GPII 1981 Insegnamenti - In occasione dell'anno teresiano


2. Il nostro tempo, contrassegnato da un nuovo senso della Chiesa e della preghiera, ci appare un tempo di grazia, particolarmente adatto all'esperienza e all'insegnamento di santa Teresa di Gesù. Ella infatti, con la forza di cui abbiamo parlato prima, che deriva da una consuetudine di vita, invita tutti ad amare Cristo e il suo Corpo Mistico, affinché in esso, per opera dello Spirito Santo che lo anima, "gustino e vedano quanto è buono il Signore" (Ps 34,9). Anche noi abbiamo insistentemente proposto questo messaggio all'inizio del nostro pontificato; e se nel primo discorso nella Cappella Sistina ed anche in altri abbiamo richiamato alla fedeltà alla Chiesa (cfr. AAS 70 (1978) 924), al tempo stesso abbiamo ripetutamente esortato i suoi figli alla preghiera, all'adorazione, all'ascolto del Dio che parla al nostro cuore, alla contemplazione; e nell'enciclica "Dives in Misericordia", abbiamo proclamato la preghiera e l'invocazione alla bontà divina, come un diritto e un dovere per la Chiesa (cfr. AAS 72 (1980) 1228-1231). Nello stesso tempo abbiamo posto in luce l'obbligo primario della comunione di fede e di amore che si ottiene con la preghiera e si compie nella esperienza della misericordia; il che si traduce nel perenne cantico della misericordia di Dio, come avviene in santa Teresa.

Questo invito è rivolto anzitutto a coloro che si sono dedicati alla sequela di Cristo vergine, povero e obbediente e che abbiamo spesso richiamato alla loro peculiare immanenza alla Chiesa, se è vero che "la fedeltà a Cristo, soprattutto nella vita religiosa, non è mai lecito che sia sganciata dalla fedeltà alla Chiesa" (cfr. AAS 71 (1979) 1255). Esortandoli ad associarsi a Cristo nella preghiera, abbiamo affermato che "senza preghiera la vita religiosa manca di senso, è divelta dalla sua sorgente, svuotata dalla sua sostanza e non raggiunge il suo fine" (cfr. ).

Commemorando santa Teresa di Gesù, vogliamo che queste parole arrivino a tutti i religiosi ma in modo specialissimo a quelli che l'hanno per Madre e Fondatrice, a quelli che essa ha dato un posto insigne nella Chiesa. Infatti nella stessa sua Famiglia, attraverso l'esempio di una vita nuova, che è sempre caratteristica dei santi, la Madre fondatrice aveva rivolto ai suoi figli e figlie queste parole cariche della forza del suo compito: "Sono una figlia della Chiesa": e richiama loro alla memoria l'obbligo precipuo con cui si sono legati nella Chiesa (cfr. De via perfectionis, CV 17,1), l'obbligo cioè che impone loro la Regola (cfr. Ps 4,2), di pregare senza sosta (cfr. Ps 21,10) e di farlo conducendo una vita povera ed austera che contraddistingue i veri amici della Croce di Cristo. A loro santa Teresa aggiunge inoltre queste parole: "Noi tutti che portiamo questo sacro abito del Carmelo, siamo chiamati all'impegno della preghiera e della contemplazione" (cfr. V Mans. 1,2). Occorre dunque che i Carmelitani e le Carmelitane Scalze, fedeli alla preghiera e alla consuetudine della preghiera e perseveranti in essa, raggiungano quella esperienza del Dio vivente che è il segno della loro dignità, loro peculiare vocazione, dono salutare. Sono invitati a formarsi ogni giorno di più quali adoratori in Spirito e verità, ricercati dal Padre, nella persuasione - come scrisse la santa Madre - che il cammino intrapreso non è proficuo solo per loro ma anche per molte anime (cfr. De vita sua, I VIE 1,4).

Le Carmelitane Scalze, conservando identico lo spirito della Regola anche in quest'epoca, siano fedeli a ciò che quel "deserto" postula, affinché siano pienamente e peculiarmente contemplative. La loro clausura manca di significato senza questa preoccupazione di vivere in una dimensione contemplativa, come prescrive molto chiaramente santa Teresa poco prima della sua morte nel terzo capitolo dell'opera Fondationum monasteriorum. Il nostro sollecito monito - che abbiamo espresso anche in occasione della Assemblea plenaria della Sacra Congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari - e che aveva come scopo che la clausura fosse applicata con giusta severità, appare richiamarsi ai precetti di santa Teresa. In accordo con lei, persuasa com'era che il bene non fosse nascosto (cfr. De via perfectionis, CV 15,6), avevamo detto: "La clausura non separi... dalla comunione del Corpo Mistico - ma anzi conduca coloro che la praticano nel cuore stesso della Chiesa" (cfr. AAS 72 (1980) 211). I contemplativi adempiano allora amorevolmente al loro compito e alla loro vocazione e, donandosi sull'esempio di santa Teresa del Bambin Gesù, "siano nel cuore della Chiesa", e ricordino, come ella stessa invitava, che "possiamo essere utili alla Chiesa attraverso la preghiera e dedicandoci allo studio" (Derniers entretiens, 8, VII, 16 DEA 8)).

Le Carmelitane Scalze allora, che Teresa voleva "eremite contemplative" (Epist. 21.X. 1576 a P. Mariano) e "esseri umani celesti" (Epist. 21.X. 1576 a P. Graziano), sono da lei stessa spinte ad intraprendere il cammino dell'azione apostolica che implica l'aiuto alle sorelle nel perseguire la perfezione secondo la Regola (cfr. Fundation., FTH 2,5 FTH 10,14), l'annuncio del Vangelo ai piccoli e agli umili (cfr. ibid., FTH 14,8), e nello stesso tempo una maggiore fermezza nelle questioni teologiche e nell'aspetto missionario. Per questa ragione volle che tra di loro vi fossero "maestri e persone preposte all'insegnamento", lei che sapeva bene che una persona veramente esperta nel guidare gli animi non inganna mai (cfr. De vita sua, VIE 5,3), convinta essa stessa come il vero sapere, associato all'umiltà, avesse un grande valore per intraprendere la via della preghiera. santa Teresa vide questi principi divenuti operanti nel suo primo figlio spirituale, san Giovanni della Croce, maestro e guida delle vie che conducono a Dio, che per primo inizio una vita nuova nel monastero delle Carmelitane di Duruelo. Secondo il suo esempio bisogna che le Carmelitane Scalze siano, nel nostro mondo, guide e maestre per gli uomini assetati della comunione e della esperienza di Dio. Questa è la loro missione, che deriva dalla loro vocazione.

La piissima Madre guarda con animo amorevole gli Istituti e le Congregazioni che seguono il suo spirito e la sua Regola di perfezione nella vita apostolica a cui si dedicano e che è tanto feconda nella Chiesa e anche nei vari campi della carità e dell'assistenza sociale. Ella ammonisce i suoi seguaci ad essere persone dedite alla preghiera, cioè capaci, in ogni incontro coi fratelli, di invitare alla comunione con Dio. Queste indicazioni di santa Teresa sono un invito alla preghiera e all'azione, senza che venga meno una unità di vita che la fedeltà sprona alla contemplazione: "Poiché chi è più fervente nella preghiera, è più pronto nel procurare conforto e salvezza al suo prossimo, specialmente alle anime, e poiché chi sa liberare una sola anima dal peccato è capace di dare a molte la vita" (cfr. Conceptus amoris divini, 7,8).

Santa Teresa continua a vivere ed a parlare nella Chiesa. Indirizziamo efficacemente le nostre menti, con rinnovato impegno, al suo esempio di vita e alla sua dottrina, in particolare nell'anno, che sta per incominciare, dedicato alla sua memoria.

Infine imparto di cuore la benedizione apostolica, auspice di beni celesti, a te, figlio diletto, ai fratelli e alle sorelle del Carmelo, e agli altri seguaci dell'insegnamento di santa Teresa.

Data: 1981-10-14
Mercoledì 14 Ottobre 1981


Messaggio per la I Giornata mondiale dell'Alimentazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Garantire concretamente a ogni uomo il diritto fondamentale alla nutrizione

L'Organizzazione internazionale per l'Alimentazione e l'Agricoltura ha deciso di promuovere per il 16 ottobre 1981 - trentaseiesimo anniversario della sua fondazione - la prima Giornata mondiale dell'Alimentazione. Una tale iniziativa dovrebbe far prendere coscienza, non solo agli esperti, ma all'opinione pubblica, al mondo intero, dei problemi gravi ed urgenti della fame e della sotto-nutrizione e mobilitare le energie di tutti per far fronte a questo dramma in modo solidale.

Sono felice di associarmi a questo evento, facendomi portavoce di tutti coloro che soffrono una tragica sotto-nutrizione e che si appellano alla coscienza dei loro fratelli. Penso in particolare agli ottocento milioni di uomini, donne, bambini che vivono in una condizione di povertà assoluta, e a tutti coloro che sono in condizioni troppo precarie per procurarsi il pane per l'indomani. Se tutti gli uomini hanno il dovere di preoccuparsene, come potrebbero coloro che hanno fatto professione di seguire Cristo dimenticare che lui stesso si e identificato con coloro che avevano fame? Desidero dunque unirmi a tutti coloro che oggi proclamano di nuovo la necessità di riconoscere e di garantire concretamente ad ogni uomo l'esercizio del suo diritto fondamentale di nutrirsi. A questo diritto corrisponde il dovere ad un'azione continua e programmata per uno sviluppo organico, secondo un nuovo ordine internazionale, capace di assicurare soprattutto la necessaria alimentazione nei diversi Paesi del mondo.

Un grave squilibrio si va ora accentuando tra i bisogni della popolazione di vaste zone e il nutrimento disponibile. Come non essere preoccupati per le crisi acute che si prevedono in futuro in numerosi continenti? Basandomi proprio sulle osservazioni degli esperti della Fao, ho attirato l'attenzione su questo dramma all'inizio dello scorso anno ("", IV, (1981) 3ss).

Certamente fattori complessi spiegano questa situazione. Ci sono le calamità naturali ma l'uomo conserva sempre la sua parte di responsabilità.

Infatti non si tratta tanto di una insufficienza globale dei prodotti alimentari sulla terra, ma di una mancanza di disponibilità e di sfruttamento di immense ricchezze che la natura racchiude e che sono destinate all'uso comune. Non si può anche dire che qualche volta il carattere prioritario dell'agricoltura è stato sottovalutato nel processo globale dello sviluppo? D'altra parte, c'è una distribuzione non equilibrata del prodotto del lavoro, senza parlare delle spese eccessive per soddisfare bisogni superflui o per accumulare, in modo pericoloso armamento dispendiosi.

La Fao lo sa meglio di chiunque altro: la realizzazione del diritto all'alimentazione non dovrebbe limitarsi ad un aiuto sotto forma di nutrimento immediatamente indispensabile né ad iniziative occasionali, benché ciò sia evidentemente indispensabile nei casi di pericolo.

Bisogna in primo luogo assicurare più ampiamente alle popolazioni che soffrono di malnutrizione l'effettivo accesso alle diverse ricchezze della natura, del sottosuolo, del mare, della terra. Bisogna soprattutto prendere in considerazione una diversa politica agricola e un diverso sistema di scambi.

Perché, questo è un fatto, gli sforzi degli ultimi dieci anni per lo sviluppo sono ben lontani dall'aver risolto i problemi. Senza dubbio conviene adottare vie nuove che permettano ad ogni paese di provvedere il più possibile ai propri bisogni alimentari, senza dipendere eccessivamente da importazioni dall'esterno. Come dicevo nella mia recente enciclica: "Sono necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all'agricoltura - ed agli uomini dei campi - il loro giusto valore come base di una sana economia, nell'insieme dello sviluppo della comunità sociale" (LE 21).

E' da parte di tutti che oggi deve venire uno sforzo comune: dai Governi, qualunque sia il loro sistema economico e politico; dalle Organizzazioni intergovernative e non-governative; dalle diverse associazioni di volontari, e penso in particolare a quelle che sono ispirate dalla Chiesa e dalle comunità di credenti. E' nel quadro di questa indispensabile cooperazione internazionale che prendono posto le iniziative della Fao, secondo la sua specifica funzione. La Santa Sede desidera che questa organizzazione possa compiere la sua missione, in modo sempre più efficace e incisivo ed in piena conformità con gli ideali espressi nel suo statuto; desidera inoltre che la sua azione sia riconosciuta e sostenuta con maggiori mezzi dai Governi degli Stati membri.

In occasione di questa prima Giornata mondiale dell'Alimentazione, esprimo i miei incoraggiamenti calorosi ed i miei ferventi voti a tutti coloro che si impegnano per risolvere la questione cruciale della fame, in particolare a tutti i rappresentanti di quegli Stati membri e alle organizzazioni presenti, e in primo luogo al Direttore generale della Fao, ai funzionari e a tutto il personale della Fao. Prego Dio - al quale domandiamo ogni giorno il pane quotidiano necessario per tutti - di benedire le loro persone e di ispirare loro una azione competente e disinteressata al servizio della sussistenza di tutti i loro fratelli.

Data: 1981-10-14
Mercoledì 14 Ottobre 1981


All'Assemblea congiunta dei Superiori e delle Superiore d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dedicate la vostra vocazione religiosa all'autentica promozione dell'umanità

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo!

1. Desidero manifestarvi anzitutto, la mia sincera gioia per questo incontro con voi, esponenti qualificati degli Ordini e Congregazioni maschili e femminili d'Italia, qui accompagnati dal Segretario della Sacra Congregazione per i religiosi, che rappresentate centoventi Istituti maschili, con trentasettemila religiosi, e seicentocinquanta Istituti femminili, con centoquarantacinquemila religiose.

Alla legittima letizia per questo incontro desidero aggiungere anche il vivo compiacimento per codesta assemblea nazionale congiunta che si realizza per la prima volta in Italia e che è stata preparata dagli Organismi interessati con ammirevole impegno sia per quanto concerne la parte liturgica - preghiera comunitaria e celebrazioni eucaristiche - sia per il numero, l'ampiezza e la profondità dei temi meditati e studiati insieme, che vertono sulla presenza e il valore della vita religiosa nella Chiesa e nel mondo, sull'efficacia e l'apporto della vita religiosa nella costruzione della Chiesa, nonché sul tema specifico della vita religiosa di fronte ai mutamenti culturali e strutturali della società italiana, nella quale voi tutti, fratelli e sorelle, siete chiamati ad operare apostolicamente ed a rendere esemplare ed incisiva testimonianza della fecondità della vostra donazione totale a Dio.


2. Questi temi di fondo, nonché i molteplici argomenti di studio, che sono in questi giorni trattati dai lavori di gruppo - quali, ad esempio, la spiritualità dell'azione, la pastorale vocazionale, le comunicazioni sociali e la vita religiosa, il coordinamento per un migliore servizio ecclesiale, eccetera - affrontati congiuntamente, sono rivolti a sottolineare il fatto che, se distinta è l'organizzazione, la vita, l'attività apostolica dei religiosi e delle religiose, comune ne è tuttavia la formazione religiosa, in quella fondamentale ed ineliminabile "dimensione contemplativa", che sta alla base della consacrazione religiosa, la quale è una risposta generosa e totalizzante alla chiamata di Gesù: "Sequere me" (cfr. Mc 2,14 Lc 5,27).

Questa dimensione originaria della vita religiosa è stata sottolineata dal Concilio Vaticano II, che ha raccomandato ai religiosi ed alle religiose il primato della vita spirituale, e quindi l'amore a Dio, che per primo ci ha amato, la vita nascosta con Cristo in Dio, lo spirito di preghiera, l'amore per il prossimo per la salvezza e per l'edificazione della Chiesa (cfr. PC 6); è stata ancora ribadita dal mio predecessore Paolo VI nella sua esortazione apostolica circa il rinnovamento della vita religiosa secondo l'insegnamento del Concilio, quando vi ha detto: "Un'attrattiva irresistibile vi trascina verso il Signore. Afferrati da Dio, voi vi abbandonate alla sua azione sovrana, che verso di Lui vi solleva ed in Lui vi trasforma, mentre vi prepara a quella contemplazione eterna, che costituisce la nostra comune vocazione" ("Evangelica Testificatio", 8); è stata inoltre ampiamente illustrata dal recente documento, emanato nel marzo dello scorso anno dalla Sacra Congregazione per i religiosi e gli Istituti Secolari sulla "dimensione contemplativa della vita religiosa", che è uno dei testi, che in questi giorni state analizzando e meditando nella riflessione congiunta.

E' comune l'impegno per la promozione della persona, mediante l'inserimento nei molteplici aspetti della vita sociale, la varietà delle opere e delle attività condotte dai religiosi e dalle religiose a favore dell'uomo, nella organica comunione ecclesiale e in fedeltà dinamica alla propria consacrazione, secondo il carisma del Fondatore, come è ricordato dalla istruzione "Religiosi e promozione umana", promulgata dalla Plenaria del menzionato Dicastero nell'aprile del 1978. "II compimento della missione dell'evangelizzazione - si legge in tale Documento - domanda alla Chiesa di scrutare i segni dei tempi, interpretati alla luce del Vangelo, rispondendo così ai perenni interrogativi dell'uomo. Di questa dimensione profetica i religiosi sono chiamati a rendere singolare testimonianza.

La continua conversione del cuore e la libertà spirituale, che i consigli del Signore stimolano e favoriscono, li rendono presenti ai loro contemporanei in modo tale da ricordare a tutti che l'edificazione della città terrena non può che essere fondata sul Signore e a lui diretta" (Introd.).

Comune è infine l'inserimento orante e fattivo nella Chiesa locale, dalla quale i religiosi e le religiose sono nati ed alla quale prestano unitariamente il proprio servizio, nella testimonianza e nell'annuncio del Vangelo, nella reciproca collaborazione, nel coordinamento della pastorale diocesana sotto la guida del Vescovo, il cui ministero rappresenta quello di Cristo capo della Chiesa, come è lucidamente descritto nel Documento "Criteri sui rapporti tra Vescovi e religiosi nella Chiesa", emanato nel maggio del 1978 dalla Sacra Congregazione per i Vescovi e dalla Sacra Congregazione per i religiosi e gli Istituti Secolari, in applicazione dei Documenti conciliari "Christus Dominus" e "Perfectae Caritatis".


3. Carissimi fratelli e sorelle! La vostra consacrazione religiosa è un segno spirituale e privilegiato per la Chiesa e per il mondo! Voi seguite Cristo che, vergine e povero, redense e santifico gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte in croce. La castità, la povertà, e l'obbedienza consacrate, vissute in piena letizia, sono testimonianze prefigurative della dimensione escatologica della Chiesa e del cristiano. La fede ci dona la certezza che la dedizione a Dio nelle varie forme di vita consacrata, pur tra difficoltà, delusioni e pericoli, non potrà non incidere nell'autentica promozione ed evoluzione culturale e sociale dell'umanità, come il grano di frumento gettato a marcire nel terreno (cfr. Jn 12,24) e come il pugno di lievito confuso nella massa di farina (cfr. Mt 13,33).

Ne danno piena dimostrazione i tre novelli Beati - Alain de Solminihac, Luigi Scrosoppi, Riccardo Pampuri - e le due novelle Beate - Claudine Thévenet e Maria Repetto--, che ho avuto la gioia di elevare in questi giorni agli onori degli altari.

Gesù Cristo dia continuamente a voi l'abbondanza della sua grazia, perché lo possiate seguire con generosa letizia, e metta altresì nel cuore di tanti e tante giovani il germe della vocazione religiosa e doni loro la forza di farla germogliare in una generosa risposta.

Affido questi voti alla materna intercessione della Vergine santissima.

A voi tutti la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-10-15
Giovedì 15 Ottobre 1981


Ai partecipanti alla plenaria della Sacra Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ruolo della famiglia nell'impegno di evangelizzazione

Venerati confratelli e figli carissimi!

1. Nel rivolgere il più cordiale benvenuto a voi che prendete parte, in questi giorni, alla X Assemblea Plenaria della Sacra Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, si presenta subito alla mia mente tutto un insieme di circostanze che rendono particolarmente gradito a voi ed a me l'odierno incontro. Si verifica davvero - per usare una parola del linguaggio liturgico - una "concorrenza" di date e di fatti che appaiono tanto opportuni quanto provvidenziali.

Siamo, innanzitutto, alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale, nel cui clima la vostra assemblea s'inscrive come un preannuncio ed uno stimolo, ad essa apportando - ne sono sicuro - un qualificato ed accurato contributo di aggiornamento alla luce del perenne e perennemente incalzante mandato di Cristo Signore: "Euntes in mundum universum, praedicate Evangelium" (Mc 16,15). Proprio ieri sera ha avuto solenne inaugurazione il nuovo anno accademico della Pontificia Università Urbaniana, la cui attività è pure ordinata all'adempimento di quel superiore mandato. Né dimentico come in essa, nel bell'Auditorium che io stesso ho avuto la gioia di inaugurare, si svolgono i lavori della vostra Assemblea.

Quanto al tema, del quale diro più avanti, esso appare in rapporto diretto con quello del più recente Sinodo dei Vescovi e, per tale ragione, costituisce una tempestiva e positiva e consolante risposta alle indicazioni del Magistero.

Ci sono, infine, due circostanze, direi, personali e per me molto significative: dopo la forzata interruzione oggi mi è dato di ritrovarmi con la vostra eletta schiera di Cardinali, di Vescovi, di Prelati, di religiosi che presso il Dicastero missionario rappresentate tutte le regioni del mondo. E l'udienza - come ha già ricordato il Signor Cardinale Prefetto - si svolge nel giorno che segna il terzo anniversario della mia elezione alla Cattedra di Pietro: circostanza questa, che è per me un ricordo ed un monito in ordine al peso formidabile che mi fu allora affidato e che grava, con le sue responsabilità, sulle mie deboli spalle.


2. Voglio, perciò, salutare distintamente ciascuno di voi, qui presenti. Dico voi, Signori Cardinali, che in questo triennio del mio servizio apostolico mi avete tante volte e tanto fraternamente dimostrato il vostro affetto, la vostra disponibilità alla collaborazione, la vostra fedeltà. E poi voi, Arcivescovi e Vescovi, che alle cure del gregge nelle rispettive diocesi o alle incombenze presso altri Organismi della Curia Romana, aggiungete il lavoro di membri o di consultori nella Congregazione "de Propaganda Fide". E voi, Direttori e Collaboratori delle Pontificie Opere Missionarie, di cui conosco lo zelo nel tener viva la fiamma e la passione per la diffusione del Vangelo, attivando uno scambio multiforme tra le aree di antica cristianizzazione e le aree propriamente missionarie. Saluto infine, i Superiori degli Istituti Missionari, come anche gli Officiali del Sacro Dicastero e tutti voi che al convegno di questi giorni avete dato il contributo della vostra intelligenza e della vostra operosità.

E ci tengo ad aggiungere che tale distinta rassegna vuol essere un segno di speciale gratitudine per l'opera evangelica ed ecclesiale, che voi svolgete non solo nel corso di questa assemblea, ma per il fatto stesso dell'appartenenza alla Sacra Congregazione, condividendo lo sforzo, che non potrà mai cessare, di portare Cristo alle genti. Grazie vivissime, amati fratelli e figli!


3. Vengo ora al tema, attinente al "ruolo della famiglia nel contesto missionario". Ho già accennato al suo collegamento con la trattazione sinodale dello scorso anno, e, dire che esso è molto importante, potrebbe apparire superfluo. Non mi addentrero nel merito dell'argomento, perché l'avete discusso nelle relazioni generali e nei "circuli minores".

Ciò che vorrei proporvi e semplicemente qualche considerazione in ordine alla notevole varietà che l'istituto familiare, con i suoi riti e tradizioni, presenta nel mondo missionario. Agli ambienti geo-culturali estremamente differenziati e tra loro lontani fa riscontro una tipologia complessa e quanto mai eterogenea della società familiare. Ora noi, come cristiani, come responsabili dell'evangelizzazione, siamo portatori ed assertori di un "nostro" tipo di famiglia, che è e si chiama la "Famiglia Cristiana". Ecco il canone di riferimento, ecco il modello da ricopiare! Si tratta forse solo di un ideale, cioè di qualcosa di astratto che, per quanto bello e suggestivo, non può essere tradotto nel costume? No certamente, ed è proprio per questo, per l'urgenza di metterlo in pratica, che sorgono delicati problemi di ordine teologico e pastorale.

Si avverte subito il nodo delle difficoltà: da una parte bisogna studiare la famiglia così come Gesù Cristo l'ha voluta, bisogna guardare al suo fondamento ch'è il matrimonio uno e indissolubile, nonché alle irrinunciabili prerogative della fedeltà e della fecondità dell'amore; dall'altra, occorre tenere ben presente la forma concreta della famiglia, quale esiste in un preciso ambiente umano e in un determinato territorio di missione. Il problema, in un certo senso, e quello dell'acculturazione, come inserimento in un settore particolare, ma pure importante e vitale, del fermento evangelico.

A volte il confronto tra ideale e realtà potrà portare ad una facile composizione, quando gli elementi etnici ed etici della cultura nativa siano componibili con i trascendenti valori cristiani; altre volte il confronto metterà allo scoperto una oggettiva contrapposizione, dove permangono tradizioni chiaramente pagane, oppure siano praticate la poligamia, il ripudio del coniuge, l'uccisione della vita nascente. Altre volte, infine, il rapporto intravisto come possibile tra i gravi postulati dell'etica matrimoniale e familiare cristiana e gli elementi della cultura locale richiederà attento discernimento e costante prudenza. In questo terzo caso, forse più frequente degli altri, il lavoro pastorale, demandato ai Vescovi ed ai missionari, si farà ancora più delicato e più arduo: esso dovrà essere un'arte di illuminata sapienza, che come non dimentica né sacrifica alcuna delle esigenze anche severe della dottrina e della fede di Cristo, così non calpesta ne disperde le tipiche e più genuine ricchezze di una popolazione.

Dicevo che si ha qui un'applicazione del concetto di acculturazione: il cristianesimo - ben lo sappiamo, perché lo ha ripetuto autorevolmente il Concilio Vaticano II (cfr. GS 42 GS 58 AGD 22) - non distrugge quanto di vero, di giusto e di nobile una società ha saputo costruire nel suo iter storico secondo le peculiari risorse, delle quali l'ha dotata il Creatore; ma su quel fondamento esso impianta i superiori valori che il suo Fondatore gli ha consegnato. Alla famiglia e al matrimonio, nella varietà dei positivi elementi "naturali" che contraddistinguono sia l'una che l'altro presso ciascun popolo, il cristianesimo annuncia ed offre il dono della avvenuta elevazione al piano soprannaturale e sacramentale. Giammai, dunque, il missionario cesserà di insegnare che il matrimonio è evento di grazia e che la famiglia, già nella dimensione coniugale e poi in quella parentale, e ripresentazione "in miniatura" della Chiesa e dell'arcano rapporto che la Chiesa stessa ha col Cristo.


4. So che nelle discussioni della vostra assemblea è stato dato non poco spazio alla famiglia come oggetto e come soggetto di evangelizzazione. Sono manifestamente aspetti complementari, che stanno ad indicare il duplice ritmo e, quasi, il respiro di una famiglia religiosamente viva: a lei arriva il Vangelo e da lei parte il Vangelo. Ricevere e dare; ricevere per dare! Oh come risuonano significative le parole dell'evangelista Giovanni a conclusione della guarigione miracolosa del figlio del funzionario regio di Cafarnao. Costui aveva implorato l'aiuto di Gesù e già aveva creduto, quando gli era stato detto di andare, perché il suo figlio viveva (Jn 4,50); ma, allorché del miracolo ebbe la definitiva conferma per bocca dei suoi servitori, allora "egli credette con tutta la sua famiglia" (Jn 4,53). Si, la famiglia che ha ricevuto la fede, la famiglia veramente cristiana è come proiettata a recare agli altri ed alle altre famiglie la fede che per grazia di Dio possiede. La famiglia cristiana è disponibile alla evangelizzazione, e di per sé missionaria.

Io penso, cari fratelli e figli, all'apporto che le famiglie cristiane, ben formate ed esemplari per costume morale, possono dare all'annuncio del Vangelo. Allora educhiamole bene; offriamo loro gli indispensabili sussidi per difenderle dalle insidie e dai pericoli, a cui nell'età moderna vanno incontro un po' dappertutto; rafforziamole e confermiamole nella preziosa testimonianza "pro Christo et Ecclesia", che esse rendono di fronte alla società circostante. Anche laddove le famiglie cristiane non sono che una minoranza esigua nel mezzo di un ambiente a maggioranza non cristiana, indispensabile e validissima resta la testimonianza che esse danno alle altre famiglie. Se saranno compenetrate in profondo dall'annuncio del Vangelo, avranno l'efficacia stessa di quel lievito che, nascosto in tre staia di farina, fa fermentare tutta la massa (cfr. Mt 13,33 Lc 13,20-21).


5. Consentitemi ora un ricordo. Due anni or sono, nel corso dell'udienza al vostro Cardinale, gli espressi il desiderio di partecipare ad una delle sedute della futura assemblea plenaria. Sed res aliter evenit! Se non ho partecipato di persona ai vostri lavori, ho avuto pero la soddisfazione di ricevervi stamane. Alla gioia dell'incontro corrisponde l'apprezzamento per quanto state studiando. Voi lavorate per la famiglia, cioè collaborate a scoprire, con sempre maggiore precisione, quale sia stato per l'uomo e la donna il genuino piano di Dio, e - quel che più conta - siete impegnati a incarnarlo nelle diverse società, alle quali portate Cristo ed il suo Vangelo.

Vi assista in questo lavoro Colei che, Sposa e Madre incomparabile nel focolare di Nazareth, esercita già un altissimo ruolo nella prima famiglia di Cristo; ma poi, in forza della suprema consegna ricevuta sul Calvario: Ecce Filius tuus (Jn 19,26), estende tale suo ruolo alla famiglia immensamente allargata dei fratelli di Cristo. In questo mese missionario e mariano e giusto che nel suo nome sia conclusa l'importante vostra assemblea, e che a Lei, Regina degli Apostoli, tutti noi ora ci rivolgiamo a conforto del rinnovato proposito di portare alle famiglie e alle genti il Vangelo della salvezza.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-10-16
Venerdi 16 Ottobre 1981


Al Patriarca della Chiesa ortodossa etiopica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Reciproca e desinteressata collaborazione per rinsaldare la comunione esistente

Vostra Santità, E' con cuore colmo di gioia che indirizzo un caloroso benvenuto a voi, reverendo fratello, e a coloro che vi accompagnano oggi.

Il piacere di ricevervi qui a Castel Gandolfo mi spinge a esprimere tutta la mia gratitudine per le espressioni di simpatia che mi avete inviato in occasione del triste evento che è occorso l'estate scorsa.

La stretta solidarietà di tanti fratelli - essa stessa espressione di fraternità cristiana - insieme alle preghiere che essi hanno innalzato a Dio, hanno garantito una esperienza della comunione di vita che si genera dal nostro Battesimo e dalla nostra fede nell'unico nostro Signore Gesù Cristo. Sono perciò onorato e grato della vostra visita.

Ma la mia gioia è tanto più grande quando penso che questo nostro incontro è parte di un movimento spirituale molto più ampio, di quell'anelito comune tra tutti i cristiani a crescere insieme verso una piena unità.

Una mancanza di conoscenza delle lingue gli uni degli altri, circostanze storiche molto diverse, differenze di mentalità e di cultura - per queste ed altre ragioni le nostre Chiese, secolo dopo secolo, si sono via via separate. Questo a sua volta ha portato un ulteriore oscurarsi della nostra reciproca comprensione.

Chiamando i cattolici a giocare una parte attiva nella ricerca della piena unità, il Concilio Vaticano II ha sottolineato la necessità di delineare una precisa visione delle altre confessioni cristiane quale necessario presupposto per una piena unità. Ecco perché il Decreto sull'Ecumenismo ha posto un'enfasi particolare sulla realtà sacramentale attraverso la quale le nostre Chiese continuano ad essere strettamente unite, soprattutto in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia; esso ha dichiarato esplicitamente che "con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce" (UR 15).

L'eredità tramandata dagli Apostoli è stata vissuta dalle nostre Chiese secondo forme e modalità diverse, ed ha avuto uno sviluppo differente secondo il carattere e le situazioni di vita proprie di ognuna (cfr. Jn 14). Questo ha portato a differenti espressioni liturgiche, disciplinari e teologiche; in se stesse, finché questa varietà è complementare invece che contraddittoria, queste differenti espressioni sono un arricchimento per la vita e la missione della Chiesa tra le nazioni (cfr. ibidem, UR 14-17). Perciò l'unità di fede è arricchita dal particolare contributo culturale e spirituale di ogni popolo e di ogni Chiesa locale.

I contatti che abbiamo ristabilito ci danno ora la possibilità di riscoprire la profonda e vera realtà di questa esistente unità. Anche le reali divergenze tra di noi sono viste ora più chiaramente man mano che le liberiamo dai tanti elementi secondari che derivano da ambiguità di linguaggio.

Questo processo richiede - e ciò e indispensabile - che incrementiamo i nostri contatti diretti e sviluppiamo la nostra reciproca conoscenza. Le conversazioni teologiche e il dialogo renderanno un contributo essenziale alla chiarificazione ed alla definitiva risoluzione delle questioni aperte, con uno sguardo rivolto alla piena riconciliazione. La Chiesa cattolica è pronta ad iniziare tali contatti diretti per la ricerca della piena unità e a fare tutto ciò che le è possibile, in armonia con le altre Chiese, per proseguire in questa ricerca che corrisponde, senza dubbio, a ciò che Dio vuole per la sua Chiesa.

Nel processo verso la piena unità e necessario favorire contatti di vita tra le varie comunità, e farlo a diversi livelli così da coinvolgere tutti coloro che compongono la vita della Chiesa nei suoi molteplici aspetti. In verità una mutua collaborazione disinteressata e cordiale sostenuta dalla comune preghiera può contribuire non solo a cancellare amare memorie del passato, ma anche al consolidamento delle nostre relazioni presenti e alla crescita verso una piena unità. A questo proposito vorrei assicurarvi del desiderio della Chiesa cattolica di Etiopia di pregare e di lavorare, in uno spirito di amore fraterno, per raggiungere quel traguardo e, nello stesso tempo, di fare esperienza, quale dono dello Spirito Santo, di alcuni dei benefici della unita cristiana.

Oggi l'unità dei cristiani è più urgente che mai, sia per la vita interna della Chiesa che per la sua opera di evangelizzazione del mondo moderno.

Tra i cambiamenti attuali di cui l'umanità sta facendo esperienza, la testimonianza unita e comune di tutti i cristiani può essere lo strumento di una più efficace proclamazione del Vangelo ed anche un attivo contributo alla riconciliazione tra i popoli e alla pace del mondo.

Vostra Santità, mentre esprimo i pensieri che mi vengono spontanei in occasione della vostra gradita visita a Roma, desidero assicurarvi dei miei sentimenti di fraternità e di solidarietà con tutta la Chiesa di Etiopia alla quale presiedete ed affermare che la Chiesa cattolica è pronta a stabilire sempre più stretti contatti e a impegnarsi a quel più profondo dialogo che, favorito e sostenuto dalla preghiera, contribuirà a costruire l'unità voluta dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Per vostro tramite saluto tutto il popolo di Etiopia e offro i miei migliori auguri per una società pacifica e costruttiva e per una fruttuosa prosperità.

Data: 1981-10-17
Sabato 17 Ottobre 1981


GPII 1981 Insegnamenti - In occasione dell'anno teresiano