GPII 1980 Insegnamenti - Angelus Domini, con gli handicappati - Osnabrück (Germania)


L'omelia della messa per i lavoratori - Magonza (Germania)

Titolo: Il significato del lavoro nella redenzione

Cari fratelli e sorelle!

1. "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Ph 1,2). Con questo augurio di benedizione dell'apostolo saluto voi tutti di cuore.

Il mio fraterno saluto è per il venerato Vescovo della diocesi di Magonza, il signor Cardinale Hermann Volk ed i Vescovi ed i sacerdoti qui presenti: in modo particolare, pero, è oggi per voi, cari lavoratori e lavoratrici cattoliche di vicino e di lontano.

La liturgia della domenica odierna, la parola di Dio, che abbiamo ascoltato con intimo raccoglimento, ci dispone in maniera particolare ad affrontare temi importanti, che sono proposti dalla vostra presenza e dalle parole di saluto che mi sono state rivolte all'inizio.

L'incontro con il mondo del lavoro, che mi è stato reso possibile a Magonza, vicino alla tomba di un grande precorritore ed apostolo della questione sociale del secolo passato, cioè del Vescovo magontino Guglielmo Emanuele von Ketteler, mi richiama vividi ricordi di tutta una serie di simili incontri nel tempo del mio servizio alla sede di san Pietro (Guadalajara e Monterrey nel Messico, l'incontro a Jasna Gora in Polonia con la grande massa di minatori e metalmeccanici della Slesia, Limerick nell'Irlanda, Des Moines negli Stati Uniti, a Torino, la più grande città industriale d'Italia, a Saint-Denis nell'ambito di Parigi, infine a San Paolo in Brasile). Sono sempre incontri particolarmente importanti non solo dal punto di vista sociale, ma anche evangelico. Il problema del lavoro umano va posto al centro di quel patto, che il Creatore ha concluso con l'uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, e che egli ha riaffermato e rinnovato in Gesù Cristo, che lo visse egli stesso per molti anni, a Nazaret, in una officina.

Perciò non c'è da meravigliarsi, che la questione sociale, legata come al fondamento con la realtà del lavoro umano, prenda un posto centrale nelle dichiarazioni del magistero ecclesiastico. Essa appartiene irrinunciabilmente all'annuncio del Vangelo, specie nel mondo presente.

Se per questo affrontiamo il tema di oggi, vogliamo seguire la voce della liturgia, che ci pone "davanti al Signore che viene / perché viene a giudicare la terra. / Giudicherà il mondo con giustizia / e con verità tutte le genti" (Ps 95 [96],13).

La configurazione della giustizia umana e la misura che deve essere applicata a tutta la questione sociale, ancor sempre in espansione, debbono essere viste dalla prospettiva definitiva della giustizia di Dio stesso. La liturgia della odierna domenica, penultima dell'anno liturgico, ci è di molto aiuto.


2. Nella lettura della seconda lettera di san Paolo ai tessalonicesi il tema del lavoro umano viene trattato in maniera del tutto aperta e diretta in base all'esperienza personale dell'apostolo: "noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare" (2Th 3,7-9).

Paolo di Tarso univa la sua missione ed il suo servizio apostolico con il lavoro, con il lavoro di artigiano. Come Cristo ha unito l'opera della sua redenzione con il lavoro nella officina di Nazaret, così Paolo ha unito l'apostolato con il lavoro delle sue mani. Possa ciò essere un richiamo per molti tra di voi, anzi per tutti, un richiamo all'intero mondo cristiano del lavoro: guardate il problema del lavoro nella dimensione dell'opera di redenzione ed unite il lavoro con l'apostolato! La Chiesa del nostro tempo ha bisogno in modo particolare di questo apostolato del lavoro: dell'apostolato dei lavoratori e dell'apostolato in mezzo ai lavoratori, per illuminare con la luce del Vangelo questo ampio settore della vita. Proprio come fece il Vescovo Ketteler! Sul lavoro dell'uomo deve rifulgere la luce della verità e dell'amore di Dio! Essa non deve essere coartata dalle ombre della ingiustizia, dello sfruttamento, dell'odio e della umiliazione dell'uomo! A questo apostolato compete un grande compito nella pastorale dei lavoratori nelle diocesi e nelle comunità come pure alla efficenza delle vostre associazioni, che si dedicano soprattutto al mondo del lavoro. Evidentemente i lavoratori risentono più di altri dell'effetto deleterio di un intimo isolamento, con tutti gli aggravi che ne seguono per la fede. Desidero richiamare a nuovi e più energici sforzi in particolare le vostre associazioni, che già hanno, per diversi motivi, acquisiti meriti storici, particolarmente il movimento cattolico dei datori di lavoro, la gioventù operaia cristiana e l'opera di Kolping - per amore degli uomini creati da Dio e redenti da Cristo.


3. Nella seconda lettera ai tessalonicesi leggiamo: "A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace" (2Th 3,12). Poco prima l'apostolo ha espresso lo stesso pensiero in maniera molto lapidaria: "Chi non vuole lavorare, neppure mangi" (2Th 3,10).

Queste chiare parole, lette nel contesto dell'odierno sviluppo della questione sociale, ci portano a ricordare i principi della dottrina sociale cattolica. Essi furono esposti, dopo l'enciclica "Rerum Novarum" emanata dal mio venerato predecessore Leone XIII nell'anno 1891, in innumerevoli dichiarazioni del magistero ecclesiastico, specialmente del Concilio Vaticano II, con cura pastorale profondamente sentita; furono spiegati in numerose epoche da molti studiosi cattolici, specialmente di lingua tedesca, e comunicati al popolo cristiano lavoratore dal molteplice sforzo di zelanti pastori d'anime e di laici responsabili. Non lasciate intristire deplorevolmente questa eredità spirituale di credenti precursori nel campo della questione sociale; lasciate invece che essa porti frutti concreti per i vecchi e nuovi problemi che vi preoccupano.

Al centro di tutte le riflessioni sul mondo del lavoro e sull'economia deve starci sempre l'uomo. Con tutta la obiettiva giustizia richiesta, deve sempre essere decisivo il rispetto per la dignità intangibile dell'uomo, non solo del singolo lavoratore, ma anche della sua famiglia, non soltanto degli uomini di oggi, ma anche delle future generazioni.

Da questo principio, che esige, ancor più che nel passato, un cambiamento di pensiero, discende anche la luce sulla comprensione dei problemi nel vostro paese, che qui posso ricordare solo brevemente, ma che mi sono ben presenti.

Penso, per esempio, a coloro il cui posto di lavoro è messo in pericolo oppure lo hanno perduto. Una ristrutturazione dei gruppi può mostrarsi, dopo una prova molto accurata, necessaria; e quanto più la si vede serenamente, tanto meglio è. Mai pero i lavoratori, che per molti anni hanno dato il loro meglio, debbono essere i soli a subirne gli svantaggi! Siate solidali con loro e aiutateli a trovare un nuovo lavoro qualificante. Ne avete già dato esempi incoraggianti.

Penso ai lavoratori che avete chiamato da altri paesi e che insieme a voi hanno creato ciò di cui oggi godete. Nei problemi che sono sorti il vostro senso di responsabilità troverà soluzioni, che non ledono la loro sensibilità umana e vengono incontro al bene spirituale delle loro famiglie.

Ulteriori ed ancor più profondi problemi derivano dal nostro urtare sempre più frequentemente contro i limiti dello sviluppo economico. Anche se non lo vogliamo, il progresso ci costringe a distaccarci dalle nostre pretese e a rinunciare a qualche cosa, per condividere pacificamente i beni limitati con il maggior numero possibile di uomini. Se il clima sociale comincia a irrigidirsi, i successivi processi di trasformazione sono superabili solo obiettivamente ed in collaborazione solidale fra tutti.


4. Nella considerazione di questi importanti problemi riguardanti la giustizia e un ampio benessere sociale non possiamo mai chiuderci entro i confini di un paese, di una comunità di paesi o anche di un continente. La questione sociale ha oggi una dimensione umana di natura mondiale. Questo emerge chiaramente dalle dichiarazioni del magistero degli ultimi Papi ("Mater et Magistra", "Populorum Progressio") e del Concilio Vaticano II. Se si dice spesso che da questo punto di vista c'è una tensione tra occidente ed oriente, è pero non meno significativa la tensione tra nord e sud. Per "nord" si intende la zona dei paesi ricchi, che vivono in una certa abbondanza. Il "sud", specialmente il cosiddetto terzo mondo, designa quella fascia di paesi le cui popolazioni dal punto di vista economico sono spesso sottosviluppate, conducono una vita grama, e sono perfino esposte a durissima fame fino a morirne.

Come cittadini avete il dovere di creare un clima politico, che metta in grado lo stato, soprattutto quelli ricchi, di prestare aiuti efficaci per lo sviluppo in tutte le forme necessarie a quei paesi svantaggiati e non raramente sfruttati.

Come cattolici avete cominciato da molti anni nelle vostre grandi istituzioni sociali a percepire in maniera esemplare ed in misura crescente la vostra corresponsabilità a dimensioni mondiali. Non desistete dai vostri sforzi! Aprite ancor più profondamente il vostro cuore alle necessità talora disperate di quei paesi! Come supremo pastore della Chiesa, sulle cui spalle pesa anche una responsabilità immediata anche per quei paesi, desidero in questa occasione ringraziarvi molto cordialmente, anche a nome di quei poveri e poverissimi, per i vostri sforzi e i vostri sacrifici. In modo particolare ringrazio tutti i credenti del vostro paese per l'ultimo segno di solidarietà tanto cordiale, cioè per la colletta realizzata in occasione della mia visita pastorale per il sollievo della durissima miseria nella regione del Sahel in Africa centrale.

Questa dimensione mondiale della questione sociale è un appello alla nostra coscienza umana e cristiana; essa segnerà sempre più l'impronta nell'ultimo quarto di questo secolo. La ricerca di soluzioni da parte di tutti gli uomini di buona volontà e l'apostolato di tutti i cristiani deve crescere in misura sempre maggiore in questa dimensione mondiale.

In nome del Vangelo! Ed insieme in nome della solidarietà umana! 5. Il problema sociale nella sua odierna dimensione storica e per ogni popolo è per tutta l'umanità strettamente legato con il compito centrale, di assicurare la pace nel mondo. "Justitia et pax". Giustizia e pace! come qui l'una dipende dall'altra: ce lo ha mostrato Papa Giovanni XXIII nella sua enciclica "Pacem in Terris". Ad essa dobbiamo pensare nuovamente, quando la liturgia ci ricorda le parole di Cristo sopra "guerre e rivoluzioni": "Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo" (Lc 21,10ss).

Queste parole derivano dal discorso "escatologico" secondo Luca. Cristo enumera i diversi segni per la "scomparsa del mondo in dolore"; essi si ripetono continuamente nella storia. Per questo aggiunge: "Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate! Devono infatti prima accadere queste cose, ma non sarà subito la fine" (Lc 21,9).

Ricordiamoci ancora con chiarezza della orribile atrocità della seconda guerra mondiale, specialmente noi, figli e figlie dei popoli europei. Ricordiamoci di quel tempo di tremende distruzioni e d'indescrivibili dolori, dello scempio e del disprezzo dell'uomo. Ciò non deve mai ripetersi per le generazioni dei nostri figli e nipoti, non più tra gli uomini, né nel nostro continente né altrove.

Vogliamo incessantemente pregare Dio, che questa spaventosa lezione della storia inculchi in tutto il mondo il rispetto dei diritti di ogni singolo uomo e di ogni singolo popolo. Quanto ciò è importante nel nostro vecchio continente! La preoccupazione per la pace non deve mai mancare nell'adempimento del nostro mandato cristiano; non può mai mancare negli sforzi di tutti gli uomini di buona volontà, specie di quanti hanno in questo particolari responsabilità.

Speriamo che la preoccupazione per la pace muova tutti i responsabili a cercare un continuo dialogo sui diversi problemi - per quanto possano essere tanto gravi e complessi -, e così rafforzare di giorno in giorno sempre più la pace tanto desiderata. Come potremmo non desiderare contemporaneamente che anche l'incontro di Madrid, sulla sicurezza e la collaborazione in Europa, possa contribuire a rafforzare la pace nel pieno rispetto dei diritti di ogni singolo uomo e di ogni popolo, compresa la libertà religiosa, sulla base dei principi riconosciuti nell'atto conclusivo di Helsinki.

Possa l'efficiente applicazione di questo autorevole principio dei diritti dell'uomo e dei diritti dei singoli popoli bandire dalla vita della umanità ogni forma di imperialismo, aggressione, dominio, sfruttamento e colonialismo! Dico ciò come figlio di una nazione che nel corso dei secoli ha molto sofferto ed è stata costretta a difendere con grande determinazione questi diritti dell'uomo e del popolo.

Udite su ciò il grido benedicente della liturgia di oggi, con le parole del profeta Malachia: possa salire "il sole di giustizia", ed i suoi raggi possano portare salute (cfr. Ml 4,2), per tutti!

6. Nel Vangelo odierno Cristo dice pure: "Guardate di non lasciarvi ingannare! Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e "il tempo è prossimo"; non seguiteli" (Lc 21,8).

Cari fratelli e sorelle! Vi preghiamo: rimanete saldi, irremovibili nella verità del Vangelo! Percorrete nella sua luce i sentieri della giustizia e della pace! Nessuno ci deve ingannare! Cristo dice ancora: "Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome" (Lc 21,12).

Cari fratelli e sorelle! Preghiamo per tutti gli uomini del mondo! Preghiamo particolarmente per i nostri fratelli nella fede, i cui diritti vengono violati. Preghiamo per quelli che soffrono per le repressioni, ai quali è negato quel che deriva dal principio della libertà di coscienza e di religione, comunque ciò si verifichi nel mondo.

Cristo dice infine: "Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi daro lingua e sapienza, cui tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime" (Lc 21,14-19).

Cari fratelli e sorelle! Noi pensiamo a tutti quelli, anche vostri compatrioti, che sono stati fedeli a questa parola del nostro Redentore e maestro in maniera eroica! Preghiamo perché tutti noi rimaniamo fedeli! Preghiamo il Signore che ci doni sempre il suo spirito di forza, specie nelle ore e nei tempi di prova! E che noi giorno per giorno possiamo rendergli testimonianza! 7. Cristo dice: "Questo vi darà occasione di rendere testimonianza" (Lc 21,13).

Ringraziamolo per queste parole. Ringraziamolo per questa straordinaria occasione di poter rendere testimonianza ad un Vangelo di pace e di giustizia, qui in Magonza, presso la tomba del grande pioniere ed apostolo di questo Vangelo, del vescovo Guglielmo Emanuele von Ketteler.

Per voi tutti, che onorate il nome del Signore, si levi sempre il sole della giustizia e con i suoi raggi venga a voi la salvezza. Amen. In questa felice occasione desidero rivolgere una parola di augurio e di gratitudine ai membri della comunità americana qui presente. Il vostro contributo nella preparazione di questa riunione è profondamente apprezzato. Prego lo Spirito di Dio che vi dia in abbondanza giustizia, pace e gioia, che costituiscono il regno di Dio. Da parte nostra, cari fratelli e sorelle, permettetemi una esortazione con le parole di san Paolo: "Diamoci alle opere della pace e alla edificazione vicendevole" (Rm 14,9). L'amore di Dio abiti sempre nei vostri cuori.

Data: 1980-11-16 Data estesa: Domenica 16 Novembre 1980.


Incontro con gli emigrati polacchi - Magonza (Germania)

Titolo: Con l'identità culturale difendete la vostra fede

Cari connazionali, amatissimi fratelli e sorelle! 1. Ringrazio la divina provvidenza e gli uomini, perché durante questo mio pellegrinaggio in terra tedesca posso incontrare i miei connazionali ai quali, qui in Germania, è capitato di vivere e di lavorare, di creare la loro storia, quella delle loro famiglie, del paese, e, al tempo stesso, la storia della salvezza.

Questa storia delle vie di Cristo all'uomo e delle vie dell'uomo a Dio decide dell'uomo e solamente in essa l'uomo può pienamente ritrovare se stesso, rileggere il valore e le possibilità del suo cuore e ritrovare un giusto posto nel mondo.

Proprio queste vie divine della salvezza, della grazia, della potenza e dell'amore desideriamo ritrovare sempre di nuovo, nel corso di questo pellegrinaggio, insieme con la Chiesa in Germania, con i suoi pastori e i suoi fedeli, con i nostri fratelli nella fede in Cristo, e anche con tutti gli uomini di buona volontà.


2. Trovandoci dinanzi alla millenaria Cattedrale di Magonza, che nel corso di secoli interi fu il luogo delle incoronazioni degli imperatori e dei re, non si può non pensare a tutto il processo storico della formazione della convivenza dei popoli nell'Europa cristiana; specie quando, sull'orizzonte della storia, nascevano all'autonoma esistenza nuove nazioni, nuovi paesi che, a volte, a grande prezzo conquistavano il loro posto nell'Europa, nel mondo e nella storia.

Conosciamo questo processo, le sue luci e le sue ombre, e sappiamo che non è stato e non è facile. Sappiamo che la vicinanza geografica, il vicinato debbono e possono essere una benedizione, ma, come tutto ciò che è umano, possono anche diventare una maledizione. Se è così, ciò vuol dire che esso è soprattutto un compito, un compito posto dinanzi ai singoli uomini, come pure dinanzi alle nazioni intere. così lo intendeva già il secondo sovrano storico della Polonia, il re Boleslaw Chrobry, che mediante l'alleanza con il cesare Ottone III ha introdotto la Polonia come un membro a pieni diritti nella latina società cristiana d'Europa.


3. Soltanto gli uomini santi sono capaci di costruire ponti stabili tra le nazioni, perché soltanto i santi fondano la loro attività sull'amore; sull'amore dell'uomo, perché costruiscono la loro vita e l'avvenire su Dio. "L'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio, conosce Dio... perché Dio è amore" (1Jn 4,7-8). Soltanto ciò che è costruito su Dio, sull'amore è durevole, come testimonia la venerazione, in atto fino adesso, della tomba a Trzebnica di sant'Edwige, patrona della riconciliazione.

Se il posto dei credenti e dei santi è occupato da uomini senza Dio, allora egoismo e odio diventano la legge, come testimonia la successiva storia della convivenza tra le nazioni tedesca e polacca.


4. Nel corso della storia, tra gli avvenimenti che si susseguono, tra le decisioni politiche, tra l'odio o l'amicizia, in mezzo a tutto ciò vi sono gli uomini concreti, che vogliono vivere, svilupparsi, mantenere la propria identità, i diritti, la libertà, la fede, la dignità: a questi soprattutto rivolgo il mio pensiero durante questo incontro.

Nel secolo scorso molti polacchi sono venuti in Germania per motivi economici. Con un difficile e faticoso lavoro essi hanno contribuito allo sviluppo economico del paese, che ha offerto loro il lavoro e il pane.

Dopo la prima guerra mondiale e dopo l'indipendenza riacquistata dalla Polonia, molti di loro sono rimasti in questo posto. E nei territori confinanti è rimasto un grande numero dei polacchi che vi abitavano prima. Si sono organizzati in una federazione culturale polacca con lo scopo di coltivare la tradizione e la cultura cristiana e polacca. Queste organizzazioni quasi sempre facevano capo a sacerdoti, che hanno avuto sollecitudine per una armonica convivenza e un legame cristiano d'amore.

Non era quella una vita facile. Forse voi stessi o i vostri padri siete stati esposti a parecchie umiliazioni e avete sofferto a causa della religiosità o dell'atteggiamento patriottico.


5. Gli avvenimenti dell'ultima guerra mondiale hanno influito seriamente sulla convivenza delle nazioni. Hanno portato tante sofferenze, danni e disgrazie.

Questi avvenimenti hanno fatto si che, dopo la conclusione dell'attività bellica, sul territorio tedesco si sono trovati quasi 2milioni di polacchi.

Alcuni hanno passato la geenna dei campi (=lager), altri, provati dall'enorme lavoro, altri ancora, condotti qui dagli avvenimenti della guerra, non poterono, per diversi motivi, ritornare in patria. Non si sono arresi alla disperazione.

Nonostante le difficili prove e avventure, nonostante la grave situazione materiale dovuta alla distruzione della guerra, si sono subito organizzati.

E' un grande merito dei sacerdoti polacchi. Consumati nei campi, essi si sono dati ad organizzare la vita religiosa per i loro connazionali. Dopo le terribili vicende della guerra bisognava di nuovo ricostruire la fede; la fede in Dio e la fede nell'uomo. Bisognava di nuovo ricostruire la fiducia nell'uomo; la fede nella propria dignità umana! E tutto ciò si poteva fare sul fondamento di Cristo, perché soltanto sul suo insegnamento, sull'etica cristiana dell'amore, della conversione e del perdono si poteva costruire l'avvenire e la nuova convivenza interumana. Ed è un grande merito proprio di quei sacerdoti ex-prigionieri dei campi di concentramento, se molta gente è tornata alla vita normale, che molti non si sono arresi, nel periodo difficile sotto ogni aspetto successivo alla guerra, ed hanno ritrovato di nuovo la fede, la dignità e l'amore.


6. Voi tutti, indipendentemente dalle circostanze e dal tempo del vostro arrivo, scrivete qui la vostra storia; qui portate avanti il vostro dialogo con Dio, con l'uomo, col mondo. Volete essere cittadini di pieno valore e contribuire allo sviluppo del paese, in cui vivete. Volete assicurare un futuro migliore ai vostri figli e nipoti. Qui ognuno di voi imprime e lascia una traccia irripetibile della sua esistenza, della sua vita, della sua fede, delle sue scelte, delle sue decisioni. Ciascuno deve quindi proteggere, rileggere e sviluppare ciò che è in lui, cioè che è dentro, che è iscritto nel suo cuore, deve ricordarsi del suolo, dell'eredità da cui è cresciuto, che lo ha formato e che costituisce una parte integrante della sua psiche e della sua personalità.

In tale spirito si esprimono i Vescovi del nostro continente nel messaggio indirizzato al mondo in occasione dell'anno giubilare di san Benedetto, patrono dell'Europa. Vi leggiamo tra l'altro: "La libertà e la giustizia richiedono che uomini e popoli abbiano uno spazio sufficiente per lo sviluppo dei valori che sono loro propri. Ogni popolo, ogni minoranza etnica ha una sua identità, tradizione e cultura. Questi valori hanno una grande importanza per il progresso umano e per la pace..." (Ioannis Pauli PP. II "Nuntius ab Europae Episcopis missus", die 28 sept. 1980).

Anche la verità rivelata arriva all'uomo nella cornice di una determinata cultura. Esiste quindi il grande pericolo che l'abbandono dei valori ereditati dalla cultura possa, di conseguenza, condurre alla perdita della fede, in particolare quando i valori della cultura del nuovo ambiente non hanno quel carattere cristiano che contraddistingue la cultura nativa.


7. Esiste ancora un altro pericolo. Bisogna stare attenti a non lasciarsi irragionevolmente affascinare e a non lasciarsi attrarre dalla civilizzazione tecnica con un simultaneo rischio per la fede, per la capacità di amare, in una sola parola, per tutto ciò che decide dell'uomo, della piena dimensione dell'uomo, e della sua vocazione.

Proprio il radicarsi nella tradizione, nella cultura impregnata, come quella polacca, dei valori religiosi farà si che "l'egoistica cultura e l'egoistica tecnologia del lavoro non riusciranno a ridurre l'uomo al ruolo di uno strumento del lavoro" (discorso a Salvador). Del valore dell'uomo in definitiva, decide ciò che egli è, non quanto egli ha. E se l'uomo è disposto a perdere la sua dignità, la fede, la coscienza nazionale soltanto per avere di più, un tale atteggiamento non può che condurre a disprezzare se stesso.

Invece, l'uomo consapevole della sua identità, proveniente dalla fede e dalla cultura cristiana degli avi e dei padri, conserverà la sua dignità, troverà il rispetto degli altri e sarà membro di pieno valore nella società in cui vive.


8. Una delle caratteristiche più profonde della religiosità polacca è la devozione e il culto di Maria, Madre di Dio.

Anche qui in Germania, ovunque si siano domiciliati i polacchi, hanno portato nel cuore l'amore alla Madre e a lei hanno affidato la loro sorte. Lo si è visto in modo particolare nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Una delle prime iniziative pastorali sono stati i pellegrinaggi ai santuari mariani in Germania. Fino a oggi poi vi recate, ogni anno, in pellegrinaggio a Neviges, a Maria Buchen, a Altötting o agli altri luoghi, come per esempio per la festa a Hannover.

In tutti questi santuari, così come nelle vostre chiese in cui voi vi riunite regolarmente, si trovano le immagini della Madonna di Czestochowa. La sua effige è stata vista su quasi tutti i vostri stendardi. La Madonna Nera di Jasna Gora vi parla dell'amore di Dio e vi ricorda la terra nella quale sono le vostre radici. Voi pregata davanti ad essa, a lei affidate le vostre famiglie, particolarmente in questo periodo in cui l'immagine della Signora di Czestochowa sta visitando tutti i centri pastorali dei polacchi in Germania. Maria, che nel momento dell'annunciazione ha creduto alla parola, è diventata la prima credente della nuova alleanza, la madre della nostra fede; ed essa ci conduce alla conoscenza più piena di Dio unico nella Trinità delle Persone.


9. Trovandomi qui oggi dinanzi a voi, non posso dimenticare, che il nostro precedente incontro ha avuto luogo nel settembre 197 8. Siamo stati qui allora insieme con il primate, che era a capo della delegazione dei Vescovi polacchi su invito dei Vescovi tedeschi. Il punto centrale dell'incontro con i connazionali è stato il santuario della Madre di Dio a Neviges. Tutto ciò ha avuto luogo appena poche settimane dopo l'elezione di Giovanni Paolo I. Secondo una valutazione umana, nessuno poteva prevedere che tra breve sarebbe capitato a me di diventare il suo successore nella sede di san Pietro a Roma. Questa circostanza dà un particolare significato a quell'incontro.

Ma ancora una volta voglio risalire a qualche anno indietro. Nel 1974, anche allora in settembre, partecipai, a Francoforte, al cinquantesimo di sacerdozio del compianto monsignore (protonotario apostolico) Edward Lubowiecki, che fu uno stretto collaboratore, prima della guerra, del grande metropolita di Cracovia; il Cardinale Adam Stefan Sapieha, e, dopo la liberazione dal campo di concentramento rimase qui, prima come vicario generale dell'arcivescovo J.Gawlina, e poi come visitatore canonico dei polacchi in Germania. Quel soggiorno è rimasto legato alla mia memoria, con la figura del Cardinale J.Dupfner così precocemente deceduto, che insieme con me volle celebrare la santa messa a Dachau.

Ricordando la figura di monsignor Lubowiecki, desidero, al tempo stesso, formulare i migliori auguri di ogni benedizione di Dio all'attuale rettore della missione cattolica polacca, reverendo Stefan Leciejewski, a tutti i sacerdoti, alle religiose, ed auguro il più cordiale "Szczesc Boze" a tutti i connazionali.

Vi saro sempre grato per le vostre preghiere.

Di cuore imparto la benedizione apostolica a voi qui presenti e a tutti coloro che non sono potuti venire; alle vostre famiglie e ai vostri cari. Con i sentimenti più cordiali abbraccio gli ammalati e le persone anziane, i solitari, gli abbandonati e i dimenticati dagli altri.

Vivamente saluto e benedico i giovani e i bambini.

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

Data: 1980-11-16 Data estesa: Domenica 16 Novembre 1980.


Incontro con il consiglio della chiesa evangelica - Magonza (Germania)

Titolo: Siamo chiamati all'unità nel dialogo di verità e di amore

Onorevole signor presidente del consiglio, illustri membri del consiglio della chiesa evangelica tedesca, cari fratelli in Cristo.

"Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!" (Rm 1,7). Con queste parole dell'apostolo delle genti saluto voi e tutti quelli che rappresentate. Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questo incontro nel paese dove la Riforma prese il suo inizio. Devo un grazie particolare a lei, signor presidente del consiglio, per le parole che ci hanno aiutato a prendere coscienza della dimensione di quest'ora e ancor più della nostra missione cristiana. Nella consapevolezza di questo dato, ci sia possibile - come un tempo - "rinfrancarci a vicenda" (Rm 1,12).

Il nostro stare insieme in quest'ora mattutina è per me un simbolo molto profondo per cui posso esprimermi con le parole di un antico inno: "Già l'aurora si leva all'orizzonte, come aurora egli sorga in noi; il Figlio è tutto nel Padre suo e il Padre tutto nel Verbo" ("Laudes", Feria II, hebdomada II per annum). Il nostro comune desiderio è che il Cristo possa risplendere in mezzo a noi e in questo paese come la luce della vita e della verità.

Ricordo in questo momento che nel 1510-1511Martin Lutero venne a Roma come pellegrino alle tombe dei principi degli apostoli, ma anche come uno che cercava la risposta ad alcuni suoi interrogativi. Oggi vengo io a voi, all'eredità spirituale di Martin Lutero; vengo da pellegrino, per fare di questo incontro in un mondo mutato un segno di unione nel mistero centrale della nostra fede.

Molte cose si presentano con urgenza alla nostra mente nel nostro incontro fraterno, molte più di quelle che possiamo esprimere nel breve tempo di cui disponiamo e con le nostre forze limitate. Permettetemi di dire, all'inizio del nostro colloquio, ciò che particolarmente mi commuove. Lo faccio collegandomi alla testimonianza della lettera ai romani, di quello scritto che fu del tutto decisivo per Martin Lutero. "Quella lettera è il vero capolavoro del Nuovo Testamento è il Vangelo più puro", scriveva egli nel 1522.

Alla scuola dell'apostolo delle genti possiamo prendere coscienza che tutti abbiamo bisogno di conversione. Non c'è vita cristiana senza penitenza. "Non c'è vero ecumenismo senza conversione interiore" (UR 7).

"Non vogliamo giudicarci l'un l'altro" (Rm 14,3). Vogliamo piuttosto riconoscere insieme la nostra colpa. Ciò vale anche per la grazia dell'unità: "Tutti hanno peccato" (Rm 14,3). Dobbiamo vedere e dire ciò con tutta serietà e trarne le nostre conseguenze. La cosa più importante è riconoscere sempre più profondamente quali conseguenze trae il Signore dalla defezione dell'uomo. Paolo lo riduce al denominatore: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20). Dio non cessa di "usare a tutti misericordia" (Rm 11,32). Egli dona suo Figlio, dona se stesso, dona perdono, giustificazione, grazia, vita eterna.

Possiamo riconoscere tutto ciò insieme.

Voi sapete che decenni della mia vita sono stati segnati dall'esperienza di sfide lanciate al cristianesimo dall'ateismo e dalla non credenza. Mi è perciò più chiaramente davanti agli occhi ciò che importa la nostra comune professione di Gesù Cristo, la sua parola e la sua opera in questo mondo, e come noi siamo spinti dall'urgenza imperiosa dell'ora a superare le differenze che ci dividono e a dare testimonianza della nostra crescente unione.

Gesù Cristo è la salvezza di tutti noi. Egli è l'unico mediatore. "Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue" (Rm 3,25). "Per suo mezzo noi siamo pacificati con Dio" (Rm 5,1) e fra di noi. In forza dello Spirito Santo siamo suoi fratelli, veramente ed essenzialmente figli di Dio. "Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio, coeredi di Cristo" (Rm 8,17).

Riflettendo sulla "confessio augustana", e attraverso numerosi contatti, ci siamo nuovamente resi conto che noi crediamo e professiamo insieme tutto ciò.

Lo hanno testimoniato i Vescovi tedeschi con la loro lettera pastorale "Venga il tuo Regno" (20 gennaio 1980). Essi hanno detto ai cattolici: "Ci rallegriamo di scoprire non solo un consenso parziale su alcune verità, ma anche un accordo sulle verità fondamentali e centrali. Ciò ci lascia sperare l'unità anche nell'ambito della nostra fede e della nostra vita, dove fino a questo momento siamo ancora divisi".

Tutta la gratitudine per ciò che ci resta di comune e ci unisce non ci può rendere ciechi su quanto ancora ci divide. Insieme dobbiamo prendere in considerazione ciò il più possibile, non per approfondire i fossati, ma per superarli. Non possiamo fermarci alla constatazione: "Siamo e rimaniamo per sempre divisi e contrapposti gli uni agli altri". Siamo chiamati a tendere insieme, nel dialogo della verità e dell'amore, alla piena unità nella fede. Solo l'unità piena ci dà la possibilità di radunarci con gli stessi sentimenti e la stessa fede all'unica mensa del Signore. Ci possiamo far dire dalle lezioni tenute da Lutero negli anni 1516-1517 sulla lettera ai romani in che cosa consiste soprattutto questo sforzo. Egli insegna che la "fede in Cristo per la quale siamo giustificati, non consiste solo nel credere in Cristo, o più esattamente nella persona di Cristo, ma nel credere in ciò che è di Cristo". "Dobbiamo credere in lui e in ciò che è suo". Alla domanda: "Che cos'è allora questo?", Lutero rimanda alla Chiesa e al suo insegnamento autentico. Se le difficoltà che sussistono tra noi riguardano solo "gli ordinamenti ecclesiastici d'istituzione umana" (cfr. "CA", VIII), le potremmo e dovremmo subito eliminare. Secondo la persuasione dei cattolici, il dissenso verte su "ciò che è di Cristo", su "ciò che è suo": la sua Chiesa e la sua missione, il suo messaggio, i suoi sacramenti e i ministeri posti al servizio della parola e del sacramento. Il dialogo instauratosi sin dal Concilio ci ha fatto realizzare dei progressi al riguardo. Proprio in Germania si sono fatti passi importanti. Ciò può ispirarci fiducia di fronte a problemi non ancora risolti.

Dobbiamo rimanere in dialogo e in contatto. Le questioni da affrontare insieme esigono di loro natura una trattazione ancora più ampia di quella che è qui possibile oggi. Spero che troviamo insieme la via per proseguire il nostro dialogo. Certamente i Vescovi tedeschi e i collaboratori del segretario per l'unione dei cristiani porteranno in ciò il loro aiuto.

Non possiamo lasciare nulla d'intentato. Dobbiamo fare di tutto per unirci. Ne siamo debitori a Dio e al mondo. "Diamoci alle opere della pace e della edificazione vicendevole" (Rm 14,19). Ciascuno di noi deve dirsi con san Paolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1Co 9,16). Noi siamo chiamati ad essere testimoni del Vangelo, testimoni di Cristo. Il suo messaggio esige che rendiamo insieme testimonianza. Permettetemi di ripetere quello che ho detto il 25 giugno di quest'anno in occasione del giubileo della "confessio augustana": "La volontà di Cristo e i segni dei tempi ci spronano ad una testimonianza comune nella pienezza crescente della verità e dell'amore".

Grandi e gravi sono i compiti che ci attendono. Se contassimo solo sulle nostre forze, ci perderemmo di coraggio. "Per grazia di Dio, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza" (Rm 8,26). Fidando in lui, possiamo proseguire il nostro dialogo, affrontare le opere da noi richieste. Cominciamo con il dialogo più importante, con l'opera più importante, preghiamo! Di fronte all'incomprensibile grazia di Dio, preghiamo con l'apostolo delle genti: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo si che abbia a riceverne il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen" (Rm 11,33-36).

Data: 1980-11-17 Data estesa: Lunedi 17 Novembre 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Angelus Domini, con gli handicappati - Osnabrück (Germania)