GPII 1980 Insegnamenti - Udienza ai visitatori giunti dalla Svezia - Città del Vaticano (Roma)

Udienza ai visitatori giunti dalla Svezia - Città del Vaticano (Roma)

E' un piacere ed un onore per me dare il benvenuto alle Loro Altezze Reali il Principe Bertil e la Principessa Lilian di Svezia, all'Arcivescovo di Uppsala, Primate della Chiesa Luterana di Svezia, e ad altri distinti rappresentanti della Chiesa che, assieme a Sua Eccellenza l'Ambasciatore di Svezia in Italia, sono venuti oggi in Vaticano. E un piacere salutare anche tutte le altre persone che sono venute dalla Svezia, come membri della Chiesa Luterana Svedese residenti a Roma. Questa visita avviene nella continuità di molte altre visite che i pellegrini Svedesi hanno compiuto negli ultimi anni al mio Predecessore Paolo VI e a me stesso.

L'occasione di questa visita oggi è la particolare mostra che è stata organizzata in città con il titolo "La Svezia e Roma" che illustra lo stretto rapporto secolare fra il centro della Cristianità e la Svezia. Le figure principali di questa storia sono, in primo luogo, Brigida, una grande santa della Chiesa Cattolica e Patrona della vostra terra che visse per circa vent'anni a Roma e che qui mori nel 1373; e in secondo luogo, trecento anni dopo, la Regina Cristina, il cui corpo è sepolto vicino alla tomba di San Pietro nella Basilica Patriarcale del Vaticano. Ma Roma ha conosciuto molti altri vostri concittadini, in particolare i molti artisti ispirati da Roma e da altri luoghi dell'Italia, contribuendo all'eredità culturale sia di Roma che della vostra terra.

Più vicina ai nostri tempi, è la figura di Madre Elisabeth Hesselblad, che all'inizio di questo secolo fondo un nuovo ramo dell'Ordine delle Suore di Santa Brigida, nella stessa casa dove vissero Santa Brigida e sua figlia Santa Katerina. Sono felice di rivolgere un particolare saluto all'Abbadessa Generale e alla comunità delle Bridgettine qui presenti oggi, e le ringrazio per il loro valoroso servizio di ospitalità ed apertura ecumenica che offrono, soprattutto ai viaggiatori dei Paesi Nordici.

Colgo quest'opportunità per rinnovare l'espressione d'amicizia della Chiesa Cattolica verso gli ancora divisi fratelli di quelle terre. Confido che la vostra presenza a Roma oggi serva per rafforzare i legami di questa amicizia, e conduca ad una maggiore comprensione e stima reciproca. So che vi unite a me nella preghiera affinché la volontà di Dio, in modi che solo Lui conosce, avvicini il giorno in cui saranno stabilite fra noi la piena unità di fede e di vita cristiana.

Il nostro incontro di oggi sembra un'occasione propizia perché tutti noi Figli di Dio - con una maggiore consapevolezza del tesoro comune costituito dalla Sacre Scritture che insieme veneriamo - rivolgiamo i nostri pensieri al "Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" (Ep 3,15), e a suo Figlio, Gesù Cristo, il "solo mediatore fra Dio e gli uomini" (1Tm 2,5), che tramite il suo Santo Spirito ci invita ad una ancor più grande unione in lui.

Dio vi benedica! Dio benedica tutti gli Svedesi! [Traduzione dall'inglese]

Data: 1980-10-30 Data estesa: Giovedi 30 Ottobre 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vocazione alla santità passa attraverso la famiglia

1. "Credo in un solo Dio"... così inizia la professione della nostra fede, il "simbolo apostolico", che termina con le parole: "Credo nella risurrezione dei corpi e nella vita eterna".

Quando, in questo giorno, e anche in quello di domani visiteremo i diversi luoghi in cui riposano i defunti, cerchiamo di avere davanti agli occhi il primo e l'ultimo articolo del "credo". Tra di essi esiste uno strettissimo e indissolubile legame: la logica più profonda della fede.

Il mondo, in cui viviamo, in cui veniamo alla luce e moriamo, non ha in se stesso la vita eterna, non è neppure capace di darla all'uomo. La vita eterna è soltanto in Dio e da Dio. La vita eterna è una prospettiva dell'uomo soltanto nel mondo che ha il suo inizio in Dio. Tale e appunto il mondo "creato" di cui parla il simbolo apostolico dalle prime parole: "Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra...".

Questo giorno e quello del 2novembre suscitano in noi un particolare bisogno di riflessione. Assecondiamolo, lasciandoci guidare fino alla fine, dalla logica della fede, seguendo dall'inizio fino alla fine il nostro "credo".


2. Credo in Dio, Padre onnipotente... Una settimana fa ha concluso le sue laboriose discussioni il Sinodo dei Vescovi, riunito nella sessione dedicata ai compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. Occorrerà ancora tornare, e più di una volta, ai lavori di quel Sinodo, alle sue conclusioni e "proposizioni" finali.

Oggi, nel giorno di tutti i santi, pensiamo in particolare che tutti coloro, che noi veneriamo così solennemente il primo di novembre, devono l'inizio della loro vita su questa terra alla famiglia. Che essi furono figli dei loro padri e delle loro madri. Che furono fratelli delle loro sorelle, e sorelle dei loro fratelli. Che spesso essi stessi furono, a loro volta, padri e madri di famiglia. La divina vocazione alla santità, che Cristo ci ha portato nello Spirito Santo, passa attraverso la famiglia: attraverso tante famiglie nelle diverse nazioni, continenti e razze; è una vocazione rivolta a tutte le famiglie, e ad ogni famiglia in particolare.

Nella solennità di tutti i santi veneriamo il frutto definitivo della comune vocazione alla santità, che è passata attraverso tante famiglie sulla terra. Ed ecco, insieme col compimento di questa vocazione insieme con la risposta ai molteplici doni della grazia di Dio, è cresciuta e costantemente cresce nel regno del secolo venturo una grande famiglia divina. In questa famiglia si rivela, fino alla fine, la paternità di Dio, che noi professiamo qui, in terra, dicendo: credo in Dio, Padre onnipotente. Questa famiglia, nel regno del secolo venturo, è condotta al Padre da Gesù Cristo, Figlio di Dio, nello Spirito Santo. Questa famiglia vive della pienezza divina della verità e dell'amore, godendo, in eterno, dell'intima unione con Dio nel mistero della comunione dei santi.

San Giovanni scrive: "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo pero che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2).


3. Nella solennità di tutti i santi, meditando su questi grandi misteri divini, desidero pure ringraziare, insieme con voi, il Signore per il dono inestimabile del sacramento del sacerdozio, che ho ricevuto 34 anni fa dalle mani del Cardinale Adamo Stefano Sapieha, a quel tempo metropolita di Cracovia.

Data: 1980-11-01Data estesa: Sabato 1Novembre 1980.


L'omelia al cimitero del Verano - Roma

Titolo: Dalla comunione con i nostri defunti l'incoraggiamento a proseguire nella fede

Cari fratelli e sorelle! 1. Sono lieto di trovarmi oggi in mezzo a voi per celebrare insieme la solennità di tutti i santi, una delle maggiori dell'anno liturgico, certo fra le più caratteristiche e più care al popolo cristiano. Sono anche lieto di concelebrare questa santa messa con un folto numero di parroci della città, i quali rappresentano nella comunione dell'altare non solo i loro benemeriti confratelli, ma anche tutte le comunità parrocchiali di Roma, sempre presenti al mio cuore ed alle mie preoccupazioni pastorali di Vescovo dell'urbe.


2. La festa odierna richiama e propone alla comune meditazione alcune componenti fondamentali della nostra fede cristiana. Al centro della liturgia ci sono soprattutto i grandi temi della comunione dei santi, della destinazione universale della salvezza, della fonte di ogni santità che è Dio stesso, della certa speranza nella futura e indistruttibile unione col Signore, del rapporto esistente tra salvezza e sofferenza, e di una beatitudine che già fin d'ora qualifica coloro i quali si trovano nelle condizioni descritte da Gesù nel Vangelo secondo Matteo. In chiave a tutta questa ricca tematica, pero, c'è la gioia, come abbiamo recitato nell'antifona d'ingresso: "Rallegriamoci tutti nel Signore in questa solennità di tutti i santi"; ed è una gioia schietta, limpida, corroborante, quale quella di chi si ritrova in una grande famiglia dove sa di affondare le proprie radici e da cui trarre la linfa della propria vitalità e della propria stessa identità spirituale.


3. La prima lettura biblica, tratta dal libro dell'Apocalisse di Giovanni, ci trasporta, in termini fortemente immaginosi, nel mezzo della corte celeste, "in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello", in un contesto di straripante esultanza e di vasti orizzonti. Qui incontriamo "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7,9). Ed e già questo un dato consolante, che dà respiro alla nostra anima, poiché ci viene assicurato che siamo in molti a far festa. Quando un giorno un tale chiese a Gesù: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?", egli non rispose direttamente; tuttavia, pur ricordando la necessità di "entrare per la porta stretta", prosegui: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio" (Lc 13,23 Lc 13,24 Lc 13,29). Ebbene, noi oggi siamo immersi col nostro spirito tra questa innumerevole folla di santi, di salvati, i quali, a partire dal "giusto Abele" (Mt 23,35), fino a chi forse in questo momento sta morendo in qualche parte del mondo, ci fanno corona, ci fanno coraggio, e cantano tutti insieme un poderoso coro di gloria a colui, che i salmisti chiamano a ragione "il Dio della mia salvezza" (Ps 25,5) e "il Dio della mia gioia e del mio giubilo" (Ps 43,4).


4. In effetti, in questo giorno, in cui viviamo con particolare accentuazione la vivificante realtà della comunione dei santi, dobbiamo tenere fermamente presente che all'inizio, alla base, al centro di questa comunione c'è Dio stesso, che non solo ci chiama alla santità, ma pure e soprattutto magnanimamente ce la dona nel sangue di Cristo, vincendo così i nostri peccati. Ecco perché i santi dell'Apocalisse "gridano a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio... e all'Agnello" (Ap 7,10), e poi "si inchinano profondamente con la faccia davanti al trono e adorano Dio dicendo: Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli" (Ap 7,12). Anche noi dobbiamo sempre cantare al Signore un inno di gratitudine e di adorazione, come fece Maria col suo "magnificat", per riconoscere e proclamare gaudiosamente la magnificenza e la bontà del "Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce... e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" (Col 1,12 Col 1,13). La festa di tutti i santi, perciò, ci invita anche a non ripiegarci mai su noi stessi, ma a guardare al Signore per essere raggianti (cfr. Ps 34,6); a non considerare le nostre povere virtù, ma la grazia di Dio che sempre ci confonde (cfr. Lc 19,5-6); a non presumere delle nostre forze, ma a confidare filialmente in colui che ci ha amati quando ancora eravamo peccatori (cfr. Rm 5,8); ed anche a non stancarci mai di operare il bene, perché in ogni caso la nostra santificazione è "volontà di Dio" (1Th 4,3).


5. Da parte sua, il Vangelo che è stato letto poco fa ci ricorda un aspetto essenziale della nostra identità cristiana e del costitutivo della santità. Le beatitudini pronunciate così solennemente da Gesù si collocano, da una parte, in antitesi con alcuni valori che sono invece onorati dal mondo e, dall'altra, nella prospettiva di una sorte futura e definitiva, in cui le situazioni vengono ribaltate. Esse stanno o cadono tutte insieme; non se ne può estrarre una sola e coltivarla a scapito delle altre. Tutti i santi sono sempre stati e sono contemporaneamente, anche se in varia misura, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati a causa del Vangelo. E così dobbiamo essere anche noi. In più, sulla base di questa pagina evangelica, è evidente che la beatitudine cristiana, come sinonimo di santità, non è disgiunta da una componente di sofferenza o almeno di difficoltà: non è facile essere o voler essere poveri, miti, puri; né si vorrebbe essere perseguitati, neppure per causa della giustizia. Ma il regno dei cieli è per gli anticonformisti (cfr. Rm 12,2), e valgono anche per noi le parole di san Pietro: "Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome" (1P 4,14-16). Infatti, la nostra prospettiva non è a breve termine, ma senza fine. Sono scritte per noi le parole illuminanti dell'apostolo Paolo: "Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne" (2Co 4,17-18).


6. Cari fratelli e sorelle, il luogo cimiteriale in cui siamo radunati ci invita a meditare anche sulla nostra sorte futura mentre ciascuno pensa ai propri cari, che già ci hanno preceduti nel segno della fede e dormono il sonno della pace. La seconda lettura biblica della messa, tratta dalla prima lettera di san Giovanni apostolo, si esprimeva così: "Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato" (1Jn 3,2). C'è dunque uno scarto fra ciò che già siamo e ciò che ancora saremo, cioè, in un certo senso, tra ciò che siamo noi e ciò che già sono i nostri trapassati. Tra questi due poli si colloca la nostra attesa e la nostra speranza, che va ben oltre la morte, perché la considera soltanto come un passaggio per incontrare definitivamente il Signore e per essere "simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2). Oggi siamo anche invitati a vivere una particolare comunicazione con i nostri defunti, nella vigilia della commemorazione liturgica ad essi dedicata con la ricorrenza di domani. Nella fede e nella preghiera ristabiliamo così i vincoli familiari con loro, che ci guardano, ci seguono e ci assistono. Essi, in attesa della risurrezione, già vedono il Signore "così come egli è", e perciò ci incoraggiano a proseguire il cammino, anzi il pellegrinaggio che ancora ci resta su questa terra.

Infatti, "non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura" (He 13,14). L'importante è che non ci stanchiamo e soprattutto non perdiamo di vista il traguardo finale. Il pensiero rivolto ai nostri defunti ci aiuta in questo, poiché essi già sono là dove saremo anche noi. Anzi, c'è un terreno comune tra noi e loro che ce li rende vicini ed è il medesimo inserimento nel mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sulla base dello stesso battesimo: qui noi ci diamo la mano perché in quest'ambito non esiste la morte, ma solo un'unica corrente di vita intramontabile.

Da questa fede deriva la nostra letizia e la nostra forza. Che il Signore ce la mantenga sempre intatta e feconda. E con la sua grazia ci protegga e ci sostenga sempre. così sia!

Data: 1980-11-01Data estesa: Sabato 1Novembre 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rinascano i pensieri di pace dall'incontro con l'eternità

1. Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, / come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. / Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, / non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. / Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; / se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. / Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? / O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? / Tu risparmi tutte le cose, / perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, / poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. / Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli / e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, / perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore" (Sg 11,22-12,2).

Oggi la Chiesa celebra la "commemorazione di tutti i fedeli defunti". Le sopracitate parole del libro della sapienza, desunte dalla prima lettura della domenica trentunesima "per annum", possono aiutare molto ciascuno di noi a vivere questo incontro con l'eternità, che portano in sé i primi due giorni di novembre.

Queste parole ci accompagnino durante la visita ai cimiteri, quando ci fermeremo presso le tombe dei nostri defunti, vicini o lontani, conosciuti o sconosciuti: "...poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose" (Sg 12,1).

Che queste visite ai defunti, questi incontri con loro, siano avvalorati, nei nostri cuori, dalla speranza che "è piena di immortalità" (Sg 3,4).


2. Ritorno, ancora una volta, al Sinodo dei Vescovi che, una settimana fa, ha terminato i suoi lavori dedicati ai compiti della famiglia nel mondo contemporaneo. Perché oggi voglio dire che la famiglia è un luogo particolare dell'uomo. In questo luogo, in questa comunità, viene salutata con gioia la sua nascita, la sua venuta al mondo; e in questo luogo, soprattutto, si risente la sua scomparsa, la sua morte.

Il giorno dei defunti è un giorno particolare per le famiglie. Esse si dirigono, in questo giorno, nei luoghi dove riposano i loro defunti più vicini e più cari; si incontrano, nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione, presso le loro tombe.

Rivivono ricordi gioiosi e dolorosi; a volte le lacrime cominciano a scorrere sul viso, così grande è il senso della vicinanza, nonostante la morte, così grande è la commozione! Appartengono alla famiglia anche coloro che sono dipartiti, e tuttavia rimangono nei cuori, perché tanto profondamente ci ha legato ad essi il mistero della vita e dell'amore. Permangono nella vedovanza dei loro rispettivi mariti e mogli, rimasti in vita. Permangono nello stato di orfani dei loro figli.


3. In questo giorno vorrei ricordare tutti i morti di quest'anno, e in particolare le vittime di catastrofi naturali e dei numerosi, troppi episodi di violenza, di rapimenti, di terrorismo accaduti in diversi paesi del mondo.

Penso alle schiere di bambini innocenti - come agli alunni della scuola di Ortuella in Spagna -, a tante persone che, nei luoghi di lavoro, per le strade o nella propria casa, furono travolte, ignare, da atti di distruzione e di morte, di cui spesso neppure conobbero la causa.

Penso ad un piccolo paese, El Salvador, e ad altri paesi del mondo tormentati da un cronico prolungarsi di violenze e di uccisioni, che provocano lutti nelle famiglie e nella comunità ecclesiale. Vorrei rinnovare, anche in nome della pietà per i morti, un appello accorato perché prevalga in tutte le parti responsabili il sentimento di riconciliazione dettato dalla coscienza cristiana e dall'amore per la propria patria.

Vorrei non dimenticare le vittime della guerra che da alcune settimane infuria tra l'Irak e l'Iran, con scontri sanguinosi tra gli eserciti e bombardamenti di città e di popolazioni indifese; purtroppo, la stessa opinione pubblica del mondo sembra abituarsi facilmente persino allo spettacolo di così terribili distruzioni.

Mentre la nostra preghiera vuole abbracciare la sorte anche di questi nostri fratelli, invochiamo Dio onnipotente e misericordioso perché faccia rinascere pensieri di pace, e in particolare risvegli il desiderio di risolvere i contrasti con la trattativa, nel rispetto dell'integrità dei diritti umani, nazionali e territoriali dei paesi coinvolti nel conflitto.


4. Nel giorno della commemorazione dei defunti oltrepassiamo, in un certo senso, i limiti della loro assenza, il cui segno è la tomba fredda, e ci uniamo con loro nella fede che ci conduce alla casa del Padre.

E insieme con l'autore del libro della Sapienza ripetiamo a quel Padre: "Signore, tutto tu puoi... e tu ami tutte le cose che hai creato..." (cfr. Sg 11,23-24). Tu ami l'uomo che hai creato a tua somiglianza e lo hai redento mediante il sangue del tuo Figlio. Tu ami l'uomo...

[Omissis. Seguono i saluti ad un gruppo di genitori provenienti da Bergamo e da Verona.]

Data: 1980-11-02Data estesa: Domenica 2Novembre 1980.


L'omelia alla parrocchia di Nostra Signora del santissimo Sacramento e dei santi martiri canadesi - Roma

Titolo: Sull'esempio dei vostri santi cercate di "vedere" Cristo

1. "Ti lodino, Signore, tutte le tue opere / e ti benedicano i tuoi fedeli. / Dicano la gloria del tuo regno / e parlino della tua potenza" (Ps 144 [145],10-11).

Con tali parole, prese dalla liturgia della domenica seguente alla solennità di tutti i santi, desidero venerare i santi martiri canadesi, patroni della vostra parrocchia. E al tempo stesso, mentre rendo venerazione a coloro che proteggono la vostra comunità dall'anno 1955, desidero salutare questa comunità nell'unione della Chiesa romana.

Infatti oggi vengo a voi come Vescovo di questa Chiesa per mettere in evidenza l'unione della vostra parrocchia con la Chiesa che è prima fra tutte, della quale i fondatori furono gli apostoli Pietro e Paolo, e il primo pastore fu Pietro, corifeo dei dodici apostoli.


2. Grande è la mia gioia nell'incontrarmi con voi, in questa magnifica chiesa, e proprio nel venticinquennio di vita della vostra parrocchia! Desidero prima di tutto porgervi il mio saluto: è il saluto del vostro vescovo, che vi ama, vi segue, vi è sempre vicino con la sua preghiera e la sua ansia di padre, pastore ed amico. E' il saluto cordiale e affettuoso che rivolgo al Cardinale Roy, Arcivescovo di Quebec, in Canada, titolare di questa chiesa, al Cardinale vicario e al Vescovo ausiliare monsignor Oscar Zanera, ringraziandoli per il loro lavoro assiduo e diligente; è il saluto ai rappresentanti dello Stato canadese; è il saluto che estendo al parroco e ai sacerdoti sacramentini, suoi collaboratori, i quali con cura costante e amorevole reggono la parrocchia, con l'unico assillo di formare di voi dei veri cristiani; è il saluto che desidero porgere anche al superiore generale della congregazione dei sacerdoti del santissimo Sacramento, padre Enrico Verhoeven, e a tutti i componenti della curia generalizia, che qui ha la sua sede.

Ma in modo speciale voglio salutare voi, fedeli, che insieme con la comunità dei fratelli saveriani, gli appartenenti al movimento dei focolarini e le suore di sette comunità religiose, formate il "Popolo di Dio" di questa Chiesa locale, testimone del Cristo risorto, pellegrinante tra le vicende della storia verso la Gerusalemme celeste! Ognuno di voi, bambini, giovani, adulti, anziani, malati, sofferenti, vicini e lontani, si senta in questo momento vicino al cuore del Papa! Sono venuto a farvi visita, una visita tanto desiderata, per dirvi che sono contento del vostro lavoro e del vostro impegno, per manifestare a voi e ai vostri sacerdoti il mio più vivo compiacimento.

La vostra parrocchia compie venticinque anni di vita e poiché la Chiesa venne eretta in gran parte con i fondi raccolti dai padri sacramentini in Canada, fu dedicata ai santi martiri canadesi e divenne perciò il tempio nazionale di questa nazione in Roma. Voi conoscete la drammatica e gloriosa vicenda di questi otto martiri gesuiti, che al seguito di san Giovanni Brebeuf partirono intrepidi dalla Francia e sbarcarono in quella grande nazione per catechizzare gli Uroni. La loro missione fu una dura e lunga "via crucis", coronata da tante conversioni al Vangelo di Cristo. E soprattutto sapete come la loro testimonianza di amore si concluse col martirio. La loro fede coraggiosa e decisa è stata per voi di grande esempio in questo periodo; la loro intercessione è stata per questa parrocchia una grande forza spirituale. Infatti, quanto lavoro è stato compiuto in questi venticinque anni! Ringraziamo il Signore per l'abbondanza dei suoi doni e ringraziamo anche i santi martiri, che insieme alla Madonna, nostra Signora del santissimo Sacramento, vi hanno protetti e ispirati in tutte le vostre attività.


3. Il frammento del Vangelo di san Luca, che la liturgia propone da meditare nella trentunesima domenica durante l'anno, ricorda l'episodio che ebbe luogo, mentre Gesù stava attraversando la città di Gerico. Fu un avvenimento talmente significativo, che sebbene ormai conosciuto a memoria, bisogna ancora una volta meditare con attenzione sui suoi singoli elementi.

Zaccheo era non solo un pubblicano (così come lo era stato Levi - poi apostolo Matteo), ma un "capo dei pubblicani" ed era molto "ricco". Quando Gesù passava vicino alla sua casa, Zaccheo, a tutti i costi "cercava di vedere... Gesù" (Lc 19,3), e a questo scopo - essendo piccolo di statura - quel giorno sali su di un albero (l'evangelista dice "su un sicomoro"), "per poterlo vedere" (Lc 19,4).

Cristo in questo modo vide Zaccheo e si rivolse a lui con le parole che ci danno tanto da pensare. Infatti Cristo non solo fece capire di averlo visto (lui - capo dei pubblicani, quindi uomo di una certa posizione) sull'albero, ma di più, dichiaro dinanzi a tutti di voler "fermarsi a casa sua" (cfr. Lc 19,5). Il che suscito gioia in Zaccheo, e nello stesso tempo mormorazione tra coloro ai quali tali manifestazioni dei rapporti del maestro di Nazaret con "i pubblicani e peccatori" evidentemente non piacevano.


4. Questa è la prima parte della pericope, che merita una riflessione. Occorre soprattutto fermarsi sull'affermazione che Zaccheo "cercava di vedere... Gesù" (Lc 19,5). E' una frase molto importante che dobbiamo riferire a ciascuno di noi qui presenti - anzi, indirettamente ad ogni uomo. Voglio io "vedere Cristo"? Faccio tutto per "poterlo vedere"? Questo problema, dopo duemila anni, è attuale come allora quando Gesù attraversava le città e i villaggi della sua terra. E' il problema attuale per ognuno di noi personalmente: voglio? voglio veramente? O, forse, piuttosto evito l'incontro con lui? Preferisco di non vederlo e preferisco che egli non mi veda (almeno al mio modo di pensare e di sentire)? E se già lo vedo in qualche modo, allora preferisco vederlo da lontano non avvicinandomi troppo, non spingendomi davanti ai suoi occhi per non scorgere troppo, per non dover accettare tutta la verità che è in lui, che proviene da lui - da Cristo? Questa è una dimensione del problema, che nascondono in sé le parole dell'odierno Vangelo su Zaccheo.

Ma c'è ancora un'altra dimensione sociale. Essa ha molte cerchie, ma io voglio mettere questa dimensione nella cerchia concreta della vostra parrocchia.

Infatti la parrocchia, e cioè una viva comunità cristiana, esiste perché Gesù Cristo sia costantemente visto sulle vie dei singoli uomini, delle persone, delle famiglie, degli ambienti, della società. E questa vostra parrocchia, dedicata ai martiri canadesi, fa di tutto perché il più grande numero di uomini "voglia vedere Cristo Gesù"? così come Zaccheo? E poi: che cosa potrebbe fare di più a questo scopo? 5. Soffermiamoci su queste domande. Anzi, completiamole con le parole della preghiera, che troviamo nella seconda lettura della messa, tratta dalla lettera di san Paolo ai Tessalonicesi: Fratelli "...preghiamo di continuo per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo" (2Th 1,11-12). Cioè - parlando col linguaggio dell'odierno brano evangelico - preghiamo, perché voi cerchiate di vedere Cristo (cfr. Lc 19,3), perché gli andiate incontro, come Zaccheo... e che, se siete piccoli di statura, saliate, per tale motivo, su un albero.

E Paolo continua a sviluppare la sua preghiera, chiedendo ai destinatari della sua lettera di non lasciarsi troppo facilmente confondere e turbare, da pretese ispirazioni... (cfr. 2Th 2,2). Da quali "ispirazioni"? Forse semplicemente dalle "ispirazioni di questo mondo". Diciamolo nel linguaggio odierno: da una ondata di secolarizzazione e di indifferenza riguardo ai maggiori valori divini e umani. Poi dice Paolo: "né da parole". Infatti non mancano oggi le parole che hanno di mira il "confondere" o il "turbare" i cristiani.


6. Zaccheo non si è lasciato confondere né turbare. Non si è spaventato che l'accoglienza di Cristo nella propria casa potesse minacciare, per esempio, la sua carriera professionale o render difficili alcune azioni, connesse con la sua attività di capo dei pubblicani. Egli accoglie Cristo nella sua casa e dice: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto" (Lc 19,8).

A questo punto diventa chiaro che non soltanto Zaccheo "ha visto Cristo", ma contemporaneamente, Cristo ne ha scrutato il cuore e la coscienza; lo ha radiografato fino in fondo. Ed ecco, si compie ciò che costituisce il frutto proprio del "vedere" Cristo, dell'incontro con lui nella piena verità: si compie l'apertura del cuore, si compie la conversione. Si compie l'opera della salvezza.

Lo manifesta Gesù stesso quando dice: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo: il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (Lc 19,9-10). Ed è questa una delle più belle espressioni del Vangelo.

Queste ultime parole hanno un'importanza particolare. Esse svelano l'universalismo della missione salvifica di Cristo. Della missione che permane nella Chiesa. Senza queste parole sarebbe difficile comprendere l'insegnamento del Vaticano II e in particolare sarebbe difficile comprendere la costituzione dogmatica sulla Chiesa "Lumen Gentium".


7. Anche la vostra parrocchia deve cercare di accogliere sempre più Gesù tra i suoi membri, deve sempre più migliorare, sia nello spirito e nella formazione, sia nelle varie attività.

Molti sono i gruppi organizzati: l'Azione Cattolica, le comunità neocatecumenali, l'aggregazione del santissimo Sacramento, l'apostolato della preghiera, la compagnia di san Vincenzo, la "legio Mariae", il gruppo "famiglia" e il movimento "terza età". Mentre vi esprimo il mio plauso sincero, vi esorto pure ad essere sempre più fervorosi e ad allargare le vostre fila, affinché molti altri possano respirare questa atmosfera di intensa spiritualità. La vostra parrocchia mi pare caratterizzata da due particolari attività: la catechesi ordinata e metodica e l'adorazione al Santissimo. Mi fa piacere sapere che oltre cento catechisti, qui preparati, prestano la loro opera in Roma, in Italia e anche all'estero; e che ogni giorno, durante ben sei ore, si tiene la pubblica adorazione, che si protrae talvolta anche di notte. Continuate in questo magnifico cammino di fede, di amore, di testimonianza! Allargate la catechesi specialmente agli adulti, sia in parrocchia per i vari gruppi organizzati e per i vari ceti di persone, sia nei palazzi e nei rioni. Pregate anche per le vocazioni sacerdotali e la loro perseveranza. Che la vostra parrocchia "veda" sempre più Cristo, e faccia incontrare Cristo a raggio sempre più vasto! 8. Oggi ascoltiamo con una particolare emozione le parole del Vangelo di san Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

Pensiamo ai martiri canadesi, pensiamo a tutti i santi la cui solennità abbiamo celebrato ieri. Al tempo stesso ricordiamo i nostri defunti, dei quali oggi si fa la commemorazione in tutta la Chiesa. Sentiamoci uniti ad essi, che già "vedono" il Signore a faccia a faccia, o attendono nella misteriosa purificazione di raggiungere il suo volto. Aiutiamoli col nostro suffragio, col nostro ricordo affettuoso e pio. Preghiamo per essi, con fiducia, questo Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché ciascuno che crede in lui abbia la vita eterna.

Rinnoviamo in noi la fede e la speranza della vita eterna: poiché "il Figlio dell'uomo... è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (Lc 19,10).

Data: 1980-11-02Data estesa: Domenica 2Novembre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Udienza ai visitatori giunti dalla Svezia - Città del Vaticano (Roma)