GPII 1980 Insegnamenti - Il Papa riceve in visita ufficiale S.E. il Presidente Cvijetin Mijatovic - Città del Vaticano (Roma)


2. E' in questa prospettiva di un'azione particolare in favore della pace e, nello stesso tempo, del servizio inerente al mio ministero apostolico che bisogna considerare l'iniziativa che ho ritenuto mio dovere intraprendere inviando, il primo settembre scorso, il documento sulla libertà di coscienza e di religione, accompagnato da una lettera personale, a Sua Eccellenza e agli altri Capi di Stato firmatari dell'Atto Finale di Helsinki, in vista della Riunione sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa che si svolge attualmente a Madrid.

Conoscendo infatti la crescente importanza che implica, per una pace reale ed effettiva, a livello nazionale ed internazionale, il godimento concreto dei beni spirituali e dei diritti inalienabili della persona umana che vi corrispondono, mi è parso utile invitare i destinatari ad una riflessione approfondita sull'argomento in modo da favorire in ogni paese un'applicazione completa ed organica della libertà religiosa nella vita reale.

La vostra risposta, che ho appena ricevuto, manifesta che Lei stesso ed il Governo Jugoslavo avete compreso lo scopo positivo di quel documento. Questo ha lo scopo di fare in modo che, nei paesi attenti a sviluppare il processo multilaterale avviato dalla firma dell'Atto Finale di Helsinki, ogni essere umano veda soddisfatte in modo adeguato le proprie aspirazioni naturali più intime, di ordine spirituale, a livello individuale e comunitario, e trovi così un incoraggiamento e delle condizioni più favorevoli per apportare serenamente il proprio contributo alla realizzazione di un maggior benessere sociale per tutti.

Penso che questo documento esaminato alla luce di tale prospettiva potrà avere degli effetti benefici anche per la vita e l'attività della Chiesa cattolica Jugoslava, affinché essa possa compiere la sua missione religiosa e spirituale in modo sempre più adeguato. Tali progressi non potranno che facilitare l'apporto dei cattolici jugoslavi al miglioramento ed al consolidamento della vita sociale.


3. Se la mia iniziativa corrisponde alla missione particolare del Seggio Apostolico, è altrettanto vero che quest'ultimo continua a seguire con viva stima qualsiasi altra iniziativa e qualsiasi altro sforzo miranti a superare le tensioni e le discordie che inquietano la vita degli uomini e delle nazioni e, in conseguenza, ad affermare la pace e rendere possibili migliori rapporti internazionali in Europa ed al di fuori del continente. A questo proposito, conosco i continui sforzi della Iugoslavia in seno alle diverse istanze internazionali per preparare le vie che permettano di superare le gravi difficoltà che rendono ancora oggi fragile la pace del mondo.

Non ci si stupirà dunque se, assicurandoLa che la Santa Sede non cesserà di pronunciarsi ed agire in favore di un dialogo saggio, aperto e leale - considerandolo un modo giusto ed umano per raggiungere la soluzione dei complessi problemi che preoccupano l'opinione pubblica mondiale - Le rinnovo, Eccellenza, i miei ferventi voti per la continuazione dell'azione che il vostro paese ha intrapreso in questo senso e che è il frutto di un atteggiamento di legittima indipendenza che la caratterizza da molti anni.


4. In questa fine del 1980, mi permetta, Signor Presidente, di rivolgere a tutto il popolo jugoslavo, ed in primo luogo a Lei e alle Autorità federative e locali, i miei migliori auguri perché il nuovo anno porti a tutti, fra gli altri doni, la gioia di un costante progresso che sia capace di soddisfare le loro aspirazioni umane materiali e spirituali. Chiedo al Signore che sia così, e mi faccio dovere di augurare una felice festa di Natale a tutti quelli che, in Iugoslavia, condividono nella fede la gioia della sua imminente celebrazione.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-12-19 Data estesa: Venerdi 19 Dicembre 1980.


Alla Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Con lo spirito e la forza camminiamo dinanzi al Signore

1. "O Radix Iesse, qui stas in signum populorum, super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur: veni ad liberandum nos, iam noli tardare!".

Con queste parole l'odierna liturgia d'Avvento saluta colui che deve venire, colui che è lo scopo della nostra attesa. Intorno a queste parole della liturgia d'oggi desidero incontrarmi con voi, che costituite l'ambiente universitario di Roma: con voi, venerati professori e ricercatori, con voi, cari studenti. Ho desiderato molto questo incontro d'Avvento. Lo ritengo come un atto indispensabile del mio ministero nella Chiesa romana. Lo ritengo anche come un'occasione particolare per manifestare questa unità, questa "communio" spirituale, che unisce voi intorno a Cristo, e mediante ciò vi unisce anche tra di voi, e in maniera più forte delle diverse divisioni e differenze, alle quali sono sottomesse la vita pubblica e l'opinione sociale. In queste differenze si manifesta senz'altro la dignità umana e civica. Bisogna tuttavia essere molto attenti perché non diventino un fattore, che renda impossibile l'azione per il bene comune, e paralizzi l'indispensabile legame sociale.

Mi rallegro quindi della vostra presenza, amati miei fratelli e sorelle, e al tempo stesso, figli e figlie, dato che come Vescovo di Roma, in cui si manifesta anche la paternità della nostra famiglia spirituale, mi è lecito chiamarvi anche così. Mi rallegro della vostra presenza di stasera nella Basilica di San Pietro, e gioisco insieme con voi di quella gioia d'Avvento, che, soprattutto negli ultimi giorni di questo periodo, si fa particolarmente sentire nella liturgia. Infatti, in questi giorni l'Avvento diventa veramente il periodo dell'attesa gioiosa.


2. Mentre vi incontro di nuovo qui riuniti, non posso staccare questo incontro dal contesto più largo degli incontri collegati col mio ministero pastorale in diversi luoghi d'Italia e del mondo. Ho in mente i diversi incontri che nel passato, e in particolare nel corso di quest'ultimo anno, hanno avuto luogo in diversi Paesi ed anche in diversi Continenti. Essi sono stati, tuttavia, simili ai nostri incontri d'Avvento e di Quaresima nella Basilica di San Pietro, sia per quanto riguarda il carattere dell'ambiente, col quale mi è stato dato di incontrarmi durante le mie visite fuori Roma, sia pure per quanto riguarda la somiglianza degli argomenti, che quegli ambienti presentano dato il loro carattere universitario.

Conservo quindi bene nella memoria il Continente africano e gli incontri a Kinshasa, nello Zaire, ed anche, un po' più tardi, quelli ad Abidjan nella Costa d'Avorio. Per quanto riguarda la visita, fatta nel mese di luglio in Brasile, il grande raduno dei giovani a Belo Horizonte non riguardava soltanto la gioventù accademica, ma tutta la gioventù del luogo e anche quella pervenuta dalle diverse parti di quell'immenso Paese. Per un'altra ragione non posso, tuttavia, passare sotto silenzio il particolare incontro con i rappresentanti qualificati del mondo della scienza e della cultura a Rio de Janeiro. Ritornando al Continente europeo, ho vivo nella memoria quel "colloquio" serale con cinquantamila giovani francesi al Parc-des-Princes, ed inoltre la visita all'Istituto Cattolico, a Parigi. Infine recentemente, in Germania, ho in mente soprattutto l'incontro avvenuto nella cattedrale di Colonia e quello poi a Monaco di Baviera.

Ricordo tutto ciò stasera per mettere in evidenza anche il carattere essenziale del nostro incontro d'Avvento. Come Vescovo di Roma apprezzo molto queste sere di comune preghiera con voi, e di compartecipazione della Parola di Dio e dell'Eucaristia, che mi permettono di attingere da esse ispirazione per gli altri simili incontri, e da questi altri incontri prendono peraltro la dimensione e il tema. Ma su tutte queste strade nelle quali si conduce il colloquio con l'uomo contemporaneo sul tema della cultura, della scienza, e, nello stesso tempo, delle fondamentali dimensioni della sua esistenza spirituale, sono sempre soprattutto il Vescovo di Roma, cioè il vostro Vescovo. La cultura, la scienza, il servizio alla verità ed alla bellezza sono, infatti, molto spesso l'espressione ignorata dell'Avvento per l'uomo, sono la manifestazione del fatto che egli vive in un'attesa che, in pari tempo, è un'aspirazione; e il metro di questa aspirazione è più grande della forma soltanto materiale della produzione e del consumo, che la civilizzazione contemporanea cerca di imporre alla vita umana. E perciò apprezzo tanto che presso la Sede Apostolica esista la Pontificia Accademia delle Scienze ed altri organismi, che servono la causa della cultura e della scienza. E sono molto contento che su questi argomenti ho potuto parlare, nell'anno che tramonta, a Parigi dinanzi all'Assemblea generale dell'UNESCO. A voi, che costituite l'ambiente universitario di Roma, saro particolarmente grato per il pensiero rivolto a questi importanti problemi insieme con me, vostro Vescovo, per la ricerca, che fate insieme con me, delle vie per il futuro dell'uomo, le vie dell'avvento umano.

Su queste vie, infatti, si trova proprio Colui, che la Chiesa, nell'odierna antifona dell'Avvento, invoca, gridando quasi dal profondo di ogni uomo, della profondità della sua umanità stessa: "O Radix Iesse, qui stas in signum populorum... veni!".


3. Le letture liturgiche di stasera, come accade qualche volta, mettono a confronto due avvenimenti distinti nel tempo, ma in qualche modo simili e reciprocamente vicini. Uno di essi si collega con la nascita di Sansone, il quale, nell'epoca dei Giudici, dopo l'arrivo d'Israele nella Terra promessa, fu chiamato alla difesa del suo popolo dai Filistei. Invece, il secondo avvenimento si collega con la nascita di Giovanni il Battista.

Tutto l'Avvento rimane nella prospettiva della nascita. Soprattutto di quella nascita a Betlemme, che rappresenta il punto culminante della storia della salvezza. Dal momento di questa nascita, l'attesa si trasforma in realtà. Il "vieni" dell'Avvento si incontra con l'"ecce adsum" di Betlemme.

Tuttavia, questa prima prospettiva della nascita si trasforma in una ulteriore. L'Avvento ci prepara non soltanto alla nascita di Dio, che diventa uomo. Esso prepara anche l'uomo alla propria nascita da Dio. Infatti l'uomo deve costantemente nascere da Dio. La sua aspirazione alla verità, al bene, al bello, all'assoluto si attua in questa nascita. Quando arriverà la notte di Betlemme e poi il giorno di Natale, la Chiesa dirà dinanzi al Neonato, che, come ogni neonato, dimostra la debolezza e l'insignificanza: "A quanti... l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio" (Jn 1,12). L'Avvento prepara l'uomo a questo "potere": alla sua propria nascita da Dio. Questa nascita è la nostra vocazione. E' la nostra eredità in Cristo. La nascita, che dura e si rinnova.

L'uomo deve nascere sempre di nuovo in Cristo da Dio; egli deve rinascere da Dio.

L'uomo cammina verso Dio - e questo è il suo avvento - non soltanto come verso un Assoluto sconosciuto dell'essere. Non soltanto come verso un punto simbolico, il punto "Omega" dell'evoluzione del mondo. L'uomo cammina verso Dio, così da arrivare a Lui stesso: al Dio Vivente, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Ed egli arriva, quando Dio stesso viene a lui, e questo è l'Avvento di Cristo. L'Avvento, che supera la prospettiva della trascendenza umana, supera la misura dell'avvento umano.

L'Avvento di Cristo si compie nel fatto che Dio diventa uomo, che Dio nasce come uomo. E contemporaneamente, esso si compie nelfatto che l'uomo nasce da Dio, che l'uomo rinasce costantemente da Dio.

Una volta, all'inizio della sua storia l'uomo, maschio e femmina, ha sentito le parole della tentazione: "Diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gn 3,5). Ed egli ha seguito questa tentazione. E continua a seguirla costantemente. Ora, in mezzo alla storia dell'umanità è venuto Cristo per ricondurre l'uomo dalle vie della tentazione sulla strada della Promessa e dell'Alleanza, per mostrare ciò che in quella tentazione fu falso, ed insieme rivelare come deve compiersi l'avvento dell'uomo sulla strada della Promessa divina e dell'Alleanza. In qual modo altrimenti l'uomo può "diventare come Dio" se non soltanto "nascendo" da Dio, se non soltanto come "figlio nel Figlio Unigenito"? Come altrimenti? Alla tentazione perenne dell'uomo bisogna contrapporre l'Avvento di Cristo: bisogna nascere da Dio e incessantemente rinascere da Dio.

E se in mezzo a queste vaste prospettive, che stende davanti a noi il progresso della cultura o della scienza, il quale suscita la legittima gioia e lo sviluppo della civilizzazione della produzione e del consumo insieme con lo sviluppo del la civilizzazione della minaccia e della violenza, se, ripeto, in mezzo a tali prospettive ho, in questa sera di Avvento, qualche proposta particolare da rivolgere a voi, essa è la seguente: non cessate di vivere, nascendo costantemente da Dio e rinascendo da Dio! L'Avvento di Cristo pulsa nella nostalgia dell'uomo per la verità, per il bene e il bello, per la giustizia, per l'amore e per la pace. L'Avvento di Cristo pulsa nei sacramenti della Chiesa, che ci permettono di nascere da Dio e di rinascere da Dio.

Vivete il Natale, rigenerati in Cristo nel sacramento della Riconciliazione! Vivete il Natale, assorbendo il contenuto più profondo del mistero di Dio, verso il quale, in definitiva, si apre tutto l'avvento dell'uomo! "O Radix Iesse, ...veni ad liberandum nos, iam noli tardare"! 4. All'annunzio della nascita di Giovanni il Battista, suo padre Zaccaria sente queste parole: "...Egli sarà grande davanti al Signore... sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'lsraele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza..." (Lc 1,15-17).

Questa è ancora un'altra direzione della strada, sulla quale ci incammina l'Avvento. L'uomo non soltanto cammina verso Dio attraverso ciò che è in lui: attraverso la sua incompiutezza, la sua minaccia, e insieme il carattere trascendentale della sua personalità, indirizzato verso la verità, il bene, il bello; attraverso la cultura e la scienza; attraverso il desiderio e la nostalgia per un mondo più umano, più degno d ell 'uomo.

L'uomo non soltanto cammina verso Dio (del resto spesso senza saperlo o addirittura negandolo) attraverso il suo proprio avvento: attraverso il grido della sua umanità. L'uomo va verso Dio, camminando, nella storia della salvezza, dinanzi a Dio: dinanzi al Signore, come sentiamo nel Vangelo nei confronti di Giovanni il Battista, il quale doveva camminare innanzi al Signore con lo spirito e la forza.

Questa nuova direzione della via dell'avvento dell'uomo è collegata in modo particolare con l'Avvento di Cristo. Tuttavia l'uomo cammina "innanzi al Signore" sin dall'inizio e camminerà dinanzi a Lui fino alla fine, perché egli è semplicemente immagine di Dio. Camminando quindi per le strade del mondo, egli dice al mondo e rende testimonianza a se stesso di Chi egli è immagine. Cammina dinanzi al Signore soggiogando la terra, perché di fatto la stessa terra, così come tutto il creato, sono sottomessi al Signore e il Signore li ha dati in dominio all'uomo.

Egli cammina dinanzi al Signore, riempiendo la sua umanità e la sua storia terrestre col contenuto del suo lavoro, col contenuto della cultura e della scienza, col contenuto della ricerca incessante della verità, del bene, del bello, della giustizia, dell'amore, della pace. E cammina dinanzi al Signore, avvolgendosi spesso in tutto ciò che è negazione della verità, del bene e del bello, negazione della giustizia, dell'amore, della pace. A volte sente di essere avvolto molto in queste negazioni. Quasi per contrasto egli avverte, allora, tutto il peso dell'immagine sfigurata di Dio nella sua anima e nella sua storia.

L'avvento dell'uomo s'incontra con l'Avvento di Cristo.

"O Radix Iesse, qui stas in signum populorum,... quem gentes deprecabuntur, veni ad liberandum nos, iam noli tardare!".

L'Avvento di Cristo è indispensabile, perché l'uomo ritrovi in esso la certezza che, camminando per il mondo, vivendo di giorno in giorno e di anno in anno, amando e soffrendo..., egli cammina dinanzi al Signore, di cui è immagine nel mondo; che egli rende testimonianza di Lui davanti a tutto il creato.


5. Cari partecipanti a quest'incontro di Avvento! Terminando questa meditazione, desidero augurare a voi, e all'intero ambiente da voi rappresentato, che il Natale rinnovi in ciascuno di voi la certezza di questa strada, per la quale camminate, sulla quale vi guida Cristo.

Che voi tutti, i vostri compatrioti e, insieme, tutti coloro ai quali è giunto, nel corso di quest'anno che sta volgendo alla fine, il mio servizio, riacquistiate il coraggio e la gioia di questa strada sulla qualè camminate, sulla quale vi guida Cristo.

Che continuiate, con costanza e in modo sempre più maturo, a "camminare dinanzi al Signore".

Si! Che camminiate "dinanzi al Signore". Amen. Data: 1980-12-19 Data estesa: Venerdi 19 Dicembre 1980.


Ai ragazzi dell'Azione Cattolica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rendete concreta testimonianza alla gioia del Natale

Cari Ragazzi di Azione Cattolica, 1. E' questa un'occasione di letizia per me: incontrarmi con voi per ricevere gli auguri natalizi che voi mi portate anche a nome di tutti i ragazzi dell'Azione Cattolica Italiana. Ma è anche un'occasione di mestizia, perché voi provenite, come rappresentanti dei vostri coetanei, da quelle zone del Sud d'Italia, che sono state così duramente colpite dal recente sisma, che ha procurato paurosi sconvolgimenti, seminando in un attimo distruzione e morte.

Voi siete stati testimoni di quei momenti di immane sofferenza, e tuttavia, forti della vostra fede cristiana, vi fate latori presso il Papa di un auspicio di gioia e di pace, quasi per esprimere a Lui le certezze evangeliche che vi accompagnano nel faticoso cammino dell'ora presente. Cari ragazzi, vi ringrazio per questo atto di devozione e di ossequio, ed insieme con voi desidero sostare un momento nella riflessione dei profondi ed inestinguibili motivi di fiducia che permeano l'attesa liturgica della Chiesa in questo tempo di immediata preparazione al Natale.


2. La Liturgia dell'Avvento illumina di viva luce la psicologia del cristiano.

Essa, mentre ci fa costatare che "la coscienza della nostra colpa ci rattrista", ci indica al tempo stesso, con contrasto espressivo, la fonte della nostra gioia "nella venuta del Redentore", il quale salvandoci nello spirito e nella carne, ci riempie di speranza, e ci apre, altresi, all'amore, divenuto segno della vita cristiana e pregustazione dei beni eterni. L'amore di Dio per il suo popolo non viene mai meno e Dio stesso sarà il redentore del suo popolo, offrendogli un'alleanza di pace: "Poiché tuo sposo è il tuo creatore, tuo redentore è il Santo di Israele; ...anche se i monti vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace" (Is 54,5-10).

Ecco dove si fondano la vostra certezza, la vostra fiducia, la vostra speranza: sull'Amore di Dio che si manifesta in Cristo Salvatore, e di cui voi volete farvi messaggeri e testimoni, nella convinzione che l'Amore è più potente della sofferenza e della morte, è più potente del peccato (cfr. Lett. Apost. DM 8). Approfondendo nella fede, nella preghiera, nell'esperienza quotidiana la realtà dell'Amore di Dio che salva, voi aspirate ad essere presso gli altri segno di tale amorosa volontà salvifica; trovando misericordia, voi desiderate manifestare misericordia. Ciò è la "sintesi di tutta la buona Novella, di tutto il mirabile scambio ivi racchiuso, che è una legge semplice, forte ed insieme dolce dell'economia stessa della salvezza".


3. Voi qui presenti e tutti quelli che militano nelle file dell'Azione Cattolica Italiana, siete animati dal proposito di collaborare con sempre maggiore responsabilità all'apostolato gerarchico, al compito di evangelizzazione che spetta alla Chiesa intera. Rendete, dunque, testimonianza efficace e concreta alla gioia del Natale, alla gioia della salvezza, alla certezza dell'Amore di Dio che è più forte di ogni distruzione, che sa costruire su qualunque rovana cose più grandi e più belle. Ecco allora una meta privilegiata, la meta delle mete della vostra opera di giovani cattolici: siate apostoli della speranza e dell'amore, recati al mondo dal Natale.

Ed in particolare, voi che mi ascoltate, tornando in mezzo ai vostri cari, diffondete attorno a voi la fiducia in un domani più sereno, perché basato sull'amore. La vita continuerà, ma deve affrontare ogni giorno problemi formidabili di ricostruzione. La solidarietà generosa richiederà sempre nuovi impegni concreti, i quali potranno essere affrontati e sostenuti solo se animati interiormente dalla sicurezza di un amore che viene dall'alto e che realizza il suo disegno di salvezza attraverso le strade spesso tormentose dell'umanità. Siate araldi di tale luminoso messaggio.

Buon Natale, cari ragazzi, a voi, a tutti i vostri amici dell'Azione Cattolica Italiana, ai vostri assistenti e presidenti, alle vostre famiglie e parrocchie. Porgete questo mio augurio di pace a tutte le persone provate dalla recente immane calamità. Dite che il Papa nella Notte di Natale è loro vicino con intensa preghiera, perché il Bambino Gesù rechi ai cuori dolcezza e speranza. Vi accompagni nei prossimi giorni festivi la mia affettuosa Benedizione.

Data: 1980-12-20 Data estesa: Sabato 20 Dicembre 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annuncio del prossimo pellegrinaggio in Estremo Oriente

1. "Il Signore è vicino"...

Con queste parole incominciano le preghiere liturgiche di ogni giorno a partire dal 17 dicembre, cioè nell'ultimo periodo di Avvento, che precede immediatamente il Natale.

Ed oggi, con le stesse parole, desidero salutare tutti Voi, riuniti in piazza San Pietro per la comune preghiera. In modo particolare, saluto i bambini delle Parrocchie romane, che sono venuti qui con il Bambino Gesù, desiderando così invitare, a modo loro, da bambini, il Divino Bambino nelle proprie case e ancor più nei loro cuori.

Cari bambini, benedicendo le e che reggete nelle vostre mani, desidero contemporaneamente benedire e i Vostri cuori e le Vostre case paterne in cui il Signore Gesù deve nascere mediante la fede, la speranza e la carità.

Questo commovente incontro con i Romani più piccoli mi offre l'opportunità di formulare i più cordiali auguri per il Natale a tutte le famiglie, a tutte le parrocchie, a tutte le comunità, a tutta la città di Roma, legata così strettamente alla Sede di San Pietro.

Penso particolarmente agli abbandonati e ai sofferenti, agli ammalati negli ospedali e nelle case, alle persone anziane, ai disoccupati, a quanti piangono i loro cari, a coloro che, dopo l'ultimo terremoto, sono rimasti senza tetto.

A tutti dico: "Il Signore è vicino". Prepariamoci, dunque, alla sua venuta.


2. Rivolgo poi uno speciale pensiero alla cara nazione del Salvador, dove in questi ultimi mesi si sono accresciute le gravi tensioni che turbano profondamente la vita civile e provocano sempre più numerose vittime nei vari ceti della società. La comunità cattolica di El Salvador, già tanto provata, è stata ancora dolorosamente colpita, di recente, con l'uccisione di diverse persone, tra le quali anche alcune ecclesiastiche e religiose, avvenuta con atti di violenza terroristica che sembra si giovino di una facile impunità. Alcuni giorni fa sono morte così quattro suore di origine americana, missionarie nel Paese.

Per far fronte a questa situazione angustiante, che si protrae ormai da molto tempo, i Vescovi salvadoregni hanno più volte manifestato, finora purtroppo senza esito, la volontà di offrire la loro opera di mediazione tra le parti in conplitto, nel superiore interesse della pacificazione nazionale.

Preghiamo perché l'annunzio di pace, recato dagli Angeli nel Natale di Cristo Salvatore del mondo, susciti uno sforzo di comprensione che faccia cessare la lotta fratricida e restituisca finalmente tranquillità a quel popolo martoriato.

[Dopo aver guidato la recita de l'Angelus Domini, Giovanni Paolo II ha così annunciato il suo prossimo pellegrinaggio in Estremo Oriente:]

3. Desidero ora parteciparvi una lieta notizia: dal 16 al 27 febbraio del prossimo anno mi rechero in Estremo Oriente per una visita pastorale.

Fin dai primi mesi del mio ministero nella Sede del Vescovo di Roma, il Cardinale Jaime L. Sin, Arcivescovo di Manila, si rivolse a me domandando che la futura beatificazione del primo figlio delle Filippine, Lorenzo Ruiz, si potesse celebrare nella sua terra natia. Essendo stato ora portato felicemente a termine il processo di beatificazione dei 16 martiri, tra i quali si trova anche quel Filippino, intendo soddisfare il desiderio dei due Cardinali e di tutto l'Episcopato di quel Paese, corrispondendo così al loro invito ed a quello del Presidente della Nazione Filippina: ad essi va fin d'ora il mio più vivo ringraziamento.

Mi rechero quindi innanzi tutto a Manila, tenendo anche presente il recente 400° anniversario dell'istituzione di quella grande Arcidiocesi, dove coronero l'anno giubilare con la menzionata cerimonia di beatificazione.

Visitero poi anche altre località di quell'Arcipelago, i cui abitanti appartengono, in grande maggioranza, alla Chiesa cattolica.

Faro poi una breve sosta nell'isola di Guam, per portare il mio saluto al piccolo, ma generoso popolo, che vive sparso nelle isole di quella zona del Pacifico.


4. Il primo figlio della Chiesa cattolica nelle Filippine, che sarà elevato all'onore degli altari, ha subito il martirio insieme con altri quindici missionari a Nagasaki, in terra giapponese. Perciò l'ulteriore corso di questo pellegrinaggio sulle orme dei martiri mi condurrà in Giappone, accogliendo l'invito del Cardinale Satowaki e degli Arcivescovi e Vescovi della Chiesa di quel Paese. L'Episcopato giapponese, nella primavera dell'anno 1980 che sta per terminare, ha fatto la sua visita "ad limina", rendendo testimonianza alla vita e all'attività della Chiesa nella sua Patria.

Nel programma del viaggio è prevista una visita anche ad Hiroshima, nel luogo cioè in cui per la prima volta si è manif estata la terribile f orza distruttrice della bomba atomica. Imploreremo Dio misericordioso che ciò non si ripeta mai più nella storia dell'umanità.

Desidero esprimere la mia gratitudine anche all'Imperatore ed alle Autorità statali per il loro benevolo atteggiamento nei confronti di questa iniziativa pastorale.

Vi invito tutti ad unirvi a me nella preghiera, per impetrare la benedizione del Signore su questo viaggio apostolico, che mi auguro possa rivelarsi fecondo di frutti per la Chiesa e per l'incremento della pace fra i popoli.

Data: 1980-12-21Data estesa: Domenica 21Dicembre 1980.


Nel corso della visita all'Ospedale "San Giacomo" - Roma

Titolo: La comunione ecclesiale trae alimento dai sacrifici di coloro che soffrono

Fratelli e figli carissimi! 1. Dopo la visita da me compiuta, nel dicembre dello scorso anno, all'Ospedale primario di Santo Spirito in Sassia ed all'omonimo Pio Istituto, ho desiderato vivamente di venire in questo Centro nosologico dedicato e quasi consacrato all'assistenza ed alla cura dei malati. Se si guarda, infatti, alla sua antichità ed alla sua storia - una storia di quasi sette secoli -, esso ha titoli non inferiori né secondari per esser considerato come si conviene e s'iscrive degnamente, per la qualificata attività che vi è svolta tuttora, nel quadro assai vasto e multiforme della organizzazione socio-sanitaria e delle strutture ospedaliere dell'Urbe. Oggi esso è parte importante dell'"Unità Sanitaria Locale, Roma Prima".

Ma io son venuto - come ben comprendete - non tanto per rilevare i pur importanti elementi esterni che distinguono il San Giacomo, quanto per incontrarmi, secondo la natura della mia missione di Vescovo di Roma, con le persone che qui son presenti. Desidero, perciò, salutare le Autorità politiche ed amministrative, a cominciare dal Signor Presidente della Giunta Regionale Laziale e dalla Presidente del Comitato di gestione della predetta Unità Sanitaria, che ringrazio per il gentile indirizzo di benvenuto. Quale pastore che vuol essere e deve essere vicino alle pecorelle del suo gregge, io penso poi a tutti coloro che qui lavorano come operatori sanitari e qui soffrono per i dolori della malattia: penso a voi, signori medici, assistenti ed infermieri, e soprattutto a voi, amatissimi fratelli infermi: tutti voi, ad uno ad uno, io ora desidero salutare nel nome del Signore. Vedo in mezzo a voi Monsignor Fiorenzo Angelini, che da tanti anni si occupa attivamente della pastorale ospedaliera, e son con lui gli zelanti cappellani, le suore infermiere, il Consiglio pastorale dell'Ospedale ed i benemeriti volontari nell'assistenza agli infermi; perciò, anche ad essi porgo volentieri il mio cordiale saluto.


2. Fin dall'inizio, l'Ospedale San Giacomo ebbe qui la sua sede per una scelta non certo casuale. Come nel caso del Santo Spirito, i benemeriti fondatori e promotori si preoccuparono che esso sorgesse in una zona adiacente alle vie Cassia e Flaminia, tanto spesso percorse dai pellegrini "romei" nel loro itinerario di fede e di pietà verso la città, consacrata dal martirio dei Santi Pietro e Paolo. Si potrebbe dire che fu quella una "scelta strategica", intesa ad offrire a chi dal Nord giungeva a Roma, dopo tante fatiche ed anche, in qualche caso, dopo i pericoli di un lungo viaggio, accoglienza e assistenza e, quando c'erano infermi, anche il soccorso e il ricovero.

Non staro a ricordare le singolari, costanti premure che nel corso dei secoli i Pontefici, miei predecessori, riservarono a questo Ospedale, affidandolo per la gestione a speciali Confraternite, decorandolo del titolo di Arciospedale e destinandolo a coloro che erano affetti da malattie, un tempo ritenute "incurabili" o, meglio, "non guaribili" (cfr. Bolla Salvatoris nostri, di Leone X, in data 19 Iuglio 1515: Bullarium Romanum, t. III, p. III, 418-420; cfr. ibid. 421-423).

Ben più importante io considero un altro dato, che è indice di un prestigioso livello spirituale: nell'età del Rinascimento italiano il San Giacomo fu attiva palestra di carità per alcune grandi figure di Santi. San Gaetano da Thiene ne fece per molti anni la sua dimora abituale per poter essere vicino ai fratelli ammalati. San Filippo Neri lo frequento fin da giovane come luogo per esercitarvi la pietà e fu tra i primi ad intravedere l'opportunità di assicurare ai convalescenti un periodo di soggiorno in luogo adatto, prima di riprendere il lavoro. San Felice da Cantalice, tanto popolare nella Roma del Cinquecento, qui si recava di frequente per aiutare i Confratelli Cappuccini, che vi operavano ai suoi tempi. Ma più degli altri al San Giacomo è legato il nome di San Camillo de Lellis, il quale vi trascorse, in diversi periodi, quasi un decennio della non lunga sua vita, come infermo, inserviente, infermiere e maestro di casa. Dopo la conversione dalle dissipazioni della giovinezza, nell'annessa, antica chiesa di San Giacomo egli celebro la sua prima Messa, e si può dire che proprio dalla sofferta e concreta esperienza, qui maturata, derivo le linee così sapienti di azione pastorale, che fisso poi nella Regola della sua Congregazione dei "Ministri degli Infermi". Anche oggi entro queste mura venerande aleggia il suo spirito, e - possiamo aggiungere - egli tuttora vi opera grazie alla presenza ed alla dedizione dei "suoi" religiosi.


3. Ma l'incontro odierno rischierebbe di rimanere astratto ed impersonale, se non ci fosse, da parte mia, una distinta e diretta parola per le persone, che, con la loro presenza e con la loro opera, animano da veri protagonisti la realtà ospedaliera. Mi rivolgo innanzitutto a voi, stimati medici e professori, che con i vostri collaboratori avete la responsabilità primaria di curare i malati, bisognosi come sono di comprensione umana e di amorevolezza fraterna, prima ancora che di efficaci e di appropriate terapie. Conosco bene le difficoltà di vario genere, che son proprie della vostra professione: oltre che i sacrifici facilmente intuibili, che si chiamano dovere della presenza, della prontezza dell'intervento, o della "reperibilità" nei casi di urgenza, c'è l'esigenza di tenersi aggiornati nel settore medico-scientifico che, ai nostri giorni, per il ritmo incessante della ricerca e della sperimentazione, è in uno stato di permanente sviluppo.

Tutto ciò si riassume in una parola, che solo apparentemente può sembrare usuale e comune: è la parola "servizio", da intendere come lotta contro la malattia ed impegno per il malato. Il vostro è, in realtà, un servizio alla vita o, meglio ancora, al vivente, cioè a quell'uomo, il quale - come dice un grande Padre della Chiesa antica - proprio perché vivente, è, in concreto, gloria di Dio: Gloria Dei homo vivens (S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 20, 7). Da questa altezza di prospettiva emerge tutta la grandezza e la nobiltà della professione sanitaria, che è ad un tempo arte e scienza, perché accanto ad una seria preparazione dottrinale richiede acutezza d'intuito psicologico. Se la vita è dono di Dio - grande dono di Dio -, essa deve costituire per voi il punto terminale ed indeclinabile di riferimento, al quale occorre di continuo riguardare in tutte e singole le prestazioni e le fasi, in cui si articola l'esercizio di un'arte tanto delicata. E' appunto al vivente, fin dal primo istante in cui sboccia questo sempre nuovo e stupefacente mistero della vita, che si rivolge il vostro servizio, attingendo così immediatamente un carattere di sacralità. Ecco il principio primo, il principio assoluto, che riguarda l'etica professionale e non ammette eccezioni e violazioni: esso, pertanto, deve essere - ed io auspico che sia sempre - un punto d'onore.

Si, l'onore! "Honora medicum", dicevano gli antichi, ed ora così voglio ripetere, a titolo di giusto riconoscimento dei vostri meriti dinanzi alla società umana ed a conferma, altresi, della stima con cui la Chiesa da sempre ha seguito ed incoraggiato il vostro lavoro.


4. E adesso desidero rivolgermi a voi, cari religiosi camilliani e reverende suore della Misericordia, che agli infermi dedicate le vostre assidue cure pastorali.

Quando poco fa ho ricordato le quattro figure di Santi, la cui memoria è qui in benedizione ed in esempio perenne, io pensavo specialmente a voi, perché è da essi che deve trarre ispirazione e conforto la vostra provvida opera quotidiana. Come i medici, anche voi siete qui addetti ad un servizio, ovviamente diverso, che attiene propriamente alla sfera religiosa e pastorale. Quali sono le qualità di un tale servizio? Come possiamo chiamarle? Discrezione dolcezza, premura, sensibilità, capacità di avviare, riprendere o sviluppare - nel variare delle condizioni psicologiche o delle circostanze di persona - un discorso di fede? Si, certamente; ma è meglio usare la parola più esatta, che ci è offerta dal vocabolario cristiano. I Ministri degli Infermi e le Suore della Misericordia hanno per divisa la carità e si studiano di agire come Gesù, il divino Maestro, come quel "Figlio dell'uomo che non venne per esser servito, ma per servire e dare la sua vita. per la redenzione di molti" (Mt 20,28 Mc 10,45). Fate in modo, fratelli e sorelle, che nella scia luminosa dei Santi che qui imitarono Cristo Signore, la carità più genuina e sollecita sia la moderatrice sovrana di tutto quel che voi fate in pro dei malati.


5. Infine, indirizzo la mia parola a voi, fratelli ammalati, a voi che avete potuto venire fin qui, ed anche a voi che, a motivo delle condizioni di salute, siete rimasti nei rispettivi reparti, camere e corsie. Questa parola discende da quella stessa fiamma di carità evangelica, che ho testé raccomandato, come virtù-guida, ai vostri cappellani ed alle vostre suore.

Quando il 17 ottobre del 1978, all'indomani dell'inopinata mia elevazione al pontificato, mi recai al Policlinico "Agostino Gemelli", non obbedii solo ad un impulso del cuore per visitare lassù, a Monte Mario, qualche persona amica. Volli dare allora - e posso confermarlo a due anni di distanza - un'indicazione precisa circa il modo in cui concepivo e concepisco il formidabile ministero di successore di Pietro. In quella circostanza dissi ai malati che contavo molto, anzi moltissimo su di loro: per le loro preghiere e, soprattutto, per l'offerta delle loro sofferenze poteva a me derivare una forza speciale, quale mi era e mi è necessaria per compiere meno indegnamente i miei gravi doveri in seno alla Chiesa di Cristo. Questa stessa idea di una comunione ecclesiale, favorita ed impreziosita dal contributo misterioso, eppur realissimo dei sacrifici di chi soffre, io ora esprimo nuovamente dinanzi a voi. Vi ripeto, perciò, che conto molto su di voi, e vi ringrazio di tale vostro aiuto, mentre, da parte mia, raccomando ciascuno di voi al Signore che, come è il padrone della vita, così è il padre delle misericordie e delle consolazioni (cfr. Si 23,1 Sg 11,26 2Co 1,3).


6. Avviandomi alla conclusione, non posso dimenticare che la mia venuta coincide con la vigilia delle teste natalizie ed è, perciò, intonata ad una tipica e suggestiva atmosfera di intimità e di calore umano. Il Natale non ci riporta solo una memoria passata, ma attualizza nella storia la venuta, in mezzo a noi uomini, di Gesù come nostro Salvatore. Ecco, io al San Giacomo mi sono incontrato con voi malati che, fratelli di Cristo, siete anche miei fratelli e, proprio perché vi trovate in questo luogo, a lui rassomigliate ancora di più. A voi particolarmente unito e vicino, con voi io anticipo fin da stasera la celebrazione del Natale del Signore. Siano sempre in voi e in tutti i fratelli, a cominciare dai vostri congiunti e da quanti qui amorevolmente vi assistono, i doni celesti della pace e della gioia, della fraternità e dell'amore. E', questo, il mio augurio, che avvaloro volentieri con la Benedizione Apostolica!

Data: 1980-12-21Data estesa: Domenica 21Dicembre 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Il Papa riceve in visita ufficiale S.E. il Presidente Cvijetin Mijatovic - Città del Vaticano (Roma)