GPII 1980 Insegnamenti - L'omelia alla Parrocchia della Natività - Roma

L'omelia alla Parrocchia della Natività - Roma

Titolo: La domanda che pone l'Avvento trovi piena risposta nella comunità

Cari fratelli e sorelle! 1. Mi rallegro per il fatto che oggi posso essere tra voi. Ecco, infatti, si son di molto avvicinate a noi le feste del Natale del Signore, e la vostra Parrocchia è appunto dedicata alla Nativita. E' per questo che il periodo dell'Avvento nella vostra Comunità è vissuto in modo particolarmente profondo, ed io mi rallegro perché mi è dato di partecipare oggi a questo vostro modo di vivere l'Avvento.

Desidero, anzitutto, salutare cordialmente ciascuno di voi, cominciando dalla persona del Signor Cardinal Vicario che, per mio mandato, ha la responsabilità del governo pastorale su tutta Roma. Con lui saluto sia l'Ausiliare Mons. Giulio Salimei, il quale proprio in questi giorni sta compiendo un'accurata visita pastorale in mezzo a voi, sia il vostro Parroco con i Sacerdoti del presbiterio, che molto opportunamente hanno attuato un ideale di vita in comune nelle forme della coabitazione e della condivisione. Se rivolgo ad essi, come ai Sacerdoti che collaborano con loro, un meritato elogio per tale testimonianza di comunione, non posso pero dimenticare gli Istituti Religiosi presenti ed operanti in Parrocchia, nonché le varie Comunità di apostolato laicale organizzato. Ma poi c'è la più vasta Famiglia dei fedeli: non già una massa anonima, ma una formazione vitale che, anche se di origine relativamente recente, ha potuto fruire fin dall'inizio dello zelo esemplare di Mons. Luigi Rovigatti (a cui elevo ora un memore pensiero) ed ha compiuto in poco più di quarant'anni un lungo e positivo itinerario di fede, operando una felice sintesi tra gli elementi della tradizione ed i provvidenziali fermenti del Concilio.

E' a tutti voi, perciò, cari fratelli e figli, che va ora il mio saluto che vuol essere ed è, ad un tempo, espressione di compiacimento ed invito ad ulteriore progresso.


2. "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?" (Mt 11,3).

Nell'odierna, terza domenica d'Avvento la Chiesa ripete la domanda, la quale fu fatta per la prima volta a Cristo dai discepoli di Giovanni Battista: Sei tu colui che deve venire? così domandarono i discepoli di colui che dedico tutta la sua missione alla preparazione della venuta del Messia, i discepoli di colui che "amo e preparo la venuta del Signore" fino al carcere ed alla morte. Ora noi sappiamo che, quando i suoi discepoli pongono questa domanda a Gesù, Giovanni Batquale non potrà più uscire.

E Gesù risponde richiamandosi alle sue opere e alle sue parole e, nello stesso tempo, alla profezia messianica di Isaia: "I ciechi ricuperano la vista, / gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, / i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, / ai poveri è predicata la buona novella... / Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite / e vedete" (Mt 11,5 Mt 11,4).

Al centro stesso della liturgia d'Avvento noi troviamo, dunque, questa domanda rivolta a Cristo e la Sua risposta messianica.

Benché una tale domanda sia stata fatta una sola volta, tuttavia noi la possiamo fare sempre di nuovo. Essa deve essere fatta. E in realtà viene fatta! L'uomo pone la domanda intorno a Cristo. Diversi uomini, da diverse parti del mondo, dai paesi e continenti, dalle diverse culture e civilizzazioni, pongono la domanda intorno a Cristo. In questo mondo, in cui tanto si è fatto e sempre si fa per circondare Cristo con la congiura del silenzio, per negare la sua esistenza e missione, o per diminuirle e deformarle, ritorna sempre di nuovo la domanda intorno a Cristo. Essa ritorna anche quando può sembrare che sia stata già essenzialmente sradicata.

L'uomo domanda: Sei tu, Cristo, colui che deve venire? Sei tu colui che mi s piegherà il senso definitivo della mia umanità? il senso della mia esistenza? Sei tu colui che mi aiuterà a impostare e a costruire la mia vita di uomo fin dalle fondamenta? così domandano gli uomini, e Cristo costantemente risponde. Egli risponde così come rispose già ai discepoli di Giovanni Battista. Questa domanda intorno a Cristo è la domanda dell'Avvento, e bisogna che noi la facciamo all'interno della nostra comunità cristiana. Eccola: Chi è per me Gesù Cristo? Chi è veramente per i miei pensieri, per il mio cuore e per il mio agire? Come io, che sono cristiano e credo in Lui, conosco o come cerco di conoscere colui che confesso? Parlo di lui agli altri? Do la testimonianza di lui, almeno dinanzi ai miei più vicini: nella casa paterna, nell'ambiente del lavoro, dell'università o della scuola, in tutta la mia vita e condotta? E' proprio questa la domanda di avvento, e bisogna che, in base ad essa, noi ci poniamo le accennate, ulteriori domande, perché esse approfondiscono la nostra coscienza cristiana e così ci preparano alla venuta del Signore.


3. L'Avvento ritorna ogni anno, ed ogni anno si svolge nell'arco di quattro settimane, cedendo poi il posto alla gioia del Santo Natale.

Ci sono, quindi, i diversi avventi: c'è l'avvento del bambino innocente e l'avvento della giovinezza irrequieta (spesso critica): c'è l'avvento dei fidanzati; c'è l'avvento degli sposi, dei genitori, degli uomini addetti a molteplici forme di lavoro e di responsabilità spesso grave. Ci sono infine, gli avventi degli uomini vecchi, ammalati, sofferenti, abbandonati. C'è in quest'anno l'avvento dei nostri connazionali colpiti dalla calamità del terremoto, rimasti senza tetto.

Ci sono i diversi avventi. Essi si ripetono ogni anno, e tutti sono orientati verso un'unica direzione. Tutti ci preparano alla stessa realtà. Oggi, nella seconda lettura liturgica, ascoltiamo ciò che scrive l'apostolo San Giacomo: "Fratelli, siate pazienti fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra, finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina". E aggiunge subito dopo: "ecco, il giudice è alle porte" (5,7-9).

Proprio un tale riflesso devono avere questi avvenimenti nei nostri cuori. Essi devono essere simili all'attesa della raccolta. L'agricoltore aspetta il frutto della terra per tutto un anno o per alcuni mesi. La messe della vita umana si aspetta, invece, durante tutta la vita. E ogni avvento è importante. La messe della terra viene raccolta quando è matura, per utilizzarla nel soddisfacimento dei bisogni dell'uomo. La messe della vita umana aspetta il momento in cui apparirà in tutta la verità dinanzi a Dio ed a Cristo, che è giudice delle nostre anime.

La venuta di Cristo, la venuta a Betlemme di Cristo preannunzia anche questo giudizio. Essa dice all'uomo per che cosa gli è dato il maturare nel corso di tutti questi avventi, di cui si compone la sua vita in terra, e come egli deve maturare! Nell'odierno Vangelo Cristo, dinanzi alle folle riunite, dà il seguente giudizio su Giovanni Battista: "In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia, il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui" (Mt 11,11). Il mio augurio è che noi, cari fratelli e sorelle, possiamo vedere il momento in cui ascolteremo simili parole dal nostro Redentore, come la verità definitiva circa la nostra vita.


4. Sto meditando su questo messaggio di Avvento, collegato con la liturgia dell'odierna domenica, insieme con voi, cari parrocchiani della comunità dedicata alla Natività del Signore.

E' necessario, pertanto, che ciascuno lo consideri come indirizzato a se stesso e bisogna pure che tutti voi lo accogliate nella vostra comunità.

La parrocchia, infatti, esiste, perché gli uomini battezzati nella comunità, cioè completandosi e aiutandosi reciprocamente si preparino alla venuta del Signore.

A questo punto vorrei chiedere: come si svolge e come dovrebbe svolgersi nella comunità una tale preparazione alla venuta del Signore? La risposta potrebbe esser duplice: da un punto di vista immediato, si può dire che questa preparazione si compie seguendo "in sintonia" l'azione pedagogica del la Chiesa nel presente, tipico periodo dell'Avvento: accogliendo, cioè, il rinnovato invito alla conversione e meditando l'eterno mistero del Figlio di Dio che, incarnatosi nel seno purissimo di Maria, nasce a Betlemme. Ma da un punto di vista più ampio non c'è solo l'Avvento di quest'anno, o il Natale da vivere in atteggiamento di più fervida fede; c'è anche la quotidiana, costante venuta di Cristo nella nostra vita grazie ad una presenza che si alimenta con la catechesi e, soprattutto, con la partecipazione liturgico-sacramentale.

Io so che nella vostra parrocchia è questa una delle linee pastorali fondamentali: c'è, infatti, la catechesi sistematica e permanente secondo le diverse età, e si dedica una speciale cura alla Sacra Liturgia. In realtà la vita sacramentale, quando sia illuminata da un parallelo ed approfondito annuncio del Cristo, è la via più spedita per andare incontro a Lui. E' nella preghiera e, prima di tutto, nella partecipazione alla S. Messa domenicale che appunto ci incontriamo con lui. A ben riflettere questa partecipazione è il rinnovamento, in ogni settimana, della coscienza della "venuta del Signore". Se essa mancasse, tale coscienza si disperderebbe, si indebolirebbe ed andrebbe presto distrutta. Per questo desidero rivolgere l'esortazione del Concilio circa il permanente valore della Domenica, come "festa" primoraiale da inculcare alla pietà dei fedeli, "perché si riuniscano in assemblea per ascoltare la Parola di Dio e partecipare all'Eucaristia" (cfr. SC 106).

Ma - come ben sappiamo - Cristo viene a noi anche nelle persone dei fratelli, specialmente dei più poveri, degli emarginati e dei lontani. Anche a questo riguardo io so che la vostra Comunità è impegnata secondo un altra linea pastorale, che configura un'opzione precisa e coraggiosa. So, ad esempio, che sono molte le Associazioni ed i gruppi ecclesiali che praticano l'accoglienza evangelica come "una sincera attenzione per tutti i mali, le tristezze e le speranze dell'uomo d'oggi" (cfr. Relazione pastorale, p. 2): sotto la coordinazione del Consiglio Pastorale, tale sollecitudine fiorisce in numerose opere di assistenza, di promozione e di carità.

Per quanto voi fate in favore degli anziani, dei giovani in difficoltà, dei malati, delle famiglie bisognose, come per l'interessamento e l'aiuto che offrite alla Missione di Matany in Uganda, desidero pubblicamente esprimervi il mio apprezzamento ed anche il mio grazie.


5. Ed adesso permettete che io termini questa meditazione sull'Avvento con le parole suggerite dal profeta Isaia: "Irrobustite le mani fiacche, / rendete salde le ginocchia vacillanti. / Dite agli smarriti di cuore: / coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, ... / Egli viene a salvarvi" (Is 35,3-4).

Non manchi mai nella vostra vita, cari parrocchiani della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, questa speranza che la sua venuta depone nel cuore di ogni uomo e nella quale salutarmente lo conferma.

Data: 1980-12-14 Data estesa: Domenica 14 Dicembre 1980.


Al Capitolo Generale dei Missionari d'Africa (Padri Bianchi)

Titolo: Partecipi della missione evangelizzatrice per l'autentico rinnovamento dell'umanità

Fratelli carissimi in Cristo,

1. Profondamente felice di ricevervi al termine del XXII Capitolo generale della vostra Società, rivolgo un caloroso saluto ad ognuno di voi e ai 3.000 Padri e Fratelli che rappresentate. Permettetemi in particolare di salutare il caro Padre Jean-Marie Vasseur che ha appena terminato il suo mandato di Superiore Generale, e di offrire al suo successore, Padre Robert Gay, che avete da poco eletto, i miei sentiti auguri per un fruttuoso servizio alla vostra Famiglia Missionaria.

Se il grande Cardinale Lavigerie, che fondo la vostra Società nel 1868, potesse tornare tra di voi, credo che ripeterebbe con lo stesso ardore evangelico: "Siate apostoli, e nient'altro...". Questa consegna, breve e di grande effetto, è sempre attuale. In nome della Chiesa e facendo eco al vostro fondatore, vi esprimo fortissimamente: "Siate apostoli, e nient'altro...". E' proprio in questa prospettiva che il vostro Capitolo ha operato. Le vostre anime ed i vostri cuori sono sempre più abitati dalle convinzioni del Cardinale che vi voleva apostoli dal cuore ardente e profondamente radicati nella vita spirituale. Conosco, su quest'ultimo aspetto, lo sforzo compiuto negli ultimi sei anni dal Consiglio generale. Ha voluto favorire i ritiri ignaziani e le sessioni bibliche, anche nella stessa Gerusalemme, là dove Levigerie aveva già mandato dei Padri Bianchi al servizio delle Chiese del Medio Oriente; i vostri confratelli continuano a lavorarci in una prospettiva ecumenica. Questi sforzi per trovare nuove risorse danno e daranno sempre più alle vostre comunità dinamismo e trasparenza evangelici. La Chiesa ha tanto bisogno di apostoli instancabili e abitati da Gesù Cristo!

2. Sin dalla sua fondazione, la vostra Società è un Istituto missionario; con altri ha contribuito alla grande opera di evangelizzazione dei popoli, che è "la missione essenziale della Chiesa" (Pauli VI, EN 14). Possiamo immaginare la felicità del Cardinale Lavigerie se potesse conoscere gli studi e le esperienze missionarie della nostra epoca, ed anche i documenti della Chiesa che ne sono i frutti saporiti e le norme indispensabili. Citiamo soltanto l'Esortazione "Evangelii Nuntiandi" che ricorda come l'evangelizzazione sia la missione propria della Chiesa e che "evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa..." (Pauli VI, EN 18). Possa questa Esortazione servirvi da mappa e da luce lungo la vostra strada! Il vostro compito particolare è stato ed è l'evangelizzazione del mondo africano.

Da ciò, deriva l'attenzione particolare che la vostra Società ha sempre dimostrato per i mussulmani. La Chiesa ne è contenta e vi incoraggia a proseguire i compiti che svolgete con competenza al servizio del mondo mussulmano; compiti di dialogo e di testimonianza così importanti negli anni che verranno. E' per questo fine eminentemente pastorale che la Santa Sede vi ha affidato l'Istituto Pontificio di Studi Arabi, per permettere al clero ed ai laici di perfezionarsi nella lingua e letteratura araba, e nella conoscenza della religione e delle istituzioni islamiche. L'epopea africana dei Padri Bianchi è un fatto. Bisogna rileggerla con una grande comprensione delle circostanze che l'hanno vista nascere e svilupparsi, con rispetto e riconoscenza per i vostri precursori. Io stesso, durante il mio viaggio pastorale in Africa, ho voluto raccogliermi sulla tomba dei missionari a Kisangani nello Zaire. Le generazioni di Padri Bianchi che si sono dati anima a corpo all'annuncio del Vangelo in Africa erano ben presenti nella mia iniziativa e nella mia preghiera. Lasciatemi ancora aggiungere che, per tutto questo lavoro compiuto in più di un secolo, la Chiesa vi esprime pubblicamente le sue vive felicitazioni e la sua riconoscenza.


3. Ma il vostro compito non è terminato. In particolare, nel corso di questo ventiduesimo Capitolo generale, avete considerato molto attentamente i bisogni attuali ed urgenti del continente africano che afferma sempre più la propria identità culturale e la sua volontà di crescita sul piano socio-economico. Non potreste portare avanti la vostra opera di evangelizzatori senza il dialogo con gli altri credenti, e senza prendere in considerazione le necessità, a volte palesi, dello sviluppo africano (cfr. Pauli VI, EN 31 et ss.).

Ma la vostra responsabilità è grande anche nei confronti delle Chiese locali che non hanno ancora sacerdoti ed animatori in numero sufficiente. Quanti Vescovi rivolgono al Seggio Apostolico di Roma appelli urgenti e toccanti! Rimanete accanto a queste giovani Chiese e trovate il vostro stile di co-responsabilità presso di esse. Continuate anche a collaborare all'azione condotta dalle diocesi europee - come ho potuto constatare durante le mie visite pastorali in Francia e Germania - in favore dei lavoratori e degli studenti africani che vengono temporaneamente in questo continente. Questa riflessione prolungata sul vostro campo di apostolato ha dato vita, durante le settimane di studio e preghiera del vostro Capitolo, un "progetto apostolico comune". L'applicherete ora con il dinamismo e la serietà che vi appartengono. Ma per preparare con realismo l'avvenire, dovrete evidentemente sforzarvi di formare degli evangelizzatori. Da sempre, la vostra Società si è data l'obiettivo di preparare le Chiese africane ad essere a loro volta missionarie. Le avete molto aiutate a divenire autenticamente africane, formando un numero impressionante di loro sacerdoti e Vescovi. Ma ci sono anche africani che desiderano portare la Buona Novella in paesi diversi dal loro. Alcuni, ieri come oggi, desiderano far parte della vostra Società missionaria. E' una fortuna per l'apostolato. Questi sacerdoti e missionari africani erediteranno la vostra tradizione missionaria e potranno vivere in comunità sempre più interrazziali ed internazionali.


4. Siete uomini della Chiesa, missionari ed apostoli. Questa è la vostra identità e la fonte della vostra gioia. Voglio anche sottolineare che avete sempre voluto vivere la vostra vocazione, sin dalle origini della vostra Società, in comunità che testimonino che i pregiudizi di razza, classe, nazione e cultura possono essere superati per il Regno di Dio. E' a partire da ciò che voi vivete la vostra consacrazione alla Missione. E' a partire da questo che volete proseguire sulle vie di una vita spirituale più profonda, dove i valori di povertà, castità e obbedienza ritrovano tutto il loro significato, che siate sacerdoti o fratelli.

Mantenere e costruire queste comunità di Padri Bianchi è un obiettivo prioritario per la vostra società per i prossimi anni. Il Papa ne è profondamente contento e vi incoraggia. La Chiesa ed il mondo d'oggi hanno assolutamente bisogno di queste comunità dove la condivisione e la comunione non siano soltanto parole, ma realtà vissute giorno per giorno con umiltà ed entusiasmo. C'è forse bisogno di aggiungere che queste comunità saranno in esse stesse un appello ai giovani e agli adulti di tutti i paesi affinché entrino nei vostri ranghi e vi sostituiscano? Sono persuaso che il progetto di mettere tutta la loro esistenza al servizio esclusivo del Regno può sedurre il cuore dei giovani, oggi come ieri, e condurli fino in Africa per cooperare con le "Chiese Sorelle", come amo chiamarle.

Liberiamoci tutti dei nostri stati d'animo e delle nostre reazioni troppo soggettivi! Nessuna Chiesa dovrebbe chiudersi su se stessa. Ora più che mai è il momento della Missione! Per tutto questo, le nostre più belle intenzioni non bastano. Abbiamo bisogno, come durante i primi giorni della Chiesa, della luce e della forza dello Spirito Santo. Invocando la sua grazia sulla vostra Società, sono felice di impartire a voi e a tutti i Padri Bianchi che vivono e lavorano per il Regno di Dio, nella pazienza e nella speranza, in Africa e nel mondo, la mia affettuosa Benedizione Apostolica.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-12-15 Data estesa: Lunedi 15 Dicembre 1980.





L'omelia alla Messa per il 150° anniversario della morte del "Libertador" - Cappella Sistina (Roma)

Titolo: Sull'esempio di Simon Bolivar costruite un'autentica libertà

Cari fratelli e sorelle, 1. In questo suggestivo sfondo della Cappella Sistina, ci siamo radunati per la celebrazione dell'Eucarestia, in una data che tanto significa per voi qui presenti, rappresentanti dei diversi Paesi latinoamericani e membri della comunità latinoamericana residente a Roma.

Avete voluto radunarvi presso l'altare, attorno al Successore di Pietro, nella ricorrenza del 150° anniversario della Morte di Simon Bolivar, così come hanno fatto i vostri antenati col mio predecessore Pio XI, nella ricorrenza del centenario dello stesso avvenimento.

In questa singolare circostanza, che rivive il ricordo di una figura che avete innalzato ad eroe, mi unisco volentieri a voi in un omaggio alla vostra storia umana e cristiana, così come ai vostri rispettivi Paesi, nei quali vive una porzione scelta della Chiesa di Dio in pellegrinaggio verso il Padre. Sono i Paesi nei quali spese la sua vita e le sue energie il Liberatore, al quale istintivamente viene associato il nome di José de San Martin - per citare solo lui - soprattutto in seguito allo storico incontro che i due ebbero a Guayaquil.


2. Non si tratta di compiere qui un atto accademico in onore di una persona insigne, ma di riflettere, da un'ottica cristiana, nel corso di questo atto liturgico di unione con Dio e di comunione coi fratelli, su alcune delle lezioni di futuro che la commemorazione odierna ci affida come eredità e che oltrepassa i confini delle Nazioni di pura essenza bolivariana.


3. Infatti, l'ispirazione all'unità all'interno della "Patria grande" o della confederazione americana - che fu il gran sogno del forgiatore dell'indipendenza di una buona parte delle vostre nazioni -, e che doveva rispettare le diversità dei diversi Stati, costituisce una chiamata integrante che interpella il cristiano perché sappia discernerla con giusti e sereni criteri.

Non si può negare, effettivamente, che per il consolidamento della pace, per un più efficace ed armonico sviluppo economico, per un maggiore arricchimento culturale e spirituale, così come per poter trovare un posto di conveniente dignità nell'ambito internazionale, detiene un ruolo molto importante la capacità di associare adeguatamente popoli diversi, mossi da un impulso di solidale complementarietà.


4. La Chiesa non è indifferente a questo problema, ma lo assume e per quanto dipende da essa, lo favorisce con la sua attiva collaborazione. Perciò, io stesso dicevo non molto tempo fa all'Episcopato Latinoamericano che "Come dimostra la storia con eloquenti esempi, (la Chiesa) è stata in America Latina il più vigoroso fattore di unità e di incontro tra i popoli. Continuate dunque a prestare tutto il vostro apporto, diletti pastori, alla causa della giustizia, di una ben intesa integrazione latinoamericana, come uno speranzoso servizio all'unità" (Ioannis Pauli PP. II Allocutio in urbe flumenianuarensi ad Consilium episcopale Latinum americanum habita, die 8 iul. 1980: vide supra, p. 40).

Partendo da una visione della fratellanza universale degli uomini sotto la paternità divina - fratellanza che trova una sublime realizzazione nella partecipazione della stessa mensa eucarisitica - e del rispetto dinamico alla vocazione integrale dell'essere umano e delle sue manifestazioni religiose, sociali e culturali, la Chiesa è ben conscia del ruolo armonizzante che può esercitare soprattutto in una società come la vostra, dove la maggioranza dei cittadini sono strettamente vincolati da legami comuni di fede, di lingua e di cultura.

Per questo motivo, l'Episcopato latinoamericano, come un modello adeguato d'unità ecclesiale e sociale nei suoi interventi collettivi, proclama nel Documento di Puebla: "La Chiesa... guarda con soddisfazione agli impulsi della umanità verso l'integrazione e la comunione universale. In virtù della sua missione specifica, si sente inviata, non a distruggere, ma ad aiutare le culture a consolidarsi nel proprio essere e nella propria identità, convocando gli uomini di tutte le razze e popoli a radunarsi, per la fede, sotto Cristo nello stesso e unico popolo di Dio" (Puebla, 425).

E' una unione che oltrepassa quindi l'aspetto puramente religioso, senza pretendere la semplice uniformità, senza assorbire le diverse culture e nemmeno favorire il dominio di un popolo o di un settore sociale sugli altri. Ma senza neanche rinunciare a quella integrazione giusta, nella visione "di una grande patria latinoamericana e di una integrazione universale" (Ga 428).

In questa scia d'integrante solidarietà sono degni di apprezzamento e incoraggiamento gli sforzi compiuti dalle Organizzazioni Internazionali Regionali dell'America Latina, che tentano di promuovere e di dare efficace concretezza a questa corrente unificatrice nel continente latinoamericano.


5. L'amore alla libertà è un altro dei punti di riflessione che ci viene offerto dall'attuale commemorazione. Quell'anelito a costituire una grande Nazione, "più per la sua libertà e gloria che per la sua estensione e ricchezza" (Carta de Bolivar, Kingston, die 6 sept. 1815) è una sfida di perenne validità per le Nazioni e popoli dell'America Latina.

Tuttavia, superata la fase libertaria che culmino nell'indipendenza, si tratta ora di costruire man mano spazi effettivi di autentica libertà. Libertà in armonia con la legge divina, in un clima di solidarietà, di giustizia generalizzata, di rispetto dei diritti di ciascuna comunità politica, di ogni associazione legittima, di ogni settore sociale o famiglia. E come fondamento di tutto quanto, il rispetto dei sacri diritti di ogni persona e del suo esplicito rapporto con Dio, sia nel privato che nel pubblico.

La chiamata a questa costruzione della libertà deve trovare un'eco efficace - come insistentemente insegna la Chiesa - nel superamento di quei sistemi economici e ideologie che non sono al servizio della dimensione completa dell'uomo e che la soffocano ingiustamente: "E' un dato di fatto che non in tutto ciò che i diversi sistemi, e anche gli uomini in particolare, vedono e propagano come libertà, c'è la vera libertà dell'uomo. Dunque, a maggior ragione la Chiesa, in virtù della sua missione divina si fa custode di quella libertà che è condizione e base della vera dignità della persona umana" (Ioannis Pauli PP. II RH 12 cfr. Eiusdem Allocutio in III coetus Generalis Episcoporum Americae Latinae aperitione, die 28 ian. 1979, III, 2- 3. Insegnamenti di Giovanni Paolo II,II [1979] 223-224).

Perciò dobbiamo considerare che questa libertà personale e sociale resterà un sogno, se ogni comunità politica non sa elevarsi - con le norme costituzionali e la loro osservanza pratica -, a difensora e promotrice della dignità di ogni suo membro, aiutandolo a sviluppare le proprie facoltà, cominciando con l'evitare ogni forma di ingiustizia o discriminazione; realtà che per disgrazia, non appartengono soltanto al passato (cfr. Eiusdem Epistula ad Conradum Waldheim, Consilii Nationum Unitarium virum a Secretis, die 2dec. 1978: ,I [1978] 252ss).


6. Nell'ambito di queste riflessioni, che ovviamente non possono essere esaurienti, e che suggeriscono l'occasione del nostro incontro, non voglio evitare una rapida allusione alla presenza vicina della Santa Sede in quei delicati e trascendentali momenti della vostra storia.

Quando, per esempio, agli inizi del secolo scorso, le guerre civili prima e le vicissitudini dell'indipendenza dopo, crearono divisioni nella Chiesa e originarono lo smantellamento delle Sedi Episcopali, la Santa Sede ha provveduto, non senza difficoltà e d'accordo con la delegazione di Ignazio Tegada, alla designazione di Vescovi "proprietari" che curassero il bene spirituale della grande Colombia.

Quella sollecitudine per la cura morale dei vostri popoli e per la promozione degli spiriti, che era una prova eloquente della presenza incoraggiante ed amica della Chiesa, persiste con rinnovata intensità nei propositi di questa Sede Apostolica. Essa valorizza altamente la vostra condizione di Nazioni nobili e cristiane e vuole aiutarvi, nel rispetto delle legittime istanze e fedele alle esigenze della propria missione, affinché ciascuno dei suoi figli si realizzi nella sua duplice missione: terrena ed eterna. Questo è il significato più profondo del nostro incontro davanti all'altare del Signore in questa data speciale.


7. A Cristo, Principe della pace e speranza dei popoli, come ce lo presenta la liturgia in questo periodo d'avvento, affidiamo queste aspirazioni nel sacrifico eucaristico che stiamo celebrando. Voglia Iddio condurre il destino dei vostri paesi per vie di giustizia, di concordia e di rettitudine morale.

Alla Santissima Vergine Maria, alla quale con molteplici invocazioni accorrono fiduciosi i fedeli dell'America Latina, coscienti della potente intercessione di tanto eccelsa Madre, ripeto per voi, per le vostre nazioni e per i vostri concittadini la stessa supplica che pronunciai pellegrino nel Tepeyac: "Fa che tutti, governanti e governati, imparino a vivere in pace, si educhino per la pace, facciano quanto esige la giustizia e il rispetto dei diritti di ogni uomo, affinché si consolidi la pace... Che la tua materna presenza nel mistero di Cristo e della Chiesa si converta in fonte di gioia e di libertà per ciascuno e per tutti; fonte di quella libertà per mezzo della quale "Cristo ci ha liberato" (Ga 5,1), e finalmente fonte di quella pace che il mondo non può dare, ma che viene data solo da Lui, Cristo" (Ioannis Pauli PP. II Homilia in Basilica B.M.V.

in urbe "Guadalupe" habita, 5, die 27 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 165-166). Amen. [Traduzione dallo spagnolo]

Data: 1980-12-17 Data estesa: Mercoledi 17 Dicembre 1980.


Il Papa riceve in visita ufficiale S.E. il Presidente Cvijetin Mijatovic - Città del Vaticano (Roma)

Signor Presidente, 1. Come prima cosa vorrei dire a Sua Eccellenza quanto apprezzi la sua visita. Mi permetta di esprimerle le mie congratulazioni dopo la sua elezione all'alta carica di Presidente della Presidenza della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava.

Mi ricordo del nostro primo incontro quando Lei rappresentava la Iugoslavia alla cerimonia d'inaugurazione del mio Pontificato.

Negli ultimi anni ci sono state molte occasioni di contatto e di conversazione fra alti dignitari del suo paese e la Santa Sede. Evoco la più recente: il mio incontro con il Signor Segretario Federale per gli Affari Esteri che accompagna oggi Sua Eccellenza; ebbe luogo nel giugno scorso, all'indomani del mio ritorno dal Brasile. E' naturale che la sua visita, Signor Presidente, ravvivi il ricordo di una circostanza analoga a quella di oggi, quella del ricevimento del Presidente Tito da parte di Papa Paolo VI una decina d'anni fa.

Quella visita ha segnato una tappa importante nel consolidamento di relazioni più fruttuose fra la Santa Sede e la Iugoslavia, normalizzate a livello diplomatico alcuni anni prima, e nella ricerca di relazioni leali fra Chiesa e Stato. Quando queste si fondano sul rispetto della reciproca indipendenza e sui diritti di ognuno, non possono che andare a vantaggio della società civile, così come della Chiesa.

Fu possibile affermare allora che era stato superato un periodo certamente non esente da difficoltà nei rapporti fra Santa Sede e Chiesa Cattolica in Iugoslavia da un lato, e le Autorità civili dall'altro. La volontà di impegnarsi reciprocamente per lo sviluppo di quel riavvicinamento già realizzato, doveva servire ad approfondire il dialogo su quei problemi riguardanti la pace e la collaborazione internazionali - ai quali la Santa Sede e la Iugoslavia riservano sempre un'attenzione particolare - e su questioni collegate alla presenza attiva della comunità cattolica in Iugoslavia. Per quest'ultimo punto, lo scopo era di assicurare sempre più lo spazio di legittima libertà - senza privilegi - di cui la Chiesa ha bisogno per svolgere il proprio ministero spirituale.

Penso che il modo in cui sono stati vissuti questi rapporti negli ultimi anni abbia sufficientemente confermato le previsioni ed i desideri dei protagonisti dell'incontro. La vostra visita oggi è un segno della determinazione a proseguire sulla strada intrapresa.

Cogliendo questa occasione, voglio riaffermare la disponibilità della Santa Sede a proseguire nella stessa direzione, cosciente dei risultati positivi che ne possono ulteriormente derivare grazie allo sforzo congiunto di uomini che, animati di buona volontà, esaminano insieme i diversi problemi per cercare delle soluzioni adeguate.


GPII 1980 Insegnamenti - L'omelia alla Parrocchia della Natività - Roma