GPII 1981 Insegnamenti - Incontro con il Consiglio di fabbrica - Terni

Incontro con il Consiglio di fabbrica - Terni

Titolo: Capisco e condivido le vostre preoccupazioni

Sono molto contento di poter incontrare il vostro gruppo, il vostro Consiglio di fabbrica, che rappresenta i lavoratori, perché l'elemento principale di ogni fabbrica e di ogni impresa umana è sempre il lavoro. Voi che rappresentate il lavoro avete qui la priorità. Si deve dire che lavorano non soltanto quelli che lavorano con le mani, ma anche coloro che lavorano con l'intelletto, che appartengono cioè alla parte direttiva certamente, ma in un senso speciale.

Il lavoro appartiene a voi, a questa rappresentanza di fabbrica, o meglio di un complesso di fabbriche, come il vostro, un complesso di cui i padroni, possiamo dire, sono i lavoratori. Non voglio anticipare le cose che diro in seguito, ma, passando attraverso i vari reparti ho paragonato la vostra fabbrica a quella in cui lavoravo anch'io un tempo. Era certamente diversa perché era una fabbrica chimica, ma anche simile, perché era pur sempre una fabbrica.

Sono trascorsi già parecchi anni da quel tempo e questo ambiente della fabbrica, questo ambiente umano l'ho trovato abbastanza simile; simile e diverso, perché se sono simili tutti i lavoratori del mondo, certo i miei connazionali, specie all'epoca in cui io lavoravo, cioè durante la guerra, durante l'occupazione, avevano forse preoccupazioni un po' diverse, e anche molto pesanti.

Io vedo, passando attraverso i reparti e parlando con i lavoratori, che la cosa che li preoccupa soprattutto è il problema della sicurezza del lavoro.

Questa sicurezza viene condizionata dai meccanismi economici, dai bisogni, e dallo stesso prodotto del complesso industriale. Infatti se c'è la domanda, c'è anche il lavoro, se manca la domanda comincia a mancare anche il lavoro. Occorre pensare a come risolvere il problema della mancanza di lavoro. Forse voi avete una risposta, ma certo, il problema e complesso. Capisco le vostre preoccupazioni, e le condivido. Capisco che dietro la preoccupazione della mancanza di lavoro c'è quella di un padre di famiglia che ha una grave responsabilità personale, una preoccupazione giustificata.

Sono considerazioni generali; certo in due ore, quanto è durata la visita, non si può scendere nei particolari, ma la prima impressione che mi da il vostro ambiente di lavoro è questa. Ci sono preoccupazioni connesse con la situazione economica nazionale, forse anche internazionale, perché la produzione industriale ha una dimensione mondiale, favorevole o sfavorevole a seconda delle condizioni. Questa è la mia prima impressione fondamentale. Non so se è giusta; non so cosa potete rispondere a questa mia domanda, se è giusta.

"Possiamo adesso passare ad altri problemi. Va bene"?.

(Rispondendo alle domande rivoltegli da alcuni operai, il Papa ha così proseguito:) Ringrazio per tutte queste parole da voi pronunciate che mi hanno chiarito ancora di più la vostra situazione. Una risposta non è facile, ci sono precise competenze. Ma, in linea di principio, da un punto di vista sociale ed etico insieme, come la Chiesa ha professato apertamente almeno dai tempi di Leone XIII, i lavoratori sono quelli che fanno l'industria, l'elemento principale del lavoro. Non sono uno strumento ma, appunto, la ragione principale di ogni industria, di ogni produzione. Perché? Perché sono uomini, persone, non strumenti come le macchine. Attori della produzione e così, essendo il motivo principale della produzione dei beni, essi hanno certamente anche diritto al frutto del lavoro. Che vuol dire soprattutto salario giusto, ma anche una certa partecipazione nella gestione della fabbrica e una partecipazione ai redditi, dico bene? Dovrei prendere un vocabolario per studiare i termini tecnici, specie per quel che riguarda ciò che si produce nella vostra fabbrica, parole per voi di uso quotidiano ma non per me. Ma il principio è chiaro. E poi, sono anche contento di quel che ho sentito sulla lotta e soprattutto sulle caratteristiche di questa lotta. Io, come Pastore della Chiesa devo dire: "lotta per la giustizia" certamente, ma bisogna stare attenti che questa lotta per la giustizia non si trasformi in una lotta contro le persone, i gruppi. "Lotta per la giustizia" dunque che caratterizza la classe operaia. Da qualche tempo, una sensibilità maggiore si è formata per la giustizia e per la lotta che a questa giustizia e legata. Essa trova riscontro nel Vangelo e l'insegnamento della Chiesa non può essere diverso. La Chiesa vuole un mondo giusto, sempre più giusto. E tutti coloro che partecipano a questo sforzo sono in sintonia con il Vangelo e con la dottrina cristiana. Allora, per riassumere i tre interventi: "La mia missione, lo capite bene, e lo avete anche detto, non è di cambiare, per esempio, la situazione politica, perché ciò che è proprio della missione della Chiesa è di ordine etico, morale. E' da questo punto di vista che posso affrontare i vostri problemi".

Quanto alla domanda se io da operaio abbia avvertito il desiderio di fare il sindacalista, devo dire che ho sentito la vocazione sacerdotale e l'ho seguita. E poi, le condizioni erano molto particolari. C'era la guerra, c'era l'occupazione. Comunque, penso che sia una bella vocazione quella di chi aiuta i propri fratelli, i propri colleghi, una vocazione cristiana anche se io non l'ho sentita. Altri l'hanno sentita. Per esempio, in questi ultimi tempi, si è parlato tanto degli scioperi in Polonia, e li ha avvertito la vocazione del sindacalista, per esempio, il mio connazionale Lech Walesa. Ecco come la Provvidenza distribuisce le vocazioni, dà a ciascuno una vocazione. Io ho sentito la mia vocazione sacerdotale al tempo della guerra e di una quotidiana minaccia alla vita, perché era così, era così... E sentendo quella vocazione non ho mai pensato che essa dovesse condurmi all'attuale ministero, questo non l'ho mai pensato. Ma, adesso devo dire che benedico la Provvidenza, perché mi ha offerto quella occasione quando ero operaio. Benedico la Provvidenza. Per me è stata una grazia speciale del Signore, aver potuto essere operaio, lavoratore manuale, durante gli anni della guerra. Ho conosciuto la vita, ho conosciuto l'uomo e da quell'esperienza comune con altri operai di professione - mentre la mia era una situazione particolare - ho imparato ad avere un atteggiamento particolare di fronte a queste persone, di fronte al mondo del lavoro, a considerarlo una realtà composta appunto da persone. Ho conosciuto la realtà della loro vita, l'umanità profonda di questa vita pur in mezzo ai vizi e ai peccati che erano propri dell'uno o dell'altro. Ho imparato la profonda umanità di questa vita semplice, dura e difficile, e abbandonando la fabbrica per seguire la mia vocazione ho portato con me per tutta la vita questa esperienza, non tanto sotto l'aspetto tecnico - non ero troppo portato per la tecnica - ma, lo ripeto, soprattutto sotto l'aspetto umano. Alcuni rilevano che le mie parole, i miei messaggi e le mie encicliche sono molto centrate sull'uomo. Penso che questo derivi in gran parte dalla mia esperienza di operaio, dai miei contatti con il mondo del lavoro. Molti operai sono diventati miei amici. Il fatto che io abbia preso un'altra strada, per loro è stata in parte una sorpresa, ma in parte anche lo prevedevano".

Questa esperienza è rimasta nella mia memoria come i miei compagni di lavoro, operai di questa fabbrica vicino a Cracovia, dove ho lavorato.

E per rispondere all'ultima domanda, su quel dono, dico che sarà molto prezioso per me, per diversi motivi. Anzitutto perché rappresenta la Madonna di Czestochowa che è un simbolo per il mio popolo, che ha una storia difficile, una vita difficile. Forse, fra i popoli europei, è il popolo che ha la storia e la vita più difficile. Ma la Madonna di Czestochowa rappresenta soprattutto qualcosa che è nel cuore di ogni polacco. E poi, c'è un altro motivo, e deriva dal vostro ambiente. Avete pensato di esprimere con questo dono i vostri sentimenti nei confronti del Papa. Avete voluto, proprio in questa circostanza, offrirmi una scultura molto bella: devo congratularmi con lo scultore. E' fatta anche con il materiale che si produce in questa fabbrica, e questo è il secondo motivo per cui il dono mi è stato gradito. Il terzo è che questo dono rappresenta il vostro lavoro, il lavoro dell'uomo. Tutti motivi diversi che convergono. Vi ringrazio.

Adesso sarebbe per me interessante conoscere come è formato il vostro Consiglio di fabbrica, in che modo lavora. Ma è un problema tecnico e ci vorrebbe una visita di una settimana.

Data: 1981-03-19
Giovedì 19 Marzo 1981


Ai sacerdoti e ai religiosi - Terni

Titolo: Siate segni e artefici di unità e fraternità



1. Non poteva mancare, anche in una giornata intensa come questa, l'incontro con voi, carissimi sacerdoti e religiosi, che in virtù della Sacra Ordinazione e della missione ricevuta dal Vescovo, siete stati promossi al "servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra e incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo" (PO 1).

Vedo con vivissimo piacere che sono qui presenti anche i venerati confratelli dell'Episcopato Umbro. Ad essi rivolgo un saluto particolarmente cordiale.

Ho desiderato trascorrere qualche momento in mezzo a voi, cari sacerdoti, per dirvi il mio speciale affetto, e perché possiate sentirvi sempre più forti e lieti nella fede, che auspico cresca sempre più in Cristo, anche a motivo di questa mia visita (cfr. Ph 1,25-26).


2. La realtà tanto sublime che recate in voi stessi - segnati da uno speciale carattere che vi configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in suo nome (cfr. PO 2) - comporta la coscienza della grandezza della missione ricevuta e della necessità di adeguarsi sempre più ad essa. E' necessario di fronte al dono del Signore avere una chiara e radicata convinzione circa il proprio essere sacerdoti di Cristo, depositari ed amministratori dei misteri di Dio, strumenti di salvezza per gli uomini. Tali certezze di fede non consentono di dubitare della propria identità, di essere titubanti circa il valore della propria vita, di esitare in faccia al cammino intrapreso.

Sono qui in mezzo a voi per rafforzare ed approfondire tali convinzioni, per renderle invincibili e costanti, invitandovi ad una sempre più stretta unione con Cristo, nostra ragione di vita e nostra forza.

Talvolta la nostra sintonia di fede con Gesù si può indebolire e attenuare, se la sua presenza in noi è offuscata da propensioni e ragionamenti umani, per cui siamo incapaci di far brillare tutta la grandiosa luce che egli rappresenta per noi. "Ciascun sacerdote - come dicevo agli Ordinandi di Nagasaki, il 25 febbraio scorso - si accorge che può illuminare chi è nella tenebre, solo nella misura in cui egli stesso ha accettato la luce del Maestro Gesù Cristo".

Talvolta, parliamo forse di Lui influenzati da premesse e dati di sapore sociologico, politico, psicologico, invece di far derivare i criteri base della nostra vita da un Vangelo vissuto con integrità, con gioia, con quella confidenza e con quella immensa speranza che racchiude la Croce di Cristo.


3. Voi, cari sacerdoti, a ragione del vostro stesso ministero, siete tenuti a vivere in mezzo agli uomini, a conoscere come buoni pastori le proprie pecorelle, e a cercare di ricondurre anche quelle che non sono in questo ovile, affinché anch'esse sentano la voce di Cristo (cfr. PO 3). Tuttavia, mentre svolgete tale opera di avvicinamento, è necessario che gli uomini vedano in voi i testimoni credibili dell'Amore divino e di un Regno che, iniziatosi quaggiù, si perfezionerà nella vita eterna.

Anche la particolare realtà socio-culturale della Chiesa che è in Terni, Narni ed Amelia, realtà a voi ben nota nelle sue istanze e tensioni, nelle sue cause e nei suoi orientamenti, e che sembra talvolta opporre gravi ostacoli alla penetrazione di una mentalità cristiana, esige di trovare in voi non dirigenti sociali od abili amministratori, ma autentiche guide spirituali, che si sforzino di orientare e di migliorare il cuore dei fedeli perché, convertiti, vivano nell'amore a Dio e al prossimo e s'impegnino nell'elevazione e nella promozione dell'uomo. Non illudiamoci di servire il Vangelo se cediamo alla tentazione di "diluire" il nostro carisma in un esagerato interesse per i problemi temporali.

Non dimentichiamo che il sacerdote deve essere rappresentante dei valori soprannaturali, segno ed artefice di unità e di fraternità.


4. Vorrei indicarvi ancora un punto di riflessione. Siete membri del Presbiterio di una Chiesa particolare, il cui centro di unità è il Vescovo, verso il quale ogni sacerdote, che aspiri ad una vera fecondità di ministero, deve avere un atteggiamento convinto di comunione e di obbedienza. "Questa obbedienza sacerdotale - ci ricorda il Concilio - si fonda sulla partecipazione stessa del ministero episcopale, conferita ai Presbiteri attraverso il Sacramento dell'Ordine e la missione canonica" (PO 7).

Nell'attività pastorale, pur tenendo conto delle diverse problematiche locali, regni uno spirito di intesa e di cooperazione tra le iniziative parrocchiali e quelle diocesane, per loro natura aperte ad orizzonti più vasti e ad istanze più generali, quali quelle concernenti il mondo del lavoro, delle comunicazioni sociali, della scuola, della cultura e della presenza nel campo civile.

L'unione tra i Presbiteri ed il Vescovo è particolarmente necessaria oggi, quando le varie iniziative apostoliche trascendono spesso i limiti di una parrocchia o di una diocesi, e richiedono che i sacerdoti uniscano le proprie forze a quelle dei confratelli, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa.


5. Amatissimi sacerdoti e religiosi, vorrei dirvi tante altre cose e vorrei ascoltare da ciascuno di voi le ansie più personali, ma non mi è consentito di prolungare troppo questo incontro. Termino col rinnovare la mia grande fiducia in voi, e con l'esortarvi a porre fiducia in Colui che "conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome" (Ps 147,4), e che ha pronunciato il vostro nome chiamandovi fin dal seno materno (cfr. Is 49,1). La nostra fiducia si fonda radicalmente in questo "amore preferenziale e consacratorio di Dio", che non abbandona anzitutto coloro che, chiamati a partecipare al sacerdozio del Figlio suo, si rivolgono a Lui con confidenza. Proprio per questo, san Paolo ci ricorda che in tutte le tribolazioni "noi siamo più che vincitori, per virtù di Colui che ci ha amati" (Rm 8,37). Concludo con l'esortazione dell'autore dell'Epistola agli Ebrei: "Non abbandonate la vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa" (He 10,35-36).

Sotto lo sguardo di Maria, Madre dei sacerdoti e dei religiosi, tanto venerata a Terni come Madre della Misericordia, continuate con nuovo entusiasmo il vostro cammino, e vi accompagni la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-03-19
Giovedì 19 Marzo 1981


Agli ammalati e alle religiose - Terni

Titolo: Inseritevi con fede nel mistero della croce

Fratelli e sorelle carissimi!

1. Con grande intensità di sentimento, saluto voi tutti che portate nello spirito e nel corpo il peso e il segno doloroso della Croce di Cristo e che, con la vostra umana sofferenza, siete in modo del tutto speciale uniti ed inseriti al Mistero pasquale.

Sono qui con voi, carissimi, per dirvi che una spirituale unione mi lega ad ogni persona che soffre; o che è immobilizzata ed inchiodata ad un letto, ad una sedia; o che, a motivo della propria pena ed inabilità, si ritiene ormai inutile; o che talvolta prova, come il Cristo nel Getsemani, "paura ed angoscia" (cfr. Mc 14,33).

Sento sinceramente che le mie parole sono insufficienti ed inadeguate per esprimervi la mia compartecipazione sincera, la mia umana compassione. Eppure, insieme, io e voi crediamo fermamente, alla luce della Parola di Dio, che esiste una dimensione, incontrollabile sia dai sensi che dalla semplice ragione umana, nella quale la vostra sofferenza e quella di tutti gli uomini acquista un significato profondo e si trasforma da debolezza in forza, da povertà in ricchezza, quando viene illuminata dalla Croce di Gesù. "Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti... perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1Co 1,27-29). Come il Padre celeste ha scelto per la salvezza degli uomini la Croce segno di ignominia e di debolezza, così ha scelto la vostra infermità, perché tale croce, posta sulle vostre spalle ed incisa nelle vostre carni, diventi - insieme con quella di Gesù - strumento e segno di salvezza per voi, che la portate nella fede e nella speranza cristiana, e per tutti gli altri uomini bisognosi di salvezza. Allora potrete veramente dire con san Paolo: "Mi vantero ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio delle mie infermità... sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte" (2Co 12,10).


2. Chiedo pertanto a voi, fratelli e sorelle qui presenti, come pure a tutti coloro che a Terni soffrono nelle corsie degli ospedali o nelle loro case, di inserirvi con fede nel Mistero della Croce di Cristo, offrendo a Lui il vostro umano dolore, perché Egli, unendolo al suo, lo offra al Padre in oblazione pura.

Con la sofferenza e con la preghiera voi potete fare un bene immenso a favore della Chiesa e dell'Umanità.

I santi, i cristiani autentici, illuminati dalla grazia dello Spirito, hanno intuito il significato e la fecondità del loro dolore.

In questa Cattedrale c'è una tomba, sulla quale si legge questa semplice e toccante scritta: "Giunio Tinarelli testimone di fede e di amore nella sofferenza". Voi sapete chi è stato Giunio Tinarelli: un vostro concittadino nato nel 1912; vostro contemporaneo quindi. A dodici anni, per guadagnarsi il pane, egli ha cominciato a lavorare, prima presso la Tipografia Alterocca e poi negli stabilimenti delle Acciaierie di Terni. Ma viene colpito giovanissimo da una terribile malattia, che lo immobilizzerà per diciotto anni, fino alla morte, avvenuta nel 1956 a quarantaquattro anni. In quella immobilità, in quella sofferenza, quanta fede, quanto amore il vostro Giunio ha comunicato a coloro che andavano a visitarlo non già per confortarlo o consolarlo, ma per ricevere da lui consolazione e conforto! Nel ricordo di questo esemplare cristiano, vi chiedo di pregare e di offrire le vostre sofferenze per l'umanità, per la Chiesa, ed anche per me, perché il mio universale servizio pastorale si compia sempre secondo la volontà di Dio.

Ed a nome dell'umanità, della Chiesa e mio vi dico: "Grazie!". Che il Signore, ricco di misericordia, dia la pace e il gaudio interiore a voi tutti e ricompensi con la sua grazia anche coloro che con generoso disinteresse si prendono amorevole cura di voi: i vostri familiari, gli amici, i medici, gli infermieri, i sacerdoti, le suore.

Approfitto della presenza dei medici di Terni per ringraziarli della loro sollecitudine verso i malati della Provincia. La stessa cosa faccio per le infermiere; ringrazio tutti nel nome di Cristo, che ha tanto attentamente valutato ogni aiuto offerto ad un sofferente. Dico, ancora una volta, grazie a voi tutti fratelli e sorelle.


3. Desidero poi rivolgere il mio cordiale ed affettuoso saluto a tutte le religiose di Terni, riunite in questa Cattedrale per l'odierno incontro, che vuole essere una vicendevole edificazione dello spirito.

Carissime sorelle in Cristo! Quando avete sentito nel vostro cuore, per le vie imperscrutabili, l'invito a seguire la "vocazione", avete risposto generosamente con le parole della Vergine Santissima: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Abbiate sempre presente che la "vocazione religiosa" è un tesoro peculiare della Chiesa e che la vostra presenza nell'ambito del Popolo di Dio deve essere per tutti un segno visibile del Vangelo. Il vostro apostolato, così vario, così molteplice, così fecondo di bene, è un segno continuo della perenne vitalità del Corpo mistico di Cristo, nel quale voi portate - con la vostra generosa dedizione, con il vostro ammirevole nascondimento - quella particolare sensibilità di madri e di sorelle nello spirito.

Desidero ripetere a voi qui, oggi, quanto ho detto alle religiose nel mio pellegrinaggio apostolico in Messico: "La vostra è una vocazione che merita la massima stima da parte del Papa e della Chiesa, ieri come oggi. Per questo desidero esprimere la mia gioiosa fiducia in voi ed animarvi a non abbattervi nel cammino intrapreso, che vale la pena proseguire con rinnovato spirito ed entusiasmo... Quanto potete fare oggi per la Chiesa e per l'umanità! Esse aspettano il vostro generoso dono, la dedizione del vostro cuore libero, che allarghi senza sospetto le sue potenzialità di amore in un mondo che sta perdendo la capacità d'altruismo, di amore sacrificato e disinteressato. Ricordatevi, infatti, che siete mistiche spose di Cristo e del Cristo crocifisso" (Giovanni Paolo II "" II (1979), 177-178. 179). Come Maria Santissima voi avete scelto Gesù, al quale vi siete legati con i sacri e dolci legami della povertà, della castità e dell'obbedienza. Vivete in serena letizia e realizzate questi voti con generosa dedizione, sempre fedeli al carisma specifico delle vostre Congregazioni! Su tutti voi, fratelli e sorelle, invoco l'abbondanza dei doni del Signore e vi imparto di gran cuore la benedizione apostolica, segno della mia affettuosa benevolenza.

Data: 1981-03-19
Giovedì 19 Marzo 1981


Omelia, allo Stadio "L. Liberati" - Terni

Titolo: Compatezza della famiglia e rispetto della vita



1. "Beato chi abita la tua casa (Signore): sempre canta le tue lodi" ().

Cari fratelli e sorelle! Dopo l'incontro mattutino sul posto di lavoro, ci riuniamo ora in questo ampio stadio per partecipare all'Eucaristia. Ancora una volta desidero esprimervi gratitudine, perché nel giorno in cui la Chiesa venera san Giuseppe, "uomo giusto", che a Nazareth ha lavorato presso il banco del carpentiere, mi è dato di incontrarmi con voi entro la sede di una delle fabbriche, ove si trova il banco di lavoro di tanti uomini, residenti a Terni e nelle località circostanti. Quel nostro incontro è stato incentrato sul grande problema del lavoro umano, al quale il giorno odierno, in modo particolare dirige i nostri pensieri ed i nostri cuori.

Qui vi saluto per la seconda volta, in una cerchia più ampia: accompagnati dalle vostre famiglie, dalle vostre mogli e dai figli, dai vostri familiari, congiunti, vicini e conoscenti. Giuseppe di Nazareth, "uomo giusto", la cui solennità ci permette di guardare con gli occhi della fede la grande causa del lavoro umano - è contemporaneamente capo della casa, capo della famiglia: della Sacra Famiglia, così come ognuno di voi, miei fratelli e sorelle, è marito e padre, sposa e madre, responsabile della famiglia e della casa. Vi è uno stretto legame tra il lavoro e la famiglia: tra il vostro lavoro e la vostra famiglia. san Giuseppe è, a titolo particolare, patrono di questo legame. E perciò è bene che, dopo il nostro incontro mattutino, che ci ha visti raccolti attorno al banco del vostro lavoro, ci si possa incontrare qui per dedicare la Santa Messa della solennità di san Giuseppe alle famiglie. Ad ogni famiglia e a tutte le famiglie.

Proprio queste famiglie desidero invitare in modo più cordiale alla comunità eucaristica che esprime la nostra "unità familiare con Dio", Padre di Gesù Cristo e nostro Padre, e al tempo stesso manifesta l'unità reciproca degli uomini, soprattutto di quelli che costituiscono una sola famiglia.


2. L'Eucaristia manifesta e realizza l'unità familiare di tutta la Chiesa. Per partecipare al sacrificio di Cristo, per cibarsi del suo Corpo e del suo Sangue, la Chiesa si riunisce come una famiglia presso la mensa della Parola Divina e presso la mensa del Pane del Signore.

Oggi, a questa solenne assemblea eucaristica, partecipa, in modo particolare, tutta la Chiesa di Terni, Narni ed Amelia.

Desidero salutare cordialmente questa Chiesa come la famiglia del Popolo di Dio con il Vescovo Santo Bartolomeo Quadri, che è il suo pastore, con tutto il presbiterio. Saluto i membri dei Capitoli, gli educatori del Seminario, i parroci ed i loro collaboratori. Saluto altresì i religiosi e le religiose degli Ordini e delle Congregazioni, che svolgono la loro operazione nella zona, recando il loro prezioso contributo all'edificazione del Popolo di Dio. Rivolgo un deferente pensiero alla Autorità civili che hanno voluto onorare con la loro presenza questa nostra Celebrazione. Una parola di saluto voglio riservare alla rappresentanza della parrocchia terremotata di Castelnuovo di Conza, con la quale i fedeli di questa terra si sono lodevolmente legati in gemellaggio di solidarietà. Saluto ancora con particolare cordialità i laici impegnati nell'apostolato, specialmente quelli fra loro che hanno accettato di inserirsi attivamente nelle varie forme associative operanti a livello sia diocesano che parrocchiale. E saluto i giovani, che vedo qui presenti tanto numerosi: sappiano essi conservare il cuore sempre aperto ai valori annunciati nel Vangelo, impegnandosi a costruire su di essi un futuro più degno dell'uomo. Un saluto, infine, a tutti i fedeli delle Comunità diocesane che, nel quotidiano adempimento dei loro compiti familiari e sociali, attestano davanti ai fratelli la saldezza delle loro convinzioni cristiane.

Le Chiese di Terni, Narni ed Amelia possono vantare antiche tradizioni di fede, suggellate dal sangue di Martiri illustri: Valentino, Giovenale, Firmina sono nomi a voi ben noti, che evocano il ricordo di tempi difficili, nei quali l'adesione a Cristo non di rado comportava il sacrificio della stessa vita.

L'esempio di impavida fortezza, che i vostri santi Patroni vi hanno lasciato come patrimonio imperituro, sia, per ogni figlio di questa terra, costante incitamento a quella coraggiosa coerenza di vita senza la quale non è possibile sentirsi ed essere autenticamente cristiani. Sull'esempio di quegli antichi cristiani che sono morti per la fede, sappiate voi, oggi, vivere di fede!


3. La lettura del Vangelo secondo san Matteo ci invita a meditare su di un momento particolare della vita di Giuseppe di Nazareth, un momento pieno di contenuto divino ed insieme di profonda verità umana. Leggiamo: "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovo incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18). Quando ascoltiamo queste parole, ci vengono in mente quelle altre ben note, che recitiamo quotidianamente, nella preghiera del mattino, del mezzogiorno e della sera: "L'Angelo del Signore reco l'annuncio a Maria ed Ella concepi per opera dello Spirito Santo".

Per opera dello Spirito Santo fu concepito il Figlio di Dio per diventare uomo: figlio di Maria. Questo fu il mistero dello Spirito Santo e di Maria. Il Mistero della Vergine, che alle parole della annunciazione rispose: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

E così è avvenuto: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14). E soprattutto venne ad abitare nel seno della Vergine che - rimanendo vergine - divento madre: "si trovo incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18).

Questo fu il mistero di Maria. Giuseppe non conosceva questo mistero.

Non sapeva che in Colei di cui egli era sposo, anche se, in ottemperanza alla legge ebraica non l'aveva ancora accolta sotto il suo tetto, si era compiuta quella promessa della Fede fatta ad Abramo, di cui parla nella seconda lettura di oggi san Paolo. Che cioè si era compiuta in lei, in Maria della stirpe di Davide, la profezia che un tempo il profeta Natan aveva rivolto a Davide. La profezia e la promessa della Fede, la cui realizzazione attendeva tutto il Popolo, l'Israele della divina elezione, e tutta l'umanità.

Questo fu il mistero di Maria. Giuseppe non conosceva questo mistero. Non glielo poteva trasmettere Lei, perché era mistero superiore alle capacità dell'intelletto umano ed alle possibilità della lingua umana. Non era possibile trasmetterlo con alcun mezzo umano. Si poteva soltanto accettarlo da Dio, e credere. così come credette Maria.

Giuseppe non conosceva questo mistero e per questo internamente soffriva moltissimo. Leggiamo: "Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (Mt 1,19).

Ma venne una certa notte, quando anche Giuseppe credette. Fu rivolta a lui la parola di Dio e divenne chiaro per lui il mistero di Maria, della sua sposa e coniuge. Egli credette che, ecco, in Lei si era compiuta la promessa della Fede fatta ad Abramo e la profezia che aveva udito il Re Davide. (Ambedue, Giuseppe e Maria, erano della stirpe di Davide).

"Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21).

"Destatosi dal sonno - conclude l'Evangelista - Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'Angelo del Signore" (Mt 1,24).


4. Noi, qui riuniti, sentiamo queste parole e veneriamo Giuseppe, uomo giusto.

Giuseppe che ha amato più profondamente Maria, della casa di Davide, perché ha accettato tutto il suo mistero. Veneriamo Giuseppe, in cui si è rispecchiata più pienamente che non in tutti i padri terreni la Paternità di Dio stesso. Veneriamo Giuseppe che al Verbo Eterno ha costruito la casa familiare in terra, così come Maria gli ha dato il corpo umano. "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14).

Da questo grande mistero della fede dirigiamo i nostri pensieri alle nostre case, a tante coppie e famiglie. Giuseppe di Nazareth è una particolare rivelazione della dignità della paternità umana! Giuseppe di Nazareth, il carpentiere, l'uomo del lavoro. Pensate a ciò voi, proprio voi, uomini del lavoro di Terni, di Narni, di Amelia e di tutta l'Italia e di tutta l'Europa e di tutto il mondo. Sulla dignità della paternità umana - sulla responsabilità dell'uomo, marito e padre, così come pure sul suo lavoro - poggia la famiglia. Giuseppe di Nazareth ce ne dà testimonianza.

Le parole che Dio dirige a lui: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa" (Mt 1,20) non sono forse rivolte a ciascuno di voi? Cari fratelli, mariti e padri di famiglia! "Non temere di prendere..". Non abbandonare! E' stato detto all'inizio: "Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie" (Gn 2,24). E Cristo aggiunge: "L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (Mc 10,9). La compattezza della famiglia, la sua stabilità è uno dei beni fondamentali dell'uomo e della società. Alla base della compattezza della famiglia vi è l'indissolubilità del matrimonio; se l'uomo, se la società cercano le vie che privano il matrimonio della sua indissolubilità e la famiglia della sua compattezza e della sua stabilità, allora recidono quasi la radice stessa della sua salute, si privano di uno dei beni fondamentali, sui quali e costruita la vita umana.

Fratelli cari! Quella voce, che ha sentito Giuseppe di Nazareth in quella notte decisiva della sua vita, giunga a voi sempre, in particolare quando incombe il pericolo della distruzione della famiglia: "Non temere di perseverare"! "Non abbandonare"! Comportatevi così come ha fatto quell'uomo giusto.


5. Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria e quel che è generato in lei (cfr. Mt 1,20). così dice Dio-Padre all'uomo, col quale, in un certo modo, ha condiviso la sua paternità. Dio, cari fratelli, condivide in un certo senso la sua paternità con ciascuno di voi. Non nel modo misterioso e soprannaturale, in cui lo fece con Giuseppe di Nazareth... E tuttavia ogni paternità sulla terra, ogni paternità umana da Lui prende il suo inizio, e in lui trova il suo modello. La vostra paternità umana, cari fratelli, si collega sempre con la maternità. E quel che è concepito nel seno della donna-madre unisce voi sposi, marito e moglie, con un particolare legame che Dio-Creatore dell'uomo ha benedetto sin "dal principio". Questo è in vincolo della paternità e della maternità, che si forma dal momento in cui l'uomo, il marito, trova nella maternità della donna l'espressione e la conferma della sua paternità umana.

La paternità è responsabilità per la vita: per la vita prima concepita nel seno della donna, poi data alla luce, perché si riveli in essa un nuovo uomo, che è sangue del vostro sangue e carne della vostra carne. Dio che dice: "non abbandonare la donna, tua sposa", dice contemporaneamente: "accogli la vita concepita in essa"! così come lo disse a Giuseppe di Nazareth, benché Giuseppe non fosse il padre carnale di Colui, che fu concepito per opera dello Spirito Santo in Maria Vergine.

Dio dice a ogni uomo: "accogli la vita concepita per tua opera! Non permetterti di sopprimerla!" Dio dice così con la voce dei suoi comandamenti, con la voce della Chiesa. Ma Egli dice così soprattutto con la voce della coscienza.

La voce della coscienza umana. Questa voce è univoca, nonostante quanto si faccia per impedirne l'ascolto e per soffocarla, cioè perché l'uomo non ascolti e la donna non ascolti questa voce semplice e chiara della coscienza.

Gli uomini del lavoro, gli uomini del lavoro duro conoscono questa voce semplice della coscienza. Ciò che essi sentono nel modo più profondo è appunto quel legame che unisce il lavoro e la famiglia; Il lavoro è per la famiglia, poiché il lavoro è per l'uomo (e non viceversa) e proprio la famiglia e prima di tutto la famiglia è il luogo specifico dell'uomo. E' l'ambiente in cui egli viene concepito, nasce e matura; l'ambiente per il quale egli assume la responsabilità più seria, nel quale egli si realizza quotidianamente; l'ambiente della sua felicità terrena e dell'umana speranza. E perciò oggi, nel giorno di san Giuseppe, conoscendo i cuori degli uomini del lavoro, la loro onestà e responsabilità, esprimo la convinzione che appunto essi assicureranno e consolideranno questi due beni fondamentali dell'uomo e della società: la compattezza della famiglia e il rispetto della vita concepita sotto il cuore della madre.


6. "Beato chi abita la tua casa, Signore" (cfr. Ps 83,5).

Vi auguro, cari fratelli e sorelle, la felicità. Vi auguro quella felicità che scaturisce dalla coscienza pura. Vi auguro quella felicità che offre il focolare domestico. Dalla casa nazaretana di Giuseppe, di Maria, di Gesù, da quel modesto banco di lavoro, unito con essa, traccio nel pensiero e nel cuore quasi una linea continua fino a questi moderni cantieri del lavoro industriale, presso i quali voi faticate - e la conduco più avanti: fino alle vostre case, alle vostre famiglie. Regni in esse la felicità che proviene da Dio. Sia essa più forte di tutte le prove della vita, di cui non è mai privo l'uomo sulla terra. E soprattutto che nelle vostre case, nelle vostre famiglie maturi l'uomo secondo la misura propria della sua dignità.

Della dignità che gli ha dato Gesù di Nazareth... Gesù del quale la gente parlava come del "figlio del carpentiere" (Mt 13,55). Mentre Egli era della stessa sostanza del Padre, il Figlio di Dio che si è incarnato ed è nato come uomo dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.

E cresceva a Nazareth al fianco di Giuseppe. Sotto il suo occhio vigile e premuroso.

Data: 1981-03-19
Giovedì 19 Marzo 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Incontro con il Consiglio di fabbrica - Terni