le necessità di questo nostro secolo, ora, in modo speciale, dopo la sua beatificazione, vuole illuminarvi, incoraggiarvi, confortarvi, per essere sempre suoi degni Figli, intrepidi testimoni della fede cristiana, ardenti consolatori dell'umanità nelle sue ricorrenti miserie, apostoli fedeli e concreti della carità di Cristo. I tempi sono difficili e talvolta l'animo è turbato e depresso. Ebbene, proprio per questo nostro tempo e per questi momenti, Don Orione, nella felicità ormai raggiunta, vi dice: "Su, animo, cari figliuoli! E siate fin lieti di soffrire: voi soffrite con Gesù Crocifisso e con la Chiesa; non potete fare nulla di più caro al Signore e alla Santissima Vergine, siate felici di soffrire e di dare la vita nell'amore di Gesù Cristo" (Lettera del 21agosto 1939).

Auspico di cuore che la gioia che oggi provate per l'esaltazione del vostro Fondatore rimanga nei vostri animi, a perenne consolazione e come irradiazione del vostro amore a Dio e alle anime, sulle sue orme.

In questo nostro incontro, in cui ci pare quasi di vedere qui con noi lo stesso Don Orione, con il suo sorriso buono e confidente, con il suo volto sereno e volitivo, desidero lasciarvi un'unica esortazione, che sgorga dall'ansietà pastorale di chi presiede tutta la Chiesa: mantenete il suo spirito! Mantenetelo integro e infuocato in voi stessi, nella vostra Congregazione, in tutti i luoghi dove siete chiamati a lavorare! Ciò che San Paolo raccomandava ai Tessalonicesi: "Non spegnete lo Spirito!" (1Th 5,19), lo ripeto pure a voi, lo dico pure a voi.

Mantenete vivo e fervoroso il suo spirito, nonostante avversità e tentazioni, ricordando ciò che diceva lui stesso: "Non vi è altra scuola per noi, un altro maestro né altra cattedra che la Croce. Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, l'umiltà e l'obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione, tutti uniti di mente e di cuore in Cristo: in una parola, vivere Cristo" (Lettera del 22 ottobre 1937). Sono parole meravigliose, una perfetta sintesi di dottrina e di pratica; ma sono anche parole impressionanti ed esigenti, che danno una caratteristica decisiva e definita alla vita del cristiano.

Lo spirito del Beato Don Orione inondi i vostri animi, li scuota, li faccia fremere di santi propositi, li lanci verso gli ideali sublimi che Lui stesso visse con eroica costanza. Vi aiuti, vi conforti sempre, vi assista Maria Santissima, che fu sempre la stella luminosa nel cammino di Don Orione, la Madre confidente, l'ideale vissuto e predicato con immenso affetto. "Fede e coraggio, o miei figliuoli - vi dico con lui -: Ave Maria e avanti! Dacci, o Maria, un animo grande, un cuore grande e magnanimo, che arrivi a tutti i dolori e a tutte le lacrime... La nostra celeste Madre ci aspetta, ci vuole tutti in Paradiso!" (dal Santuario di Itati, 27 giugno 1937). E vi accompagni sempre l'Apostolica Benedizione, pegno della mia costante benevolenza.

Data: 1980-10-27 Data estesa: Lunedi 27 Ottobre 1980.


Ai partecipanti ai due congressi di medicina e chirurgia - Aula Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La persona, non la scienza, è misura e criterio di ogni misura umana

1. Con viva soddisfazione porgo il mio benvenuto a voi, illustri rappresentanti della società italiana di medicina interna e della società italiana di chirurgia generale, che, in occasione della celebrazione dei rispettivi congressi nazionali, avete voluto con pensiero gentile rendermi visita. Considero, infatti, la vostra presenza particolarmente significativa non solo per la qualificata attività medico-scientifica, alla quale ciascuno di voi attende, ma anche per l'implicita e pur chiara testimonianza, che essa esprime in favore dei valori morali ed umani.

Che cosa vi ha indotto, infatti, a sollecitare questa udienza, se non la coscienza vigile ed attenta alle ragioni più alte del vivere e dell'agire, ragioni che sapete far parte della quotidiana sollecitudine del successore di Pietro? A voi tutti, dunque, con l'attestazione della mia riconoscenza, il saluto più deferente e cordiale, con speciale grato pensiero ai presidenti delle vostre due società, il professore Alessandro Beretta Anguissola, e il professore Giuseppe Zannini. Desidero poi salutare i collaboratori, i discepoli ed i familiari che vi hanno qui accompagnati, unitamente allo zelante e benemerito Vescovo monsignor Fiorenzo Angelini.


2. Voi siete convenuti a Roma, illustri signori, per discutere alcuni aspetti particolarmente attuali delle discipline di vostra competenza. L'arte medica ha realizzato in questi anni significative conquiste, che ne hanno accresciuto in misura notevole le possibilità di intervento terapeutico. Ciò ha favorito una lenta modificazione del concetto stesso di medicina, estendendone il ruolo dalla primitiva funzione contro la malattia a quello di promozione globale della salute dell'essere umano. Conseguenza di tale nuova impostazione è stata la progressiva evoluzione del rapporto tra medico e malato verso forme organizzate sempre più complesse, volte a tutelare la salute del cittadino dalla nascita alla vecchiaia.

Tutela dell'infanzia e della vecchiaia, medicina scolastica, medicina di fabbrica, prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro, igiene mentale, tutela degli handicappati e dei tossico-dipendenti, dei malati mentali, profilassi delle malattie da inquinamento, controllo del territorio ecc..., costituiscono altrettanti capitoli dell'attuale modo di concepire il "servizio all'uomo", a cui è chiamata la vostra arte.

Non v'è motivo per non rallegrarsene, giacché può ben dirsi che, sotto questo aspetto, il diritto dell'uomo sulla sua vita non ha mai avuto riconoscimento più ampio. E' uno dei tratti qualificanti della singolare accelerazione della storia, che caratterizza la nostra epoca. Per questo suo straordinario sviluppo, la medicina svolge un ruolo di prim'ordine nel configurare il volto della società odierna.

Un esame sereno ed attento della situazione attuale nel suo insieme deve, tuttavia, indurre a riconoscere che non sono affatto scomparse forme insidiose di violazione del diritto a vivere in modo degno, proprio di ogni essere umano. Per certi versi si potrebbe, anzi, dire che sono emersi aspetti negativi, come ho scritto nell'enciclica "Redemptor Hominis": "Se il nostro tempo... si rivela a noi come tempo di grande progresso, esso appare altresi come tempo di multiforme minaccia per l'uomo... E' per questo che bisogna seguire attentamente tutte le fasi del progresso odierno: bisogna, per così dire, fare la radiografia delle sue singole tappe... Infatti esiste già un reale e percettibile pericolo che, mentre progredisce enormemente il dominio da parte dell'uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo ed egli stesso divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente percettibile, manipolazione" (Ioannis Pauli PP.II RH 16).


3. La verità è che lo sviluppo tecnologico, caratteristico del nostro tempo, soffre di un'ambivalenza di fondo: mentre, da una parte, consente all'uomo di prendere in mano il proprio destino, lo espone, dall'altra, alla tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura, mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza e l'integrità della persona umana.

Si consideri, per restare nell'ambito della biologia e della medicina, l'implicita pericolosità che al diritto dell'uomo alla vita deriva dalle stesse scoperte nel campo della inseminazione artificiale, del controllo delle nascite e della fertilità, della ibernazione e della "morte ritardata", dell'ingegneria genetica, dei farmaci della psiche, dei trapianti d'organo, ecc... Certo, la conoscenza scientifica ha proprie leggi, alle quali attenersi. Essa tuttavia deve pure riconoscere, soprattutto in medicina, un limite invalicabile nel rispetto della persona e nella tutela del suo diritto a vivere in modo degno di un essere umano.

Se un nuovo metodo di indagine, ad esempio, lede o rischia di ledere questo diritto, non è da considerare lecito solo perché accresce le nostre conoscenze. La scienza, infatti, non è il valore più alto, al quale tutti gli altri debbano essere subordinati. Più in alto, nella graduatoria dei valori, sta appunto il diritto personale dell'individuo alla vita fisica e spirituale, alla sua integrità psichica e funzionale. La persona, infatti, è misura e criterio di bontà o di colpa in ogni manifestazione umana. Il progresso scientifico, pertanto, non può pretendere di situarsi in una sorta di terreno neutro. La norma etica, fondata nel rispetto della dignità della persona, deve illuminare e disciplinare tanto la fase della ricerca quanto quella dell'applicazione dei risultati, in essa raggiunti.


4. Da qualche tempo si levano nel vostro campo voci allarmate, che denunciano le conseguenze dannose derivanti da una medicina preoccupata più di se stessa che dell'uomo, a cui dovrebbe servire. Penso, ad esempio, al campo farmacologico. E' indubbio che alla base dei prodigiosi successi della moderna terapia stiano la ricchezza e l'efficacia dei farmaci di cui disponiamo. E' un fatto, tuttavia, che fra i capitoli della patologia d'oggi se n'è aggiunto uno nuovo, quello iatrogenico. Sempre più frequenti sono le manifestazioni morbose imputabili all'impiego indiscriminato di farmaci: malattie della pelle, del sistema nervoso, dell'apparato digerente, soprattutto malattie del sangue. Non è questione soltanto di un uso incongruo dei farmaci, e neppure di un loro abuso. Spesso si tratta di vera e propria intolleranza dell'organismo.

Il pericolo non è da trascurare, perché anche la più accurata e coscienziosa ricerca farmacologica non esclude totalmente un rischio potenziale: l'esempio tragico della talidomide fa testo. Perfino nell'intento di giovare, il medico può dunque involontariamente ledere il diritto dell'individuo sulla propria vita. La ricerca farmacologica e l'applicazione terapeutica devono quindi essere sommamente attente alle norme etiche, preposte alla tutela di tale diritto.


5. Il discorso ci ha portato a toccare un argomento oggi molto discusso, quello della sperimentazione. Anche qui il riconoscimento della dignità della persona, e della norma etica che ne deriva, come valore superiore a cui deve ispirarsi la ricerca scientifica, ha precise conseguenze a livello deontologico. La sperimentazione farmacologico-clinica non può essere iniziata senza che tutte le cautele siano state prese per garantire l'innocuità dell'intervento. La fase pre-clinica della ricerca deve, pertanto, fornire la più ampia documentazione farmaco-tossicologica.

E' ovvio, d'altra parte, che il paziente debba essere informato della sperimentazione, del suo scopo e degli eventuali suoi rischi, in modo che egli possa dare o rifiutare il proprio consenso in piena consapevolezza e libertà. Il medico, infatti, ha sul paziente solo quel potere e quei diritti, che il paziente stesso gli conferisce.

Il consenso da parte del malato non è, poi, senza limite alcuno.

Migliorare le proprie condizioni di salute rimane, salvo casi particolari, la finalità essenziale della collaborazione da parte del malato. La sperimentazione, infatti, si giustifica "in primis" con l'interesse del singolo, non con quello della collettività. Ciò non esclude tuttavia che, fatta salva la propria integrità sostanziale, il paziente possa legittimamente assumersi una quota parte di rischio, per contribuire con la sua iniziativa al progresso della medicina e, in tal modo, al bene della comunità. La scienza medica si pone, infatti, nella comunità come forza di affrancamento dell'uomo dalle infermità, che lo inceppano, e dalle fragilità psico-somatiche, che lo umiliano. Donare qualcosa di se stessi, entro i limiti tracciati dalla norma morale, può costituire una testimonianza di carità altamente meritevole ed un'occasione di crescita spirituale così significativa, da poter compensare il rischio di un'eventuale minorazione fisica non sostanziale.


6. Le considerazioni svolte in tema di ricerca farmacologica e di terapia medica possono estendersi ad altri campi della medicina. Più spesso di quanto non si creda, nell'ambito stesso dell'assistenza al malato, si può ledere il suo personale diritto alla integrità psico-fisica, esercitando di fatto la violenza: nella indagine diagnostica mediante procedure complesse e non di rado traumatizzanti, nel trattamento chirurgico, che si spinge ormai ad attuare i più arditi interventi di demolizione e di ricostruzione, nel caso dei trapianti d'organo, nella ricerca medica applicata, nella stessa organizzazione ospedaliera.

Non è possibile affrontare ora compiutamente una simile tematica, il cui esame ci porterebbe lontano, imponendoci di interrogarci sul tipo di medicina verso il quale ci si vuole orientare: se quello di una medicina a misura d'uomo o se, invece, di una medicina all'insegna della pura tecnologia e dell'efficientismo organizzativo.

E' necessario impegnarsi in una "ri-personalizzazione" della medicina, che, portando nuovamente ad una considerazione più unitaria del malato, favorisca l'instaurarsi con lui di un rapporto più umanizzato, tale cioè da non lacerare il legame tra la sfera psico-affettiva ed il suo corpo sofferente. Il rapporto malato-medico deve tornare a basarsi su di un dialogo fatto di ascolto, di rispetto, di interesse; deve tornare ad essere un autentico incontro tra due uomini liberi o, com'è stato detto, tra una "fiducia" e una "coscienza".

Ciò consentirà al malato di sentirsi capito per quello che egli veramente è: un individuo che ha delle difficoltà nell'uso del proprio corpo o nell'esplicazione delle proprie facoltà; ma che conserva intatta l'intima essenza della sua umanità, i cui diritti alla verità e al bene, tanto sul piano umano che su quello religioso, attende di veder rispettati.


7. Illustri signori, nel proporvi queste riflessioni, mi è spontaneo andare col pensiero alle parole di Cristo: "Ero malato" (Mt 25,36). Quale stimolo all'auspicata "personalizzazione" della medicina può venire dalla carità cristiana, che fa scoprire nei lineamenti di ogni infermo il volto adorabile del grande, misterioso paziente, che continua a soffrire in coloro sui quali si curva, sapiente e provvida, la vostra professione! A lui va in questo momento la mia preghiera, per invocare su di voi, sui vostri cari e su tutti i vostri malati l'abbondanza dei celesti favori, in pegno dei quali di cuore vi imparto la propiziatrice benedizione apostolica.

Data: 1980-10-27 Data estesa: Lunedi 27 Ottobre 1980.






GPII 1980 Insegnamenti - All'Associazione dei Giornalisti Europei - Città del Vaticano (Roma)