GPII 1981 Insegnamenti - All'Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi - Città del Vaticano (Roma)

All'Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preparate i vostri discepoli a vivere il rapporto fede-cultura

Fratelli e sorelle carissimi!

1. Desidero anzitutto rivolgere il mio sincero ed affettuoso saluto a tutti voi, che partecipate in questi giorni al quindicesimo Congresso nazionale dell'"Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi". Al mio saluto si unisce anche un profondo e doveroso apprezzamento per le non poche benemerenze, che la vostra Associazione si è conquistata nei suoi 36 anni di vita. Non possiamo non ricordare, in questo giorno di vicendevole letizia, il fondatore dell'Unione, il compianto professore Gesualdo Nosengo, il quale nel giugno 1944, in un periodo drammatico per la storia d'Italia, con una profonda sensibilità civile e cristiana penso di unire gli insegnanti medi cattolici per aiutarsi vicendevolmente per una autentica formazione spirituale e professionale, e per rendere più incisiva, più efficace, più organica la loro testimonianza cristiana nelle scuole statali e non statali.

Sorgeva così la vostra Associazione, che in questi 36 anni di vita ha avuto una straordinaria diffusione - dalle Sezioni ai Consigli Provinciali e Regionali - e partecipa altresì alle varie iniziative della vita ecclesiale italiana.

Nel darvi, pertanto, il mio sincero benvenuto, sento anche il bisogno di esprimervi la profonda gratitudine mia personale e di tutta la Chiesa, che è in Italia, e vi esorto e vi incoraggio a procedere, con rinnovato impegno e fervore, nella realizzazione delle nobili finalità, che sono alla base della vostra azione.


2. So che nel vostro quindicesimo Congresso nazionale, dedicato al tema "Costituzione e Scuola", voi state approfondendo lo studio dei valori fondamentali della Costituzione Italiana, nella quale sono stati ampiamente profusi tanti valori cristiani, di cui la Nazione Italiana può legittimamente andar fiera.

Sul fondamento della vostra ricca esperienza di questi anni di attività, ed alla luce della dottrina cristiana circa il valore, la funzione e i compiti della scuola nella società, voi avete sempre ribadito il diritto di ogni persona a ricevere istruzione ed educazione; il diritto-dovere dei genitori ad educare e ad istruire i loro figli e, di conseguenza, a scegliere liberamente la scuola più idonea per essi ed a partecipare alla sua gestione. E mi piace ricordarvi su questo delicato ed attuale tema quanto disse ai vostri colleghi il mio grande predecessore Paolo VI: "Come insegnanti cattolici, in una prospettiva di rinnovamento delle strutture scolastiche, voi non potete non tener conto del necessario rapporto tra la scuola e la famiglia per una continuità educativa. La famiglia, avendo come fine la procreazione e l'educazione dei figli, possiede perciò stesso una priorità di natura, e per conseguenza una priorità di diritto-dovere in campo educativo nei confronti della società. Essa non deve e non può rinunciare a questo diritto. E' necessario perciò che, accanto ai docenti ed agli alunni, anche le famiglie siano presenti nella scuola e responsabili dell'orientamento educativo della comunità scolastica (Paolo VI "Insegnamenti di Paolo VI", VII (1969) 78).

Voi avete poi ribadito il diritto-dovere di ogni cittadino ad essere rispettato nell'esercizio delle sue libertà fondamentali: di religione, di pensiero, di stampa, di associazione, di insegnamento; e tutto questo sulla scia della grande tradizione del Magistero Ecclesiastico, specialmente quello più recente contenuto nella "Mater et Magistra" e nella" Pacem in Terris" di Giovanni Vigesimoterzo, nell'"Octogesima Adveniens" di Paolo VI, e nei documenti del Concilio Vaticano II, in particolare nelle dichiarazioni "Gravissimum Educationis" e "Dignitatis Humanae" e nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes": documenti tutti, che occorre sempre tener presenti e studiare con particolare attenzione.


3. Alla base di questa vostra impegnata azione c'è una concezione, alla quale il Concilio Vaticano II ha offerto il peso e la forza della sua autorità, in modo speciale nella dichiarazione sull'educazione cristiana.

La Chiesa, la quale in campo scolastico ha una esperienza plurisecolare, afferma che tra gli strumenti educativi una importanza particolare riveste la scuola, che da una parte contribuisce a far maturare le facoltà intellettuali, e dall'altra sviluppa la capacità di giudizio, mette l'alunno a contatto del patrimonio culturale delle passate e delle presenti generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera un rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizioni diverse. La scuola e quindi, secondo il dettato conciliare, come un "centro", alla cui attività ed al cui progresso devono insieme contribuire e partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazione a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana (cfr. GE 5).

E voi, carissimi docenti, in quel centro privilegiato quale è la scuola, avete un compito estremamente grave e delicato, una "meravigliosa vocazione", come la definisce il Concilio (GE 5): quella di comunicare anzitutto agli alunni, che con voi sono i veri protagonisti della scuola, quel complesso di conoscenze, che voi avete acquisito in tanti anni di studio e di riflessione. Ma tale "cultura" non può ridursi semplicemente ad un arido elenco di nozioni, ma deve divenire una forma di conoscenza, una capacità di giudicare la realtà e la storia, una "sapienza" cioè capace di mettere il docente e il discepolo nella possibilità di formare "giudizi di valore" sugli avvenimenti - religiosi, storici, sociali, economici, artistici - del passato e del presente. In questo complesso e globale giudizio di valore il docente, che è anche credente, non può "metter tra parentesi" la sua fede, come se fosse un elemento inutile o addirittura alienante, nel rapporto delicato e privilegiato con i suoi discepoli, ma, nel massimo rispetto della loro libertà e della loro personalità, deve diventare autentico "educatore", formatore di caratteri, di coscienze e di anime, in una continua testimonianza di limpida coerenza fra la sua fede e la sua vita professionale, tra "homo sapiens" ed "homo religiosus". Della vostra cultura voi dovete poter dire quello che della sapienza affermava il saggio dell'Antico Testamento: "Sine fictione didici et sine invidia communico" (Sg 7,13).

Ciò comporterà una seria, specifica competenza nelle discipline che insegnate, ed altresì un costante e generoso impegno di specchiata vita cristiana, nel sereno coraggio di manifestare, mostrare e dimostrare le vostre convinzioni, specie in campo religioso, vivendo in coerente sintonia il messaggio evangelico, animatore della vostra professione, o meglio della vostra missione di insegnanti.


4. La vostra tipica funzione di docenti vi pone, come abbiamo accennato, in una delicata e privilegiata posizione nei confronti del problema, oggi attuale, dei rapporti tra Fede e Cultura, sul quale i Padri del Concilio Vaticano II hanno elaborato alcune pagine, tra le più acute e felici, della costituzione pastorale "Gaudium et Spes"(cfr. GS 53-62).

L'uomo contemporaneo si sente responsabile del progresso della cultura; sente con ansietà le molteplici antinomie che egli deve risolvere. E i cristiani hanno il dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano; la cultura deve essere sviluppata in modo da perfezionare la persona umana nella sua integralità, ed aiutare gli uomini nell'esplicazione di quei compiti, al cui adempimento tutti, ma specialmente i cristiani, sono chiamati.

Siete voi, docenti cattolici, che in modo particolare dovete alimentare e preparare adeguatamente nei vostri discepoli, con il vostro insegnamento e il vostro esempio, quell'humus, quel clima, quell'atteggiamento interiore in cui la fede possa fiorire e svilupparsi nella sua integralità. Mediante la vostra preparazione culturale sappiate mostrare ai giovani come non si possa dissociare il problema della formazione religiosa da quello della formazione culturale ed umana; come tra il messaggio cristiano della salvezza e la cultura esistano molteplici, fecondo rapporti; come la Chiesa, vivendo nel corso dei secoli in condizioni diverse, si sia servita delle differenti culture frutto del genio dei vari popoli, per diffondere e spiegare il messaggio cristiano, per approfondirlo, per esprimerlo nella vita liturgica e nella multiforme storia delle varie comunità di fedeli; come il Vangelo di Cristo rinnovi continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatta e rimuova gli errori e i mali, purifichi ed elevi la moralità dei popoli (cfr. GS 58).

Sappiate cioè educare e formare i giovani contemporanei alla intelligenza ed alla ragione, quella intelligenza e quella ragione - aperte ai valori della trascendenza - che la Chiesa, contro ogni risorgente forma di agnosticismo e di fideismo, ha sempre difeso e sostenuto con una grande fiducia nell'uomo, nell'uomo completo, cioè nella pienezza delle sue dimensioni, in cui convergono e si fondono scienza e creatività, analisi e fantasia, tecnica e contemplazione, educazione morale e preparazione professionale, impegno sociale e politico ed apertura religiosa; è questo l'uomo, che voi dovete formare, educare e preparare nella scuola, la quale deve essere concepita e realizzata non soltanto come un semplice strumento per la formazione dei dirigenti, dei tecnici, dei lavoratori che rispondano alle esigenze produttive della società di domani, ma bensì come "centro" privilegiato, vivo e vitale, in cui il giovane sia formato a quell'"umanismo plenario", di cui tante volte ha parlato Paolo VI.

Tali mete educative, carissimi fratelli e sorelle, sono veramente esaltanti. E voi, insieme con i vostri alunni, potrete e dovrete essere i protagonisti di questo continuo rinnovamento della scuola. La Chiesa, insieme con i genitori pensosi della formazione integrale dei loro figli, vi affida questo impegno: un impegno esigente, perché occorrerà possedere una preparazione culturale profonda ed ampia ed una fede cristiana forte e serena. Vivendo e realizzando questo impegno, alcuni vostri colleghi docenti hanno raggiunto le vette della santità ed hanno lasciato esempi luminosi: il beato Contardo Ferrini, il beato Giuseppe Moscati, il servo di Dio Federico Ozanam, in tempi non lontani da noi e non certo meno perigliosi e difficili per la Chiesa e per la società civile, riuscirono a vivere in feconda sintesi la fede e la cultura, e seppero infondere nei loro discepoli il senso religioso della vita e della storia dell'uomo.

Il loro esempio vi illumini e vi guidi! La mia benedizione apostolica vi accompagni ora e sempre!

Data: 1981-03-16
Lunedì 16 Marzo 1981


Ai giovani, nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solitudine e silenzio alimenti della vita spirituale

Carissimi giovani,




Discorso all'arrivo a Terni

Titolo: Concordia e pace: condizioni del bene comune

Signor Ministro, Signor Sindaco,

1. Sono particolarmente lieto di trovarmi oggi, solennità di san Giuseppe, il quale - come è noto - è Patrono della ChiT4 6universale e protettore dei lavoratori, in questa opero4 6Città di Terni, che, vegliata dalla mole antica della Cattedrale, e caratterizzata dalle enormi strutture delle acciaierie, si distingue, oltre che per le profonde tradizioni cristiane, per la sua pulsante attività industriale, sociale ed economica.

Mi ha fatto veramente piacere ammirare dall'elicottero, venendo qui questa mattina, lo scenario vasto ed attraente di questa regione umbra ricca di verde e di acque; ma non dimentico che es4 6è ricca anche e soprattutto di numero4i e grandi santi e nota per la schiTtta spontaneità dei suoi abitanti, temprati nel carattere dalle consuetudini del duro lavoro e insieme distinti da sentimenti fieri, gentili e genero4i.

Ringrazio vivamente il Signor Ministro e il Signor Sindaco per le corte4i parole, con le quali ora, facendo4i interpreti dei comuni sentimenti dell'intera cittadinanza e di quanti sono venuti dai pae4i limitrofi, hanno voluto accogliermi tra questa popolazione veramente ammirevole per la deci4 6volontà e per la forza d'animo, con le quali ha saputo risorgere e risollevarsi dalle di4 strose rovine causate dai ripetuti bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Esprimo parimenti sincera gratitudine a tutte le Autorità per aver voluto con la loro presenza conferire una nota solenne a questo incontro. Un pensiero speciale rivolgo ai nostri cari fratelli e sorelle di C stelnuovo di Conza, così duramente provati dal terremoto dello scorso novembre e oggi qui rappresentati da un gruppo di lavoratori, per iniziativa di questa ospitale e solidale città. Non posso poi tralasciare di manifestare il mio apprezzamento verso tutti coloro che hanno prestato la loro opera per la preparazione di questa visita, in una collaborazione tanto spontanea e volontero4 6che è segno distintivo di concordia e di pace: valori questi da sempre stimati come indispensabili dalle persone veramente pensose del vero bene comune e del vero progresso, perché, come già affermava un illustre figlio di questa terra, lo storico Cornelio Tacito: "Nelle discordie è grande la forza del malvagio, mentre la pace e la tranquillità richiTdono la virtù" (Tacito, "Storie", IV, 1).


2. Auspico perciò che questa cooperazione faccia maturare nuovi frutti di bene spirituale e sociale, ed assicuri alla popolazione maggiore prosperità: in tal modo la Chiesa potrà sempre più espandersi in molteplici iniziative non solo di culto e di apostolato, ma anche di opere di carità benefica e di umana solidarietà; e, in pari tempo, la città svilupperà sempre più l'impegno, che le è proprio, nel campo del retto ordinamento civile, sociale ed economico, promuovendo, in particolare, la dignità dell'uomo e la sicurezza del suo lavoro, oggi più che mai neces4 rie per la delicata e critica situazione in cui sono venuti a trovarsi i settori portanti dei principali comples4i industriali metallurgici, metalmeccanici e chimici, e per le gravi conseguenze che ne derivano a quanti cercano un posto di lavoro, soprattutto ai giovani che aspirano ad un primo impiego. La feconda congiunzione tra gli impegni umani e quelli cristiani, lungi dall'opporsi, apporta incalcolabili vantaggi al bene dei singoli e della comunità.


3. Scopo precipuo di questa visita, che 4i svolge nel giorno di san Giuseppe e nel quadro del novante4imo annivers rio dell'enciclica "Rerum Novarum", nella quale il mio predecessore Papa Leone XIII affronto con chiarezza e lungimiranza la questione operaia, è di portare una parola di incoraggiamento a tutti i lavoratori. Fra poco visitero nei rispettivi posti di lavoro gli operai delle acciaierie ed esprimero loro la mia solidarietà, la mia amicizia e il mio affetto, avendo personalmente condiviso per alcuni anni la loro dura condizione di vita.

De4idero anche ascoltare la loro voce, che mi è particolarmente cara, e il mio pensiero andrà a tutti gli operai del mondo, in particolare a coloro che lavorano in condizioni non sicure o non sono adeguatamente retribuiti, nella comune convinzione che la soluzione di tanti loro problemi dipende dalla comprensione e dalla solidarietà di tutti gli uomini di tutti i Pae4i. De4idero oggi rendere ai lavoratori, che trovano nell'artigiano di Nazareth un modello esemplare di impegno generoso, di lealtà a tutta prova e di responsabilità profes4ionale, e dare espres4ione alla difesa delle loro legittime aspirazioni, tra cui la giusta partecipazione al progresso economico e civile in un equa distribuzione dei benefici derivanti dal comune lavoro e nell'armonica inte4a, che deve regnare tra i figli di una stes4 comunità.

Che il risveglio di questa coscienza infonda nuova energia alla faticosa attività umana e la Provvidenza non faccia mancare il pane a chi col lavoro l'ha ben meritato! Con questi sentimenti invoco su tutti la continua protezione di Dio Onnipotente e dei vostri celesti Patroni, mentre in auspicio di ogni prosperità materiale e spirituale, imparto di cuore la mia benedizione.

Data: 1981-03-19
Giovedì 19 Marzo 1981


Ai lavoratori di Terni

Titolo: Vi sono vicino, vi capisco con piena coscienza vi rendo onore

Carissimi fratelli e sorelle,

1. Rivolgo il mio saluto più caloroso e più affettuoso a tutti: operai, impiegati e dirigenti delle Acciaierie di Terni e delegati delle Aziende della Provincia di Terni e dell'Umbria intera. Nello stesso tempo, esprimo la mia cordiale riconoscenza per l'invito, che mi è stato cortesemente rivolto e che ha reso possibile questo incontro. Sono vivamente grato a tutto questo ambiente di lavoro, di cui sono ospite e col quale mi è dato di stabilire un aperto colloquio.

Ho ascoltato attentamente le nobili e sentite parole che mi sono state rivolte e ringrazio di cuore il Presidente del'Iri, avvocato Pietro Sette, e i due operai: il rappresentante del Consiglio di Fabbrica e l'esponente dei Sindacati.

Nei loro indirizzi ho sentito vibrare le ansie e le aspirazioni di tutti voi ed ho visto ricordato il momento particolarmente difficile di crisi industriale attraversato da questa regione, ma anche la grande tradizione operaia, che caratterizza questa città e questa zona.

Condivido apertamente gli accenni fatti, tanto al triste fenomeno della disoccupazione quanto alla pesantezza del lavoro di fabbrica, così come la necessità di ribadire che quando l'uomo aliena l'uomo senza farlo crescere è un lavoro contro l'uomo, il quale ne viene reso schiavo. Concordo pure nel dire che non è più accettabile che, mentre milioni di creature muoiono di fame, si riempiano gli arsenali militari di terribili armamenti nucleari, portatori di distruzione e di morte, e che l'egoismo di un terzo della popolazione mondiale sperperi i due terzi delle risorse disponibili.

In speciale modo, ho molto apprezzato, cari lavoratori, nelle parole dei vostri portavoce, la forte e indomita volontà di continuare, con determinazione e con saggezza, a difendere il vostro lavoro e la sua dignità. Inoltre, accetto senz'altro la richiesta fattami di continuare ad impegnarmi "con il cuore di lavoratore, per la dignità dell'uomo e di tutti gli uomini, per la giustizia e la moralità come condizioni essenziali per la pace in tutte le nazioni". Anzi, posso dirvi di essere venuto qui anche per offrirvi di persona questa assicurazione: l'assicurazione, cioè, che il Papa è con voi, dalla vostra parte, ogni volta che si tratti di difendere la giustizia violata, di scongiurare le minacce portate alla pace, di promuovere i diritti onesti di ciascuno ed il bene comune di tutti.

In concreto, conosco i principali aspetti del difficile momento, che caratterizza la situazione del mondo del lavoro nelle diocesi di Terni, Narni e Amelia. I licenziamenti, la cassa integrazione, la cessazione del turn-over sono fatti che, pur non dipendendo da cattiva volontà, rappresentano oggettivamente una minaccia per molte famiglie e richiedono un'attenta disamina sia delle loro cause reali che delle loro soluzioni possibili. Ebbene, con la mia odierna presenza voglio dirvi che vi sono vicino, che capisco le vostre preoccupazioni, che sono partecipe dei vostri problemi e portatore di un contributo di conforto e di speranza.


2. Prima di incontrarvi qui tutti insieme, ho potuto visitare almeno qualche settore di questa grande Fabbrica, che è il luogo del vostro lavoro. Sono insieme contento e onorato di aver potuto conoscere da vicino il banco della vostra quotidiana fatica; di essermi incontrato a tu per tu con voi che senza sosta spendete il tempo migliore delle vostre giornate, anzi della vostra vita, a questo banco di lavoro; e di aver potuto così rendermi conto dal vivo di quanto sia gravosa la vostra occupazione, ma anche di quanto essa sia produttiva e perciò quanto meriti di essere apprezzata, sostenuta e salvaguardata.

Mi rendo conto che la mia visita ha avuto per oggetto solo una parte di un insieme industriale molto più vasto. E so che esso occupa in Italia un posto di non piccolo rilievo, con le sue specifiche produzioni di laminati a freddo, di rotori per turbine, di macchinario per l'industria petrolifera, chimica, cementiera, meccanica e di carpenteria, e inoltre di parti varie per reattori nucleari, di getti, condotte forzate, recipienti a pressione e barre. Si tratta certamente di un lavoro pesante ma importante, che ha bisogno di una particolare responsabilità. Nello stesso tempo, esso è assai interessante e altamente utile.

Infatti, soddisfa determinate necessità tipiche della progredita tecnica moderna in tutte le sue componenti e specializzazioni; e questa è a sua volta finalizzata al maggior bene dell'umanità. In tal modo, perciò, il vostro lavoro serve a tutti gli uomini, facilita la loro vita, eleva il livello di civiltà.

Ebbene, vi ho visti alle prese con questa fatica; ho costatato quale sia l'origine di molti strumenti, che servono al benessere dell'uomo, ma dei quali egli non sempre conosce il duro prezzo. Vi ho visti, ed è cresciuta la mia stima e il mio affetto per voi. Per questo, con piena coscienza, vi rendo onore! D'altronde, il vostro banco di lavoro, cari lavoratori di Terni e dell'Umbria, è simile a quello di tanti altri uomini, che in diverse parti del mondo contribuiscono giorno per giorno al bene comune di tutta la società. E questa semplice costatazione circa l'universale e inscindibile rapporto intercorrente tra l'uomo ed il suo banco di lavoro ci porta a vedere in questi due poli, e soprattutto nella loro mutua combinazione, un'esaltante possibilità creativa. L'uomo, infatti, trae dalla propria intelligenza e dalla materia che gli è soggetta, pur con la mediazione della fatica e del sudore della sua fronte, nuovi e insospettati prodotti, piccoli o giganteschi, che sono la sua dignità individuale e sociale. E' al suo banco di lavoro che l'uomo offre la misura delle proprie capacità e che, in definitiva, da un contenuto e persino un senso alla propria vita.


3. Mentre visitavo il vostro stabilimento, così moderno e meccanizzato, mi si delineava davanti agli occhi dell'anima un altro banco di lavoro, molto modesto, artigianale, collegato direttamente con la vita familiare della casa. E' il banco di lavoro di Nazareth, al quale si presentava ogni giorno san Giuseppe. Oggi, come sapete, è la sua festa. Ma soprattutto cresceva al suo fianco, man mano che trascorrevano gli anni, lo stesso Gesù Cristo, che lo aiutava nel medesimo lavoro.

Ed i suoi compaesani parlavano di lui come del "figlio del carpentiere", come leggiamo nel Vangelo secondo Matteo (Mt 13,55).

Ebbene, cari fratelli, vi sono molto grato perché mi avete invitato a Terni, al vostro banco di lavoro, proprio in questo giorno, in cui la Chiesa festeggia Giuseppe di Nazareth. Il vostro Vescovo, già parecchi mesi fa, mi aveva proposto di visitare una volta Terni. E, dato che conosco bene Monsignor Quadri sin dai tempi del concilio, non ho potuto respingere la sua domanda. Sono lieto che il 19 marzo sia stato scelto per questa visita e che essa possa svolgersi sul luogo stesso del vostro lavoro. Penso che essa ci permetta di venerare e di capire più pienamente san Giuseppe. Nello stesso tempo, ci è possibile rileggere insieme ed in profondità questo Vangelo del lavoro, che proprio oggi sembra essere particolarmente espressivo. Esso parla, con tutta la profondità della rivelazione biblica, della Parola di Dio. E nello stesso tempo esso si iscrive con grande semplicità nella vita umana; nella vita di Cristo, di Giuseppe, di Maria; nella vita di tutti gli uomini dediti al lavoro.


4. Il Vangelo del lavoro è stato scritto soprattutto dal fatto che il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, diventando uomo ha lavorato con le proprie mani. Anzi, il suo lavoro, che è stato un vero lavoro fisico, ha occupato la maggior parte della sua vita su questa terra, ed è così entrato nell'opera della redenzione dell'uomo e del mondo, da lui compiuta con la sua stessa vita terrena.

Ho visto pertanto con vivo piacere all'ingresso la statua di Gesù Divin Lavoratore: egli sta bene in mezzo a voi, perché Gesù Cristo conosce per esperienza che cosa sia il lavoro. Il lavoro, del resto, ha il suo inizio in Dio stesso. Se apriamo la Bibbia, troviamo subito al principio del Libro della Genesi la descrizione della creazione del mondo. Ebbene, pur trattandosi di una descrizione figurativa e immaginosa, l'opera della creazione viene presentata secondo lo schema di una settimana lavorativa: Dio-Elohim compie il suo lavoro nel corso di sei giorni, per "riposare" poi il settimo. In questo modo, viene fornita all'uomo l'indicazione di collegare il lavoro con il riposo. Infatti, tra il lavoro ed il riposo c'è un vicendevole condizionamento. Questo principio, che occupa oggi uno dei posti principali negli attuali codici del lavoro, nella politica e soprattutto nell'etica del lavoro, e già iscritto dalla Sacra Scrittura agli inizi stessi dell'esistenza del mondo.

Il racconto biblico della creazione - un'attività che soltanto Dio può compiere e che è presentata a somiglianza del lavoro umano - ha una sua profonda motivazione. Esso non è soltanto un mezzo letterario di espressione, ma è impresso in tutta la logica della Parola di Dio. Infatti, nello stesso Libro, leggiamo che l'uomo, posto nel mondo visibile a coronamento dell'opera della creazione, è stato creato a immagine di Dio: "Dio creo l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creo; maschio e femmina li creo" (Gn 1,27). Per questo, in tutto il mondo visibile è soltanto l'uomo che "lavora". Soltanto la sua attività può essere chiamata "lavoro" nel pieno senso della parola. Invece, non è "lavoro" l'attività degli esseri inferiori all'uomo, gli "animali" anche se essa a volte viene così chiamata. Il fatto e che per "lavorare" non bastano la potenzialità e le forze fisiche, che sono proprie anche di questi esseri; e se l'uomo vuole utilizzare nel suo lavoro queste forze specifiche degli animali, deve "addomesticarli". La stessa cosa vale per le altre forze nascoste della natura. L'uomo deve "adattarle", in un certo senso elevarle al proprio livello. Ma per "lavorare" è necessario l'uomo.

Per poter "lavorare" bisogna essere "immagine e somiglianza" di Dio (Gn 1,26).

Il lavoro, perciò, non è affatto un'occupazione servile, come riteneva il mondo antico e meno antico, che lo riservava agli schiavi, ma è proprio degli uomini liberi, anzi è un'espressione di libertà creativa, in cui l'uomo offre la misura della propria capacità di collaborare alla creazione stessa.


5. Già questa breve riflessione ci parla della dignità del lavoro, anzi della dignità specifica del lavoro umano. Essa ottiene il proprio fondamento da null'altro, se non dalla stessa umanità di chi lo compie. Questa verità si trova al centro stesso del "Vangelo del lavoro". E la Chiesa la proclama da quando essa esiste, a partire già da quella semplice casa di Nazareth. La proclama quotidianamente. Il 19 marzo, poi, offre una particolare occasione per parlare di essa e per viverla insieme a tutti i lavoratori. In modo speciale, è possibile farlo proprio nell'anno presente. Infatti, quest'anno ricorre il novantesimo anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum", la prima enciclica sociale della Chiesa, pubblicata dal mio predecessore il Papa Leone XIII nel 1891. Al centro del suo messaggio si trova la verità sulla dignità del lavoro, una verità che costituisce il fondamento di tutta la morale del lavoro. Su di essa deve essere costruito ogni codice del lavoro, se vuole avere un carattere veramente "umanitario" e "sociale". Quell'enciclica ribadi tale insegnamento, senza sposare alcuna ideologia di parte o teoria che, pur di segno opposto, sia contraddistinta dal materialismo, cioè dalla riduzione dell'uomo ad una sola dimensione, quella economicistica, che lo decurta della componente più alta della sua dignità di persona umana e di figlio di Dio.

Ebbene, oggi come ieri, il Papa e la Chiesa tutta intendono essere a fianco di coloro che credono nell'uomo, perché credono in qualcosa o in qualcuno che lo trascende, così da riaffermare e promuovere tutti i valori di tutto l'uomo, senza soffocarne alcuno.

E certo non si fa onore a questa etica di base, quando il lavoro diventa un mezzo di sfruttamento dell'uomo, un pretesto per profitti smodati, un'occasione di ingiustizia su piccola o su grande scala. Come anche si è espresso il Concilio, "occorre adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita; innanzitutto alla sua vita domestica... Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell'esercizio stesso del lavoro" (GS 67). Il lavoro deve aiutare l'uomo ad essere più uomo. Ma nessuno può concedersi il lusso di sognare soltanto, se poi non si sforza di tradurre in realtà concreta gli ideali più alti. Guai se tutte queste cose rimangono soltanto parole, o solo buone intenzioni. Bisogna invece che la società dimostri di aver acquisito questa verità, e lo dimostri concretamente, con la stessa concretezza che qualifica appunto l'attività lavorativa di ogni giorno.


6. Cari fratelli e sorelle, parlando in Polonia durante il mio pellegrinaggio del 1979, ho detto che la Chiesa non ha paura dei difficili problemi connessi col mondo del lavoro: "Il cristianesimo e la Chiesa non hanno paura del mondo del lavoro. Non hanno paura del sistema basato sul lavoro. Il Papa non ha paura degli uomini del lavoro. Essi gli sono sempre stati particolarmente vicini. E' uscito di mezzo a loro. E' uscito dalle cave di pietra di Zakrzowek, dalle caldaie di Solvey in Borek Falecki, poi da Nuova Huta. Attraverso tutti questi ambienti, attraverso le proprie esperienze di lavoro - oso dire - il Papa ha imparato nuovamente il Vangelo. Si è accorto e si è convinto di quanto profondamente nel Vangelo sia incisa la problematica contemporanea del lavoro umano. Come sia impossibile risolverla fino in fondo senza il Vangelo" (Giovanni Paolo II "Insegnamenti di Giovanni paolo II" II (1979) 1507).

Ma bisogna dire di più: e cioè che la Chiesa non può essere estranea o lontana da questi difficili problemi; non può staccarsi dal "mondo del lavoro", perché proprio "il Vangelo del lavoro" è iscritto organicamente nell'insieme della sua missione. E la Chiesa non può non proclamare il Vangelo. Perciò essa non può non uscire incontro ad ogni uomo, e specialmente incontro all'uomo del lavoro.

Infatti, come scrissi nella "Redemptor Hominis", "tutte le vie della Chiesa conducono all'uomo" (Giovanni Paolo II RH 14).

Benché da diverse parti si cerchi di creare opinioni opposte e di sostenerle ad ogni costo, la Chiesa ha tante cose da dire all'uomo del lavoro.

Certamente non nelle questioni tecniche, professionali o simili, ma nelle questioni fondamentali. E si tratta di una parola "impegnativa". Se essa viene a mancare e se non è messa in pratica, allora manca la vera "pietra angolare" in tutta la gigantesca costruzione della tecnica moderna, dell'industria e dei vari settori con cui è connesso il lavoro umano.

Il frequente appello della Chiesa alla conversione, come quello di Gesù, è basato sulla certezza che nulla migliorerà, neppure le strutture della convivenza umana, se non migliora l'uomo dal di dentro; e, in pratica, ciò che vuol dire che è impossibile ottenere giustizie creando nuove ingiustizia, instaurare la pace ricorrendo alla violenza, creare maggiori spazi di libertà impiegando la coercizione fisica o morale.

Non e quindi un bene cercare di spingere la Chiesa ed il Vangelo del lavoro "ai margini". Ne soffre la causa dell'uomo. Del resto, è proprio mediante il lavoro che l'uomo aspira allo sviluppo e alla maturazione di tutto ciò che è umano. Ripeto a voi ciò che dicevo lo scorso anno in Francia agli operai di Saint-Denis: "Cristo dirà un giorno: "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati" (Mt 5,6). Tuttavia questa fame della giustizia, questa ansia di lottare per la verità e per l'ordine morale del mondo non sono è non possono essere ne l'odio ne una sorgente di odio nel mondo. Esse non possono trasformarsi in un programma di lotta contro l'uomo unicamente perché egli si trova, se così si può dire, "nell'altro campo". Questa lotta non può diventare un programma di distruzione dell'avversario, non può creare meccanismi sociali e politici nei quali si manifestano egoismi collettivi sempre più grandi, egoismi potenti e distruttori".

Così, dunque, desidero esprimere la convinzione che questa odierna visita rafforzerà e consoliderà il vostro incontro con il Vangelo del lavoro.

Spero che essa avvicinerà il grande banco del lavoro moderno, al quale qui a Terni operano migliaia di uomini, a quel modesto banco del carpentiere Giuseppe di Nazareth, al quale si presentava come lavoratore Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio dell'uomo. E spero che, in questa prospettiva, potrete vedere in una luce più piena il valore e il senso del vostro lavoro e di tutta la vostra vita.


7. Io sono qui oggi per dare fiducia a tutti e a ciascuno. In particolare, sono qui anche per incoraggiare quella pastorale del lavoro, che già è intelligentemente svolta dal Vescovo e dai suoi zelanti collaboratori. Mi è piaciuto ciò che è stato scritto sul fascicolo pubblicato per preparare questa visita: il mondo del lavoro va considerato "non un'area da colonizzare, ma luogo in cui si sprigionano le provocazioni più forti per una testimonianza cristiana, che non può rimanere inerme e arrendevole davanti ai compiti storici di realizzare per l'uomo, per ogni uomo lavoratore, un ambito di giustizia e di pace, che non lo precludano ad una crescita umana e cristiana" (p. 42). Siate uomini che sanno rendere una tale testimonianza, e che sono cristiani non solo quando conviene, ma sempre e fino in fondo. Ho anche visto con interesse i risultati di un'inchiesta condotta dalla Commissione interdiocesana per la pastorale del lavoro, da cui emergono dati che stimolano ad un impegno sempre maggiore. Parimenti esprimo il mio apprezzamento per l'Istituto di Studi Teologici e Sociali, e per le varie organizzazioni laicali.

Vorrei esortare tutti a proseguire con slancio e generosità nel compito tanto prezioso di immettere sempre più abbondantemente negli ambiti di lavoro il soffio fresco e rigeneratore del Vangelo e dell'adesione a Cristo. E il Signore ricompensi con larghezza l'opera di tutti.

Fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora sentitamente per l'accoglienza che mi avete riservato, e certamente serbero in cuore il ricordo di voi tutti, della vostra laboriosità ed ospitalità. Sappiate che il Papa è con voi, non per opportunismo, ma con sinceri e profondi sentimenti di comunione umana e cristiana.

Mentre auguro ogni bene per voi, penso, oltre che al vostro lavoro, anche alle difficoltà che ad esso sono inerenti; penso ai vostri progetti per il futuro; penso alle vostre famiglie, ai vostri bambini e ai vostri ammalati. Tutti benedico e tutti porto con me nel cuore, invocando su ciascuno le più abbondanti grazie celesti.

Prego Dio ardentemente per il bene di tutti: - perché siano realizzate le vostre giuste aspirazioni; - perché siano superati i momenti ed i motivi di crisi; - perché il lavoro non sia mai una alienazione per nessuno; - perché, al contrario, esso sia da tutti onorato come merita, così che vi trionfi la giustizia e ancor più l'amore; - perché l'ambiente di lavoro sia realmente a misura d'uomo, e l'uomo possa apprezzarlo come un prolungamento della propria famiglia; - perché il lavoro aiuti l'uomo ad essere più uomo; - e perché, con l'impegno di tutti, si possa raggiungere la costruzione di una nuova società e di un mondo nuovo, nella piena attuazione della giustizia, della libertà e della pace.

Data: 1981-03-19
Giovedì 19 Marzo 1981



GPII 1981 Insegnamenti - All'Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi - Città del Vaticano (Roma)