GPII 1981 Insegnamenti - Ai lavoratori delle industrie Merloni - Città del Vaticano (Roma)


2. Non spetta a me richiamare la storia o le linee di evoluzione della vostra Azienda, che si è affermata nel settore specializzato delle sue produzioni.

Tuttavia, vedendovi innanzi a me come rappresentanti del mondo del lavoro e protagonisti in un determinato settore industriale, non posso fare a meno di rilevare le caratteristiche, che hanno contraddistinto sin dall'inizio una tale attività.

Quali sono queste caratteristiche? Ne vorrei ricordare solo due: anzitutto, il coordinamento tra le esigenze tecniche e le esigenze umane. So che il fondatore prescelse e volle attuare stabilimenti di medie dimensioni, che fossero quasi a mezza strada tra la piccola azienda a conduzione familiare ed i cosiddetti colossi industriali.

Questo a me sembra un punto di equilibrio, che può assicurare il necessario rispetto delle leggi intrinseche al processo produttivo, quale si configura nell'organizzazione industriale moderna, ed insieme vale, forse, a salvaguardare meglio quelle componenti umane, a cui il lavoro è di per sé subordinato. Quando dico componenti umane, dico ad esempio il naturale rapporto tra il lavoratore ed il proprio ambiente familiare e socio-culturale, senza forzati sradicamenti e traumatiche lontananze; ma intendo soprattutto - come ben comprendete - tutto quanto nel suo insieme tocca l'uomo ed interessa l'uomo: cioè, i diritti ed i doveri, le necessità e le aspirazioni che sono proprie della persona, come nucleo vivo e sacro, al quale volli già riferirmi nella mia prima enciclica Redemptor Hominis (cfr. II, RH 12; III, RH 14-16). L'uomo, per volere di Dio che l'ha creato e l'ha posto al vertice della sua creazione, è e deve essere sempre il centro di riferimento, rimanendo così all'inizio ed al termine dell'intero ciclo produttivo. Non è l'uomo per il lavoro, perché egli non è una macchina che si affianca alle altre macchine che manovra; ma è il lavoro per l'uomo, in quanto esso è per lui fonte di sostentamento, e strumento per la sua elevazione culturale e morale. Sono cose a voi note, cari fratelli e figli; ma dinanzi a voi, che qui rappresentate le tipiche industrie della zona Fabrianese (consentitemi di ricordare, a questo punto, le rinomate cartiere, che fin dal Medioevo portarono anche fuori d'Italia il nome della vostra città), questo mio richiamo all'uomo ed al suo nativo profilo di creatura spirituale e dotata di un destino trascendente può costituire un elemento di opportuna e salutare riflessione.

Voglio anche aggiungere che tale impostazione umana, o "umanistica", del lavoro si collega bene con un'altra caratteristica, che - come ebbi occasione di accennare dinanzi ai lavoratori del porto di Ancona, nel settembre del 1979 (cfr. vol. "Insegnamenti Giovanni Paolo II" II, 2, (1979) 269) - è propria della vostra gente: alludo a quel profondo attaccamento al lavoro, che si può chiamare perseveranza e tenacia o più brevemente, "laboriosità".

Mentre ricordo queste due caratteristiche, io auspico vivamente che esse, lungi dall'esser trascurate, possono avere ulteriore sviluppo in occasione del cinquantenario, per esser trasmesse come indicazioni di permanente validità e come patrimonio moralmente prezioso alle generazioni dei vostri figli e successori.


3. Ma patrimonio è anche il costume etico-religioso, basato sulla sincera adesione alla fede dei padri, e questo pure volli ricordare nel discorso ad Ancona (ibid., p. 267). Le Marche hanno, infatti, una tale ricchezza di tradizioni, di esempi, di istituzioni che ne rivelano immediatamente il volto cristiano.

Evidentemente la sola laboriosità, pur essendo un dato di grande valore, non potrebbe bastare: se l'uomo è una creatura che "sta più in alto" delle altre creature, ha il dovere di guardare al di là e al di sopra di esse. Avendo la luce dell'intelligenza, essendo elevato alla dignità di figlio di Dio, l'uomo deve mantenersi unito al Padre celeste, stabilendo e vivendo con lui un rapporto consapevole e personale che non è solo di venerazione e di fede, ma anche di affetto e di carità.

Siamo - come ben avvertite - nell'ambito di quel "primo e massimo comandamento" dato a noi da Gesù Cristo, il quale ancora ci ricorda: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mt 16,26). E che varrebbe - si potrebbe qui chiedere a modo di logica deduzione - il progresso economico-industriale, pur se grandioso ed incessante, se ci fosse un parallelo regresso nell'ordine spirituale e morale? Tocca anche a voi, cari lavoratori marchigiani, evitare nella vostra vita un tale funesto contrasto, impedendo che il benessere materiale metta in ombra l'autentico bene ch'è la virtù, e procurando che l'odierna tendenza al consumismo non porti alla pratica dimenticanza né, tanto meno, alla formale negazione di Dio.


4. C'è nella vostra Regione un centro spirituale che, se per tutti i cristiani è un suggestivo luogo di pellegrinaggio e di preghiera, lo è a titolo speciale per voi. Questo centro è Loreto, dove in base all'antica tradizione della santa Casa, ci è presentato con particolare rilievo uno dei misteri fondamentali della nostra fede: quello del Figlio unigenito di Dio, che si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria. Luogo eletto di pietà mariana è Loreto, ma, appunto, per tale suo diretto collegamento col mistero salvifico del Verbo Incarnato, è insieme luogo di meditazione inesauribile e di culto perenne a Cristo Signore e Redentore dell'uomo.

E' importante e necessario, cari lavoratori, che nella vostra vita professionale, come nelle vostre famiglie e nella trama delle relazioni sociali, ci sia sempre questa sensibilità fatta di interesse, di attenzione e di preoccupazione, per i valori primari ed irrinunciabili della fede cristiana, che costituiscono - ricordatelo sempre! - non soltanto un'eredità da conservare, ma anche un possesso personale da incrementare, da testimoniare, da partecipare ai fratelli.

Da parte mia, considerero utile e proficuo l'odierno incontro con voi, se accoglierete con animo aperto e generoso questa mia esortazione. Nella ricorrenza cinquantenaria io vi porgo sinceri auguri per la vostra attività di lavoratori onesti e competenti, ma - conformemente al mio ministero di Pastore della Chiesa - desidero additarvi e raccomandarvi l'ulteriore e più elevata prospettiva di un vivere cristiano, ispirato a coerenza esemplare.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-04-03
Venerdi 3 Aprile 1981


All'inaugurazione della mostra per il centenario dell'apertura dell'Archivio Segreto Vaticano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il lavoro d'archivio è atto d'amore alla verità

Sono di nuovo in mezzo a voi, in questo Archivio Segreto Vaticano, dove si conservano copiosi documenti che, com'è noto, ci tramandano le vicende storiche del passato, relative soprattutto alla vita della Chiesa nelle sue molteplici manifestazioni.

La mia presenza in questa occasione, come in quella del 18 ottobre dello scorso anno, è dovuta alle manifestazioni indette dall'Archivio Vaticano per commemorare il primo centenario della sua opera agli studiosi. Nello scorso ottobre ebbi il piacere e la gioia di inaugurare il grandioso complesso di ambienti che, si può ben dire, raddoppiano abbondantemente i locali dell'Archivio; ma non minore soddisfazione mi si offre oggi nell'inaugurare questa Mostra di documenti, che presenta a grandi linee un saggio dell'ingente materiale che l'Archivio Segreto Vaticano conserva: materiale che è divenuto oggetto di studio soprattutto dopo l'apertura, cento anni fa, dell'Archivio stesso.

Ringrazio vivamente il Signor Cardinale Antonio Samorè, Archivista di Santa Romana Chiesa - e con lui il Rev.mo Mons. Martino Giusti, Prefetto, e tutto il personale dell'Archivio Segreto Vaticano - per il cordiale saluto rivoltomi e per le amabili parole con le quali ci ha illustrato brevemente il significato e i contenuti della Mostra. L'espressione della mia riconoscenza si estende poi agli Em.mi Cardinali, alle Personalità della Curia, del mondo della cultura e a tutti i presenti per l'onore che recano con la loro presenza a questa cerimonia.

Nel compiacermi per la realizzazione di questa Mostra documentaria, non posso non sottolineare l'importanza che riveste una tale manifestazione nell'ambito culturale e didattico: ed è perciò molto bello che l'Archivio Vaticano abbia voluto inserirla nel programma delle celebrazioni per il centenario.

I documenti della Chiesa testimoniano, in particolar modo, la diffusione del regno di Cristo nel mondo, la continua e assillante preoccupazione del Papa e dei Pastori della Chiesa per il gregge loro affidato, nonché il loro desiderio e i loro sforzi per il trionfo della giustizia e della pace nel mondo. Si tratta quindi di testimonianze che meritano tutto il nostro rispetto.

Inoltre, di ciascun documento è da considerare l'alto valore, che è, nello stesso tempo, sacro e prezioso. Ecco perché non vi è alcun dubbio che anche gli archivi possano essere chiamati "sapientiae templa", in forza proprio di quella ricchezza di notizie e di sapere che essi racchiudono, e dell'impulso che essi danno alla ricerca storica, condotta con altissimo criterio scientifico.

Ecco pertanto che la cura, la conservazione, la presentazione degna e adeguata di questi documenti, dai più umili ai più preziosi, diventa un servizio prestato alla Verità. E' un atto di amore alla Verità. E, come ho detto il 18 ottobre scorso all'inaugurazione del nuovo locale di ampliamento dell'Archivio Segreto, "l'amore alla Verità è amore all'uomo ed è amore a Dio. Con tale persuasione la Chiesa collabora con tutti i mezzi possibili alla conoscenza, alla diffusione della Verità, e prosegue su questa via". Anche questa Mostra ne dà lieta conferma.

Perciò, consapevole di questo, il visitatore della Mostra, oltre ad ammirare il documento esposto - a volte vero capolavoro d'arte e di bellezza per la cura con cui è stato redatto - potrà trovare in esso, per il suo contenuto, anche tanto arricchimento e sollievo spirituale. Posso dunque auspicare, con le parole della Gaudium et Spes, che questa esposizione di documenti giovi a "coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell'ammirazione, dell'intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale, di coltivare il senso religioso, morale e sociale" (GS 59a).

Non dissimili da questi furono i sentimenti che animarono il mio predecessore, il Pontefice Leone XIII, nel mettere a disposizione degli studiosi gli Archivi della Santa Sede. Oggi, a distanza di un secolo, raccogliamo i frutti di quella provvidenziale decisione; frutti che abbiamo ragione di ritenere quanto mai soddisfacenti per il bene che ne è scaturito in favore della verità.

Nel congratularmi vivamente con i promotori e con quanti hanno collaborato alla realizzazione di questa Mostra, auguro che una manifestazione così significativa trovi pieno successo e imparto di cuore a tutti voi, qui presenti, l'apostolica benedizione.

Data: 1981-04-04
Sabato 4 Aprile 1981


Agli atleti della Società calcistica Spal di Ferrara - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lo sport palestra di vita

Cari atleti della Società calcistica di Ferrara!

1. La vostra visita quest'oggi mi procura una grande gioia: gioia di vedere in voi anzitutto i rappresentanti della diletta diocesi di Ferrara, la quale col suo Duomo stupendo e con le sue pure espressioni rinascimentali nel campo dell'architettura e della letteratura - basterebbe ricordare l'architetto Biagio Rossetti e il poeta Ludovico Ariosto - costituisce una delle città italiane più ricche di tradizioni culturali e sociali; gioia di accogliere una schiera di forti atleti, quali voi siete, che fanno dello sport una professione cosciente ed impegnata non solo per le buone sorti dell'Associazione calcistica, che dalla sua stessa sigla Spal (Società Polisportiva Ars et Labor) trae ispirazione per una prestazione sportiva generosa ed appassionata, ma anche per offrire un sano divertimento ai numerosi ammiratori, che ogni domenica affollano gli spalti degli stadi.


2. Dovendo venire a Roma per gli impegni del Campionato, voi avete anticipato il viaggio per poter vedere il Papa e per ascoltare la sua parola di esortazione.

Volentieri mi rivolgo a voi, come già ho fatto con altri gruppi di atleti e di sportivi che qui vi hanno preceduto, per manifestarvi il mio apprezzamento per la qualificata attività ludica che svolgete e per affidarvi una precisa consegna.

Come è noto, la Chiesa, che ha il mandato di promuovere tutto ciò che è proprio dell'uomo, essendo ogni azione umana sottoposta alla legge morale, ha un messaggio anche per gli sportivi. Essa non cessa di esortarli ad impostare la loro vita su una linea di lealtà, di sincerità, di rispetto e di dominio di sé, non solo sui campi delle loro competizioni, ma anche su quelli della civile convivenza. Lo sport diventa così palestra di addestramento non solo al gioco, ma alla vita. Dice il Concilio a questo proposito: "Gli uomini si arricchiscono... anche mediante esercizi e manifestazioni sportive, che giovano a mantenere l'equilibrio dello spirito anche nella comunità ed offrono un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni o di stirpi diverse" (GS 61).


3. Lo sport esercitato in questa visione globale ha un alto valore morale ed educativo: è una scuola di forti virtù, un addestramento anche alle conquiste ed alle vittorie dello spirito.

Voglio sperare che questo sia anche il vostro programma e il vostro impegno di atleti. Siate fedeli a questi valori che vi obbligano di fronte all'intera comunità come cristiani, non meno che come sportivi. Siate consapevoli della vostra responsabilità, rifuggendo da ogni compromesso e da ogni sotterfugio.

E' questa la consegna che io vi affido e l'augurio che vi faccio. Vi assista sempre il Signore nello svolgimento della vostra professione prestigiosa, ma anche tanto impegnativa per le sue ripercussioni psicologiche, sociali e civili. Avvalori questi voti la benedizione apostolica che ora imparto a voi tutti, ai Dirigenti della Società Spal, all'assistente spirituale ed ai vostri familiari qui presenti, come pure a quelli rimasti a casa.

Data: 1981-04-04
Sabato 4 Aprile 1981


Udienza nella Sala del Concistoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il saluto ai cadetti della Scuola Reale belga

Cari amici, In occasione del vostro breve soggiorno a Roma, avete manifestato il desiderio di essere ricevuti nella casa del Padre comune a tutti i fedeli cattolici. Sono felice di potervi salutare per alcuni istanti questa mattina, e di incoraggiarvi, ora che avete raggiunto l'età in cui si prendono le grandi decisioni per l'avvenire, a rinnovarvi nella vostra fede cristiana e ad approfondirla.

Si, uno dei compiti dei giovani nella nostra società secolarizzata è di rifiutare il conformismo per ritrovare un vero spirito cristiano, un modo cioè di comprendere se stessi ed il mondo alla luce del Vangelo. Questo comportamento implica spesso uno stile di vita molto austero, ma dinamico, coerente con la fede e molto gratificante.

Come dice San Paolo, "dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente" (Ep 4,23) grazie all'opera dello Spirito Santo che ci introduce nel mistero del Signore Gesù Cristo e della sua Chiesa. Cristo e Chiesa che non si possono separare: la mediazione della Chiesa è necessaria per conoscere Cristo e vivere la sua vita.

Mi auguro che il vostro soggiorno a Roma vi permetta di scoprire concretamente alcuni aspetti della realtà vivente della Chiesa attraverso i luoghi santificati dagli Apostoli Pietro e Paolo, dai martiri e da tanti santi della Chiesa. Spero che voi possiate scoprire che il Signore ha veramente dato alla sua Chiesa parole di vita eterna! Sono questi alcuni dei voti che formulo per voi, cari amici, in questo tempo di Quaresima, che invita ad una salutare revisione di vita. Raccomando al Signore le vostre persone ed il vostro avvenire, che mi auguro sia sempre e totalmente fondato sul senso di servizio. A voi, ai membri della vostra Scuola Reale dei Cadetti e particolarmente ai suoi docenti che vi accompagnano, e a tutte le vostre famiglie, impartisco di tutto cuore la Benedizione Apostolica.

(Traduzione dal francese)

Data: 1981-04-04
Sabato 4 Aprile 1981


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fermiamo il processo di distruzione delle coscienze umane



1. "Nolo mortem impii sed ut convertatur impius a via sua, et vivat" (Ez 33,11): "Io non godo della morte dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva".

Nolo mortem! Nella liturgia quaresimale ritornano molte volte queste parole, con le quali a esprimersi è Dio stesso, il Signore della vita, l'unico Signore della vita, il Dio che ama la vita! (cfr. Sg 11,26).

Da quest'amore prende inizio il mistero pasquale, in cui la morte viene superata dalla Morte e Dio si rivela fino in fondo quale Datore della vita indistruttibile. Quando ripetiamo nella preghiera: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14), pensiamo quale immenso valore ha avuto quell'unica vita umana concepita per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine di Nazaret. Facendo di questa vita un dono assoluto e definitivo al Padre, nella morte di croce, Cristo, con questo dono assicura alla vita la vittoria, e insieme riconferma la dignità unica e irrepetibile di ogni vita umana. Riconferma la legge fondamentale della vita.

Ogni uomo ha il diritto al dono della vita.


2. Il tempo di Quaresima esige da noi una profonda riflessione sui problemi della vita e della morte. Quanto più profondamente entriamo in questo periodo, quanto più ci avviciniamo al Triduum Sacrum, tanto più intensamente dobbiamo concentrarci su questo problema: sul problema della vita e della morte, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue conseguenze.

Esiste, infatti, nella nostra epoca una crescente minaccia al valore della vita. Questa minaccia, che particolarmente si fa notare nelle società del progresso tecnico, della civiltà materiale e del benessere, mette un punto interrogativo alla stessa autenticità umana di quel progresso.

Se, infatti, sostituissimo il diritto alla vita, il dono della vita con il diritto di togliere la vita all'uomo innocente, allora non potremmo dubitare che in mezzo a tutti i valori tecnici e materiali, con cui computiamo la dimensione del progresso e della civiltà, verrebbe infranto il valore essenziale e fondamentale che è la giusta ragione e il metro del vero progresso: il valore della vita umana, ossia il valore dell'esistenza dell'uomo, dato che vivere est viventibus esse.

Togliere la vita umana significa sempre che l'uomo ha perso la fiducia nel valore della sua esistenza; che ha distrutto in sé, nella sua conoscenza, nella sua coscienza e volontà, quel primo e fondamentale valore.

Dio dice: "Non uccidere!" (Ex 20,13). E questo comandamento è al tempo stesso il principio fondamentale e la norma del codice della moralità, iscritto nella coscienza di ogni uomo.

Se si concede diritto di cittadinanza all'uccisione dell'uomo, quando è ancora nel seno della madre, allora ci si immette per ciò stesso sulla china di incalcolabili conseguenze di natura morale. Se è lecito togliere la vita ad un essere umano, quando esso è più debole, totalmente dipendente dalla madre, dai genitori, dall'ambito delle coscienze umane, allora si ammazza non soltanto un uomo innocente, ma anche le stesse coscienze. E non si sa quanto largamente e quanto velocemente si propaghi il raggio di quella distruzione delle coscienze, sulle quali si basa, prima di tutto, il senso più umano della cultura e del progresso dell'uomo.

Coloro che pensano e affermano che questo è un problema privato e che bisogna difendere, in tal caso, il diritto strettamente personale alla decisione, non pensano e non dicono tutta la verità. Il problema della responsabilità per la vita concepita nel seno di ogni madre è problema eminentemente sociale. E contemporaneamente è problema di ciascuno e di tutti. Esso si trova alla base della cultura morale di ogni società. E da esso dipende l'avvenire degli uomini e delle società. Se accettassimo il diritto di togliere il dono della vita all'uomo non ancora nato, riusciremmo poi a difendere il diritto dell'uomo alla vita in ogni altra situazione? Riusciremmo a fermare il processo di distruzione delle coscienze umane?


3. Il periodo di Quaresima costituisce una sfida. Alla luce del mistero pasquale, al quale ci avviciniamo, entrando sempre più profondamente nella meditazione della passione e della morte di Cristo, bisogna che si risveglino le coscienze e assumano la grande causa del valore della vita e della responsabilità per la vita, che è, al tempo stesso, la responsabilità per l'uomo fino alle radici stesse della sua esistenza e della sua vocazione. E bisogna che aumenti anche la preghiera, perché si tratta di un problema di massima importanza dal punto di vista sia della dignità dell'uomo sia dell'avvenire degno di lui.

Ricordiamo che Dio dice: Nolo mortem!


4. Ho un'intenzione particolare da raccomandare vivamente, oggi, alla vostra preghiera a Maria.

Avrete saputo che durante la settimana scorsa si sono avuti (e tuttora continuano) nel Libano duri scontri con pesanti bombardamenti sulla capitale Beirut e specialmente sulla città di Zahle, un centro quasi interamente popolato da cristiani. Vi sono stati già moltissimi morti e feriti; hanno perso la vita una religiosa cattolica e due infermieri musulmani che, in un'auto-ambulanza, portavano soccorso alla popolazione. L'artiglieria ha colpito numerose scuole, ospedali e anche chiese, estrema è la difficoltà di fare evacuare i feriti e gli alunni degli istituti.

Il Libano, in cui si trovano fiorenti comunità cristiane, sta soffrendo da quasi sei anni una dolorosissima passione; dilaniato da conflitti, con regioni insicure o abbandonate, porta un duro carico che è effetto delle crisi del Medio Oriente. La Santa Sede è intervenuta secondo le sue possibilità e con fattivo impegno, per far arrestare la lotta e i bombardamenti; i Vescovi libanesi hanno invocato la solidarietà dei fratelli nell'Episcopato di tutto il mondo.

Chi più è esposto e più soffre è il popolo inerme, i cittadini che hanno dovuto lasciare le proprie case o si trovano nelle zone più battute dai bombardamenti.

E' una situazione angosciosa, l'agonia di tutto un Paese che non deve più prolungarsi e di fronte alla quale la coscienza e l'opinione pubblica internazionale non possono rimanere insensibili. Pregheremo oggi la Vergine di voler ottenere al Libano il dono della pacificazione e della serenità; chiederemo l'aiuto affinché tutti i responsabili abbiano la saggezza e il coraggio di prendere le decisioni dovute per far cessare gli scontri e le violenze e si adoperino perché si risolvano le tensioni che li stanno causando, cosicché le popolazioni libanesi possano ritrovare la strada dell'armonia e della pace.


5. Continuo a raccomandare anche i problemi della mia Patria.

Gli avvenimenti dell'ultima settimana hanno dimostrato ancora una volta che i polacchi cercano di risolvere, in modo pacifico, i loro difficili problemi interni, lasciandosi guidare dal senso di responsabilità per il bene comune.

Giustamente quindi l'opinione di tutto il mondo, di tutti i Paesi che veramente amano la pace, sottolinea - in conformità con i principi della convivenza internazionale - che il diritto della Nazione polacca alla soluzione ulteriore dei suoi importanti problemi interni deve essere pienamente rispettato.

Sono problemi importanti che corrispondono alla dignità stessa del lavoro umano e che possono essere risolti umanamente e soltanto con mezzi pacifici.

Raccomando ancora una volta i problemi della mia Patria alle preghiere della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà.

(Omissis. Seguono i saluti ai gruppi presenti)

Data: 1981-04-05
Domenica 5 Aprile 1981


Al personale dell'Ospedale Fatebenefratelli - Roma

Titolo: Siate sempre ministri della vita non mai strumenti di morte

Carissimi fratelli e sorelle dell'Ospedale Fatebenefratelli!

1. Sia lode a Dio che ha reso possibile questo incontro con voi, ospiti di questo vetusto e benemerito Ospedale dell'Isola Tiberina! Ringrazio il Signore che mi ha permesso di potermi intrattenere con voi per esprimervi la mia sincera affezione.

Desidero salutare il Priore Generale dell'Ordine ospedaliero di san Giovanni di Dio, Fratel Pierluigi Marchesi, compiacendomi per la gentile accoglienza e per le confortanti parole con le quali ha voluto introdurre questa riunione.

Un saluto altrettanto affettuoso va pure a tutti i Membri del Consiglio di Amministrazione; al Cardinale Vicario Ugo Poletti, al Vescovo Mons. Fiorenzo Angelini, incaricato per l'assistenza spirituale negli Ospedali e Case di cura di Roma; agli illustri sanitari; Primari, Aiuti ed Assistenti, al personale impiegatizio, paramedico ed ausiliario; ai cappellani, alle suore, al gruppo del volontariato e a quanti, a vario titolo, prestano qui la loro preziosa opera di solidarietà umana e cristiana in favore dei cari ammalati. Tutti saluto e a tutti rivolgo il mio incoraggiamento e il mio apprezzamento nel nome del Signore Gesù che, nel tempo della sua vita terrena, privilegio gli infermi e curo ogni sorta di malattie (cfr. Mt 1,39 Lc 4,44 Mt 9,35). Questi stessi pensieri rivolgo anche a tutti gli infermieri e le infermiere, da cui in gran parte dipende il buon andamento dell'Ospedale, perché sono i collaboratori più stretti dei medici e gli assistenti più vicini ai malati.


2. Trovandomi in questa sede, in occasione del quarto centenario della venuta a Roma dei religiosi dell'Ordine ospedaliero, meglio conosciuti col nome di "Fatebenefratelli" non posso non ricordare la storia che qui si è svolta per così lungo tempo. Le sue origini sono addirittura avvolte nell'alone della leggenda, secondo cui il primo nucleo di questo asilo sarebbe una nave rimasta sommersa nelle acque limacciose del Tevere. E' certo che già al tempo dei romani questa isola misteriosa era adibita a luogo di cura. Ma fu nel secolo XVI, dopo anni di abbandono, che essa riprese la sua destinazione sanitaria alla luce dell'amore cristiano, che è il distintivo dei seguaci di Cristo e che san Giovanni di Dio seppe così bene infondere nei suoi figli spirituali, i quali da secoli dirigono questo Ospedale con amorevole ed ammirabile cura. La loro presenza a Roma risale infatti al 1581, quando un piccolo numero di fratelli comincio a curare i poveri presso un piccolo Ospedale in Piazza di Pietra, tra le imponenti colonne dell'antico Tempio di Adriano. L'opera di assistenza, prestata con pietà cristiana dai primi religiosi spagnoli ed italiani, attiro presto la stima, il rispetto e la venerazione dei cittadini, al punto che quella prima sede fini per risultare troppo angusta per ospitare e curare tutti i poveri che si rivolgevano alla carità dei religiosi. Fu allora che da quel luogo l'Ospedale venne trasferito nel 1584 a questa sede più ampia e confortevole. In quasi 400 anni di attività esso ha restituito la salute e la gioia di vivere ad innumerevoli infermi di tante generazioni, che in questi quattro secoli si sono avvicendati in questo luogo di cura. Ai "Fatebenefratelli" va quindi il plauso e il ringraziamento da parte di Roma, della Chiesa e del Papa per questa benedetta opera benefica, che è per loro vero titolo di gloria.


3. Insieme con i religiosi, che dirigono questo Ospedale, il mio pensiero corre spontaneo e doveroso a tutti i sanitari che hanno prestato nel passato e prestano oggi la loro opera per la cura e il sollievo dei degenti.

Carissimi medici, colgo volentieri questa circostanza per riaffermare anche a voi, come già ho fatto in altre occasioni, la benevolenza, la stima e la speranza che la Chiesa ripone in voi e nella vostra esperienza in una missione tanto alta e generosa, quale è quella del servizio ai fratelli sofferenti. Mi piace, a questo proposito, far mie le parole, che il mio venerato predecessore Pio XII rivolse ad un gruppo di Chirurghi nel 1945: "Come è elevato, come è degno di ogni onore il carattere della vostra professione! Il medico è stato designato da Dio per venire incontro ai bisogni dell'umanità sofferente. Egli, che ha creato questo essere, consumato dalla febbre o lacerato, che qui vedete fra le vostre mani - Egli che lo ama di un amore eterno, vi ha affidato il compito nobilitante di restituirgli la sanità. Voi recate nella camera dell'infermo e sopra la tavola di operazione qualche cosa della carità di Dio, dell'amore e della tenerezza di Cristo, il grande Medico dell'anima e del corpo. Questa carità non è un sentimento superficiale, che manchi di fermezza... Essa è infatti amore che abbraccia tutto l'uomo, un essere che è fratello nell'umanità, ed il cui corpo ammalato è ancora vivificato da un'anima immortale, che tutti i diritti della creazione e della redenzione uniscono alla volontà del suo Maestro Divino" (Pio XII "Discorsi e Radiomessaggi", VI, (1945) 304).

Ho voluto riportare questo stupendo passaggio del discorso di Pio XII, perché mette in evidenza la missione dei medici e la solidarietà umana e cristiana che essi devono dimostrare insieme con la loro dottrina e con i progressi della sperimentazione. Anche voi, sotto la severa indagine scientifica, sempre necessaria per una diagnosi precisa, sappiate avere un afflato umano ed una profonda simpatia verso coloro che ricorrono al vostro aiuto. Siate sempre ministri della vita; non mai, non mai strumenti di morte! Fate tutto con amore, per amore di Cristo, il quale non lascerà senza ricompensa tutto quanto fate per i più piccoli fra i suoi: perché in ciascuno di essi Egli ha voluto identificarsi: "Quamdiu fecistis uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis" (Mt 25,40).

Questo motivo ideale vi sorregga nella vostra professione: sia esso il palpito segreto che nobilita i vostri sforzi; sia esso l'impegno sacro che vi fa scorgere nei sofferenti, soprattutto nei più abbandonati, il volto dolorante del Cristo e il suo sguardo pieno di riconoscenza. Lasciatevi guidare da questi sentimenti nella cura dei vostri ammalati e "Il Dio dell'amore e della pace sarà con voi" (2Co 13,11).


4. E a voi, cari ammalati, presenti a questa riunione o dislocati nelle corsie di questo Ospedale, che cosa diro? Vi rinnovo ancora una volta il saluto e la mia particolare affezione. E poi vi diro che mi siete cari: non solo per la carità che tutti ci dobbiamo a vicenda ma anche per il titolo particolare che vi fa partecipare più degli altri al mistero della Croce e della Redenzione; mi siete cari perché il dolore vi conferisce una dignità che merita preferenza di affetto; mi siete cari perché vedo in voi i tesori della Chiesa, la quale è continuamente arricchita col dono delle vostre sofferenze; mi siete cari perché pellegrini verso il Cielo, seguendo un sentiero erto ed aspro e passando attraverso la porta stretta; mi siete cari perché a voi appartiene la beatitudine riservata dal Cristo a coloro che soffrono. Siate quindi benedetti! A voi tutti provati dalla sofferenza, che mi ascoltate c'è forse bisogno di ricordare che il vostro dolore vi unisce sempre più all'Agnello di Dio, il quale mediante la sua Passione ha "cancellato il peccato del mondo"? (Jn 1,29). E che quindi anche voi, associati a Lui nella Passione, potete essere corredentori dell'umanità? Voi conoscete queste luminose verità. Non stancatevi mai di offrire le vostre pene per la Chiesa, perché tutti i suoi figli siano coerenti con la loro fede, perseveranti nella preghiera e ferventi nella speranza.

Quello che dissi al Cottolengo di Torino, ripeto oggi a voi con forza: "Col vostro dolore voi potete corroborare le anime vacillanti, richiamare al retto cammino quelle traviate, ridare serenità e fiducia a quelle dubbiose ed angosciate. Le vostre sofferenze, se generosamente accettate ed offerte in unione con quelle del Crocifisso, possono recare un contributo di primo piano nella lotta per la vittoria del bene sulle forze del male, che in tanti modi insidiano l'umanità contemporanea" ("", III, 1, (1980) 874).

Sappiate accettare e vivere in questa luce le vostre esperienze di dolore: non rifiutate mai di far dono al Signore ed alla Chiesa dei vostri sacrifici e delle vostre sofferenze nascoste: sarete voi stessi i primi ad averne merito e ricompensa.


5. Carissimi fratelli e sorelle, al termine del mio colloquio con voi in questo vespro della quinta domenica di Quaresima, non posso non far risuonare l'eco dell'annunzio di speranza, che abbiamo ascoltato nella proclamazione del Vangelo della Messa di quest'oggi. Prima di compiere il miracolo della risurrezione di Lazzaro a Betania, Gesù fa di sé una solenne proclamazione, che avrebbe dato a generazioni e generazioni di cristiani attraverso i secoli speranze non fallace, anzi fermissima certezza. Dice il Signore a Marta, sorella di Lazzaro: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà, chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno" (Jn 11,25-26). In quanto Figlio di Dio, Gesù non solamente e mediatore per i suoi fedeli, ma anche autore o causa efficiente di quella vita superiore, che vince la morte e non viene data soltanto nell'ultimo giorno, ma tutti i giorni. Il Signore chiede a Marta, e quindi a tutti noi, questa fede. Rispondiamo anche noi, insieme a Marta, con una professione di fede nella messianicità di Gesù: "Si, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo" (Jn 11,27). Riconosciamo anche noi il Cristo come il nostro Signore, come Colui che sta davanti a noi, come stava davanti a quella tomba di Lazzaro in Betania. Abbiamo bisogno anche noi di risurrezione. Tutta la nostra vita non è forse un risorgere dal male, dalla malattia e dalla morte? Ma non temiamo c'è un Salvatore, c'è Gesù Cristo tra noi. Egli ci sta davanti e ci grida come a Lazzaro: "Vieni fuori!" (Jn 11,43). Vieni fuori dalla tua infermità fisica e morale, dalla tua indifferenza, dalla tua accidia, dal tuo egoismo e dal disordine in cui vivi. Vieni fuori dalla tua disperazione e dalla tua inquietudine, perché è giunto il tempo preannunziato dai profeti, il tempo della salvezza, in cui "Io vi risuscito, o popolo mio... faro entrare in voi il mio spirito e rivivrete" (cfr. Ez 37,12-14).

Viviamo la nostra vicenda terrena con questa speranza e con questa prospettiva che dà alla nostra vita calma, serenità interiore, pace profonda e fiducia, nella comune certezza che in noi non c'è un briciolo di vita che non sia destinato a risorgere con Cristo.

In questo spirito, in prossimità delle sante Festività pasquali, esprimo di gran cuore a tutti e a ciascuno di voi fervidi voti di letizia cristiana e di continua risurrezione in Cristo, nostro Redentore.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-04-05
Domenica 5 Aprile 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Ai lavoratori delle industrie Merloni - Città del Vaticano (Roma)