GPII 1981 Insegnamenti - Appello - Città del Vaticano (Roma)


Al termine dell'incontro con i fedeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Invito a pregare per le Filippine, Irlanda del Nord e Libano

Non posso omettere di fare un riferimento alle drammatiche notizie che, purtroppo, hanno funestato la cronaca di questi giorni santi, turbando la gioia, che è il sentimento più spontaneo e più fresco promanante dal Mistero pasquale.

Sono fatti che voi certamente conoscete, ma che io desidero richiamare per un pressante invito alla preghiera: - Nel giorno di Pasqua sono state lanciate due bombe nella Cattedrale di Davao nelle Filippine: una sotto l'altare, mentre stava per iniziare la Santa Messa, l'altra davanti all'ingresso principale, seminando la morte e il panico tra la folla: 15 sono stati i morti e centinaia i feriti.

- Pure nell' Irlanda del Nord sono avvenuti gravi scontri rendendo piu tesa e minacciosa la situazione.

- Infine nel Libano è ripresa la lotta tra le opposte fazioni: a causa di nuovi, durissimi bombardamenti nelle città principali - come hanno comunicato stamane stesso i Vescovi di Zahle - molte persone sono state uccise e ferite.

L'aeroporto di Beirut e le citta di Tiro e di Sidone sono tuttora sotto il fuoco delle artiglierie, quasi che di quel nobilissimo Paese si voglia fare terra bruciata.

Dinanzi ai fatti del Libano, desidero rivolgere alle autorità politiche a livello interno ed internazionale un pressante appello, affinché vogliano risolutamente adoperarsi per far cessare tali dolorosissimi eventi. Per tutti i tre Paesi, sento il dovere di condannare fortemente ogni violenza da qualsiasi parte essa venga. Coloro che si dicono credenti in Dio, comprendano finalmente quale è veramente la volontà dell'Altissimo e quali siano le esigenze della propria fede religiosa. Non è lecito ad alcuno tradire questa fede, che sempre insegna e comanda la pace, la fraternità, l'amore reciproco e il rispetto della vita! Il dolore del Papa è il dolorc di tutta la Chiesa e degli uomini di buona volontà, e si trasforma in preghiera, alla quale caldamente vi invito, anzitutto, in favore degli innocenti, che troppo spesso sono vittime di questi sussulti di odio, ed anche per i responsabili, affinché siano illuminati, ed operino per il bene del proprio Paese e dei propri fratelli.

La solennità della Pasqua ispiri pensieri di pace, e non più di afflizione! L'esempio del divin Redentore spinga gli animi al perdono reciproco e alla mutua comprensione!

Data: 1981-04-22
Mercoledì 22 Aprile 1981


A sacerdoti e diaconi di lingua inglese - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella Risurrezione del Signore celebriamo il sacramento del sacerdozio

Diletti fratelli in Cristo,

1. Dopo la sua Risurrezione, nostro Signore Gesù Cristo ritorna tra i suoi discepoli. E' felice di essere ancora una volta in mezzo a loro. Mostra un profondo interesse personale nei loro confronti - li chiama "amici" e mangia con loro. E' questa la terza volta, come fa notare san Giovanni nel Vangelo di questa mattina, che Egli appare ai suoi discepoli. In questo modo Gesù manifesta la nuova vita ed il potere della sua Risurrezione.


2. Per noi oggi è importante notare che i discepoli ai quali Gesù è apparso - Pietro e Tommaso, Natanaele, Giacomo e Giovanni,- erano i suoi sacerdoti; erano coloro che erano stati con Lui poco tempo prima, all'Ultima Cena; erano tra coloro che lo avevano udito dire: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19). Con queste parole, secondo il costante insegnamento della Chiesa e la solenne dichiarazione del Concilio di Trento, Gesù conferi il Sacerdozio ai suoi Apostoli ed ordino che essi e i loro successori nel sacerdozio avrebbero offerto il sacrificio del suo corpo e del suo sangue (cfr. "Sess". 22, cap. 1, can. 2).


3. Questa mattina la nostra celebrazione della Risurrezione del Signore e unità alla celebrazione del Sacro Sacerdozio. Onoriamo questo Sacerdozio nel Signore Risorto, in Gesù Cristo stesso. Lo onoriamo nell'Arcivescovo White e negli altri membri che quest'anno commemorano il venticinquesimo anniversario della loro ordinazione. In questo modo onoriamo il Sacerdozio del Nuovo Testamento così come è stato trasmesso attraverso l'ininterrotta successione apostolica, e come presto sarà comunicato ai nuovi diaconi presenti qui oggi - il Sacerdozio sacrificale che perpetuerà il Mistero Pasquale e fortificherà la Chiesa finché Cristo non ritornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.


4. Il Sacerdozio che stiamo celebrando fa rivivere sacramentalmente nell'Eucaristia la morte e la glorificazione del Signore. L'Eucaristia è la proclamazione della Risurrezione di Cristo nella sua forma più alta, così come è la fonte ed il vertice di tutta l'evangelizzazione (PO 5).

Tutti gli sforzi di coloro che condividono il Sacerdozio di Cristo devono essere rivolti all'annuncio del mistero del Salvatore Risorto.

Il Sacerdozio della Chiesa Cattolica deve incessantemente proclamare la dottrina della Risurrezione. Affinché potesse far ciò, è stato meravigliosamente fornito della potenza dello Spirito Santo. Ed attraverso questa potenza dello Spirito Santo, la proclamazione della Risurrezione ha oggi la stessa capacità di suscitare la fede e di convertire i cuori come quando essa veniva compiuta dagli Apostoli Pietro e Giovanni. Bisogna tenere alto davanti al mondo il nome di Gesù Crocifisso e Risorto. Nel nome di Gesù, la Chiesa offre a tutte le genti una speranza invincibile - una speranza che può superare ogni tristezza, vincere ogni pessimismo, avere la meglio su ogni peccato e sconfiggere la morte stessa. Cristo Risorto dà speranza a tutto il mondo. Nel nome di Gesù c'è speranza di salvezza, risurrezione e novità di vita. Davvero, "non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12).


5. Dopo aver trascorso molti anni nel ministero sacerdotale - un ministero esercitato in modi differenti come la Chiesa di Dio e la sua provvidenza hanno disposto - non c'è nessuno tra noi che concelebriamo oggi questa Messa, che possa immaginare nel nostro sacerdozio una gioia più grande della gioia di proclamare continuamente il Mistero Pasquale nel suo rivivere sacramentalmente nel Sacrificio eucaristico.

Mai è Gesù Cristo più straordinariamente il Signore della vita che nell'Eucaristia, da dove il suo potere salvifico e vivificante si diffonde su tutta la terra. Attraverso l'Eucaristia, la vittoria ed il trionfo della Risurrezione di Cristo vengono comunicate all'umanità che ardentemente desidera riconciliazione, salvezza e vita.


6. Carissimi che celebrate il venticinquesimo anniversario della vostra ordinazione sacerdotale: la proclamazione sacramentale del Mistero Pasquale di Cristo non esaurisce l'intero vostro ministero nella Chiesa, ma costituisce certamente il suo aspetto più importante. La Messa è il centro della vostra vita sacerdotale. E' il contributo più dinamico ed efficace che potete rendere per il bene del popolo di Dio: morendo, Cristo ha distrutto la morte e risorgendo ha restituito la vita al suo popolo. E tutto ciò viene comunicato attraverso l'Eucaristia che è possibile solo grazie al sacerdozio.

Queste essenziali riflessioni non minimizzano altri aspetti del vostro ministero sacerdotale; non vi rendono meno disponibili agli innumerevoli servizi che il Popolo di Dio esige da voi. Ma ogni altra cosa acquista la sua giusta prospettiva dalla sua relazione con l'Eucaristia e dalla sua relazione con la nuova vita che Gesù vive attraverso la sua Risurrezione per la gloria del Padre.

Così, guardando indietro al giorno felice della vostra ordinazione sacerdotale e ricordando i vostri genitori, le vostre famiglie e tutti coloro che vi hanno aiutato ad arrivare al sacerdozio, non dovete dimenticare di guardare al futuro e di pensare a tutti coloro che dipendono da voi, e che, grazie al vostro fedele ministero, potranno "camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Per voi, miei cari fratelli sacerdoti, questo è dunque un giorno di rendimento di grazia e di rinnovata fedeltà. Per voi, cari diaconi, questa è un'occasione che dovrebbe suscitare in voi fiducia, generosità e preghiera. E per tutta la Chiesa, rappresentata qui anche dalle vostre famiglie e dai vostri amici, è un'ora di gioia - una gioia che noi tutti condividiamo con Maria, la Regina del Cielo, che gioisce nella Vittoria pasquale di suo Figlio risorto, nostro Signore e Sommo Sacerdote Gesù Cristo. Amen. Data: 1981-04-24
Venerdi 24 Aprile 1981


Ai Direttori diocesani delle PP.PP.MM. degli Stati Uniti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Impegno per le terre di missione e per il vostro popolo

Carissimi fratelli e collaboratori al Vangelo di Cristo,

1. Do il mio più cordiale benvenuto a tutti voi, Direttori diocesani della Società per la Propagazione della fede degli Stati Uniti d'America. Saluto in modo particolare il nuovo Direttore nazionale, Mons. McCormack, ed il suo zelante predecessore, l'Arcivescovo O'Meara. Sono lieto che in questa occasione abbiate scelto Roma per il vostro raduno quinquennale. La vostra scelta ci dà l'opportunità di riunirci insieme nel nome di Cristo; nello stesso tempo mostra il vostro desiderio di sottolineare il carattere ecclesiale del vostro lavoro integrandolo con la missione universale della Chiesa. Vi sono davvero molto grato per i sentimenti che vi spronano nel vostro ministero al servizio della fede.


2. In questa occasione desidero esprimere la mia profonda stima per la speciale missione affidatavi dai vostri Vescovi. Vi ringrazio per l'aiuto che voi date alle Chiese locali di tutto il mondo, e per quanto fate per le vostre diocesi. In breve, vi ringrazio per la vostra cooperazione al Vangelo, per i vostri prolungati sforzi per far si che il nome di Gesù sia sempre meglio conosciuto ed amato, nella vostra patria come all'estero.


3. Le vostre attività sono missionarie, e sono finalizzate prima di tutto al bene delle comunità ecclesiali nelle terre di missione. Offrendo alle giovani Chiese la solidarietà della carità fraterna, voi compite un atto grandemente meritorio.

Tutto l'aiuto generoso che accompagna tale solidarietà è una fedele espressione del Vangelo ed è da esso motivato. Con il vostro aiuto, l'opera di Gesù prosegue nelle Chiese locali; Gesù rimane con il suo popolo, "insegnando... e predicando il Vangelo del Regno e curando ogni malattia ed infermità" (Mt 9,35). Tutti i servizi resi possibili dalla vostra zelante collaborazione vogliono essere espressione dell'amore del Salvatore; devono centrare l'attenzione sulla persona e sulla parola di Gesù Cristo, il solo che rivela adeguatamente Dio all'uomo. Ma, poiché solo Cristo può rivelare adeguatamente l'uomo a se stesso, ogni cosa che voi fate al fine di promuovere la proclamazione della parola di Cristo è un servizio che eleva l'umanità stessa, dandole una maggiore comprensione della sua stessa natura e una maggiore consapevolezza della sua dignità.

Voi siete chiamati ad assistere innumerevoli fratelli e sorelle in tutto il mondo. Che grande privilegio è l'incoraggiare l'evangelizzazione, promuovere la catechesi ed anche facilitare il delicato aspetto della conversione dei cuori umani. Ecco come la Chiesa concepisce le esigenze del Vangelo e come essa richiede la vostra collaborazione. E voi non sbaglierete mai se concepirete la vostra attività missionaria in questo modo.


4. Ma oltre alla preziosa assistenza che voi prestate alle lontane Chiese locali, voi avete la possibilità di rendere uno stupendo contributo al vostro stesso popolo. Come Direttori diocesani della Società per la Propagazione della Fede operanti con i vostri Vescovi d'America, voi potete creare una mentalità missionaria nella vostra patria, arricchendo le vostre stesse comunità con quella grande verità proclamata con tanta forza dal Concilio Vaticano II: "La Chiesa pellegrina è per sua natura missionaria" (AGD 2). Concentrandovi su questa caratteristica essenziale della Chiesa di Cristo, e sulle concrete conseguenze di questa verità, voi offrite ai fedeli nuovi orizzonti, nuove sfide alla loro fede. E poiché noi crediamo nella sovrana azione dello Spirito Santo nei cuori dei fedeli, sappiamo che il popolo di Dio risponde generosamente alla nobile verità che sono chiamati a vivere. E questa grande generosità della fede e dell'amore del vostro popolo viene confermata giorno dopo giorno dalla vostra esperienza pastorale come dalla mia.

Proprio nel momento del donare, le vostre Chiese locali ricevono abbondantemente, proprio come diceva Gesù: "Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante..." (Lc 6,38). Attraverso una realizzazione concreta della natura missionaria della Chiesa universale, le Chiese locali stesse diventano veramente forti ed autenticamente postconciliari. Consci della necessità di avvalersi di mezzi sovrannaturali per adempiere il loro ruolo missionario, le Chiese locali diventano comunità di preghiera e di intercessione "perché la parola di Dio si diffonda e sia glorificata..." (2Th 3,1). Rispondendo alla grazia, esse si aprono agli immensi bisogni degli altri, imponendo a se stesse una dimensione di austerità, frugalità e di sacrificio; soprattutto, esse diventano Chiese infiammate dello zelo di Cristo, il Capo, che nelle sue membra continua ad esclamare: "Bisogna che io annunzi il Regno di Dio anche alle altre città: per questo sono stato mandato" (Lc 4,43)


5. E' mia speranza che voi manteniate sempre questi alti ideali che corrispondono alla vostra speciale missione nella Chiesa. Con la convinzione profonda che state lavorando a qualcosa che non è marginale ma che ha un valore perenne e che è essenziale per la diffusione del Regno di Dio, cercate costantemente di incoraggiare i vostri collaboratori - coloro che lavorano nei vostri uffici, così come il gran numero di uomini, di donne e bambini che operano nelle parrocchie e che hanno ben compreso quanto Paolo VI affermo succintamente: "L'evangelizzazione è infatti la grazia e la vocazione proprie della Chiesa, la sua più profonda identità" (EN 14).

Continuate, cari fratelli, con perseveranza e gioia profonda, il vostro compito missionario di proclamare, direttamente o indirettamente, Gesù, il Cristo Risorto, il Figlio del Dio vivente. Ora e sempre vi assista Maria, Regina delle Missioni e Madre dei sacerdoti, con le sue preghiere.

Data: 1981-04-24
Venerdi 24 Aprile 1981


In Piazza san Pietro a diversi gruppi di fedeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Essere salesiani nel mondo d'oggi sull'esempio dei due fondatori

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo!

1. In questa speciale udienza generale in Piazza san Pietro, in questa festività civile italiana, ho la grande gioia di salutare voi, allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice, venute a Roma da tutta l'Europa insieme alle vostre educatrici per commemorare il Centenario della morte della fondatrice santa Maria Domenica Mazzarello, e voi, ammalati e assistenti dell'Unitalsi di Varese, che col vostro pellegrinaggio romano ricordate quarant'anni di attività dell'istituzione.

Nella letizia di questi giorni pasquali, accogliete il mio saluto affettuoso e cordiale, che porgo a tutti e a ciascuno di voi, insieme al mio ringraziamento per questo vostro gesto di fede cristiana e di filiale venerazione verso la persona del Papa. La vostra presenza, così piena di entusiasmo e di generosità, mi conforta e mi allieta e sono felice di potervi manifestare il mio compiacimento e la mia stima, sia per i lavori di gruppo compiuti da voi, giovani, in questi giorni di riflessione e di amicizia, sia per l'impegno dell'Unitalsi varesina a vantaggio dei fratelli sofferenti.


2. In occasione del Centenario dell'Istituzione della Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Paolo VI rivolgendosi alle suore salesiane poneva due pressanti interrogativi: "Saprà la vostra Congregazione rispondere all'appello della Chiesa nella tormentata ora che volge? Con quali mezzi farà si che la vitalità antica del ceppo robusto, piantato dai vostri santi fondatori, continui a fiorire in tutta la sua pienezza?" ("Insegnamenti di Paolo VI", X, p. 753, 15 luglio 1972). E Rispondeva che non c'era che un mezzo: la santità, assicurata dal primato della vita interiore, mediante l'"amore adorante ed operativo" di cui è esempio Maria santissima.

L'odierno grandioso incontro di così numerose allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per commemorare il centenario della morte della fondatrice, è un segno che tale vitalità santa e santificatrice è tuttora ben presente, nello spirito di santa Maria Domenica Mazzarello.

Si legge nella sua biografia che fin dal primo incontro con Don Bosco, avvenuto nel piccolo paese di Mornese della diocesi di Acqui nell'ottobre del


1864, ella intui la santità del sacerdote torinese, per cui, attratta dalla sua spiritualità, andava esclamando: "Don Bosco è un santo, io lo sento!". Quando poi nel 1872 venne eletta superiora della nuova Congregazione, suor Maria Mazzarello non aveva timore di dire alle consorelle, in un modo quasi paradossale: "Viviamo alla presenza di Dio e di ... Don Bosco!". D'altra parte lo stesso Don Bosco poteva confidare un giorno a Don Cagliero: "La loro Congregazione è pari alla nostra: ha lo stesso fine e gli stessi mezzi". Ella infatti sentiva e possedeva profondamente lo spirito "salesiano" di Don Bosco.

Voi, care giovani, avete meditato in questi giorni in che cosa consiste tale "spirito salesiano"; ed ora, tornando nella vostra patria, nelle vostre famiglie e nei vostri ambienti sociali e culturali, io vi esorto caldamente a viverlo con profonda convinzione e con lieto coraggio.

Essere "salesiani", seguendo le orme di Don Bosco e di suor Maria Mazzarello, significa prima di tutto comprendere, stimare e vivere ad ogni costo la realtà della "grazia" ricevuta col Battesimo. Questa fu la prima e suprema preoccupazione dei due fondatori, ed a questo fine era strutturata tutta la loro pedagogia naturale e soprannaturale. Prima di ogni umano valore e prima di ogni scelta, riflettete sulla vostra intima amicizia con Cristo, sulla vostra partecipazione alla stessa vita divina, sulla vostra chiamata alla eterna felicita! Da questa fondamentale verità nascono il bisogno della preghiera e dei Sacramenti, la confidenza in Maria santissima, il controllo dei sensi e delle passioni.

Essere "salesiani" significa poi possedere il senso soprannaturale della letizia e della gioia, che porta ad un sano e costruttivo ottimismo, nonostante le difficoltà della vita. Il Cristo che muore in croce e poi risorge glorioso ci dice appunto che bisogna andare avanti, senza timori, con fiducia, con speranza: "Tutto concorre per il bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno" (Rm 8,28). Portate pertanto la letizia dei vostri cuori ardimentosi, dei vostri animi puri e innocenti, delle vostre vite ardenti nei luoghi del lavoro, della scuola, del gioco, nei vostri incontri giovanili, nelle vostre case! Ed infine, essere "salesiani" significa sentire lo slancio apostolico, il bisogno di far conoscere l'amore e la misericordia del Divino Redentore a tutto il mondo, a tutti coloro, e sono miliardi, che non lo conoscono ancora, specialmente a tanti giovani, che smarriti e delusi in una società che li deprime ed amareggia, molte volte sono tentati dalla disperazione. Siate apostole nei vostri ambienti, partecipando delle gioie e dei dolori degli altri, animate da affetto fraterno, misericordiose, umili (cfr. 1P 3,8); siate apostole, se il Signore vi chiama, consacrando a Lui e alle anime tutta la vostra vita.

Questo è l'impegno e la consegna che vi lascio al termine del vostro incontro romano, nel nome di santa Maria Domenica Mazzarello!


3. A voi, poi, ammalati e assistenti dell'Unitalsi desidero affidare una riflessione sul valore della Pasqua nella vostra vita.

Siamo tutti testimoni, talvolta intimoriti. del fatto che la società moderna sembra favorire prevalentemente un regime di piacere e di godimento, legato all'utile individuale, dimenticando l'etica naturale e rivelata, trascurando i valori spirituali e soprannaturali. Eppure, il bisogno di un significato ultimo è ineliminabile nell'uomo; il bisogno metafisico e religioso non si può sradicare. L'etica, anche se calpestata in qualche modo rinasce e risorge, perché l'uomo è proteso oltre il tempo e lo spazio e vuole sapere il significato della sua esistenza. Nei corsi e ricorsi della storia, si rivela che non la rivoluzione socio-politica soddisfa le aspirazioni dell'umanità, ma la rivoluzione interiore delle coscienze, alla luce del messaggio di Cristo.

Il Cristo risorto, che ha vinto l'angoscia del Getsemani e le umiliazioni della passione e ha superato la sconfitta della morte, sia sempre davanti ai vostri occhi, per avere ovunque e sempre il coraggio di testimoniare nel mondo Ia vostra fede e la vostra fiducia. Tale testimonianza e di grande aiuto per il ritorno di molti alla verità.

Saluto di cuore anche gli altri gruppi di pellegrini presenti a questa udienza e li assicuro del mio affetto e della mia preghiera.

Auspico vivamente che la devozione a Maria Ausiliatrice sostenga tutti, mentre volentieri vi imparto la mia confortatrice benedizione apostolica, che estendo ai familiari e alle persone a voi care.

Data: 1981-04-25
Sabato 25 Aprile 1981


All'arrivo a Sotto il Monte (Bergamo)

Titolo: Il binomio fede e lavoro nelle terre bergamasche

Onorevole Signor Ministro, Signor Sindaco!

1. Esprimo ad entrambi il mio vivo e cordiale ringraziamento per le deferenti ed amabili parole, a me rivolte. In esse ho sentito vibrare i nobili sentimenti del caro popolo italiano e, in particolare, dei cittadini di Sotto il Monte e dei Bergamaschi tutti. E, mentre porgo a voi il mio cordiale saluto, intendo anche salutare con sincero affetto quanti qui rappresentate, a livello sia nazionale che locale.

Sono veramente lieto di trovarmi a Sotto il Monte, paese universalmente noto per aver dato i natali al mio predecessore il Papa Giovanni XXIII del quale ricorre quest'anno il centenario della nascita e del quale porto il nome, insieme a quello di Paolo. Per questo sono venuto: per rendere omaggio a lui, alla sua figura di uomo buono e di Pastore illuminato, il quale ha segnato profondamente di sé la storia contemporanea della Chiesa, soprattutto mediante la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Sono sicuro che egli ha tratto una parte notevole, e forse la più determinante, della sua personalità dalle radici umane e cristiane di questa terra, che lo ha visto crescere e formarsi e che ha contribuito appunto alla configurazione definitiva della sua statura morale e spirituale.

Per rendergli adeguato omaggio, dunque, dovevo necessariamente venire qui, tra voi, dove in certo qual modo sopravvive una parte di lui: in questo bel paesaggio, in queste case, nella chiesa parrocchiale del paese, e soprattutto nel cuore di questa gente, di cui egli è stato e rimane rappresentante eminente, perché suo specchio fedele.


2. So che la terra bergamasca, alla quale appartiene anche Sotto il Monte, è giustamente conosciuta in Italia per la sue profonde tradizioni religiose. E so che queste hanno costantemente ispirato e sorretto in tanti uomini e donne una dedizione generosa, insieme sofferta e lieta, al lavoro ed alla sua fatica.

Ebbene, è a questo insieme che oggi voglio anche rendere omaggio. Proprio il binomio di fede e lavoro costituisce la vera grandezza dell'uomo, il quale trova nel cristianesimo l'originale possibilità di crescere e maturare secondo la misura che gli è peculiare. Se è vero che una fede non incarnata negli impegni quotidiani finisce per diventare astratta o sterile, è anche vero che il lavoro, privato del suo timbro cristiano, diventa amorfo, se non degradante, perché gli è sottratto il lievito che trasforma e potenzia non solo il lavoro ma l'uomo stesso.

Tutto questo è stato imparato e concretamente vissuto da innumerevoli generazioni di queste contrade, dai vostri antenati e da voi stessi. E di tali generazioni Papa Giovanni XXIII è stato un frutto maturo, che ha reso onore al ceppo delle proprie origini, sviluppando e portando a dimensione universale quelle virtù di base.

Perciò, la mia visita odierna accomuna in un solo atto di omaggio Papa Giovanni XXIII e la terra e la gente, da cui egli è uscito. E se un augurio mi è consentito, e che quei classici fondamenti umani e cristiani, pur nell'evoluzione sociale e dei costumi, non vengano meno; anzi a misura dei nuovi tempi, essi trovino sempre posto nelle sollecitudini di ciascuno e di tutti per una convivenza ed una società, che sarà davvero a dimensione umana, non respingendo il passato ma valorizzandone continuamente il meglio, nella fedeltà a quei valori che costituiscono un patrimonio incomparabile e nel rinnovamento che richiedono le istanze dell'epoca presente.

E che il ricordo di Papa Giovanni ci ispiri e ci sostenga, mentre io di cuore tutti vi benedico.

Data: 1981-04-26
Domenica 26 Aprile 1981


L'omelia a Sotto il Monte (Bergamo)

Titolo: Nella devozione dei popoli a Papa Giovanni l'estremo bisogno di bontà per l'umanità

Carissimi fratelli e figli!

1. "Abbiamo contemplato, o Dio, / le meraviglie del tuo amore!".

Queste parole della liturgia ben si addicono a questa "Domenica in Albis", in cui, commemorando il Centenario della nascita di Papa Giovanni XXIII nel suo stesso paese natale, contempliamo il meraviglioso dono che il Signore ci ha fatto con la sua vita e il suo insegnamento.

E' con l'animo colmo di letizia e di commozione che mi trovo oggi, qui, a Sotto il Monte, per questa solenne e tanto significativa cerimonia, celebrata con voi, a cui porgo il mio affettuoso saluto.

Mi ha spinto qui il desiderio vivissimo di tributare al venerato mio predecessore un onore ed una riconoscenza che gli sono dovuti non solo dalla Chiesa, ma da tutti gli uomini, che hanno goduto della sua bontà e della sua saggezza.

Gran parte di voi, abitanti di Sotto il Monte e di Bergamo, ha conosciuto Papa Giovanni, l'ha visto, l'ha incontrato; ha parlato con lui, ha sentito la sua voce, calda, amorevole e suadente, sensibile ad ogni gioia e ad ogni umana sofferenza. Ed anch'io lo ricordo con viva commozione alla prima assise del Concilio Vaticano II e soprattutto all'incontro finale di essa, quando ci diede il saluto, che voleva essere un arrivederci, ed invece era l'ultimo addio.

E in modo particolare mi piace ricordare l'affetto che Papa Giovanni sempre senti verso la mia Patria, la Polonia. Egli, il 17 settembre 1912, in occasione del Congresso Eucaristico di Vienna, visito Cracovia e celebro nella Cattedrale, all'altare della Croce miracolosa del Wavel, com'egli amava ricordare con estrema esattezza di particolari; inoltre visito molte volte il Santuario mariano di Jasna Gora, scoprendo nei profondi sentimenti religiosi del mio popolo qualcosa di affine, che lo inteneriva e lo confortava.

Era giusto, pertanto, era doveroso, che in una circostanza così singolare e solenne, il suo successore sulla Cattedra di Pietro, venisse nel paese natale per meditare sul suo messaggio e respirare la sua spiritualità.


2. Come a voi è ben noto, il venerdi 25 novembre 1881, nella famiglia Roncalli nasceva Angelo Giuseppe, quarto di tredici figli, e quella stessa sera la campana della chiesa parrocchiale squillava, per annunziarne l'avvenuto Battesimo.

E così noi oggi commemoriamo non solo la nascita alla luce del sole del piccolo "Angelino", ma anche la nascita spirituale alla vita della grazia e della fede di colui che sarebbe diventato, come disse Paolo VI, "il Papa della bontà, della mansuetudine, della pastoralità della Chiesa" ("Insegnamenti di Paolo VI", vol. 1P 534); il Papa che seppe amare tutti e che da tutti fu amato per le sue caratteristiche di paternità, di serenità, di sensibilità umana e sacerdotale.

Infatti, il motivo del suo così straordinario successo nella stima e nell'affetto del mondo intero, allora e oggi, è stata la sua bontà: l'umanità ha un estremo bisogno di bontà, e per questo ha amato Papa Giovanni e tuttora lo venera e lo invoca.

Sembra di vederlo per queste strade, per questi colli, tra queste case, in questo suo paesaggio, così ardentemente diletto e ricordato con tenerezza fino agli ultimi giorni della vita, il "suo caro nido di Sotto il Monte", in cui tutti gli anni, quando gli fu possibile, da sacerdote, da Vescovo, da Cardinale, venne a rifugiarsi, per temprare il suo spirito "in gratia et fide", come lo avevano educato i genitori e il padrino, il prozio Zaverio.


3. Se ci domandiamo dove e come Papa Giovanni acquisto tali doti di bontà e di paternità, unite a una fede cristiana sempre integra e pura, è facile rispondere: dalla sua famiglia.

Egli stesso, per tutta la sua lunga vita e in un numero grandissimo di scritti privati e ufficiali, ricorda, con commozione e riconoscenza, il suo patriarcale focolare domestico, gli anni della sua fanciullezza e della sua adolescenza trascorsi in un ambiente limpido e sereno, in cui lo stile era la grazia di Dio vissuta con semplicità e coerenza, la regola di vita era il catechismo e l'istruzione parrocchiale, il conforto era la preghiera, specialmente la Messa festiva e il Rosario vespertino, l'impegno quotidiano era la carità: "Eravamo poveri - scriveva Papa Giovanni - ma contenti della nostra condizione, fiduciosi nell'aiuto della Provvidenza. Quando un mendicante si affacciava alla porta della cucina, dove una ventina di ragazzi attendeva la scodella di minestra, un posto in più c'era sempre. Mia madre s'affrettava a far sedere l'ospite accanto a noi" (Giovanni XXIII "Il giornale dell'anima", IV, ed., Appendice).

La catechesi familiare e parrocchiale fu il suo nutrimento spirituale; la fedeltà alle pratiche di pietà e ai riti della Chiesa fu il suo impegno costante, perché ebbe nei genitori l'esempio, lo stimolo e la sua prima scuola di teologia. Con dolce affabilità ricordava in un discorso: "La cara immagine della Madonna, sotto il titolo di "Ausiliatrice", fu per molti anni familiare ai nostri occhi di fanciullo e di adolescente nella casa dei nostri genitori" ("Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII", vol. IV, p. 307). E nel discorso tenuto per l'ottantesimo suo genetliaco disse: "E' da questi ricordi che prese inizio e nutrimento di venerazione quanto si riferiva alla vita religiosa, al santuario delle nostre famiglie, modeste, laboriose, timorate di Dio e serene" (Idem, vol. IV, p. 23).

Nella notte di Natale del 1959, Egli con viva nostalgia riandava ai tempi lontani e con semplicità e saggezza tracciava le linee della dottrina cristiana circa la famiglia: "Come erano ben vissute le grandi realtà della famiglia cristiana! Fidanzamento nel riflesso della luce di Dio, matrimonio sacro ed inviolabile nel rispetto delle quattro note caratteristiche: fedeltà, castità, mutuo amore, e santo timore del Signore; spirito di prudenza, di sacrificio nell'educazione attenta dei figli; e sempre in ogni circostanza, amore del prossimo, perdono, spirito di sopportazione, fiducia, rispetto verso gli altri. E' così che si edifica una casa che non crolla" (idem, vol. Il, p. 96).


4. La sua fede originata dalla famiglia, illuminata e confermata dallo studio serio e metodico compiuto in Seminario nel solco della Sacra Scrittura, del Magistero della Chiesa, della Patristica e della Teologia qualificata e approvata, accompagnata poi lungo il corso degli anni dalla lettura e dalla meditazione dei grandi maestri dell'ascetica e della mistica, rimase in tal modo sempre integra e profonda, senza patire gli sbandamenti del modernismo, senza deviare mai dalla retta strada della Verità. Nel 1910 annotava nel Giornale dell'anima: "Ringrazio in ginocchio il Signore che mi abbia mantenuto illeso in mezzo a tanto ribollire ed agitarsi di lingua e di cervello... Devo ricordare sempre che la Chiesa contiene in sé la giovinezza eterna della verità e di Cristo che è di tutti i tempi... Il primo tesoro della mia anima è la fede, la santa fede schietta e ingenua dei miei genitori e dei miei buoni vecchi".

Da tale fede genuina e trasparente, istillatagli dalla famiglia, sgorgo pure il suo totale e fiducioso abbandono alla Provvidenza espresso nel motto ispiratore della sua vita: "Oboedientia et Pax"; nacque la visione soprannaturale ed escatologica dell'esistenza e di tutta la storia, per cui egli cammina alla luce dei "novissimi" e della "teologia dell'aldilà". Questa fede, intimamente gustata come Verità assoluta e come significato dell'umana esistenza, si espresse con soavità e confidenza nelle pratiche di pietà, che alimentano la vita cristiana: le tante belle devozioni che lungo i secoli sono fiorite sul fertile ceppo del dogma: l'unione con Cristo Eucaristico e Crocifisso, con il Sacro Cuore; la devozione a Maria santissima, agli Angeli, ai santi; il costante ricordo delle anime del Purgatorio; e naturalmente le visite al Santissimo Sacramento, la Confessione regolare, la recita del Rosario, i ritiri e gli Esercizi spirituali, la meditazione, i pellegrinaggi.

E' una fede giustamente e rettamente tradizionale, che pero non è statica, congelata, indebitamente conservatrice nel mutare esigente e travolgente dei tempi e delle situazioni; anzi, è meravigliosamente giovanile, intrepida, aperta, lungimirante, tanto da ideare ed iniziare il Concilio Vaticano II e da sentire, con acuta intelligenza, tutte le problematiche che accompagnano l'epoca moderna, come ben dimostrano le encicliche "Mater et Magistra" e "Pacem in Terris".


5. Papa Giovanni fu veramente un uomo mandato da Dio! Immensamente ricca e preziosa è l'eredità che egli ci ha lasciato. Ma in questa sua terra natale, dove dalla famiglia ebbe i primi germi della fede che poi si sviluppo in un modo così sorprendente e fecondo, io desidero ricordare e accogliere in particolare quanto egli ci dice riguardo alla famiglia.

Egli già aveva messo in guardia circa i pericoli incombenti su di essa: "Questo santuario - diceva col pianto nel cuore - è minacciato da tante insidie.

Una propaganda talora incontrollata si serve dei poderosi mezzi della stampa, dello spettacolo e del divertimento per diffondere, specialmente nella gioventù, i germi nefasti della corruttela. E' necessario che la famiglia si difenda... approfittando anche, quando è necessario, della tutela della legge civile" ("Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII" 1P 172). Perciò, il suo insegnamento rimane valido e perenne, perché è la voce della Verità ed è ciò che nell'intimo auspica ed attende l'animo di ogni persona. Mi piace sintetizzare quell'insegnamento nei seguenti cinque "punti fermi".

- Anzitutto la sacralità della famiglia, e quindi anche dell'amore e della sessualità: "La famiglia è dono di Dio - diceva - essa implica una vocazione che viene dall'alto, alla quale non ci si improvvisa" ("Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII", III, p. 67). "Nella famiglia si ha la più mirabile e stretta cooperazione dell'uomo con Dio: le due persone umane, create a immagine e somiglianza divina, sono chiamate non soltanto al grande compito di continuare e prolungare l'opera creatrice, col dare la vita fisica a nuovi esseri, cui lo Spirito vivificatore infonde il possente principio della vita immortale, ma anche all'officio più nobile e che perfeziona il primo, della educazione civile e cristiana della prole" (idem, Il, p. 519). A motivo di questa essenziale caratteristica, Gesù volle che il matrimonio fosse un "Sacramento".

-La moralità della famiglia. "Non lasciamoci ingannare, accecare, illudere - ammoniva con cristiana e paterna saggezza - la Croce è sempre l'unica speranza di salvezza; la Legge di Dio è sempre là, con i suoi dieci comandamenti, a ricordare al mondo che solo in essa è la salvaguardia delle coscienze e delle famiglie, che solo nella sua osservanza sta il segreto della pace e della tranquillità di coscienza. Chi se ne dimentica, anche se sembra rifuggire da ogni impegno di serietà, si costruisce presto o tardi la propria tristezza e miseria" (idem, II, p. 281-282). E in altra occasione aggiungeva: "Il culto della purezza è l'onore e il tesoro più prezioso della famiglia cristiana" (idem, IV, p. 897).

- La responsabilità della famiglia. Papa Giovanni ha fiducia nell'opera educativa dei genitori, sostenuta dalla grazia divina. Rivolgendosi alle mamme diceva: "La voce della madre quando incoraggia, invita, scongiura, rimane scolpita a fondo nel cuore dei suoi, e non si dimentica più. Oh, soltanto Dio conosce il bene suscitato da questa voce, e l'utilità che essa procura alla Chiesa e all'umana società" (idem, II, p. 67). E ai padri soggiungeva: "Nelle famiglie dove il padre prega ed ha una fede lieta e consapevole, frequenta le istruzioni catechistiche e vi porta i suoi figli, non ci saranno bufere e desolazioni di una gioventù ribelle e disamorata. La nostra parola vuol essere sempre di speranza; ma siamo certi che, in talune espressioni sconfortanti di vita giovanili, la più grande responsabilità va cercata anzitutto in quei genitori, specialmente nei padri di famiglia, che rifuggono dai precisi e gravi doveri del loro stato" (idem, IV, p. 272).

-La finalità della famiglia. Su questo punto, Papa Giovanni era chiaro e lineare: lo scopo per cui si nasce è la santità e la salvezza, e la famiglia è voluta da Dio per questo scopo. Vent'anni fa, nella lettera-testamento, scritta in occasione dei suoi ottant'anni, ricordando ad uno ad uno i suoi diletti familiari, diceva: "questo è ciò che più vale: assicurarsi l'eterna vita, confidando nella bontà del Signore che tutto vede e a tutto provvede" (3 dicembre 1961). E commentando i singoli misteri del Rosario, affermava di pregare al terzo mistero gaudioso per i bambini di tutte le stirpi umane venuti alla luce nelle ultime ventiquattr'ore (idem, IV, p. 241).

- L'esemplarità della famiglia cristiana. Papa Giovanni esortava caldamente genitori e figli cristiani ad essere esempio di fede e di virtù nel mondo moderno, sul modello della Sacra Famiglia: "II segreto della vera pace - diceva - del mutuo e duraturo accordo, della docilità dei figli, del fiorire di un gentile costume, sta nella imitazione continua e generosa della dolcezza, della modestia, della Famiglia di Nazareth" (idem, II, p. 118-119). Papa Giovanni è sicuro che da queste famiglie esemplari possono sgorgare numerose e scelte vocazioni sacerdotali e religiose, nonostante le difficoltà dei tempi.

Questa è in sintesi la dottrina del grande ed amabile pontefice circa la famiglia, dottrina che suona aperta condanna delle teorie e delle prassi, che sono contro l'istituto familiare.

La figura sorridente e buona di Papa Giovanni, così vicina al cuore di tutti gli italiani, concorra a far riemergere ancora una volta nell'animo quel patrimonio di bontà e di solidarietà, caratteristico di un Popolo che vuole la vita e non la morte dell'uomo, la promozione e non la distruzione della famiglia.


6. Carissimi fratelli e figli! Il ritrovarci qui, oggi, a Sotto il Monte, con Papa Giovanni per commemorare il Centenario della sua nascita, è indubbiamente una grande gioia per tutti ed una soave consolazione; ma deve essere anche un incentivo per tenere sempre presente il suo esempio e per ascoltare la sua parola: "Ogni credente - egli scriveva nella "Pacem in Terris" - deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa" (PT 57).

Questo è l'impegno che vi lascio in suo nome! Lo lascio a voi, abitanti di Sotto il Monte e di tutta la terra bergamasca, da lui tanto amata, seguendo le indicazioni del piano pastorale, ottimamente indetto dal vostro Vescovo.

Lo lascio a tutti i fedeli della Chiesa, sacerdoti e laici, e lo estendo a tutti gli uomini di buona volontà, che sono stati attratti e commossi dalla paterna figura di Papa Giovanni.

Sia prezioso patrimonio di tutti anche la tenera devozione a Maria santissima, che sempre contrassegno la sua vita. "A null'altro essa tende che a rendere più robusta, pronta e operante la nostra fede", sono sue parole. "Maria aiuterà tutti noi, che siamo pellegrini quaggiù: con il suo sostegno supremo supereremo le immancabili tristezze ed avversità e ci abitueremo a guardare il Cielo, con serenità e letizia" (idem, II, p. 707).

Papa Giovanni ci accompagni con il suo esempio e la sua preghiera per le strade faticose della nostra vita. Egli è un buon amico: ascoltiamolo! La sua eredità è davvero una benedizione!

Data: 1981-04-26
Domenica 26 Aprile 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Appello - Città del Vaticano (Roma)