GPII 1980 Insegnamenti - L'omelia della messa per le associazioni di apostolato dei laici - Fulda (Germania)


2. Nella seconda lettura san Paolo ci parla, con la sua lettera ai tessalonicesi, ma non v'è alcun dubbio che le parole dell'apostolo dei popoli potrebbero essere le stesse dell'apostolo dei tedeschi. Esse scaturiscono dal suo cuore, così come prima erano scaturite dal cuore di Paolo di Tarso.

"Abbiamo avuto nel nostro Dio il coraggio di annunziarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte" (1Th 2,2). A voi? Chi erano quei popoli? Quali sono le denominazioni storiche di quel ceppo che Bonifacio aveva raggiunto come missionario? Gli storici li chiamano turingiani e assiani, alemanni, bavaresi e frisi. San Bonifacio, sulla cui tomba sostiamo, qui, a Fulda, ha portato a questi popoli le parole del Vangelo, e quell'amore unico che è diventato l'eredità del suo cuore grazie alla forza dello Spirito Santo - per lui come per tanti che lo hanno preceduto e seguito: per gli apostoli, i missionari e i pastori. "Come apostoli di Cristo" scrive Paolo "siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari" (1Th 2,7-8).


3. Spostiamo ora il nostro sguardo dalla lettura della lettera ai tessalonicesi e trasferiamoci nella stanza dell'ultima cena nel giorno di Pasqua. Cristo dice "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Jn 15,15). Una frase molto significativa: servo è colui che non sa nulla; amico, colui al quale si dice tutto, al quale tutto viene confidato; colui che sa.

E che cosa sa e conosce questo amico ed apostolo? Egli sa ciò che Cristo stesso ha udito dal Padre. Infatti Cristo ha detto ciò che egli aveva udito dal Padre a coloro che egli aveva scelto; agli apostoli, agli amici.

Bonifacio, che molti secoli fa era giunto nella terra dei vostri predecessori, aveva la stessa consapevolezza e la stessa certezza, nella quale Cristo, nell'ultima cena, aveva confermato i suoi apostoli, quando li aveva chiamati amici: noi predichiamo "Come Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo, così noi lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori" (1Th 2,4). Queste sono le parole di Paolo, l'apostolo delle nazioni, ma la liturgia di oggi le pone sulle labbra di Bonifacio, l'apostolo della Germania. E lo fa a buon diritto. L'opera dell'evangelizzazione, che egli ha diffuso nel vostro paese, si basa sul fatto che egli annunciava l'insegnamento di Dio - e soltanto l'insegnamento di Dio. Egli era pronto a dare la propria vita per amore di coloro ai quali era stato mandato. Il Vangelo e la Chiesa si basano sul fondamento della verità e dell'amore, che "è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (Rm 5,5).


4. Il Vangelo non sempre piace agli uomini. E non può sempre piacere a loro. Non può essere falsificato come "lusinga", e non è possibile cercarvi il proprio vantaggio, e neppure la "pura gloria". Talvolta può sembrare a chi ascolta una "lettura severa"; e chi lo diffonde e lo comunica può diventare "segno di contraddizione". Poiché questa verità di Dio, questa lieta novella nasconde in sé una grande tensione interna. In essa si concentra il contrasto fra ciò che deriva da Dio e ciò che deriva dal mondo. Cristo dice: "Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, per questo il mondo vi odia..." (Jn 15,19). E ancora: "Sappiate che prima di voi ha odiato me" (Jn 15,18).

Nel cuore del Vangelo, della lieta novella, è impressa la croce. In esso si intersecano le due grandi correnti: una, che da Dio va verso il mondo, verso gli uomini del mondo, una corrente di amore e di verità; la seconda, che scorre attraverso il mondo: il desiderio degli occhi, il desiderio della carne, il vanto del possesso (1Jn 2,16). Essi non vengono dal Padre.

L'incrocio di queste due correnti continua e si ripete nel corso della storia e assume aspetti diversi. In mezzo Cristo continua a vivere. Cristo non è venuto nel mondo per condannarlo assiso sullo scranno del giudice della verità trascendentale assoluta. Egli è venuto affinché il mondo, per suo tramite, fosse salvato. E per questo egli manda i suoi giovani nel mondo: in "tutto il mondo".

Egli dice loro: "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra" (Jn 15,20). Non è forse opportuno fermarsi qui, sulla tomba di san Bonifacio a Fulda a riflettere sulla forza straordinaria di questa affermazione? 5. Abbiamo meditato su tutto quello che il servizio divino di oggi ha trattato, lo abbiamo trattato con grande scrupolosità, per onorare il primo patrono della Germania. Infatti, tutte le parole della liturgia si riferiscono a lui. Le leggiamo da lui. Egli è diventato perciò nella vostra patria la pietra angolare della Chiesa, perché in lui si sono compiute queste parole.

Come il lievito impregna la farina, così Bonifacio con la sua testimonianza ha pervaso i cuori con lo Spirito di Cristo e li ha convertiti. Noi ricordiamo con lui tutti i figli e le figlie della vostra patria, così come parla di loro la prima lettura tratta dal libro del Siracide: "Facciamo quindi l'elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati secondo le loro generazioni. Il Signore ha profuso in essi la gloria, la sua grandezza e apparsa sin dall'inizio dei secoli. Signori nei loro regni, uomini rinomati per la loro potenza; consiglieri per la loro intelligenza e annunciatori nelle profezie. Tutti costoro furono onorati dai contemporanei, furono un vanto ai loro tempi. Di loro alcuni lasciarono un nome, che ancora è ricordato con lode. Invece questi furono uomini virtuosi, i cui meriti non furono dimenticati. Nella loro discendenza dimora una preziosa eredità, i loro nipoti" (Si 44,1 Si 44,


3.7- 8.10-11).

Quanti nomi dovremmo ricordare! Facciamo pochi esempi: Bruno di Querfurth e Benno di Meissen; Ildegarda di Bingen ed Elisabetta di Turingia; Edvige di Andechs e Geltrude di Helfta; Alberto Magno e Pietro Canisio; Edith Stein e Alfred Delp, Franz Stock e Karl Sonnenschein. Veramente "i loro meriti non furono dimenticati" (Si 44,10). "I loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per sempre. I popoli parlano della loro sapienza, l'assemblea ne proclama le lodi" (Si 44,14-15).


6. E osservate: mentre seguiamo i versi di questa lettura del Vecchio Testamento e volgiamo il nostro sguardo su questo meraviglioso quadro che la liturgia disegna per noi, giungiamo fino alla nostra generazione, a quella di oggi.

Cari fratelli e sorelle! In verità, malgrado tutte le differenze, il nostro compito, la nostra situazione ha molto in comune con l'impegno di san Bonifacio. Con lui è nata, in certo modo, la storia del cristianesimo nel vostro paese. Molti dicono che questa storia si sta avviando adesso alla fine. Io vi dico: la storia del cristianesimo nel vostro paese deve iniziare nuovamente adesso, e proprio grazie a voi, grazie alla vostra testimonianza formata nello Spirito di san Bonifacio.

Com'è prezioso che proprio io possa portare ai vostri cuori questo messaggio, cari cattolici dei consigli e delle associazioni dell'apostolato laico.

La storia delle associazioni cattoliche negli ultimi 130 anni, ma anche l'impegno dei consigli dell'apostolato dei laici, che hanno da voi una buona tradizione e che si sono formati un po' ovunque dopo il Concilio Vaticano II, è un presupposto pieno di promesse per l'impegno dell'ora presente. Non vi fermate su ciò che avete già conquistato, ma rischiate con coraggio un nuovo inizio, come ha fatto Bonifacio. Offrite come "amici di Cristo" agli uomini di oggi il "Vangelo di Dio" e la vostra "stessa vita" (cfr. Jn 15,15 1Th 2,8)! 7. Grazie a Bonifacio si è accresciuta non soltanto la fede, ma è fiorita anche quella cultura umana, che è frutto e conferma della fede. Nella trasmissione della fede e nel servizio al mondo anche voi oggi, come laici, avete il vostro nobilissimo compito. Quando gli uomini, soprattutto i giovani, vi chiedono, esigono di conoscere il significato della vita: date voi a loro una risposta convincente e comprensibile. Quando il diritto alla vita, quando i presupposti etici della autentica cultura umana sono minacciati: siate voi a tutelare il diritto e la dignità dell'uomo! Quando, attraverso la formazione e l'educazione, si viene a formare un quadro umano puramente funzionalistico e vuoto di significato: date voi un quadro, nel quale si guardi all'uomo come all'immagine di Dio! Quando il consumismo ed il piacere da una parte, ed il timore di fronte alle limitazioni dello sviluppo dall'altra, suggestionano la società: create voi un nuovo stile di vita e condizioni di vita umane che rendano testimonianza alla speranza, che Cristo ci ha donato.

San Bonifacio aveva una grande donna come sorella: la santa badessa Lioba, la cui tomba viene venerata soltanto a pochi chilometri da qui: date voi alla donna nella nostra società e nella Chiesa quell'importanza e quella considerazione, che le permettono di adempiere al suo alto impegno per una vita veramente umana e cristiana. Quando con il progresso dell'umanità cresce anche il numero di coloro che vivono in condizioni di emarginazione o che non possono usufruire pienamente dei frutti dello sviluppo globale: mettetevi voi dalla loro parte perché essi godano dei diritti e del benessere, siate voi i paladini di un ordinamento sociale che abbracci tutto il mondo, della libertà, della giustizia, della pace.


8. Cari fratelli e sorelle! Siate corresponsabili del futuro della nostra Chiesa.

Siate proprio voi stessi Chiesa. Testimoniate nelle vostre associazioni le caratteristiche fondamentali della Chiesa, dell'unica santa, cattolica ed apostolica Chiesa.

Siate una cosa sola fra di voi, siate - come dimostra la vostra grande tradizione - le colonne ed i puntelli dell'unità fra il gregge di Cristo ed i suoi pastori, inviati da Cristo. Non occupatevi di prestigio, di egoismo, di orgoglio, ma siate "un cuore e un'anima" (cfr. Ac 4,32). Promuovete con vigore l'unità della cristianità divisa! L'unità della Chiesa era la passione di san Bonifacio.

Siate santi! Si, santificate le vostre vite e tenete sempre presente soltanto ciò che è santo. Solo quando farete delle caratteristiche immutabili del Vangelo il vostro stile di vita, riuscirete a meravigliare e ad attirare gli uomini. E, nella vostra testimonianza al mondo, servite la santificazione del mondo. Bonifacio fu un santo nella vita e nella morte.

Siate cattolici, universali, aperti, cosmopoliti come Bonifacio, che ha congiunto nella sua vita e nel suo cuore l'Inghilterra, la Germania e Roma. Non vi chiudete nelle vostre preoccupazioni e nei vostri problemi. Si esige il vostro contributo per tutta l'umanità, per il terzo mondo, per l'Europa, affinché il nuovo inizio si compia.

Infine siate apostoli, testimoni della fede secondo l'esempio del martirio e dell'apostolato di Bonifacio, d'accordo con il Papa e con i Vescovi, ma allo stesso tempo coraggiosi nel vostro impegno insostituibile e imprescindibile.


9. Permettetemi, cari fratelli e sorelle, di chiudere queste riflessioni sulla tomba di san Bonifacio, l'apostolo del vostro paese, con un desiderio, che traggo dalla liturgia di oggi. Noi leggiamo nel libro di Siracide: "I loro discendenti restano fedeli alle promesse e i loro figli in grazia dei padri. Per sempre ne rimarrà la discendenza e la loro gloria non sarà offuscata" (Si 44,12-13).

Che cosa posso desiderare di più da voi, la generazione presente dei cristiani della terra tedesca? E che cosa possiamo chiedere insieme, qui, in questo luogo santo? Che le generazioni che seguiranno custodiscano la fede nella alleanza. Che Cristo sia la vostra verità e la vostra vita. Che esse, come voi, possano venire in questo luogo, che rappresenta l'"inizio" dell'opera di Dio nella vostra patria.

...e la vostra devozione non sarà mai dimenticata.

Che esse, da qui, impostino un presente sempre nuovo.

Data: 1980-11-18 Data estesa: Martedi 18 Novembre 1980.


L'omelia della messa per i religiosi - Altötting (Germania)

Titolo: Aiutare a perfezionare la libertà della donazione

Cari fratelli e sorelle in Cristo! 1. Nel pellegrinaggio attraverso il vostro paese ci troviamo insieme nella casa del Signore, in questo santuario, in modo particolare per incontrarci con Maria, la nostra Madonna. A questo incontro partecipate soprattutto voi, reverendi fratelli e sorelle che, come membri degli ordini religiosi, degli istituti secolari e di altre comunità, avete una particolare vocazione. Potete dire di voi che per la vostra totale consacrazione "la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3).

Con voi vengo pellegrino alla Gnadenkapelle di Altötting. Godo con voi della presenza del signor Cardinale Joseph Ratzinger, Arcivescovo di Monaco e Frisinga, dell'ordinario della diocesi di Passau e di numerosi pellegrini, sacerdoti e laici della Baviera e degli stati vicini, radunati qui per la celebrazione eucaristica vespertina. Un "grazie" di cuore per la vostra venuta! Siate ringraziati per le preghiere e i sacrifici silenziosi e per lo più nascosti, con cui avete preparato spiritualmente da settimane questo incontro! Siate ringraziati per l'incoraggiante fedeltà manifestata nel vostro saluto al successore di Pietro. Tale attaccamento di amore mi fa sentire con voi come a casa, oggi, in cui si celebra a Roma la dedicazione delle basiliche dei santi Pietro e Paolo. Mi sia concesso di paragonare la nostra comune visita ad Altötting a quella fatta da Maria a Zaccaria e a Elisabetta. Ho fiducia che questa nostra visita sarà ricca di frutti, se cerchiamo di farla come l'ha fatta Maria. Vogliamo quindi lasciarci guidare in essa quanto più è possibile dalla luce delle parole ascoltate in questa liturgia.


2. Maria entra nella casa dei suoi congiunti, saluta Elisabetta e ode da lei parole di saluto. Queste parole ci sono molto familiari. Le pronunciamo innumerevoli volte, soprattutto quando meditiamo i misteri del rosario. "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!" (Lc 1,42). così la moglie di Zaccaria saluta Maria. Ella esprime così la prima lode di beatitudine, la cui eco risuona nella storia della Chiesa e dell'umanità, nella storia dei cuori e dei pensieri umani. Potrebbe l'uomo raggiungere una meta più elevata? Potrebbe egli avere mai una esperienza più profonda di sé? Potrebbe l'uomo con una qualunque conquista del suo essere, con la sua intelligenza, la sua grandezza di spirito o le sue imprese eroiche, essere elevato ad una dignità più alta di quella conferitagli in questo "frutto del grembo" di Maria, nel quale il Verbo eterno, il figlio consustanziale al Padre, si e fatto carne? può la vastità del cuore umano accogliere una pienezza di verità e di amore maggiore di quella per cui Dio stesso si appresta a donare all'uomo il suo unico Figlio? Il Figlio di Dio si fa uomo concepito di Spirito Santo! Si, veramente! "Tu sei benedetta tra tutte le donne!".

Alla prima lode di benedizione, Elisabetta ne aggiunge un'altra: "E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore" (Lc 1,45).

Elisabetta elogia e loda la fede di Maria.

Essa è penetrata nella maniera più profonda nella grandezza unica di quel momento in cui la Vergine di Nazaret ha udito la parola dell'annuncio. Questo messaggio aveva infatti tutti i criteri dell'intendimento umano, nonostante l'elevata tradizione dell'Antico Testamento. Ed ecco Maria non solo ha udito queste parole, non solo le ha accolte, ma ha anche dato loro la debita risposta: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Una tale risposta richiese da Maria una fede incondizionata, una fede sull'esempio di Abramo e di Mosè, anzi ancora più grande. Elisabetta loda proprio questa fede.


3. Miei cari fratelli e sorelle! In vista del mistero della chiamata personale di ciascuno di voi possiamo - certamente con le debite proporzioni - in certo modo ripetere: "Beato te, perché hai creduto". La fede di Maria si è riflessa anche in voi, quando avete risposto il vostro "fiat", il vostro si all'appello della sequela particolare di Cristo. Solo nella fede potete - come un giorno i discepoli al lago di Genezaret - fare i primi passi di chiamati dal Signore: nella fede avete udito in voi la parola di colui che vi chiamava; nella fede avete abbandonato il vostro solito ambiente di vita con tutte le sue possibilità; nella fede vi siete messi alla sequela del Signore, disposti sin da quel momento ad attendervi, solo dal totale legame a lui, il senso e la fecondità della vostra vita.

Nella fede all'amore costante di colui che vi ha chiamati e alla forza del suo Spirito vi siete messi a disposizione di Dio mediante i voti di povertà, castità consacrata e obbedienza; e ciò non per "preclusione di revoca", non per "chiusura al tempo", non come collaborazione in un gruppo, che si raccoglie per assolvere un compito e poi liberamente si scioglie di nuovo. No, voi avete pronunciato una volta per sempre il vostro si, che trova la sua espressione nella vostra forma di vita, sino all'abito religioso. Nel nostro tempo, in cui non si ha il coraggio di assumere un impegno definitivo e tanti preferiscono ripiegare su una "vita a prova", spetta a voi testimoniare che si può avere il coraggio di assumere un impegno definitivo, una decisione per Dio che abbracci tutta la vita; e che essa vi rende liberi e lieti, quando viene rinnovata giorno per giorno. Il vostro si pronunciato da anni o da decenni, dev'essere sempre di nuovo confermato al Signore. Perciò c'è bisogno di prestare ogni giorno ascolto al mistero di Dio sempre più grande, mirare ogni giorno al suo amore crocifisso e crocifiggente.

Solo egli può conservare in voi il dono della vocazione. Solo egli può col suo Spirito vincere le debolezze provate sempre di nuovo.

Anche il si di Maria, espresso in una decisione unica, dovette essere sempre di nuovo mantenuto, fino al suo stare sotto la croce, dove lei offri suo figlio e divenne nostra madre. Colui, che accolse il si di Maria come titolo di collaborazione della redenzione, vuol reclamare anche il vostro si. Voi l'avete espresso! Esprimetelo di nuovo, giorno per giorno! Allora vale anche per voi: "Beata colei che ha creduto".


4. La fede fa divenire lo stato religioso un segno particolare del regno di Dio che viene. Cristo parla di questo regno in connessione con la risurrezione dei morti: "Alla risurrezione non si prende né moglie né marito" (Mt 22,30). Nella santa messa, che celebriamo oggi in onore della nostra Madonna di Altötting, questo mistero è espresso nella prima lettera di san Paolo ai corinzi: "Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: "La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge". Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (1Co 15,54-57). Queste parole incisive dell'apostolo delle genti furono lette oggi in onore di Maria. Essa è infatti pienamente partecipe della risurrezione di Cristo. Le stesse parole rivolge l'apostolo anche a voi, cari fratelli e sorelle, perché col grande si della vostra vita avete scelto la verginità consacrata "per il regno dei cieli" (Mt 19,12)! Il cuore di ciascuno di voi, che avete rinunciato alla paternità e maternità terrena, possa essere sempre ricolmo del tesoro inestimabile della paternità e maternità spirituale, di cui tanti dei vostri fratelli hanno un bisogno molto urgente! Voi non amate di meno; voi amate di più! Voi sapete, in modo molto profondo, curare, aiutare, edificare, guidare e consolare, lo testimoniano non in ultimo le molte lettere, spesso commoventi, con cui si prega il Papa di non permettere che si ritirino suore, padri o fratelli da un asilo infantile, da una scuola, da una casa di riposo per anziani, da un ospedale, da un centro sociale o da una parrocchia.

Perché viene tanto apprezzato il vostro servizio? Non solo per la vostra idoneità specifica, non solo perché voi per la vostra scelta di vita potete dare più tempo; ma in piena linea perché gli uomini percepiscono che per mezzo di voi opera un Altro. Infatti nella misura in cui vivete la vostra piena dedizione, partecipate un po' di lui; e lui reclama in definitiva il cuore umano.

Amate lui in tutti quelli che sono affidati alle vostre cure, alle vostre preghiere d'intercessione, al vostro sacrificio nascosto. Servite lui "nei malati ed anziani, negli handicappati e diseredati, di cui nessuno si cura..., nei fanciulli, nei giovani, nella scuola, nella catechesi e nella cura d'anime. A lui servite nei vari ministeri, come pure nell'assolvimento di compiti che esigono una formazione altamente specializzata" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad Religiosas ante Jasnagorense Monasterium", 6, die 5 iun. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II [1979] 1428). Perciò molti delle vostre comunità lasciano la loro patria, per servire con dedizione instancabile nelle chiese giovani il regno di Dio. Cercate e trovate lui dovunque, come dice la sposa del Cantico dei Cantici: "...ho trovato l'amato del mio cuore" (Ct 3,4). Questa pienezza di vita - perché trovate lui in tutto e tutto in lui - è nello stesso tempo il migliore incoraggiamento per i giovani cristiani ad accogliere nella Chiesa la chiamata di Gesù, anche la chiamata allo stato dei consigli evangelici. In voi può loro apparire chiaramente che chi si dona ha trovato il senso della vita (cfr. Mt 8,35).


6. Maria, alla quale siamo venuti in pellegrinaggio in Altötting, porta in sé i caratteri di quella donna che ci descrive la misteriosa rivelazione: "Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle" (Ap 12,1). Questa donna che agli inizi della storia della creazione e della rivelazione, corrisponde evidentemente a colei che, come si legge nelle prime pagine della Bibbia, "schiaccerà la testa del serpente" (cfr. Gn 3,15).

Tra questa promessa iniziale e la fine apocalittica proprio Maria ha dato alla luce un Figlio, "che governerà tutte le nazioni con scettro di ferro" (Ap 12,5).

Il suo calcagno è stato quello insidiato dal "primo" serpente. Ed è esso anche quello che lotta col dragone apocalittico, perché Maria come Madre del Signore è modello della Chiesa, che pure chiamiamo madre (cfr. LG 68).

Cari fratelli e sorelle! Voi siete chiamati a partecipare in modo particolare a questa lotta spirituale! Siete chiamati a questa lotta costante, che la nostra madre Chiesa deve affrontare e che la plasma ad immagine della donna, madre del Messia. Voi, che trovate il centro della vostra vocazione nell'adorazione del Dio santo, siete anche particolarmente esposti all'attacco del maligno, come è evidente in modo esemplare nelle tentazioni del Signore. Infuria la lotta tra il Verbo di Dio e la parola del maligno. Tra il "Di' che questi sassi diventino pane" e il "non di solo pane vivrà l'uomo" (Mt 4,4) Dio vuole che ci assoggettiamo la terra (cfr. Gn 1,28), mentre perfezioniamo essa e noi stessi. La tentazione del maligno vuole che deformiamo essa e noi; che il lavoro ci schiavizzi e il tempo libero ci vizi; che ci sacrifichiamo per i nostri beni esterni e c'intristiamo interiormente; che adorniamo la nostra casa, mentre altri ne sono privi; che miriamo all'avere e ci dimentichiamo dell'essere; che i beni posseduti diventino il nostro "dio" (cfr. Ph 3,19).

Meditando l'intima lotta per lo spirito di povertà e la visibilità significativa di questa povertà, voi, care sorelle e fratelli, aiutate tutti i membri della Chiesa e l'intera umanità a dominare questo mondo, a possedere le cose in modo che non posseggano noi, a non fare del divertimento il contenuto della vita. "Gettati giù", dice la seconda volta il tentatore a Gesù (cfr. Mt 4,6). Gettati nell'avventura; osa fare il salto nel regno dei sogni, ci si suggerisce oggi; ubriacati dell'abbondanza durante questa vita, nella frenesia della velocità, nella sbornia della sensualità, nella sbornia delle allucinazioni e delle brutalità. Dio ci ha dato un cuore per una esperienza vitale e molte cose che possono soddisfare le nostre aspirazioni ma soprattutto il nostro interlocutore. Senza di lui tutto è troppo poco. O cerchiamo in lui la nostra felicità o non la raggiungeremo mai, spinti dalla caccia per la felicità, di delusione in delusione, fino alla sazietà e al disgusto. Mediante la vostra rinuncia al matrimonio e la cura particolare dell'apertura all'amore di Dio, cari fratelli e sorelle, aiutate tutti nella Chiesa a donarsi senza perdersi, a donarsi l'un l'altro per crescere insieme in Cristo; a godere del transitorio, in modo da restare nello stesso tempo già legati all'eterno, come preghiamo nella liturgia della domenica XVII dopo la Pentecoste (Dominica XVII per annum).

Ancora più splendido e pericoloso del mondo dell'interlocutore, del possesso e della felicità, è l'io e la sua esigenza di realizzarsi. Dio vuole l'uomo "a sua immagine e somiglianza" (Gn 1,26ss); Lucifero lo vuole come un avversario di Dio, che gli nega l'adorazione (cfr. Jr 2,20) e si assoggetta all'idolo: "Egli gli mostro tutti i regni del mondo... Io ti daro tutte queste cose, se prostrandoti mi adorerai" (Mt 4,8ss). Ogni plasmazione creatrice e ogni autorealizzazione nella politica, nell'economia, nella vita culturale ed anche nella Chiesa corre il pericolo della vanità, dell'orgoglio e dell'insensibilità.

Cari religiosi, con la vostra lotta per lo spirito di obbedienza e il suo segno visibile, l'ubbidienza ai superiori, aiutate tutti i credenti e la stessa Chiesa a scoprire la tentazione del maligno e a resistervi; aiutate a perfezionare la libertà nella donazione.

Proprio oggi più che mai, il regno di Dio, che "soffre violenza" (cfr. Mt 11,12), ha bisogno di nuovi "lottatori", per affrontare le tentazioni e le sfide del nostro tempo. Esso li troverà nei vostri chiostri e nelle vostre comunità, plasmati e sorretti dalla vita comune.

Siate persuasi che tali donne e uomini magnanimi aiuteranno anche oggi e domani a seguire Cristo e a "rinnovare la faccia della terra" (Ps 103 [104],30)! 7. In questi giorni della mia venuta tra voi la Chiesa celebra la memoria di tre santi della vostra patria. Per concludere, vorrei additarvi la loro via e il loro servizio. Sant'Alberto vi aiuti ad udire la voce di Dio attraverso i segni dei tempi e a rispondervi nello spirito dei vostri fondatori. Santa Gertrude vi impetri il fervore e il frutto dell'incontro con Dio nella meditazione e nella liturgia. Santa Elisabetta vi ottenga un'acuta sensibilità e un'illuminata apertura nella dedizione a tutti coloro che hanno bisogno di voi.

Ad Alberto, Gertrude ed Elisabetta si associa qui in Altötting il portinaio umile e lieto del convento di sant'Anna, il frate san Corrado. Lo vediamo inginocchiato presso la piccola finestra, aperta proprio per lui nel muro, per poter mirare sempre all'altare della Chiesa. Rompete anche nella vita d'ogni giorno le mura del visibile, per aver sempre e ovunque davanti agli occhi il Signore.

Vogliamo ora proseguire insieme con Maria la nostra visita al santuario a lei così caro. Entriamoci insieme con lei e lasciatemi ripetere: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (Lc 1,46-50).

Veramente miei cari fratelli e sorelle! L'Onnipotente ha fatto "grandi cose" in ciascuno di noi! Grandi cose! In ciascuno di voi! Non cessate di lodarlo! Non cessate di ringraziarlo! Non cessate di vivere giorno per giorno la vostra dedizione totale, la vostra vocazione sotto la protezione della Vergine Immacolata, la nostra Madonna di Altötting! così vivrà il regno di Dio in voi!

Data: 1980-11-18 Data estesa: Martedi 18 Novembre 1980.


Incontro con i professori di teologia - Altötting (Germania)

Titolo: Irrinunciabile dialogo tra teologia e magistero

Stimati signori professori, cari confratelli! E' per me una gioia particolare incontrarmi con voi alla fine di questa giornata. Era mio personale desiderio avere un incontro con i rappresentanti della teologia del vostro paese. In definitiva la scienza teologica rientra tra le forme di realizzazione e fra i compiti più importanti della vita ecclesiale. Saluto di cuore voi e per vostro tramite tutti gli studiosi di teologia. Essi si collocano in una grande tradizione, anche se penso solo a sant'Alberto Magno, Nicolo Cusano, Möhler, Scheeben, Guardini e Pzywara. Menziono questi eminenti teologi in rappresentanza di tutti gli altri che, nel passato come nel presente, hanno arricchito e ancora incessantemente arricchiscono non solo la Chiesa di lingua tedesca, ma anche la vita e la teologia di tutta la Chiesa.

Vorrei pero ringraziare per questo lavoro voi e tutti quelli che rappresentate. Il lavoro scientifico è quasi sempre un'attività silenziosa e piena di ansie. Ciò vale particolarmente per la compilazione di testi idonei e la riscoperta delle fonti della teologia. Dobbiamo al lavoro disinteressato di molti ricercatori del vostro paese l'edizione di testi patristici, medievali e moderni.

Quanto più ampia diventa la conoscenza globale della teologia, tanto più si fa pressante il bisogno di una sintesi. In numerosi dizionari, commentari e manuali voi avete offerto delle visioni panoramiche ricche e ben riuscite sullo stato attuale di quasi tutte le discipline. Tali orientamenti di fondo sono divenuti particolarmente importanti nel periodo postconciliare, perché si mette a disposizione l'eredità del passato secondo le prospettive del presente.

Soprattutto nel campo dell'interpretazione della Sacra Scrittura si è giunti ad una confortante collaborazione tra gli esegeti, che ha dato e certamente darà ancora in seguito ricchi impulsi alle iniziative ecumeniche. Prego voi tutti di proseguire in questa ricerca teologica. Badate in essa soprattutto ai problemi e alle necessità del mondo d'oggi; ma non lasciatevi deviare da correnti caduche e transitorie dello spirito umano. La conoscenza scientifica e particolarmente quella teologica, ha bisogno di coraggio per osare e pazienza per maturare. Essa ha le sue leggi, che non si possono imporre dall'esterno. Poiché la ricerca teologica fa parte dei tesori autentici della Chiesa del vostro paese, essa è certamente possibile anche mediante l'insegnamento della teologia nelle università statali. Il rapporto tra la libertà della scienza teologica e il suo legame con la Chiesa, come è sancito nel concordato, rimane sempre un modello, nonostante alcuni conflitti. Esso vi offre la possibilità di far filosofia e teologia nel contesto e in collaborazione con tutte le scienze di una università moderna. Questa situazione ha anche improntato il livello degli istituti filosofici e teologici delle diocesi e degli ordini religiosi, le scuole tecniche superiori, gli istituti pedagogici e gli istituti ecclesiastici di ricerca. La pubblicazione delle conoscenze teologiche non sarebbe tuttavia possibile senza case editrici cattoliche. Nel mio ringraziamento includo anche tutti coloro che promuovono in modi molteplici le scienze teologiche.

Chi ha molto ricevuto, ha anche grandi compiti. Voi portate nell'attuale situazione, talvolta apparentemente critica, della teologia una grave responsabilità. Vorrei quindi profittare dell'occasione per richiamarvi alla memoria tre prospettive, che mi stanno particolarmente a cuore.

1. La pienezza dei compiti e della posizione di problemi, di metodi e discipline è imposta dalla complessità e specializzazione del sapere d'oggi. Essa ha portato pregevoli conoscenze e intuizioni. Pero sussiste il pericolo che il numero delle singole conoscenze offuschino talvolta il senso e il fine della teologia. Poiché le tracce di Dio in un mondo secolarizzato sono anche coperte, questa concentrazione sul Dio uno e trino come origine e fondamento stabile della nostra vita costituisce il compito più urgente della nostra vita e del mondo intero.

Tutto l'entusiasmo del sapere teologico deve, alla fine, portare a Dio stesso.

Ancora durante il Concilio Vaticano II si credeva che si potesse presupporre la risposta al problema di Dio. Frattanto si è dimostrato che proprio il rapporto dell'uomo con Dio è divenuto fragile e ha bisogno di conferma. Vorrei perciò pregarvi di lavorare con tutte le vostre forze al rinnovamento della comprensione di Dio e soprattutto della Trinità di Dio e del concetto di creazione.

La concentrazione su Dio e la sua opera salvifica per gli uomini comporta un ordinamento all'interno delle verità teologiche. Dio Padre, Gesù Cristo e lo Spirito Santo stanno al centro. La parola della Scrittura, la Chiesa e i sacramenti restano le grandi istituzioni storiche della salvezza del mondo, ma la "gerarchia delle verità" (UR 11), esigita dal Concilio Vaticano II non significa una pura riduzione di tutta la fede cattolica ad alcune poche verità, come alcuni hanno pensato. Quanto più profondamente e radicalmente si coglie il nucleo, tanto più chiare e persuasive diventano le linee le quali collegano il nucleo divino a quelle verità che sembrano stare piuttosto al margine. La profondità della concentrazione si manifesta anche nell'ampiezza della sua irradiazione su tutta la teologia. Il lavoro del teologo a servizio della verità su Dio è secondo la comprensione di san Tommaso d'Aquino anche un atto di amore per gli uomini (cfr. S.Thomae II-II 181,3 c.; II-II 182,2, a. 2c.; S.Thomae I 1,7 c.). Mentre egli fa comprendere, con la massima profondità e pienezza possibile, che egli è l'interlocutore di tutta la rivelazione di Dio e il fine di tutta la sua azione nella storia, egli spiega e chiarisce anche la propria dimensione perenne ed eterna, che trascende ogni limite finito.


GPII 1980 Insegnamenti - L'omelia della messa per le associazioni di apostolato dei laici - Fulda (Germania)