GPII 1981 Insegnamenti - Ai sacerdoti del Collegio san Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Ai sacerdoti del Collegio san Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Forti della certezza che viene da Dio bisogna avere il coraggio della sua Parola

Carissimi Sacerdoti!

1. E' per me una grande gioia potermi oggi incontrare con voi, in questo Collegio dedicato a san Paolo Apostolo, dove avete la vostra dimora, mentre frequentate l'Università di "Propaganda Fide", per sviluppare e completare i vostri studi filosofici e teologici e la vostra preparazione pastorale. Nelle visite, che sto compiendo ai vari Istituti e Atenei della Città di Roma, non poteva e non doveva mancare, nella circostanza così singolare della festa del Collegio, questo incontro con voi, che venite da ogni parte del mondo e che portate qui, nel centro della Cristianità, le caratteristiche e le ansie dei vostri popoli e delle vostre culture.

Accogliete perciò il mio saluto cordiale e affettuoso, che si rivolge prima di tutto al Cardinale Prefetto e al Segretario della Sacra Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ai Superiori e ai Responsabili del Collegio, e si estende poi a ciascuno di voi personalmente, comprendendo anche tutti coloro che collaborano in varie mansioni per il buon andamento della casa e della vita in comune. E' un saluto che vuole esprimere compiacimento e apprezzamento per la buona volontà che dimostrate nel vostro impegno di studio e di aggiornamento, per un più efficace ministero adatto alle esigenze della società, e per un aiuto illuminato e concreto alle Comunità ecclesiali delle vostre nazioni e delle vostre diocesi. Ed è un saluto che intende anche manifestare la mia riconoscenza per la vostra fedeltà alla Sede Apostolica e per le preghiere che offrite per la mia persona e per la mia missione universale.


2. Desidero pero che l'odierno incontro attorno all'altare, celebrando il Sacrificio eucaristico, divenga per tutti voi anche uno stimolo ad una vita sacerdotale sempre più santa e ad un impegno sempre più responsabile nei vostri studi e nei vostri ideali. E proprio le letture della liturgia si prestano ad alcune riflessioni di notevole importanza per tale scopo.

Nella prima lettura abbiamo sentito ciò che il Signore dice per mezzo del profeta Isaia: "Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (Is 55,10-11). Sono espressioni ben note, che hanno fatto riflettere i Padri e i Dottori della Chiesa, i santi e i mistici di tutte le epoche e che destano impressione anche nei nostri animi, perché affermano l'assoluta potenza ed efficacia della Rivelazione di Dio: nessun ostacolo o rifiuto umano può fermarla o spegnerla. Noi sappiamo che la "Parola di Dio", nella pienezza dei tempi, si è incarnata: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,1 Jn 1,14) ed è rimasta presente nella storia umana per mezzo della Chiesa: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). La "Parola di Dio" è sempre efficace, perché prima di tutto mette in crisi la ragione umana: le filosofie semplicemente razionali e temporali, le interpretazioni solamente umanistiche e storicistiche, sono sconvolte dalla "Parola di Dio", che risponde con suprema certezza e chiarezza agli interrogativi posti al cuore dell'uomo, e lo illumina circa il suo vero destino, soprannaturale ed eterno, e gli indica la condotta morale da praticare, come autentica via di serenità e di speranza. Non solo: la "Parola di Dio" dà "luce" e "via", si fa vita di grazia, partecipazione alla stessa vita divina, inserimento nel misterioso ma reale dinamismo della redenzione dell'umanità. Infatti Gesù si defini "luce del mondo": "Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me, non rimanga nelle tenebre" (Jn 12,46) e vita delle anime.

Forti di questa certezza che viene da Dio, bisogna avere il coraggio della sua Parola! Nessuna paura della Verità: la "Parola di Dio" è sempre efficace, non è inerte, non è mai sconfitta, non torna a Dio umiliata e delusa! E allora, vi dico con san Paolo: "Comportatevi come figli della luce" (Ep 5,8).

Certamente, la "Parola di Dio" è sconvolgente perché, dice il Signore: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8); mette in crisi, perché è esigente, è affilata come spada a doppio taglio, è basata non su discorsi persuasivi di umana sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza (cfr. 1Co 2,4-5). "Nessuno si illuda - scriveva san Paolo ai Corinzi -. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio... Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini!" (1Co 3,18-19 1Co 3,21). C'è infatti una falsa sapienza che può tentare e illudere, confondendo e facendo diventare presuntuosi. Commentando l'affermazione: "Rendiamo a Dio un culto a lui gradito, con riverenza e timore, perché il nostro Dio è un fuoco divoratore (He 12,28-29), il Cardinale Newman, un appassionato di san Paolo, così diceva: "Il timore di Dio è il principio della sapienza; fino a quando non vedrete Dio come un fuoco consumatore, e non vi avvicinerete a Lui con riverenza e con santo timore, per il motivo di essere peccatori, non potrete dire di essere nemmeno in vista della porta stretta... Il timore e l'amore devono andare insieme; seguitate a temere, seguitate ad amare fino all'ultimo giorno della vostra vita.

Questo è certo; dovete pero sapere che cosa vuol dire seminare quaggiù nelle lacrime se volete mietere in gioia nell'al di là" (Card. Newman, "Parochial and Plain Sermons", Vol. I, Serm. XXIV; cfr. J.H. Newman, "La mente e il cuore di un grande", Bari 1962, p. 230).


3. Nella seconda lettura, il celebre episodio della conversione di san Paolo, da lui stesso narrato agli Ebrei di Gerusalemme, è ugualmente denso di insegnamenti per la vostra vita sacerdotale. Sulla via di Damasco, caduto nella polvere, san Paolo viene abbacinato dalla luce sfolgorante di quel Gesù che egli perseguita nei cristiani; ne segue la sua conversione immediata e decisiva, evidente opera miracolosa della grazia di Dio, perché Paolo doveva essere il primo autorevole interprete del messaggio di Cristo, divinamente ispirato. Il Divino Maestro gli comanda di alzarsi e di proseguire il cammino; e da quel momento, si può dire, san Paolo diventa nostro maestro e guida nel conoscere ed amare Cristo.

Ma soprattutto devono interessarci e farci meditare le parole del giusto Anania: "Il Dio dei nostri Padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito" (Ac 22,14-15). Queste parole si possono applicare anche ad ogni sacerdote, ministro di Cristo. Anche voi siete stati scelti, anzi predestinati dall'Altissimo a conoscere la "Parola di Dio", a incontrarvi con Cristo, a partecipare agli stessi suoi poteri divini, per annunziarlo e testimoniarlo davanti a tutti gli uomini. Come Paolo, convertito alla verità, si getto con ardente fervore nella sua missione di apostolo e di testimone, e nessuna difficoltà riusci più a fermarlo, così fate anche voi. Il mondo ha bisogno di anime fervorose e ardimentose, umili nel comportamento, ma ferme nella dottrina; generose nella carità, ma sicure nell'annunzio; serene e coraggiose, come Paolo, che in mezzo a difficoltà e contrasti di ogni genere, sovrabbondava di gioia in ogni sua tribolazione, perché per lui vivere era Cristo e morire un guadagno (cfr. 2Co 7,4 Ph 1,21).

L'Evangelista san Marco riferisce le ultime parole di Gesù, categoriche e imperative: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura.

Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato" (Mc 16,15-16). Esse significano che è positiva volontà di Dio che il messaggio evangelico sia annunziato a tutto il mondo e che si creda alla "Parola di Dio".

L'essere sacerdoti è indubbiamente una dignità immensa ed eccelsa; ma è anche una grande responsabilità. Siate sempre consapevoli della vostra grandezza e degni della fiducia che Dio ha posto in voi! Carissimi, vi illumini nei vostri studi e vi conforti nei vostri propositi Maria Santissima, che in questi giorni preghiamo come "Madre dell'Unità della Chiesa", e che sempre invochiamo "Sede della Sapienza", "Causa della nostra letizia".

Data: 1981-01-24
Sabato 24 Gennaio 1981


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siamo al servizio dell'unità dei cristiani



1. L'"Angelo del Signore porto l'annunzio alla Vergine Maria, ed Ella concepi per opera dello Spirito Santo".

Quando oggi, alla fine dell'ottava delle preghiere per l'unità dei cristiani, ricordiamo questo mistero, i nostri pensieri e i nostri cuori si rivolgono, attraverso Maria, allo Spirito Santo, per la cui opera il Figlio di Dio divenne uomo.

Per opera dello Spirito Santo è stata concepita la Chiesa nel cenacolo il giorno di Pentecoste, la Chiesa che l'apostolo Paolo chiama Corpo di Cristo.

"Lo Spirito dimora nella Chiesa... Egli guida la Chiesa per tutta intera la verità (cfr. Jn 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero...", come leggiamo nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium" (LG 4).

E' per questo che noi ci siamo rivolti e continueremo a rivolgerci allo Spirito Santo nelle nostre preghiere e nei nostri sforzi, che hanno come scopo l'unità dei cristiani. "Uno Spirito, diversi doni, un solo corpo" (cfr. 1Co 12,3-13). così suona il tema dell'ottavario di preghiere di quest'anno, che terminiamo oggi, 25 gennaio, nel giorno in cui la Chiesa commemora pure la conversione di san Paolo. Sono proprio sue le parole, che abbiamo scelto quale filo conduttore dell'ottavario per renderci conto, ancora più profondamente, che l'unità del Corpo di Cristo si attua per mezzo dello Spirito Santo e che tutti i molteplici doni, esistenti in noi debbono servire a quest'unità.

Noi desideriamo portare con noi questa idea-guida per tutto il presente anno, in cui si compiono 1600 anni dal I Concilio Costantinopolitano. Ogni volta che, secondo l'insegnamento di questo Concilio, noi confesseremo di credere "nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti..." nello stesso tempo lo invocheremo perché Egli attui e porti a definitivo compimento l'opera dell'unità, la quale soltanto da Lui può esser compiuta. Soltanto da Lui, per suo mezzo, infatti, possono essere superati in noi e tra di noi quegli ostacoli che rendono difficile la via dell'unione: soltanto da Lui, per sua opera, possono essere coronati da successo tutti i nostri sforzi, che hanno per scopo l'unità della Chiesa. Una tale unità non può essere, in definitiva, nient'altro che un dono. Noi ripetiamo spesso: la comunione dello Spirito Santo...! Ed appunto oggi, alla fine dell'ottava, io desidero indirizzare ancora una volta a tutti coloro che, nel mondo intero, partecipano ad essa, le parole: "La comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi" (cfr. 2Co 13,13).

E queste parole siano dedotte, ancora una volta dal mistero, che siamo venuti qui a meditare insieme: "L'Angelo del Signore porto l'annunzio alla Vergine Maria, ed Ella concepi per opera dello Spirito Santo".


2. Vorrei, poi, invitarvi a rivolgere il pensiero e lo sguardo verso la Birmania, una nazione e una Chiesa che fanno parte dell'area geografica asiatica, alla quale si dirige il mio prossimo viaggio pastorale, anche se non è prevista una visita in quella nazione.

Qualche tempo fa, ho avuto la gioia di ricevere quattro Vescovi, venuti anche a nome di tutto l'Episcopato di quel nobile Paese per compiere la visita "ad limina".

In un ambiente prevalentemente buddista, la fervente Comunità cattolica di Birmania conta nove circoscrizioni ecclesiastiche e circa trecentosettantacinquemila fedeli. Pur talora tra alcune difficoltà, i motivi di speranza e di consolazione prevalgono, e fanno ben sperare nel futuro: la pratica religiosa è fervente, il laicato si impegna con entusiasmo nell'opera di evangelizzazione, sono in crescita le vocazioni al sacerdozio, le istituzioni della Chiesa danno un operoso contributo alla promozione umana e sociale del Paese.

Vi invito ora ad affidare alla materna intercessione della Vergine Santa, Regina delle Missioni, tutte le intenzioni che stanno particolarmente a cuore alla Chiesa ed ai cattolici di Birmania.(Dopo la recita dell'Angelus il Santo Padre ha ricordato la ricorrenza della Giornata Mondiale della lebbra)


3. Come è a voi noto, si celebra oggi la Giornata Mondiale per i malati di lebbra.

La diocesi di Roma, in preparazione a questo avvenimento, ha fatto conoscere il piano di lavoro che intende compiere per venire incontro alle necessità morali e materiali di circa diecimila lebbrosi, ricoverati nei dispensari dell'Etiopia.

So che negli anni passati i romani sono stati molto sensibili ed hanno compiuto gesti umanitari lodevoli; ma quest'anno, in cui l'attenzione di tutti è rivolta verso gli handicappati, c'è un motivo in più per esprimere con maggiore generosità l'umana e cristiana solidarietà verso questi nostri fratelli infelici.

Sull'esempio di Gesù, che non cesso mai di mostrare la sua benevolenza e il suo aiuto verso i lebbrosi che Egli incontrava nel suo ministero pubblico, sia anche la nostra carità prodiga nel contribuire, in qualsiasi modo, a sollevare dolorose situazioni di quanti sono afflitti da tale morbo.

Benedico di cuore tutti coloro che si impegneranno in questa nobile causa.

(Il Santo Padre ha infine rivolto un appello ai rapitori del giovane napoletano Francesco Coppola:) Partecipo vivamente all'indicibile angoscia dei genitori e dei familiari del giovane Francesco Coppola di Pinetamare, sequestrato a Napoli nove mesi fa, e rinnovo, con supplice voce, il mio appello accorato ai rapitori, affinché lascino prevalere nel loro animo sentimenti di pietà, di umanità, di comprensione. In nome di Dio, chiedo loro di voler porre fine a tale tormento e rimediare al male compiuto, ridando pace ad una famiglia.

Insieme con voi presenti elevo la mia fervida preghiera alla Vergine Santa di Pompei, Regina delle vittorie, affinché essa ottenga la sospirata grazia della libertà per il martoriato giovane ed il dono della serenità per i suoi cari, straziati da una prova tanto prolungata.

Data: 1981-01-25
Domenica 25 Gennaio 1981


L'omelia durante la messa - Parrocchia di Santa Galla (Roma)

Titolo: Nella comunità parrocchiale il Signore diventa luce e salvezza



1. "Il Signore è mia luce e mia salvezza" (Ps 26,1).

Queste parole del Salmo responsoriale sono insieme confessione di fede ed espressione di giubilo: fede nel Signore ed in ciò che di luminoso egli rappresenta per la nostra vita; giubilo per il fatto che Egli è questa luce e questa salvezza, in cui noi possiamo trovare sicurezza e slancio per il nostro cammino quotidiano.

Ci possiamo chiedere: in che modo il Signore è la nostra luce e la nostra salvezza? Ebbene, Egli lo diventa a partire dal nostro Battesimo, in cui si applicano a noi i frutti infiniti della sua benedetta morte in croce: allora Egli diventa "per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione" (1Co 1,30).

Proprio per i battezzati, coscienti della loro identità di salvati, valgono in pienezza le parole della lettera agli Efesini: "Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità" (Ep 5,8-9).

Ma la vita cristiana, cari fratelli e sorelle, non è solo un fatto individuale e privato. Essa ha bisogno di svolgersi a livello comunitario ed anche pubblico, poiché la salvezza del Signore è "preparata davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti" (Lc 2,31-32). Ebbene, la parrocchia è la comunità in cui il Signore diventa luce e salvezza di ognuno e di tutti per una testimonianza comune alla società.

Voglio qui, pertanto, rivolgere il mio saluto cordiale a tutti voi della parrocchia di Santa Galla alla Garbatella, che siete parte viva della grande famiglia diocesana di Roma. Insieme al Cardinale Vicario ed al Vescovo di zona Clemente Riva, saluto gli zelanti pastori delle vostre anime: il Parroco ed i suoi collaboratori. A loro unisco i benemeriti componenti delle famiglie religiose, maschili e femminili, presenti e operanti nella parrocchia. In modo particolare intendo menzionare i membri di tutte le Associazioni Cattoliche, impegnati nella cura pastorale e nella crescita spirituale dell'intera comunità: le donne, gli uomini, i giovani. Questi ultimi, soprattutto, sappiano quanto il Papa sempre si aspetta da loro: dal loro entusiasmo, dalla loro generosità, dalla loro intelligenza. La parrocchia di Santa Galla è molto numerosa; quindi c'è spazio per l'impegno di tutti, specialmente dei più disponibili a conformarsi maggiormente a Cristo Signore, che è luce e salvezza per tutti gli uomini. Quindi, mentre mi compiaccio per le vostre varie attività, vi incoraggio pure paternamente a proseguire con grande fraternità e perseveranza nella loro realizzazione a comune vantaggio.


2. Il Vangelo della domenica odierna ci manifesta come Cristo è diventato storicamente, all'inizio della sua vita pubblica, la luce e la salvezza del popolo al quale è stato mandato. Citando il profeta Isaia (Is 9,1), l'evangelista Matteo ci dice che questo popolo era "immerso nelle tenebre... in terra e ombra di morte"; ma esso finalmente "ha visto una grande luce". Dopo che la gloria del Signore già a Betlemme aveva avvolto di luce i pastori nella notte (cfr. Lc 2,9), in occasione della nascita di Gesù, questa è la prima volta che il Vangelo parla di una luce manifestata a tutti. Infatti, quando Gesù, dopo aver lasciato Nazaret ed essere stato battezzato al Giordano, si reca a Cafarnao per dare inizio al suo ministero pubblico, è come se si verificasse una sua seconda nascita, consistente nell'abbandono della vita privata e nascosta per darsi all'impegno totale e irrevocabile di una vita spesa per tutti, fino al supremo sacrificio di sé. E Gesù, in questo momento, si trova in un ambiente di tenebre, nuovamente scese su Israele a motivo dell'incarcerazione di Giovanni Battista, il precursore.

Pero Matteo ci dice pure che Gesù ha subito efficacemente illuminato alcuni uomini, "mentre camminava lungo il mare di Galilea", cioè sulla riva del Lago di Genesaret. E' la chiamata dei primi discepoli, i fratelli Simone e Andrea, e poi degli altri due fratelli, Giacomo e Giovanni, tutti lavoratori dediti alla pesca. "Essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono". Hanno certamente subito il fascino della luce segreta che da Lui emanava, e senza indugio l'hanno seguita per far rischiarare dal suo fulgore il cammino della loro vita. Ma quella di Gesù è una luce che risplende per tutti. Infatti, Egli si fa conoscere ai suoi compaesani della Galilea, come annota l'evangelista, "insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo". Come si vede, la sua è una luce che illumina ed anche riscalda, poiché non si limita a rischiarare le menti ma interviene pure a riscattare situazioni di bisogno materiale. "Passo beneficando e risanando" (Ac 10,38).

3. Una delle conquiste maggiori di questa luce fu quella di Saulo di Tarso, l'apostolo Paolo, della cui conversione la liturgia fa memoria proprio oggi, 25 gennaio. Con in mente il proprio caso personale, egli ebbe a scrivere ai Corinzi così: "E Dio che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo" (2Co 4,6 cfr. Ac 9,3). Questa luce, direi, rifulge particolarmente sul volto di Cristo crocifisso, "Signore della gloria" (1Co 2,8), di cui l'apostolo appunto è stato mandato a predicare il Vangelo della Croce (cfr. 1Co 1,17 1Co 2,2).

Questo ci dice che cos'è una conversione: una speciale illuminazione, che ci fa vedere in modo nuovo Dio, noi stessi ed i nostri fratelli. così, in modi diversi, Gesù Cristo si fa conoscere ai vari uomini e alle società nel corso dei tempi e nei diversi luoghi. Coloro che lo seguono, lo fanno perché in Lui hanno trovato la luce e la salvezza: "Il Signore è mia luce e mia salvezza".

E anche voi, cari fratelli e sorelle, seguite Cristo? Lo avete conosciuto veramente? Sapete e siete convinti a fondo che Egli è la luce e la salvezza di noi e di tutti? E' una conoscenza, questa, che non si improvvisa; bisogna esercitarsi ogni giorno, nelle situazioni concrete in cui ciascuno di voi è posto. Si può almeno provare a portare questa luce nel proprio ambiente di vita e di lavoro e lasciare che essa illumini ogni cosa e guardare ogni cosa servendosi di essa. Questo vale in modo particolare per gli ammalati ed i sofferenti, poiché, se è vero che il dolore piomba nel buio, allora più che mai si conferma la verità della gioiosa confessione del salmista: "Tu, Signore, sei luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre" (Ps 18,29). Ma questo vale per tutti: Cristo, infatti, è luce e salvezza delle famiglie, dei coniugi, della gioventù, dei bambini, e poi anche di tutti coloro che esercitano professioni varie: per i medici, per gli impiegati, per gli operai; ciascuna di queste categorie, sia pur in modi diversi, esercita un servizio per gli altri e dall'insieme risulta una società ben ordinata e armoniosa. Ma perché tutto riesca bene, senza attriti o conflitti, bisogna che ciascuno sappia dire al Signore con umiltà e con desiderio: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Ps 119,105). Questo è possibile se insieme e a fondo viene vissuta la vita parrocchiale, dove ciascuno riceve alimento da tutti e tutti concorrono alla crescita di ciascuno.


4. Ritorniamo ancora una volta al salmo responsoriale della Messa per fare un'analisi approfondita del suo contenuto.

Dalle prime parole impariamo che la luce e la salvezza sono in contrasto con il timore e lo spavento.

"Il Signore è difesa della mia vita, / di chi avrò timore? / Egli mi offre un luogo di rifugio / nel giorno della sventura".

Eppure quanto timore pesa sugli uomini del nostro tempo! E' un'inquietudine molteplice, caratterizzata appunto dalla paura dell'avvenire, di una possibile autodistruzione dell'umanità, e poi anche, più in generale, da un certo tipo di civiltà materialistica, che pone il primato delle cose sulle persone, e ancora dalla paura di restare vittime di soprusi ed oppressioni che privino l'uomo della sua libertà interiore ed esteriore. Ebbene, solo Cristo ci libera da tutto ciò e permette di sollevarci spiritualmente, di ritrovare la speranza, di confidare in noi stessi nella misura in cui confidiamo in Lui: "Guardate a Lui e sarete raggianti" (Ps 34,6).

Insieme a ciò, come ci suggerisce la seconda strofa, nasce il desiderio di poter "abitare nella casa del Signore" (Ps 26,4).

"Una cosa ho chiesto al Signore, / questa sola io cerco: / abitare nella casa del Signore / tutti i giorni della mia vita, / per gustare la dolcezza del Signore / ed ammirare il suo santuario".

Che cosa vuol dire questo? Significa innanzitutto la condizione interiore dell'anima nella grazia santificante, mediante la quale lo Spirito Santo abita nell'uomo; e significa poi permanere nella comunità della Chiesa e partecipare alla sua vita. Proprio qui, infatti, si esercita in abbondanza quella "misericordia", di cui parla il Salmo e che è stato il tema della mia ultima lettera enciclica; qui ognuno può ripetere col salmista, sicuro di essere ascoltato: "Ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore" (Ps 25,7).

Infine, siamo orientati verso la speranza ultima, che dà a tutta l'esistenza del cristiano la sua piena dimensione.

"Sono certo di contemplare la bontà del Signore / nella terra dei viventi. / Spera nel Signore, sii forte, / si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore".

Il cristiano è uomo di grande speranza, e proprio in essa si rispecchia quella luce e si realizza quella salvezza, che è Cristo. Egli, infatti, "guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie" (Ps 25,9).


5. Cari fratelli e sorelle, oggi si conclude anche la settimana di preghiere per l'unità dei cristiani. In questi giorni abbiamo pregato per la ricomposizione di tutte le denominazioni cristiane, che si sono separate nel corso dei secoli. Noi sappiamo che Cristo è unico, è "indivisibile", come proclama san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: "...Vi esorto, pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di intenti" (1Co 1,10). Sono parole particolarmente indirizzate a noi per il giorno in cui si conclude questa ottava di preghiere. E dobbiamo metterle in pratica prima di tutto noi stessi. Ma occorre che sempre tutte le comunità e le parrocchie preghino insieme con fervore in tale spirito - tutte e ciascuna! Secondo il Vangelo di Giovanni, la preghiera di Gesù nell'ultima Cena ha questa invocazione centrale: "Tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Dobbiamo riconoscere che a questo supremo desiderio del Signore i cristiani, nel corso del tempo, non hanno reso onore, e tutt'ora perdurano quelle scissioni che Gesù temeva e che non danno buona testimonianza al mondo. L'intenzione delle preghiere della trascorsa settimana è formulata con parole dell'apostolo Paolo: "Uno Spirito, doni diversi, un solo Corpo" (cfr. 1Co 12,3-13). Ci è stato così riproposto l'ideale da perseguire incessantemente nella concretezza di ogni giorno: quello di formare insieme l'unico Corpo di Cristo. che è ad un tempo uno e molteplice, variamente composto e pur armonicamente ordinato. Una cosa è certa: l'attuazione di quest'opera può meglio manifestare a tutti la verità delle parole del salmo della liturgia odierna: "Il Signore è mia luce e mia salvezza".

Solo in Lui la Chiesa può ritrovare la propria unità e, in certo qual modo, permanere indivisa nonostante tutte le sue divisioni storiche.

Carissimi, questo innanzitutto auguro a voi: che la vostra Comunità parrocchiale di Santa Galla realizzi al proprio interno una simile comunione vicendevole, fatta di fraternità e di impegno dinamico, così da sperimentare la bellezza di formare una sola famiglia per offrire un'autentica ed efficace testimonianza cristiana. Amen!

Data: 1981-01-25
Domenica 25 Gennaio 1981


Al comitato italiano per le celebrazioni di san Benedetto - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Spiritualità, unità, pace valori da difendere ed approfondire

Venerati fratelli e illustri Signori! E' per me motivo di grande gioia accogliere oggi in udienza voi, rappresentanti del comitato Nazionale per le celebrazioni del XV centenario della nascita di san Benedetto Abate e di sua sorella santa Scolastica, al termine dell'anno giubilare, che vi ha visti impegnati nel nobile compito di curare la degna celebrazione del significativo avvenimento.

Vi ringrazio sinceramente per questa visita: in particolare, esprimo la mia viva gratitudine all'Onorevole Rolando Picchioni, Presidente del Comitato, il quale, interpretando anche i vostri sentimenti, mi ha rivolto parole tanto cortesi.

1. La vostra presenza ravviva nella mia mente e nel mio cuore le raccolte assemblee di fede e di preghiera e gli incontri con tutti quei fedeli, soprattutto con i giovani, che ho potuto vedere durante i miei pellegrinaggi ai luoghi consacrati dalla presenza e dal passaggio del grande Patriarca dell'Occidente: a Norcia, sua città natale; a Montecassino, casa madre del monachesimo benedettino; a Subiaco, dove il santo trascorse maggior parte della sua vita eremitica e cenobitica.

Per tanta parte, il merito della riuscita di queste manifestazioni va attribuito anche all'opera solerte di codesto comitato, che, coordinando le attività dei vari Dicasteri del governo, delle Accademie nazionali e di qualificati centri culturali, a diverso titolo interessati all'avvenimento, ha portato un contributo notevole per una migliore conoscenza del messaggio spirituale e sociale, lasciatoci in consegna dal santo. Rientra in questo quadro la promozione di opportune e lodevoli iniziative, quali il restauro di monumenti benedettini a Subiaco e a Montecassino; la trasmissione, da parte della radio e televisione italiana, di appropriati programmi; l'organizzazione di convegni, di conferenze, di dibattiti e tavole rotonde a livello sia scientifico che divulgativo; una pregevole emissione filatelica, che onora le tradizioni artistiche e religiose italiane. E tutto questo grazie anche alla buona mediazione dei mezzi della comunicazione sociale, che il Ministero del Turismo e dello Spettacolo, qui degnamente rappresentato, ha messo in atto.


2. Ma ora che l'anno benedettino è terminato desidero esprimere l'auspicio che tutti questi sforzi, destinati essenzialmente alla necessaria animazione cristiana nella società - cosa che formo l'assillo di san Benedetto - non finiscano qui, ma che quanto avete fatto vi sia di stimolo per sempre nuove iniziative, volte ad illustrare la civiltà cristiana. E' vero che si conclude una ricorrenza peculiare, ma gli ideali che essa ha richiamati e proclamati devono perdurare, devono essere approfonditi in tutti i loro aspetti, tanto più che viviamo in un momento storico, in cui si sente più che mai urgente la necessità di un ritorno ai valori insostituibili della spiritualità, dell'unità e della pace: ideali questi su cui si incentra tutto il mirabile tessuto di quell'aureo libriccino, che è la Regola di san Benedetto. Per questo egli ha molto da dire e da dare agli uomini di oggi.

In particolare, il futuro dell'Europa dipenderà da come essa saprà continuare ad assimilare ed interiorizzare lo spirito benedettino, che un tempo seppe forgiarla ed unirla con la Croce e con l'aratro e col relativo motto emblematico: "Ora et labora".

Tutto ciò resta sempre fondamentale per la costruzione della società. Ed è fermento animatore anche e soprattutto nell'attuale sforzo per l'unificazione dell'Europa, oggi tanto auspicata.


3. A tutti voi è noto con quale soddisfazione sia stato salutato l'ingresso della Grecia in seno al Mercato Comune Europeo: è un fatto importante non solo per i suoi aspetti economici e sociali, ma anche per quelli religiosi e culturali, perché la cultura greca, accanto a quella romana, forma l'altro pilastro dell'anima europea. A questo proposito, sul finire dell'anno di San Benedetto, che veneriamo come patrono d'Europa, ho voluto affiancargli, come compatroni di questo antico continente, i santi Cirillo e Metodio, che, nati a Salonicco, "mettono in risalto prima il contributo dell'antica cultura greca e, in seguito, la portata dell'irradiazione della Chiesa di Costantinopoli e della tradizione orientale. la quale si è così profondamente iscritta nella spiritualità di tanti popoli e nazioni nella parte orientale del continente europeo" (Giovanni Paolo II "Egregiae virtutis", 3). I due fratelli apostoli dei popoli slavi, ci aiutino a capire le esigenze delle nazioni slave che formano tanta parte dell'Europa e che aspirano anche esse ad entrare pienamente a far parte del concerto delle famiglie europee.


4. Quanto a voi, carissimi fratelli, prego il Signore perché restino nei vostri cuori la soddisfazione del lavoro compiuto e la consapevolezza dei frutti, che ne sono derivati nel corso di quest'anno. Possano tali benefici moltiplicarsi e crescere rigogliosi, in questa nostra cara Europa cristiana.

E' questo l'augurio che con grande affetto porgo a ciascuno di voi e dei vostri cari, e che, in pegno delle più ampie ricompense celesti, confermo volentieri con la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-01-26
Lunedì 26 Gennaio 1981






GPII 1981 Insegnamenti - Ai sacerdoti del Collegio san Paolo - Città del Vaticano (Roma)