GPII 1981 Insegnamenti - Udienza al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Udienza al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riconciliazione e penitenza nella Chiesa

Venerabili fratelli nell'Episcopato,

1. Mi rallegro ardentemente di essere al cospetto di questo vostro Congresso, che raccoglie il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, e che si è radunato in questi giorni a Roma per definire i singoli argomenti e le linee fondamentali dei lavori stabiliti per la VI Assemblea del Sinodo dei Vescovi che si terrà nel 1983. Mi compiaccio anche vivamente, poiché, secondo la decisione presa l'anno scorso nel Sinodo e secondo le proposte e le intenzioni raccolte dai lavori della Conferenza Episcopale e della Sede Apostolica, avete saggiamente scelto come titolo del prossimo Sinodo: "La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa".


2. Vi confesso che questo argomento non solo mi è decisamente gradito, ma anche che tra i Vescovi e i sacerdoti di tutta la Chiesa ha già suscitato in questo momento molto interesse e ha richiamato l'animo dei fedeli verso quei temi pastorali che, specialmente in questi tempi, hanno in sé una grande importanza.

Infatti la riconciliazione e la penitenza costituiscono di per sé parte del tutto necessaria, anzi perfino preminente, del messaggio salvifico comunicato da Cristo Signore al mondo; per questo contengono elementi che sono fondamentali per la vita e la morale cristiana dei cattolici.


3. E' chiaro che all'inizio della sua predicazione Cristo predicava la necessità della penitenza e compiva tutte quelle opere affinché fosse ben compreso dagli uomini il fondamento della sua dottrina e della sua missione terrena, che consisteva nel riconciliare tutto il genere umano con Dio Padre e gli uomini tra di loro. Gesù assunse e fece suoi gli insegnamenti dell'Antico Testamento sull'infinito amore del Padre, che vince ogni peccato. Nello stesso tempo rimise agli uomini le loro colpe e illumino quel profondo desiderio che ogni uomo nutre - la riconciliazione cioè con Dio e con i suoi fratelli. Alla fine Egli, sopportando la croce salvifica, rivelo la piena giustizia di Dio e fino a che punto fosse grande la sua misericordia. Cristo dunque ci insegna, una volta per sempre, in quale modo possiamo ottenere ed anche elargire misericordia e come possiamo superare le divisioni, le invidie, l'eccessivo amor proprio per dedicarci liberamente e con tutte le nostre forze alla costruzione di un mondo più giusto e più umano.


4. Cristo, maestro di penitenza e artefice della riconciliazione, non solo fisso questi fondamenti di vita attraverso il suo esempio e la sua Parola, ma anche esorto a fare ed a insegnare sempre queste stesse cose attraverso il suo Spirito operante nella Chiesa e tramite l'indicazione di noi Pastori inviati a succedere agli Apostoli per guidare il Popolo di Dio per una via chiara e sicura. La Chiesa, nostra madre, che tanto amiamo, si consacra senza sosta al suo Signore e comunica agli uomini il di lui amore elargendo la misericordiosa grazia divina attraverso il ministero della Parola e i Sacramenti della salvezza: precisamente l'Eucaristia e la Penitenza. Noi a nostra volta, anche se peccatori, custodiamo scrupolosamente questi tesori della dottrina evangelica e della grazia divina e quindi li comunichiamo ai nostri fratelli e sorelle nel Signore.


5. Questo senza dubbio è "quel servizio di carità" di cui hanno scritto il nostro venerabile fratello Cardinale Zoungrana e il Segretario del Sinodo, il venerabile fratello Jozef Tomko - fedeli interpreti del vostro pensiero - nel gradito telegramma che ho ricevuto da voi dall'Aula del Sinodo il 7 di questo mese. Devo dire grazie a ciascuno di voi per questa manifestazione di tanta fedeltà e di tanto impegno nel tracciare le linee fondamentali per i lavori del prossimo Sinodo. Io so che voi non vi proponete altro che di fare la volontà di Gesù Cristo, per la comunità della Chiesa Universale, per il bene di tutti i fedeli, per lo sviluppo dell'autentico rinnovamento conciliare; quindi anche oggi date estrema importanza alle vostre discussioni e conclusioni sull'argomento della penitenza e della riconciliazione nella missione della Chiesa.


6. Infatti dal Sinodo può nascere certamente una nuova e più attiva coscienza tra gli uomini battezzati di quella offesa, che viene cancellata col nostro Battesimo e di quella eterna indulgenza e misericordia divina di cui sempre abbiamo bisogno per poter realizzare la nostra vocazione cristiana sulla terra. Ma anche fuori dalla Chiesa questo messaggio salvifico di perdono e di riconciliazione fraterna può essere ugualmente ed enormemente utile a tutti gli uomini; esso verrà di nuovo spiegato, precisato ed annunciato dal Sinodo dei Vescovi nel 1983 sotto la vostra direzione. Infatti le angosce e gli errori delle anime, i dubbi e la disperazione saranno consolati e alleviati grandemente se gli uomini riusciranno a recuperare il vero spirito di libertà e a riconoscere la propria natura tendente al male e nello stesso tempo ad avere la speranza certa che da Dio misericordioso viene la luce e la salvezza.


7. Avete trattato questo tema saggiamente, cari fratelli nell'Episcopato, e avete preparato in questa settimana chiare direttive per il lavoro teologico e pastorale che è compito del VI Sinodo dei Vescovi portare a termine a tempo debito. Stimo grandemente il vostro attento zelo e la costante sollecitudine di queste vostre assemblee, per non parlare del quasi quotidiano lavoro della stessa Segreteria del Sinodo che perfeziona e adempie a tutto ciò che può aiutare i lavori del Sinodo.

Imparto adesso la mia benedizione apostolica, che fiduciosamente avete chiesto, su di voi e sui vostri sforzi egregiamente svolti, affinché i loro frutti si sviluppino abbondantemente nel presente e vengano raccolti nel futuro Sinodo. Vi ringrazio per le fatiche svolte e vi esorto a continuare in quest'opera cosicché il prossimo Sinodo, con l'aiuto di Maria Madre della Chiesa, venga preparato convenientemente, sia di sostanziale aiuto alla comunità della Chiesa e sia anche motivo di gioia per ogni uomo.

Data: 1981-10-10
Sabato 10 Ottobre 1981


L'omelia nella Chiesa parrocchiale di Castel Gandolfo - Roma

Titolo: Riscoprire nella comunione col Signore il senso delle ricchezze spirituali



1. Ringrazio di cuore per l'invito rivoltomi a visitare la chiesa parrocchiale di Castel Gandolfo. Trovandomi nella diocesi di Albano desidero salutare cordialmente l'intera diocesi nelle persone del Cardinale titolare Francesco Carpino e del Vescovo, Mons. Gaetano Bonicelli.

E saluto la parrocchia rivolgendomi a tutti i presenti, al parroco, ai suoi collaboratori nella pastorale, alle Congregazioni religiose maschili e femminili, e a tutti i parrocchiani. In modo particolare saluto tutti i laici che, vivendo nella parrocchia, svolgono in diversi modi quei compiti di apostolato, sui quali ci ha detto tante cose l'ultimo Concilio.

Quest'anno sono venuto a Castel Gandolfo il 16 agosto, dopo una degenza in ospedale protrattasi per alcuni mesi, per poter trascorrere qui la convalescenza. Il giorno dell'arrivo, salutando gli abitanti riuniti nella piazza centrale, dissi, indicando la vostra chiesa parrocchiale: "A Castel Gandolfo si vive nella prospettiva di Maria Assunta in cielo". A Lei infatti è dedicata la vostra parrocchia. Oggi, mentre mi è dato di offrire il sacrificio eucaristico in questa chiesa, desidero ancora ripetere queste parole con tutto il cuore.


2. Vorrei anche ringraziarvi, perché durante il mio soggiorno qui mi facilitate l'adempimento di quei ministeri pastorali, che sono collegati con la missione del Vescovo di Roma, in particolare l'accoglienza dei numerosi pellegrini che la domenica salgono fin quassù per la comune recita dell'"Angelus", com'è pure avvenuto, in questo periodo, ogni Mercoledì, fino alla scorsa settimana quando ho ripreso le udienze a Roma.

La liturgia odierna, con le parole del Salmo 23, parla del Signore che è il Pastore del suo popolo, Pastore di ogni anima: veramente il Buon Pastore.

Egli è colui che garantisce al suo gregge, che siamo noi, l'abbondanza e la sicurezza dei pascoli della sua grazia. Il Signore perciò è la fonte della nostra gioia: "Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me" (Ps 23,4). Sotto la sua guida siamo tranquilli e procediamo spediti sul cammino della nostra vita e delle nostre responsabilità.


3. San Paolo nella Lettera ai Filippesi traduce, in un certo senso, il testo del Salmo antico nella lingua del Nuovo Testamento, quando scrive: "Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù" (Ph 4,19).

Vi esorto, cari fratelli e sorelle, a vivere la stessa fede dell'apostolo! Cerchiamo questa ricchezza, che Dio offre agli uomini in Gesù Cristo! Sappiamo ripetere con l'apostolo: "Tutto posso in colui che mi da la forza" (Ph 4,13).

Purtroppo, oggi, molti uomini non sembrano avere il senso delle ricchezze spirituali derivanti dalla comunione col Signore. Molti sono sedotti da un atteggiamento materialistico e laicistico, che non vuole avvertire questa superiore dimensione dell'uomo. Occorre stare in guardia da queste prospettive secolaristiche. Perciò è necessaria una continua conversione della mente e del cuore. Solo così le ricchezze di Dio, offerte agli uomini in Cristo, si disvelano sempre più pienamente allo sguardo delle nostre anime.


4. E perciò anche in occasione dell'odierno incontro con la vostra parrocchia auguro ad ognuno e a tutti di non comportarvi nei confronti dell'invito al "banchetto di nozze per suo figlio", come abbiamo sentito nel Vangelo odierno.

Infatti i primi invitati "non vollero venire" (Mt 22,3); altri poi "non se ne curarono" (Mt 22,5); altri ancora insultarono o uccisero i servi latori dell'invito (cfr. Mt 22,6). Tutti costoro, in realtà "non ne erano degni" (ib.

22,8), probabilmente perché con inaudita presunzione e autosufficienza stimarono il banchetto inutile o almeno inferiore alle proprie esigenze e pretese. In effetti furono i poveri che accettarono l'invito, coloro che stazionavano "ai crocicchi delle strade..., buoni e cattivi" (Mt 22,9-10), cioè quelli che nella loro umiltà conobbero la ricchezza immeritata del dono di Dio e lo accettarono con semplicità. Occorre che anche noi siamo innanzitutto coscienti dell'invito ad una trasformante comunione col Signore, che ci viene rivolto dalla Parola di Dio e dalla predicazione della Chiesa; e, inoltre, che sappiamo accoglierlo con tutto il cuore, con piena disponibilità, nella certezza che il Signore vuole solo la nostra promozione, la nostra salvezza. Infine, come suggerisce l'allegoria dell'abito nuziale che conclude la parabola, siamo anche chiamati a presentarci al Signore portando una veste adeguata; essa consiste nelle opere buone che devono accompagnare la nostra fede, come ci ammonisce lo stesso Gesù: "Se la vostra giustizia (cioè la vostra vita vissuta) non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20). Ma se questo si realizza, allora la festa è piena ed intensa.


5. Penso che gli auguri che oggi porgo alla parrocchia di Castel Gandolfo, a tutti i suoi parrocchiani, sono riassunti nel modo migliore e più incisivo nelle parole, che abbiamo sentito insieme al canto dell'"Alleluia": "Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo ci conceda lo spirito di sapienza, perché possiamo conoscere qual è la speranza della nostra chiamata" (cfr. Ep 1,17-18).

Permettete che con queste parole di san Paolo esprima tutto quello che, nel mio cuore, nutro verso di voi, cari fratelli e sorelle, che vivete qui a Castel Gandolfo nella prospettiva dell'Assunzione della Madre di Dio. A Lei anche mi rivolgo con fervida preghiera, perché dia aiuto nel compimento di questi santi auspici. Amen. Data: 1981-10-11
Domenica 11 Ottobre 1981


Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ricordiamo con gratitudine il Concilio della vocazione cristiana



1. "Angelus Domini nuntiavit Mariae...", Il Vangelo secondo san Luca riferisce che l'Angelo dell'Annunciazione portava il nome di "Gabriele". E questo nome significa: "La mia potenza è Dio". Maria accolse l'Arcangelo ed il suo annuncio secondo cui avrebbe concepito un figlio, lo avrebbe dato alla luce e chiamato Gesù (cfr. Lc 1,31). Maria ascolto con umiltà le parole a Lei rivolte, e credette alla potenza di Dio. Infatti soltanto con la potenza di Dio si poté realizzare ciò che annunzio Gabriele.

"Come è possibile? Non conosco uomo... Lo Spirito Santo scenderà su di te... Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,34-35).

Il nome di "Gabriele" dunque allude alla potenza di Dio. E quando noi recitiamo l'"Angelus", adoriamo la potenza salvifica di Dio, alla quale la Vergine di Nazaret sottomette tutta se stessa: lo spirito e il corpo.


2. Incontrandoci oggi, 11 ottobre, non possiamo non ricordare che proprio in questo giorno, diciannove anni fa (11 ottobre del 1962), iniziava il Concilio Vaticano II. Nella Basilica di san Pietro entrarono allora, in solenne processione, i Vescovi di tutta la Chiesa sotto la guida di Papa Giovanni XXIII per iniziare un lavoro che duro tre anni. Il Concilio infatti, si concluse 1'8 dicembre 1965, durante il pontificato di Paolo VI.

Ricordando l'inizio di questo lavoro, ed anche il suo termine, richiamiamo alla memoria le parole della liturgia odierna, che sono legate al canto dell'"Alleluia": "Il padre del Signore nostro Gesù Cristo ci conceda lo spirito della sapienza perché possiamo conoscere qual è la speranza della nostra chiamata" (cfr. Ep 1,17-18).

Del Concilio Vaticano II si può dire che fu il Concilio della vocazione cristiana. Preghiamo affinché la luce divina, mediante il suo insegnamento, penetri le nostre menti e i nostri cuori, "perché possiamo conoscere qual'è la speranza della nostra chiamata".


3. Questa luce illumini tutti i settori della vita dell'uomo. In particolare, il settore del suo lavoro. Ecco che cosa dice il Concilio nella sua Costituzione pastorale: "L'uomo, infatti, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi. Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L'uomo vale più per quello che "è" che per quello che "ha"" (GS 35).

Nel 90° anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum" queste parole e l'insegnamento del Vaticano II ci aiutino a comprendere cristianamente tutta l'attività dell'uomo, ogni suo lavoro. Ci aiutino nella soluzione del "problema sociale" a misura dei nostri tempi.

(Omissis. Saluti in varie lingue)

Data: 1981-10-11
Domenica 11 Ottobre 1981


Ai giovani partecipanti ai "Giochi della gioventù" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La pratica agonistica sia sempre fattore di pace

Cari ragazzi e giovani sportivi!

1. Sono lieto di accogliervi e di salutarvi cordialmente, unitamente ai Dirigenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, i quali, al termine della manifestazione nazionale dei "Giochi della gioventù", vi hanno accompagnati per darvi la possibilità di esprimere qui a nome anche dei vostri colleghi appartenenti a tutte le regioni d'Italia, i sentimenti della vostra fede cristiana e della vostra giovanile letizia. Rivolgo il mio vivo ringraziamento al Dott. Franco Carraro, vostro solerte Presidente, per le amabili parole con le quali ha voluto introdurre questo incontro familiare.


2. La vostra presenza rallegra il mio animo non solo per lo spettacolo di stupenda giovinezza che offrite al mio sguardo, ma anche per i valori fisici e morali che voi rappresentate. Lo sport infatti, anche sotto l'aspetto di educazione fisica, trova nella Chiesa sostegno per tutto quello che esso comporta di buono e di sano.

La Chiesa infatti non può non incoraggiare tutto ciò che serve allo sviluppo armonioso del corpo umano, giustamente considerato il capolavoro di tutta la creazione, non solo per la sua proporzione, vigoria e bellezza, ma anche e soprattutto perché Dio ne ha fatto l'abitazione e lo strumento di un anima immortale, infondendogli quel "soffio di vita" (cfr. Gn 2,7) per cui l'uomo è fatto a sua immagine e somiglianza. Se poi si considera l'aspetto soprannaturale sono di illuminante monito le parole di San Paolo: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? ... Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio? ... Glorificate dunque Dio nel vostro corpo" (1Co 6,15 1Co 19-20).


3. Ecco, carissimi giovani, alcuni tratti di ciò che la rivelazione ci insegna sulla grandezza e dignità del corpo umano, creato da Dio e redento dal Cristo. Per questo la Chiesa non cessa di raccomandare la valorizzazione di questo strumento meraviglioso mediante una appropriata educazione fisica, la quale, mentre da una parte fa evitare le deviazioni del culto del corpo, dall'altra allena e il corpo e lo spirito allo sforzo, al coraggio, all'equilibrio, al sacrificio, alla nobiltà, alla fraternità, alla cortesia e, in una parola, al "fair play". Se praticato in questo modo, lo sport vi aiuterà, soprattutto, a divenire cittadini amanti dell'ordine sociale e della pace; vi insegnerà a vedere nelle competizioni sportive, non già lotte tra rivali, non fattori di divisione, ma pacifiche manifestazioni agonistiche, nelle quali non deve mai venir meno, pur nel doveroso sforzo per conseguire la vittoria, il senso del rispetto verso il concorrente. Con questi pensieri e con questi voti, ben volentieri imparto a voi, ai vostri familiari e ai vostri amici la mia speciale benedizione apostolica, in pegno di abbondanti grazie celesti e quale segno della mia benevolenza.

Data: 1981-10-11
Domenica 11 Ottobre 1981


Il Papa illumina via radio la statua di Cristo sul Corcovado a Rio de Janeiro

Titolo: Omaggio della scienza alla fede

(Da Castel Gandolfo il Santo Padre ha ripetuto il gesto compiuto cinquant'anni fa da Guglielmo Marconi che via radio avvio, da Roma, l'illuminazione della Statua di Cristo sul Corcovado a Rio de Janeiro. Il Santo Padre si è poi così rivolto al popolo brasiliano e a tutti i telespettatori:) Cari fratelli del Brasile, Ben volentieri ho accolto l'invito, gentilmente rivoltomi dalla "Fondazione Guglielmo Marconi" e dalla "Marconi International Fellowship", a dare l'impulso via radio per l'accensione delle luci che adesso ammiriamo mentre illuminano la grandiosa e cara statua di Cristo Divino Salvatore eretta cinquant'anni fa sul Corcovado. In quell'occasione sempre da Roma fu Marconi stesso a farlo, il geniale inventore che nel febbraio del medesimo 1931 aveva presentato al grande mio predecessore Pio XI la Stazione della Radio Vaticana, per la cui istallazione aveva egli stesso diretto i lavori. E Pio XI ravvisava in questa accensione tramite le onde radio, "una nuova meraviglia della scienza" che consentiva di illuminare da lontano la Sacra immagine del Signore e di farla apparire "come una celeste visione di splendidissimo chiarore fra le ombre della notte".

Io desidero vedere in questo festoso avvenimento, che ha luogo nel contesto della solenne consegna del settimo "Marconi International Fellowship" al professor Seymour A. Papert, un omaggio della scienza alla fede, omaggio della capacità umana di penetrare i segreti delle forze della natura e di dominarle, alla fede fondata sulla rivelazione del Verbo Incarnato che illumina ogni uomo che viene nel mondo (cfr. Jn 1,9) sul senso della vita, sul significato ultimo della vicenda terrena di ogni singola persona e dell'intera storia: "Nella tua luce vediamo la luce" (Ps 35,10).

Quanti e quali enormi progressi sono stati compiuti in questi cinquant'anni dalle ricerche scientifiche e tecnologiche, anche soltanto nel campo delle telecomunicazioni, per cui ciò che allora appariva quasi miracoloso, può apparire oggi di ordinaria amministrazione.

Il mio cordiale auspicio è che tali progressi, mediante i quali l'uomo, fatto ad immagine di Dio, riflette l'azione stessa del Creatore dell'Universo e assolve al mandato da Lui ricevuto di soggiogare, di dominare la terra (cfr. LE 4), possano essere indirizzati all'esclusivo servizio dell'uomo, della cui dignità è garante Cristo, il Redentore dell'uomo, nel suo più pieno significato, e contribuire alla comprensione, all'intesa e alla solidarietà tra i popoli.

E' questo l'augurio, con i miei rallegramenti che desidero porgere all'illustre studioso cui in questa occasione viene conferito il settimo "Marconi International Fellowship", estendendoli ai valenti studiosi che sono stati insigniti del Premio negli anni scorsi, e a quanti in questo momento partecipano alla cerimonia.

Ricordando poi la visita da me fatta al Corcovado il 2 luglio dell'anno scorso, mi è caro abbracciare spiritualmente con grande affetto, quasi a prolungare il gesto del Cristo del Corcovado, l'intera generosa terra brasiliana con tutti i suoi cari abitanti, ringraziandoli ancora una volta per l'accoglienza così calorosa che vollero offrirmi e ripetere loro come tutti i singoli siano vicini al mio cuore con le loro gioie, sofferenze, preoccupazioni, giuste aspirazioni: "Che questo momento di incontro e di incanto dicevo allora e ripeto ora - duri nei nostri cuori e nella nostra memoria e si trasformi per tutti in fonte di pace e di grazia: ricchi e poveri, forti e deboli, e, in modo speciale, per i "più piccoli", che soffrono nel corpo e nello spirito".

A quanti hanno organizzato questo nuovo incontro sulle vie dell'etere, alle autorità e personalità del mondo scientifico che partecipano al conferimento del Premio Marconi, all'intera nazione brasiliana e a quanti ci ascoltano mediante la radio e la televisione la mia paterna, affettuosa benedizione in nome di Cristo Redentore e della Madre della nostra fiducia, Nostra Signora Aparecida.

Data: 1981-10-12
Lunedì 12 Ottobre 1981





In occasione dell'anno teresiano

Titolo: Lettera al Preposito generale dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi

Esempio e maestra di virtù, santa Teresa di Gesù, il 4 ottobre del 1582, in quello stesso giorno che secondo il nuovo calendario gregoriano è divenuto ora il 15, per nulla spossata dalla vecchiaia o impedita dalla malattia, ma sempre fervente nello spirito e ardente di carità verso Dio e la Chiesa, ad Alba, nella diocesi di Salamanca, ando incontro allo Sposo. Percorrendo un lungo cammino illuminato dal dono della fede, un vero e proprio "cammino di perfezione", in cui procedette decisa, esercitandosi, grazie alla preghiera, al compito dell'amore, penetro sempre più all'interno del "castello interiore"; in questa esperienza imparo che la carità quanto più intimamente unisce Dio a qualcuno, tanto più vigorosamente lo sospinge a sentire con la Chiesa e a donarsi ad essa. L'opera intitolata De vita sua che tratta della contemplazione del Dio vivo, e della sua opera di fondazione di monasteri secondo la sua riforma del Carmelo, esplicitamente si conclude con l'intelligenza ancor più aperta a quel mistero e a quella presenza di cui la Chiesa è sacramento. Esclamando in punto di morte: "Sono una figlia della Chiesa", santa Teresa manifesto chiaramente il carattere della sua mente, per cui la contemplazione di Dio in Cristo diviene amorosa contemplazione della sua Chiesa, il desiderio di dedicarsi a Dio diviene volontà di dedicarsi alla Chiesa, l'immolazione di sé per Gesù diviene compimento di ciò che manca alla sua Passione, per il suo Corpo, che è la Chiesa. Anche l'opera De via perfections, a cui mise mano con lo sguardo rivolto a Gesù e alla sua Chiesa, si conclude con la medesima "esclamazione" rivelando l'assoluta fedeltà al sentire della Chiesa, la partecipazione e il sostegno alla di lei vita, che santa Teresa presenta come il frutto della pienezza di una vita mistica.

1. così, come avvolta della luce della Chiesa, ci appare, dopo quattro secoli, questa luminosissima vergine. Paolo VI, mio predecessore, proclamandola nel 1970 "Dottore della Chiesa", indico a tutti il modello di un gusto per la preghiera da lei trasmessoci, così "che con più autorità si diffondesse nella sua stessa famiglia religiosa, nella Chiesa orante, nel mondo, il suo benefico dono" (cfr. AAS, 62, (1970) 592). In quello spazio di tempo e in quella disposizione degli animi al rinnovamento che sono seguiti al Concilio Vaticano II, il quarto centenario della morte di santa Teresa incita con più efficacia gli spiriti a volgersi a quei beni più grandi, alla cui conquista Teresa consacro la vita e che lo stesso Concilio universale ha proposto agli uomini del nostro tempo.

Donna di rara virtù, fu di provocazione in quel tempo in cui si celebrava il Concilio di Trento, per il suo animo a tal punto preoccupato della Chiesa, che a stento la si potrebbe credere una carismatica. Considero certamente la Chiesa come sacramento di salvezza (cfr. V Mansiones, 2,3) che si opera nella sacra liturgia (cfr. De vita sua, 31,4), per la mediazione della gerarchia e del sacerdozio, col loro specifico ufficio, cui spetta di essere "luce della Chiesa".

Per questa ragione volle che le cose da lei sperimentate e scritte fossero approvate dalla Chiesa e che le sue figlie accogliessero la sua dottrina solo a patto di mantenersi in piena comunione e obbedienza alla Chiesa (cfr. De via perfectionis, Prol; 1Co 30,4). Compiendo lei stessa ciò che insegnava, si poté dichiarare di lei che "fu sempre, come ancora è, soggetta in tutto alla santa fede cattolica, al cui incremento indirizza le sue preghiere come pure i monasteri da lei fondati" (cfr. Relationes, IV, 6).

Queste parole dimostrano il suo amore per la Chiesa, fervente di preghiera e di operosità. così pure le accorate raccomandazioni che faceva alle sue figlie di recitare assiduamente preghiere per la Chiesa e di immolarsi per essa, non solo pongono in luce l'intento ecclesiale della sua riforma, ma in certo modo caratterizzano anche il Carmelo di questa peculiarità (cfr. De via perfectionis, cc. 1-3) esprimono la volontà di impegnarsi con tutte le forze perché ogni giorno di più la Chiesa si mostri come la sposa senza macchia né ruga (cfr. Ep 5,27). Teresa ebbe un acuto senso del martirio del Corpo di Cristo, diviso e profanato (cfr. De via perfectionis, I, 1-2) e comprese giustamente come l'amore per Dio dovesse spingere ad agire generosamente per il bene della Chiesa.

Sono sue queste parole: "L'amore di Dio non sta nei gusti spirituali, ma nell'essere fermamente risolute a contentarlo in ogni cosa, nel fare ogni sforzo per non offenderlo, nel pregare per l'accrescimento dell'onore e della gloria di suo Figlio e per l'esaltazione della Chiesa cattolica" (cfr. IV Mansiones, 1,7).

Per questo nell'opera intitolata De vita sua, dopo aver trattato di coloro che si dedicano con zelo alla Chiesa, esclama: "Felici quelle esistenze che sono dedicate a questo ideale", (40,15). E, se da un lato si rattrista grandemente nel recepire la divisione dell'unico Corpo di Cristo, la sua anima si dilata nello scorgere nuovi vasti campi per l'opera missionaria nelle Americhe (cfr. Fundationes monasteriorum, 1,7). Senza dubbio per lei contemplare Gesù, è la stessa cosa che contemplare la Chiesa, che esprime nel tempo, con la sua vita, le azioni e il ministero di lui. La santa Madre, lei che era "prontissima a dare mille vite per la salvezza anche di una sola anima" (De via perfectionis, 1,2), vuole che le sue figlie, donandosi spontaneamente, sopportino tribolazioni per ottenere dal Signore protezione alla sua Chiesa; vuole che a questo scopo esse volgano il loro impegno.

Così infatti parla loro: "Se non dedicate le orazioni, i desideri, le discipline e i digiuni allo scopo che ho detto (cioè per la Chiesa e la sua sacra gerarchia) state pur certe e mettetevi in testa che non state raggiungendo il fine per il quale il Signore vi ha chiamato in questo stato" (Ep 3,10).

Teresa era consapevole che la sua vocazione e il suo compito erano di pregare nella Chiesa e con la Chiesa, che è una comunità orante, suscitata dallo Spirito Santo per adorare con Gesù, e in Gesù il Padre, "in spirito e verità" (Jn 4,23s). Meditando il mistero della Chiesa, a quei tempi "sofferente", comprese che la rottura dell'unità, il tradimento di molti cristiani, la corruzione dei costumi, sono da considerare come un rifiuto, un disprezzo, una profanazione dell'amore; in fondo una violazione dell'amicizia divina. Gli uomini, non accogliendo la Chiesa, non vivendo in essa, non seguendo il suo magistero, respingono in realtà Cristo e il suo amore. Da ciò consegue il desiderio, che caratterizza in modo peculiare la norma del Carmelo, riforma che non sa affatto di irritazione e di recriminazione, ma si pone "come amica di Dio": "Tutti i miei desideri erano diretti a questo, che, avendo il Signore tanti nemici e pochi amici, questi almeno gli fossero devoti. E così venni nella determinazione di fare il poco che dipendeva da me: osservare i consigli evangelici con ogni possibile perfezione e procurare che facessero altrettanto le poche religiose di questa casa" (cfr. De via perfectionis, 1,2).

Così dunque concepisce la preghiera: come sequela generosa di Colui che "tanto ci ha amati" (cfr. De vita sua, 11,1), affinché "non sia nient'altro che un colloquio tra amici e una familiarità con Dio, con cui in segreto conversiamo sapendo di essere da lui amati" (cfr. Jn 8,5). Con la preghiera, cioè, ci abbandoniamo alla carità che lo Spirito Santo effonde nei nostri cuori, associandoci come fratelli e amici a Gesù che grida: "Abbà, Padre!" (cfr. Rm 5,5 Rm 5,47). Teresa era persuasa che nelle preghiere, ispirate dallo Spirito Santo, tutta la Chiesa prega. Onde avviene che qualsiasi suprema contemplazione del vero nome, generata dalla fede e dalla carità, sia nella Sacra liturgia, sia nell'ascolto e nella lode di Dio, sia infine nell'adorazione silenziosa - con cui il Padre è glorificato e si nutre la comunione con Gesù Cristo - è al tempo stesso "un aiuto al mio dolce Gesù" nella Chiesa, come asserisce la stessa santa vergine e maestra (De via perfectionis, 1,5.2).

Quando dunque qualcuno prega, quando qualcuno vive di preghiera, facendo esperienza in essa del Dio vivo e a lui consegnandosi, senza dubbio avrà un senso più vivo della Chiesa, riconoscendovi la misteriosa presenza di Cristo che continua la sua opera con la grazia, e avvertirà l'urgenza della massima fedeltà alla Sposa di Cristo; è spinto infatti nelle profondità dell'anima ad operare con ogni energia al bene della Chiesa. Nella misura in cui la preghiera, per l'azione potente dell'amore di Dio, attesta una stretta amicizia con Dio e arriva al punto di consumare l'unione piena d'amore - allorché la creatura apre in ogni modo la sua volontà all'Amico divino - proprio allora l'amicizia diviene fermento apostolico, causa di gioia per la Chiesa e gli uomini, come una potentissima voce che penetra nel Cuore divino e ridonda al bene di tutto il suo Popolo (cfr. De via perfectionis, 32,12).

Questo ci insegna santa Teresa, con quella autorità che ha chi ha compiuto il cammino e ha capito dall'esperienza della vita che non esiste amore per Cristo che non sfoci nella dedizione di sé alla Chiesa e che non c'è nella Chiesa una volontà di figli obbedienti, senza che essa si mostri in opere eseguite con fervore, con la forza vigorosa loro ottenuta dalla preghiera.

Secondo la stessa definizione di preghiera propostaci da santa Teresa, che la definisce come un incontro e un colloquio con Dio, si richiede che si raggiunga una certa viva presenza, la presenza cioè di Colui che è l'autore di quell'incontro, in cui peraltro esercita l'iniziativa come Amico che parla, certo "senza strepito o parole" (De via perfectionis, 25,2), e si dona in modo inesprimibile. Santa Teresa infatti ritiene la vita di preghiera quale massima espressione della vita di fede dei cristiani, i quali, credendo all'amore divino, cercano in ogni cosa di seguire pienamente la sua presenza d'amore. L'esperienza di Dio è una mirabile comunione con lui, con l'animo aperto completamente alla sua azione, una saporosa sapienza infusa dallo Spirito Santo, allorché mente e cuore aderiscono al Verbo Incarnato, "a quel soave Gesù", "porta" che conduce al Padre e attraverso cui il Padre concede a qualcuno la sua familiarità: "E' attraverso questa porta che bisogna passare - dice la santa - se vogliamo aver parte ai segreti della suprema Maestà. Altra strada non cercare, nemmeno tu sia già al culmine della contemplazione: qui soltanto camminerai ben al sicuro. E' questo il nostro Signore da cui e per cui ci viene ogni bene" (cfr. De vita sua, 22,6-7).

Per questo la maestra della santa conversazione si appoggia in ogni circostanza a Cristo, al Figlio di Dio fattosi uomo, la cui compagnia illumina il cammino della vita spirituale e conduce all'esperienza del mistero della Santissima Trinità, allorché la creatura "vede le sante persone risiedere nel suo interno e sente la loro divina compagnia nella parte più intima di se stessa come in un abisso profondissimo e indefinibile" (cfr. VII Mans., 1,7).

Si tratta dei doni eccelsi di Dio, che fioriscono nell'intima familiarità con lui, operati dalla grazia e nella certezza, opera della fede e dell'amore, della presenza del Signore "nel piccolo cielo della nostra anima" (cfr. De via perfectionis, 28,5). Per cui chiunque è fedele all'amore di Dio nella quotidianità e in lui abita, chiunque cerca con fede il suo volto, chiunque compie nelle opere la sua volontà, soprattutto donandosi ai fratelli, può essere partecipe alla esperienza mistica che Dio non nega ai piccoli del suo Regno: a loro infatti il Padre rivela i misteri del suo amore (cfr. Mt 11,25). Dio non esclude nessuno dalla sorgente della contemplazione, come asserisce Teresa: "Anzi, grida a gran voce, chiamando tutti apertamente. Tuttavia, nella sua bontà, non sforza nessuno; ma a coloro che lo seguono dà da bere in mille modi, affinché nessuno sia senza conforto e muoia di sete" (De via perfectionis, 20,2).

Secondo santa Teresa l'esperienza mistica è un dono di Dio connesso con la fedeltà alla preghiera. Perciò ella ammonisce accoratamente di "applicarsi stabilmente alla contemplazione" (De via perfectionis, 18,3). Dio, da parte sua, è sempre fedele e quando vede delle anime preparate non desidera altro che colmarle di doni (cfr. Conceptus amoris divini, 5,1). Lui stesso, in realtà, "non vuole forzare nessuno, e non si dà del tutto se non a coloro che del tutto si danno a lui" (De via perfectionis, 28,12). Si capisce così perché la santa Madre incoraggi l'uomo di preghiera a insistere in essa "a costo di morire a mezza strada" (De via perfectionis, 21,2); ma, ella dice: "Io sono certissima che chi non si ferma lungo il cammino arriverà a bere all'acqua viva della contemplazione" (cfr. De via perfectionis, 19,15). E' questo un dono altissimo che Dio imparte perché facciamo esperienza della sua presenza, dono che dilata l'uomo portandolo a un grado di amore di salvezza il cui sacramento nel mondo e la Chiesa.


GPII 1981 Insegnamenti - Udienza al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi - Città del Vaticano (Roma)