GPII 1981 Insegnamenti - A Rettori di Santuari francesi - Città del Vaticano (Roma)

A Rettori di Santuari francesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I Santuari come antenne permanenti della Buona Novella della Salvezza

Cari amici, Accogliendovi questa mattina con una particolare gioia, non posso non pensare alle folle che raggiungono da lunghi anni i santuari di cui voi assicurate la custodia e l'animazione. E' per questo che io attribuisco a questo breve incontro un'importanza che si aggiunge al piacere di un incontro personale con voi. Permettetemi di salutare specialmente la vostra guida, il Vescovo di Laval, così attento allo splendore del Santuario di Nôtre Dame di Pontmain. I vostri studi personali e il vostro congresso di Rettori, vi hanno mostrato che i pellegrinaggi sono una costante della storia delle religioni. Il cristianesimo ha ugualmente ripreso a sua volta questa pratica profondamente ancorata nella mentalità popolare e che risponde ad un bisogno di raggiungere uno spazio religioso in cui il divino si è manifestato. Ci sarebbe senza dubbio una storia molto interessante da scrivere sui pellegrinaggi cristiani, dai primi che ebbero per obiettivo Gerusalemme e i luoghi santi, fino a quelli della nostra epoca, che si svolgono a Roma, ad Assisi, a Lourdes, a Fatima, a Guadalupe, a Czestochowa, a Knock, a Lisieux, a Compostelle, ad Altötting e in tanti altri luoghi.

Rettori dei Santuari di Francia, come i vostri confratelli delle altre nazioni, voi siete gli eredi e i responsabili di un patrimonio religioso considerevole, il cui impatto sulla vita del popolo cristiano e su molte persone che vivono ai confini della fede e in piena rinascita. Voi ne avete una viva coscienza. Potete certamente farlo condividere a molti altri. In qualche minuto vorrei solamente confermare le vostre convinzioni su alcuni punti essenziali del vostro particolare ministero.

Sempre e ovunque, i Santuari cristiani sono stati o hanno voluto essere i segni di Dio, della sua irruzione nella storia umana. Ciascuno di essi è un memoriale del mistero dell'Incarnazione e della Redenzione. Non è il vostro poeta Péguy, che diceva nel suo stile originale che l'Incarnazione è la sola storia interessante che sia mai capitata? Essa è la storia dell'amore di Dio per tutto l'uomo e per l'umanità intera (cfr. RH 13). E, se numerosi Santuari romanici, gotici o moderni sono stati dedicati alla Nostra Signora, è perché l'umile Vergine di Nazareth ha dato alla luce, per azione dello Spirito Santo, il Figlio di Dio, Salvatore universale, e perché il suo ruolo e sempre quello di presentare alle generazioni che si succedono il Cristo "ricco di misericordia". Nel nostro tempo che conosce in diversi gradi la tentazione del secolarismo, bisogna che gli alti luoghi spirituali, costruiti nel corso degli anni spesso per l'iniziativa dei santi, continuano a parlare allo spirito e al cuore degli uomini, credenti o non credenti, che risentono dell'asfissia di una società chiusa su se stessa e a volte disperata. E come non augurare ardentemente che i Santuari più frequentati divengano o ridivengano come altrettante case di famiglia in cui ognuno di coloro che vi passano o vi soggiornano ritrovano il senso della loro esistenza, il gusto della vita, perché avranno fatto una certa esperienza della presenza e dell'amore di Dio? La vocazione tradizionale e sempre attuale di ogni Santuario è quella di essere come un'antenna permanente della Buona Novella della Salvezza.

Una condizione dell'irraggiamento evangelico dei Santuari è che essi siano molto accoglienti. E innanzitutto molto accoglienti in se stessi. Quale che sia la loro età o il loro stile, la loro ricchezza artistica o la loro semplicità, ognuno di essi deve affermare la propria personalità originale evitando sia l'accumulazione stravagante di oggetti religiosi sia lo scartarli in modo sistematico. I Santuari sono fatti per Dio, ma anche per il popolo, che ha diritto al rispetto della sua particolare sensibilità, anche se il suo buon gusto ha bisogno di essere pazientemente educato. L'ordine perfetto e l'autentica bellezza della più celebre basilica o di una cappella più modesta sono già una catechesi, che contribuisce ad aprire lo spirito e il cuore dei pellegrini o purtroppo a raffreddarlo. Ma se le pietre e gli oggetti hanno un loro linguaggio e una loro parte di influenza sugli esseri, che dire delle equipe pastorali votate all'animazione del Santuario? Il vostro ruolo, amici miei, può essere determinante, tenuto conto del mistero della grazia di Dio. Che si tratti di ricevere gruppi annunciati e organizzati o visitatori anonimi e isolati - venuti a domandare insistentemente una grazia o a ringraziarne -, che si tratti di aiutare il buon andamento dei pellegrinaggi preparati dai vostri confratelli e i loro ausiliari o di assicurare gli esercizi del culto propri al Santuario di cui voi avete la responsabilità, che si tratti di vegliare al raccoglimento dei luoghi o di spiegarne la storia ai visitatori, che si tratti di proporre un momento di preghiera o di accettare il dialogo richiesto da molti pellegrini, ogni membro dell'equipe deve fare prova di abilità e di pazienza, di competenza e di perspicacia, di zelo e di discrezione, e soprattutto lasciare umilmente trasparire la sua fede, essere testimone dell'invisibile. Il vostro ministero scelto è molto esigente. Ne va, in qualche modo, dell'apertura delle anime a Dio, della loro conversione, e, per coloro che sono solamente in ricerca, del loro primo passo verso la luce e l'amore del Signore.

Tutti questi sforzi di accoglienza e di preoccupazione per i bambini, gli studiosi, le persone della terza età, i malati e gli handicappati, le categorie socio-professionali molto diverse, i cristiani ferventi, e i cristiani in difficoltà, devono convergere verso un unico fine: evangelizzare! Il mio grande e caro predecessore Paolo VI si è preso cura, nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", di ricordare chiaramente e semplicemente il contenuto essenziale e gli elementi secondari dell'evangelizzazione (cfr. EN 25-39). Che ogni Santuario continui ad attingervi i propri orientamenti! Una pastorale cristocentrica! Oh si, aiutate i cristiani a raggiungere veramente Cristo, a unirsi a Lui, a comprendere "il rapporto concreto e permanente che esiste tra il Vangelo e la vita, personale e sociale, dell'uomo" (EN 29). Aiutate gli incerti a volgersi verso Colui che si è presentato come "la Via, la Verità e la Vita" (Jn 14,6). Aiutate i pellegrini a meglio inserirsi nella tradizione viva della Chiesa, sempre fatta di fedeltà alla fede e di adattamento pastorale, dai tempi degli Atti degli Apostoli fino al Concilio Vaticano II. Vedete anche se non è possibile di fare, almeno di tanto in tanto, conferenze spirituali e dottrinali giudiziosamente adattate ai differenti auditori e pellegrini. Molti insegnamenti importanti del Magistero sono praticamente ignorati o confusamente percepiti.

Sopratutto, che tutta la vita dei santuari favorisca il meglio possibile la preghiera personale e comunitaria, la gioia e il raccoglimento, l'ascolto e la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione veramente degna dell'Eucaristia e il ricevimento personale del sacramento della Riconciliazione, la fraternità fra persone che si incontrano per la prima volta, l'impegno di aiutare con le loro offerte le regioni povere e le Chiese povere, la partecipazione alla vita delle parrocchie e delle diocesi.

Che la Vergine Maria, sempre al posto d'onore nei Santuari che le sono dedicati, faccia fruttificare il vostro importante lavoro pastorale, e che essa aiuti tutti i pellegrini ad entrare sempre più nella volontà del Signore! E io stesso, nel ricordo molto caro dei numerosi pellegrinaggi che mi è stato donato di compiere o di guidare, vi do la mia affettuosa benedizione.

Data: 1981-01-22
Giovedì 22 Gennaio 1981


Durante l'ora di preghiera della curia romana per l'unità dei cristiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'unità, nota splendente della vera Chiesa di Cristo



1. "Ut omnes unum sint".

L'unità, nota splendente della vera Chiesa, è il vertice della preghiera sacerdotale di Cristo nell'Ultima Cena, è il suo testamento estremo di amore, la consegna che Egli ci ha lasciata, prima della sua passione: "antequam pateretur".

E' una nota distintiva della Chiesa, che Gesù si apprestava in quel momento a fondare e a redimere, istituendo l'Eucaristia, versando sulla Croce, dal Cuore, sangue e acqua (cfr. Jn 19,34). E noi abbiamo sentito ripercuotersi in noi nella comunione di affetto e di preghiera di quest'ora particolare, la suprema aspirazione del Salvatore: "Ut omnes unum sint". Non ci si può sottrarre dall'esame di coscienza a cui ci sottopone questa parola. Essa è la pietra di paragone per la credibilità del discepolato di Cristo nel mondo: "ut credat mundus quia tu me misisti" (Jn 17,21). Se non siamo uno, come il Padre è uno in Cristo, e Cristo è uno nel Padre, il mondo non crederà: gli sfugge la prova concreta del mistero della redenzione, mediante la quale il Signore ha fatto dell'umanità dispersa una sola famiglia, un solo organismo, un solo corpo, un solo cuore. La Koinonia, di cui ci parlano con tanta eloquenza gli Atti, è segno visibile di quell'unità profonda, radicata nell'unità della vita Trinitaria, che stringe in un unico vincolo compatto la Chiesa cattolica, fondata da Gesù. La divisione pone in questione tutto questo: come ha detto il Vaticano II, all'inizio del grande Decreto sull'Ecumenismo, "da Cristo Signore, la Chiesa infatti è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo; tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno diverse sentenze e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso. Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura" (UR 1).

Per questo siamo qui, oggi, a pregare, noi tutti della Curia Romana, per risentire nel nostro intimo tutta la forza d'impetrazione e di supplica al Padre di quelle parole, che Gesù ha fatto salire dalle labbra e dal cuore nella notte dell'Eucaristia e dell'agonia. La notte del Giovedì Santo. La notte del tradimento, dello scandalo, della divisione: "et dispergentur oves gregis" (Mt 26,31). Ma più alta è la voce di Cristo: "Ut omnes unum sint".


2. Queste parole le ripetiamo qui con particolare fervore. Vi ho chiamati stamani, venerati Cardinali, carissimi fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio, e validissimi membri del laicato, che portate a me la vostra preziosa collaborazione, a tutti i livelli, fino al più umile, nei vari dicasteri, tribunali e organismi della Curia Romana. voi siete i collaboratori del Papa! Questa consapevolezza risulta tanto più significativa in questa Cappella, dove tanti miei predecessori, fino a chi vi parla, sono stati misteriosamente eletti dallo Spirito Santo a guidare la Chiesa di Roma e tutta la Chiesa. Voi servite in me quello stesso Pietro, a cui il Signore ha affidato le chiavi del Regno dei Cieli (cfr. Mt 16,19), come lo avete servito nei miei immediati predecessori.

Come membri della Curia, che è al diretto servizio del Papa, e che vuol far proprie le sue stesse aspirazioni, voi siete, a titolo tutto particolare, al servizio dell'unità. Voi avete il privilegio di vivere nella "Chiesa più grande e a tutti nota, fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo" (Sant'Ireneo "Adversus Haereses", III, 3, 2; SC 211, SC 211, ed. A. Rousseau e L.

Dutreleau, Tom. II, Paris 1974, p. 32) come la definisce Sant'Ireneo. Voi condividete, e sostenete, e prolungate il lavoro del Vescovo di Roma, Vicario di Cristo, successore di Pietro, voi ne siete i primi compartecipi; perciò, ripetendo quanto vi dissi nell'incontro dello scorso giugno: "dobbiamo sentirci, tutti insieme, parte viva di questa santa Chiesa di Dio che è in Roma, e provare il nobile vanto di farne parte, a motivo della nostra qualifica" (Giovanni Paolo II "Insegnamenti di Giovanni Paolo" II, III, 1, (1980) 1879).

Per questo la settimana di preghiere per l'unità dei cristiani, che è diventata consuetudine viva di tutta la Chiesa, deve vederci direi al primo posto nella preghiera che tutti i fedeli del mondo, tutte le diocesi, tutte le parrocchie, tutti i conventi e monasteri, tutte le Comunità ecclesiali, fino alle stazioni missionarie più sperdute, stanno elevando in questi giorni al Signore perché si ricomponga la Koinonia di tutti i credenti in Cristo. Noi con loro, con tutta la Chiesa; e tutti loro con noi. "Ut omnes unum sint".


3. Il tema di questa settimana di preghiera per l'unità dice: "Uno Spirito e diversi doni, un solo corpo". Ne abbiamo udito gli enunciati nella lettura della prima ai Corinzi, di san Paolo (1Co 12,3-13). E ci siamo riconosciuti in questa descrizione. Si, cari fratelli e sorelle: il nostro organismo rispecchia, nella sua pur piccola proporzione numerica, ciò che si realizza nell'intera Chiesa: "Vi è diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'unità comune" (1Co 12,4-7).

La bellezza della Chiesa sta nell'unità, pur nella diversità dei ministeri e delle operazioni: ""ubi divisio, foeditas est, non pulchritudo": dove c'è la divisione c'è deformità, non c'è bellezza" dice Sant'Agostino (Sant'Agostino Serm. 46, 37; CCL 41, ed. C. Lambot, Turnhout 1961, p. 564). E questa bellezza è dono dello Spirito Santo, come ancora dice il grande Vescovo di Ippona: "Spiritu enim Sancto ad unitatem colligimur, non ab unitate dispergimur": dallo Spirito Santo siamo riuniti nell'unità, e non da essa separati" (Sant'Agostino, "Sermo", 8,17: op. cit. p. 96).

Mentre preghiamo per l'unità, affinché lo Spirito Santo, che muove tutto ciò che vive nella Chiesa, la conservi e la ricomponga ove si è infranta, dobbiamo sentirci sempre in stretta dipendenza dallo stesso Spirito: anche noi formiamo, in Lui, un solo corpo; e, nell'esercizio dei diversi ministeri che ci sono affidati, noi tutti, dal primo all'ultimo, ci sappiamo parte integrante di un grande disegno di unità: dobbiamo spenderci, nel silenzio, nell'obbedienza, nel sacrificio, anche nelle incombenze più umili, perché siamo certi che il nostro lavoro, come un seme deposto nel terreno fertile, darà il frutto a tempo opportuno.

Il nostro operare edifica anch'esso, per sua parte, la Chiesa, la Gerusalemme terrena per la quale abbiamo pregato nel Salmo responsoriale, affinché sia sempre maggiormente immagine della Gerusalemme superna, che vive nella pace di Dio unità e Trinità: "Domandate pace per Gerusalemme: / sia pace a coloro che ti amano, / sia pace nelle tue mura, / sicurezza nei tuoi baluardi. / Per i miei Fratelli e i miei amici / io diro: "Su di te sia pace!" / Per la casa del Signore nostro Dio / chiedero per te il bene" (Ps 121,6-9).

La compagine ordinata di tutta la Curia Romana coopera, deve cooperare alla realizzazione di questa visione di pace. E' un servizio all'unità totale di tutti i credenti in Cristo; una diaconia per la koinonia. L'anelito di Gesù nell'ultima Cena deve farci sentire sempre più responsabili di questa grande realtà, per rispondervi con tutte le forze: ciascuno al suo posto, ciascuno con il massimo impegno, senza differenza alcuna, perché è un servizio richiesto dall'amore.


4. Per tutti questi motivi, sentiamo rivolte particolarmente a noi, oggi, le ardenti parole di Cristo nel Vangelo di Giovanni: "Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro... Consacrali nella verità... Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo faro conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Jn 17,6ss; Jn 17,25ss).

Non potremo fare che ben poco, nel lavoro per la Chiesa intera che è l'assillo mio e vostro quotidiano, se non avremo raggiunto questa intimità stretta al Signore Gesù: se veramente non saremo con Lui e come Lui consacrati nella Verità; se non custodiremo la sua parola in noi, cercando di scoprirne ogni giorno la ricchezza nascosta; se l'amore stesso di Dio per il suo Cristo non sarà profondamente radicato in noi.

L'unità esteriore per la quale preghiamo sarà il germinare, il fiorire di quell'intima unione con Cristo, che tutti indistintamente debbono avere i fedeli - Vescovi, sacerdoti, anime consacrate, laicato - con la sola differenza del maggiore o minore impegno che essi possono porre nel realizzarla. Non si può avere l'unità tra i fratelli se non vi sia l'unione profonda - della vita, del pensiero, dell'anima, dei propositi, dell'imitazione - con Cristo Gesù; se, anzi, non vi sia un'intima ricerca di vita interiore nell'unione con la stessa Trinità, come bene ha sottolineato il Vaticano II: i fedeli "con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità" (UR 7).

Se ci manca la genuinità dell'unione con Dio in Cristo, nella vita di Grazia, il nostro ecumenismo rimane un puro "flatus vocis". "Vero è che la Chiesa cattolica - ha detto ancora il Concilio - è in possesso di tutta la Verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore, per cui il volto della Chiesa meno rifulge ai fratelli da noi separati e al mondo intero, e la crescita del regno di Dio ne è ritardata. Perciò tutti i cattolici devono tendere alla perfezione cristiana" (UR 4).

Da qui nasce il dovere di rinnovamento continuo, della conversione del cuore, della preghiera, su cui tanto ha insistito il Concilio: vi deve essere una ricerca costante, da parte di tutti, di quei mezzi soprannaturali che, soli, possono far cadere barriere ormai secolari tra i fratelli di diversa denominazione cristiana, ma pur segnati dallo stesso battesimo e viventi della fede in Cristo.


5. Carissimi fratelli e sorelle.

A tanto ci chiama quest'ora di grazia. Dobbiamo prendere sempre maggiore coscienza che, nella Chiesa di Dio, abbiamo un posto di particolare responsabilità. Come membri e collaboratori della Santa Sede, dobbiamo sentire come rivolte particolarmente anche a noi le parole udite: "Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola... Essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai date a me io le ho date a loro" (Jn 17,6ss). Il nostro lavoro nella Chiesa, nelle varie sfaccettature che assume, ha questo grande dovere, questo grande privilegio: di custodire la Parola di Dio, di vivere per essa, di farla conoscere e diffondere nel mondo. Abbiamo una grande responsabilità! Non tiriamoci indietro. Lavoriamo. Fatichiamo per la Chiesa. E' ancora Agostino che ci esorta: "Modo laboremus in Ecclesia, postea hereditabimus Ecclesiam": lavoriamo ora nella Chiesa, in attesa di averne un giorno l'eredità" (Sant'Agostino "Sermo" 45,5; CCL 41, p. 521).

Si, fratelli e sorelle carissimi, non stanchiamoci di gettare il seme del nostro lavoro, per umile che sia, guardando in alto verso il cielo, che, anche quando è coperto di nubi, racchiude in sé il sole che spunterà di nuovo, anche dopo le burrasche. La Chiesa guarda a noi. Cristo guarda a noi, e attende da noi l'impegno quotidiano. E prega per noi il Padre: "Ut unum sint". "La gloria che hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato, e li hai amati come hai amato me" (Jn 17,22 ss).

Restiamo in questo amore. Viviamo in questo amore. Operiamo in questo amore.

Nell'Amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Esso ci dia ogni giorno il senso della dimensione universale del nostro servizio.

Per tutta la Chiesa.

Per tutti i fratelli con i quali non siamo ancora una cosa sola.

Per tutto il mondo.

"Ut unum sint.... ut credat mundus".

Data: 1981-01-23
Venerdi 23 Gennaio 1981


Alla Sacra Romana Rota - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Salvaguardare i valori del matrimonio per tutelare il grande bene della famiglia

Signor Decano, Cari Prelati e Officiali della Sacra Romana Rota!

1. Sono felice di potermi oggi incontrare con voi, in occasione dell'inaugurazione del nuovo anno giudiziario di codesto Tribunale. Ringrazio vivamente il Decano per le nobili parole a me rivolte e per i saggi propositi metodologici formulati.

Tutti vi saluto con paterno affetto, mentre esprimo il mio sentito apprezzamento per il vostro lavoro, tanto delicato e pur tanto necessario, che è parte integrante e qualificata dell'ufficio pastorale della Chiesa.

La specifica competenza della Sacra Romana Rota sulle cause matrimoniali tocca molto da vicino il tema così attuale della famiglia, che è stato oggetto di studio da parte del recente Sinodo dei Vescovi. Ebbene, sulla tutela giuridica della famiglia nell'attività giudiziaria dei Tribunali ecclesiastici intendo ora intrattenervi.


2. Con profondo spirito evangelico il Concilio Ecumenico Vaticano II ci ha abituati a guardare all'uomo, per conoscerlo in tutti i suoi problemi e per aiutarlo a risolvere i suoi problemi esistenziali con la luce della verità rivelataci da Cristo e con la grazia che ci offrono i divini misteri della salvezza.

Tra quelli che oggi più travagliano il cuore dell'uomo, e di conseguenza l'ambiente umano, sia familiare sia sociale, nel quale egli vive ed opera, va annoverato come preminente ed inderogabile quello dell'amore coniugale, che lega due esseri umani distinti per sesso, facendone una comunità di vita e di amore, unendoli cioè in matrimonio.

Dal matrimonio si origina la famiglia "nella quale - sottolinea il Vaticano II - le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale"; ed è così che la famiglia "è veramente il fondamento della società". In verità, aggiunge il Concilio, "il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare". Ma con lo stesso Concilio dobbiamo riconoscere che "non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla con identica chiarezza, poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e da usi illeciti contro la generazione" (GS 47).

Anche a motivo delle gravi difficoltà che, a volte con violenza, scaturiscono dalle profonde trasformazioni dell'odierna società, l'istituto matrimoniale palesa il suo valore insostituibile e la famiglia resta ancora la "scuola di umanità più completa e più ricca" (GS 52ò).

Di fronte ai gravi mali che oggi travagliano quasi ovunque questo grande bene, che è la famiglia, e stata anche suggerita l'elaborazione di una "charta" dei diritti della famiglia, universalmente riconosciuta, al fine di assicurare a questo istituto la giusta tutela, nell'interesse anche di tutta la società.


3. La Chiesa, dal canto suo e nell'ambito delle sue competenze, ha cercato sempre di tutelare la famiglia anche con un'appropriata legislazione, oltre a favorirla e ad aiutarla con varie iniziative pastorali. Ho già citato il recente Sinodo dei Vescovi. Ma è ben noto come, fin dagli inizi del suo magistero, la Chiesa, confortata dalla parola del Vangelo (cfr. Mt 19,5 Mt 5,32), abbia sempre insegnato e ribadito esplicitamente il precetto di Gesù sull'unità e indissolubilità del matrimonio, senza del quale non si può mai avere una famiglia sicura, sana e vera cellula vitale della società. Contro la prassi greco-romana e giudaica, che facilitava assai il divorzio, già l'apostolo Paolo dichiarava: "agli sposi poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito (...) e il marito non ripudi la moglie" (1Co 7,10-11). Segui la predicazione dei Padri, i quali, di fronte al dilagare dei divorzi, affermavano con insistenza che il matrimonio, per volontà divina, è indissolubile.

Il rispetto, dunque, delle leggi volute da Dio per l'incontro tra l'uomo e la donna e per il perdurare della loro unione, fu l'elemento nuovo che il cristianesimo introdusse nell'istituto matrimoniale. Il matrimonio - dirà poi il Vaticano II - in quanto "intima comunità di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilito dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituto (del matrimonio) che ha stabilità per ordinamento divino" (GS 48).

Questa dottrina guido subito la pastorale, la condotta dei coniugi cristiani, l'etica matrimoniale e la disciplina giuridica. E l'azione catechetico-pastorale della Chiesa, suffragata e avvalorata dalla testimonianza delle famiglie cristiane, introdusse modificazioni persino nella legislazione romana, che con Giustiniano non ammetteva più il divorzio "sine causa" e andava accogliendo gradatamente l'istituto matrimoniale cristiano. Fu una grande conquista per la società, poiché la Chiesa, avendo ridato dignità alla donna e alle nozze, mediante la famiglia, contribui a salvare il meglio della cultura greco-romana.


4. Nell'attuale contesto sociale si ripropone oggi alla Chiesa il primitivo sforzo, dottrinale e pastorale, di condotta e prassi, nonché legislativo e giudiziario.

Il bene della persona umana e della famiglia, nella quale l'individuo realizza gran parte della sua dignità, nonché il bene della stessa società, esigono che la Chiesa oggi, ancor più del recente passato, circondi di particolare tutela l'istituto matrimoniale e familiare.

Quasi vano potrebbe risultare lo sforzo pastorale, sollecitato anche dall'ultimo Sinodo dei Vescovi, se non fosse accompagnato da una corrispondente azione legislativa e giudiziaria. A conforto di tutti i pastori possiamo dire che la nuova codificazione canonica sta provvedendo con sagge norme giuridiche a tradurre quanto è emerso dall'ultimo Concilio Ecumenico in favore del matrimonio e della famiglia. La voce ascoltata nel recente Sinodo dei Vescovi sull'allarmante aumento delle cause matrimoniali nei tribunali ecclesiastici sarà certamente valutata in sede di revisione del Codice di Diritto Canonico. Si è parimente certi che i pastori, anche come loro risposta alle istanze del citato Sinodo, sapranno, con accresciuto impegno pastorale, favorire la adeguata preparazione dei nubendi alla celebrazione del matrimonio. La stabilità del vincolo coniugale ed il felice perdurare della comunità familiare dipendono infatti non poco dalla preparazione che i fidanzati hanno premessa alle loro nozze. Ma è altresì vero che la stessa preparazione al matrimonio risulterebbe negativamente influenzata dalle pronunce o sentenze di nullità matrimoniale, quando queste fossero ottenute con troppa facilità. Se tra i mali del divorzio vi è anche quello di rendere meno seria ed impegnativa la celebrazione del matrimonio, fino al punto che questa oggi ha perduto presso non pochi giovani la dovuta considerazione, c'è da temere che nella stessa prospettiva esistenziale e psicologica indirizzerebbero anche le sentenze di dichiarazione di nullità matrimoniale, se si moltiplicassero come pronunce facili ed affrettate. "Ond'è che il giudice ecclesiastico - ammoniva già il mio venerato predecessore Pio XII - non deve mostrarsi facile a dichiarare la nullità del matrimonio, ma ha piuttosto da adoperarsi innanzi tutto a far si che si convalidi ciò che invalidamente è stato contratto, massime allorché le circostanze del caso particolarmente lo consigliano". E a spiegazione di quest'ammonimento aveva premesso: "Quanto alle dichiarazioni di nullità dei matrimoni, nessuno ignora essere la Chiesa guardinga e aliena dal favorirle. Se infatti la tranquillità, la stabilità e la sicurezza dell'umano commercio in genere esigono che i contratti non siano con leggerezza proclamati nulli, ciò vale ancor più per un contratto di tanto momento, qual è il matrimonio, la cui fermezza e stabilità sono richieste dal bene comune della società umana e dal bene privato dei coniugi e della prole, e la cui dignità di Sacramento vieta che ciò che è sacro e sacramentale vada di leggieri esposto al pericolo di profanazione" (Pio XII "Discorso alla Sacra Romana Rota", 3 ottobre 1941, AAS 33 (1941) 223-224). A scongiurare questo pericolo, sta contribuendo lodevolmente il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con la sua saggia e prudente opera di vigilanza.

Altrettanto valida mi risulta l'azione giudiziaria del Tribunale della Sacra Romana Rota. Alla vigilanza del primo ed alla sana giurisprudenza del secondo deve corrispondere l'opera ugualmente saggia e responsabile dei tribunali inferiori.


5. Alla necessaria tutela della famiglia contribuiscono in misura non piccola l'attenzione e la pronta disponibilità dei tribunali diocesani e regionali a seguire le direttive della Santa Sede, la costante giurisprudenza rotale e l'applicazione fedele delle norme, sia sostanziali sia processuali già codificate, senza ricorrere a presunte o probabili innovazioni, ad interpretazioni che non hanno oggettivo riscontro nella norma canonica e che non sono suffragate da alcuna qualificata giurisprudenza. E' infatti temeraria ogni innovazione di diritto, sia sostantivo sia processuale, che non trovi alcun riscontro nella giurisprudenza o prassi dei tribunali e dicasteri della Santa Sede. Dobbiamo essere persuasi che un esame sereno, attento, meditato, completo ed esauriente delle cause matrimoniali esige la piena conformità alla retta dottrina della Chiesa al diritto canonico ed alla sana giurisprudenza canonica, quale si è andata maturando soprattutto mediante l'apporto della Sacra Romana Rota; tutto ciò va considerato, come già diceva a voi Paolo VI di venerabile memoria., "mezzo sapiente" e "come un binario di scorrimento, il cui asse è precisamente la ricerca della verità oggettiva ed il cui punto terminale è la retta amministrazione della giustizia" (Paolo VI, "Discorso alla Sacra Roma Rota Insegnamenti di Paolo VI" XVI (1978) 74).

In questa ricerca, tutti i ministri del tribunale ecclesiastico - ciascuno con il dovuto rispetto al proprio ed altrui ruolo - debbono avere un riguardo particolare, costante e coscienzioso, al formarsi del libero e valido consenso matrimoniale, sempre congiunto alla sollecitudine, parimente costante e coscienziosa, della tutela del Sacramento del matrimonio. Al conseguimento della conoscenza della verità oggettiva, cioè dell'esistenza del vincolo matrimoniale, validamente contratto, o della sua inesistenza, contribuiscono e l'attenzione ai problemi della persona e l'attenzione alle leggi che, per diritto sia naturale sia divino, o positivo della Chiesa, sottostanno alla valida celebrazione delle nozze e al perdurare del matrimonio. La giustizia canonica, che, secondo la bella espressione di san Gregorio Magno, più significativamente chiamiamo sacerdotale, emerge dall'insieme di tutte le prove processuali, valutate coscienziosamente alla luce della dottrina e del diritto della Chiesa, e col conforto della giurisprudenza più qualificata. Lo esige il bene della famiglia, tenendo presente che ogni tutela della famiglia legittima è sempre in favore della persona; mentre la preoccupazione unilaterale in favore dell'individuo può risolversi a danno della stessa persona umana, oltre a nuocere al matrimonio e alla famiglia, che sono beni e della persona e della società. E' in questa prospettiva che vanno viste le disposizioni del vigente Codice circa il matrimonio.


6. Nel messaggio del Sinodo alle famiglie cristiane è sottolineato il grande bene che la famiglia, soprattutto cristiana, costituisce e realizza per la persona umana. La famiglia "aiuta i suoi membri a diventare protagonisti della storia della salvezza e insieme segni viventi del progetto che Dio ha sul mondo" (Sinodo di Vescovi "Nuntius ad Christianas familias", 8). Anche l'attività giudiziaria, per essere attività della Chiesa, deve tener presente questa realtà - che non è soltanto naturale ma anche soprannaturale - del matrimonio e della famiglia che dal matrimonio ha origine. Natura e grazia ci rivelano, sia pure in modi e misure diversi, un progetto divino sul matrimonio e sulla famiglia, che va sempre atteso, tutelato e, secondo i compiti propri a ciascuna attività della Chiesa, favorito, perché il più largamente possibile sia recepito dalla società umana.

La Chiesa pertanto, anche con il suo diritto e l'esercizio della "potestas iudicialis", può e deve salvaguardare i valori del matrimonio e della famiglia, per promuovere l'uomo e valorizzarne la dignità.

L'azione giudiziaria dei tribunali ecclesiastici matrimoniali, alla stregua di quella legislativa dovrà aiutare la persona umana nella ricerca della verità oggettiva e quindi ad affermare questa verità, affinché la stessa persona possa essere in grado di conoscere, vivere e realizzare il progetto d'amore che Dio le ha assegnato.

L'invito che il Vaticano II ha rivolto a tutti, particolarmente a coloro "che hanno influenza sulla società e le sue diverse categorie", coinvolge responsabilmente pertanto anche i ministri dei tribunali ecclesiastici per le cause matrimoniali, perché pur essi, ben servendo la verità e bene amministrando la giustizia, collaborino "al bene del matrimonio e della famiglia" (GS 52).


7. Perciò presento a Lei, signor Decano, ai prelati uditori ed agli officiali della Sacra Romana Rota, i miei voti cordiali per un lavoro sereno e proficuo, svolto alla luce di queste odierne considerazioni.

E, mentre sono lieto di rinnovare i sensi del mio apprezzamento per la preziosa e indefessa attività di codesto Tribunale, imparto di cuore a tutti voi la particolare benedizione apostolica, propiziatrice della divina assistenza sul vostro delicato ufficio e segno della mia costante benevolenza. (Omissis l'indirizzo di omaggio rivolto al Papa dal decano della Sacra Rota)

Data: 1981-01-24
Sabato 24 Gennaio 1981



GPII 1981 Insegnamenti - A Rettori di Santuari francesi - Città del Vaticano (Roma)