GPII 1981 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Sono venuto perché abbiano la vita"



1. "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

Con queste parole termina il Vangelo di oggi, quarta domenica di pasqua.

E' Cristo Buon Pastore che pronuncia queste parole. E' Cristo, che chiama se stesso "porta delle pecore" (Jn 10,7).

Desidero riferire queste parole sull'abbondanza della vita prima di tutto al dono della grazia, che ci ha portato Cristo nella sua Croce e nella Risurrezione. Desidero riferirle anzitutto allo Spirito Santo, "che è Signore e dà la vita", e confessiamo la fede in Lui con le parole che, da sedici secoli, il primo Concilio Costantinopolitano pone sulle labbra della Chiesa.

Lo Spirito Santo è l'autore della nostra santificazione: Egli trasforma l'uomo nel suo intimo, lo divinizza, lo rende partecipe della natura divina (cfr. 2P 1,4), come il fuoco rende incandescente il metallo, come l'acqua sorgiva disseta: "fons vivus, ignis, caritas". La grazia è comunicata dallo Spirito Santo per il tramite dei sacramenti, che accompagnano l'uomo durante tutto l'arco della sua esistenza. E, mediante la grazia, Egli diventa il dolce ospite dell'anima: "dulcis hospes animae": inabita nel nostro cuore; è l'animatore delle energie segrete, delle scelte coraggiose, della fedeltà incrollabile. Egli ci fa vivere nell'abbondanza della vita: della stessa vita divina.

E proprio per questa sollecitudine circa l'abbondanza della vita Cristo rivela se stesso come Buon Pastore delle anime umane: Pastore che prevede l'avvenire definitivo dell'uomo in Dio; Pastore che conosce le sue pecore (cfr. Jn


10,14) fino al fondo stesso della verità interiore dell'uomo, il quale può parlare di se stesso con le parole di sant'Agostino: "Inquieto è il mio cuore, finché non riposi in Te" (cfr. "Confessiones" I, 1).


2. Cari fratelli e sorelle! Ecco, voi rappresentanti delle parrocchie e delle comunità di tutta Roma siete oggi riuniti in piazza san Pietro per testimoniare che, nel corso di questi mesi e delle ultime settimane, avete pensato alla vita umana, prima di tutto alla vita nascosta sotto il cuore della donna madre, alla vita dei nascituri. Questa vita l'avete fatta oggetto delle vostre meditazioni, del vostro impegno di credenti, di uomini e di cittadini, ma soprattutto ne avete fatto il tema delle vostre preghiere. Avete meditato sulla responsabilità particolare verso la vita concepita, che, secondo il retto sentire dell'uomo, deve essere circondata da una particolare sollecitudine e protezione, da parte sia dei genitori stessi, sia anche della società, in particolare degli uomini che, in diversi modi, sono responsabili di questa vita.


3. Ciò facendo, voi avete dimostrato la vostra solidarietà all'invito dei vostri Vescovi, i quali, durante la Quaresima, hanno attirato l'attenzione di tutta la società sulla grande minaccia che incombe su questo valore fondamentale che è la vita umana e in particolare la vita dei nascituri. E' compito della Chiesa riaffermare che l'aborto procurato è morte, è l'uccisione di una creatura innocente. Di conseguenza, la Chiesa considera ogni legislazione favorevole all'aborto procurato come una gravissima offesa dei diritti primari dell'uomo e del comandamento divino del "Non uccidere".


4. Tutti questi vostri sforzi, tutto il lavoro della Chiesa, in Italia come in ogni altra parte del mondo, che mira ad assicurare la santa inviolabilità della vita concepita, io oggi desidero presentare a Cristo, il quale ha detto: "Sono venuto perché abbiano la vita". Affinché questi esseri umani più piccoli, più deboli, più indifesi abbiano la vita, affinché questa vita non venga loro tolta prima che nascano, noi appunto a questo serviamo e serviremo in unione col Buon Pastore perché questa è una causa santa.


5. Servendo questa causa, serviamo l'uomo e serviamo la società, serviamo la patria. Il servizio all'uomo si manifesta non solo nel fatto che difendiamo la vita di un nascituro. Esso si manifesta contemporaneamente nel fatto che difendiamo le coscienze umane. Difendiamo la rettitudine della coscienza umana, perché chiami bene il bene e male il male, perché essa viva nella verità. Perché l'uomo viva nella verità, perché la società viva nella verità.

Quando Cristo dice: "Sono venuto perché abbiano la vita..." pensa anche, anzi soprattutto, a quella vita interiore dell'uomo che si manifesta nella voce della retta coscienza.

La Chiesa sempre ha ritenuto il servizio alla coscienza come il suo servizio essenziale: il servizio reso alla coscienza di tutti i suoi figli e figlie - ma anche alla coscienza di ogni uomo. Poiché l'uomo vive la vita degna dell'uomo quando segue la voce della retta coscienza e quando non permette di assordire in se stesso e di rendere insensibile questa coscienza.

Così servono gli uomini - proprio i più poveri e più bisognosi - tutti quegli uomini e quelle donne che, nel mondo, si dedicano alla difesa della vita, della vita dei corpi e delle anime: missionari e missionarie, suore, medici, infermieri, educatori, tecnici. Basti per tutti ricordare ancora, come a noi ben nota, madre Teresa di Calcutta, la cui voce in difesa della vita dei nascituri si alza non solo dall'India, ma anche dai diversi punti della terra. In Giappone, recentemente, ha detto: "Ogni bambino ucciso con l'aborto, è un indice di grande povertà, perché ogni vita umana è importante ed ha un carattere speciale per Dio".

Facendo tutto per salvare l'uomo dalla miseria materiale, madre Teresa - questo mirabile testimone della dignità dell'umanità - fa di tutto per difendere anche la sua coscienza dalla insensibilità e dalla morte spirituale.


6. Cari fratelli e sorelle! Eleviamo i nostri cuori nella preghiera alla Madre del Redentore, invitandola alla gioia pasquale, come ora facciamo in questo periodo. E contemporaneamente preghiamo la Madre più santa di tutte le madri - per ogni madre su questa terra e per ogni bambino nascituro nel suo seno.

Preghiamo per le madri la cui coscienza è maggiormente minacciata quando consente che venga tolta la vita al suo bambino... Cristo ha detto: "La donna, quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo" (Jn 16,21). Preghiamo per una tale gioia della vita anche se riscattata dalla sofferenza e dalla lotta interiore. Preghiamo per la gioia delle coscienze.

"perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

(Al termine della recita del Regina Coeli il Santo Padre ha aggiunto:) Stamani, domenica del Buon Pastore, ho celebrato la Santa Messa nella Basilica Vaticana con i partecipanti al Congresso Internazionale per le Vocazioni, che inaugura oggi i suoi lavori. Desidero affidare alle vostre intenzioni ed a quelle di tutto il popolo cristiano lo svolgimento di tale Congresso, il cui fine è di promuovere la pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari. Occorre ottenere da Dio copiosi doni di luce per i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici, che in questi giorni si raccoglieranno per discutere ed approfondire l'importante argomento, da cui dipende in tanta parte il futuro della Chiesa. Non manchi, dunque, a questi nostri fratelli, la solidarietà e la preghiera dell'intera comunità cristiana.

Nessuno lasci mancare la sua preghiera perché il Signore doni al mondo numerose e sante vocazioni.

Data: 1981-05-10
Domenica 10 Maggio 1981


Alla Comunità Parrocchiale di San Tommaso d'Aquino - Roma

Titolo: Rafforzare continuamente il nostro legame con Cristo



1. "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Jn 10,14).

Queste parole di Cristo risuonano oggi al centro della liturgia della quarta domenica di pasqua, tra il canto dell'Alleluia. Con queste parole voglio onorare insieme a voi, cari fratelli e sorelle, il Cristo Risorto. Egli, mediante la sua passione e morte, si è rivelato come Pastore che offre la vita per le sue pecore - e nella sua risurrezione ci ha dato la certezza che Egli vive per i secoli, e guida il suo ovile alla vita eterna.

Ecco come scrive a questo proposito san Pietro nella sua prima lettera: "Egli non commise peccato e non si trovo inganno sulla sua bocca, / oltraggiato non rispondeva con oltraggi, / e soffrendo non minacciava vendetta, / ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. / Egli porto i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, / perché, non vivendo più per il peccato, vivesse per la giustizia; / dalle sue piaghe siete guariti, / ...siete (infatti) tornati al pastore e guardiano delle vostre anime" (1P 2,23-25).


2. La parrocchia dedicata a san Tommaso d'Aquino è una particella della Chiesa: una parte di quel grande "ovile", che guarda con fede e speranza al Buon Pastore.

Oggi mi è dato visitare questa parrocchia romana; come Vescovo di Roma mi è dato di compiere tra voi un particolare servizio di pastore nel nome di Cristo risorto - nel nome del Buon Pastore.

Porgo innanzitutto il mio cordialissimo saluto a tutti voi, cari parrocchiani, che siete parte viva del Popolo di Dio ed in specie di questa Chiesa romana. Saluto il Cardinale Vicario Ugo Poletti ed il Vescovo di Zona Giulio Salimei; e rivolgo un particolare saluto al parroco ed ai suoi più stretti collaboratori nel ministero parrocchiale che hanno preparato degnamente questa visita. Intendo anche salutare tutte le Famiglie religiose qui rappresentate e i vari movimenti cattolici. Ho presente in speciale modo i laici impegnati nell'apostolato, che incoraggio a proseguire generosamente nella loro benemerita attività, i malati col tesoro delle loro sofferenze, i giovani con il loro entusiasmo ed il loro desiderio di un mondo migliore. Tutti vi porto nel mio cuore e nella mia preghiera.

Questa parrocchia è dedicata ad un grande santo Tommaso d'Aquino, che ha speso la sua vita non solo negli studi filosofici, ma soprattutto nell'approfondimento della fede cristiana. Per questo tutti noi abbiamo bisogno del suo aiuto, perché possiamo rendere veramente adulta, cioè matura, stabile, serena e feconda per la vita la nostra adesione a Cristo Signore.

Sono molto lieto di essere tra voi e di poter conoscere le vostre attività specialmente nel campo liturgico e nella catechesi; ma è una grande pena per me vedere che siete tuttora senza un vero e proprio edificio di culto e che la vostra parrocchia manca di ogni altra struttura materiale necessaria per il buon funzionamento di una istituzione, che vuol venire incontro a tutte le varie categorie di persone. La vita cristiana non dipende certamente da un edificio, tuttavia la sua mancanza porta innegabili disagi, perché manca la "Casa comune".

La rapida crescita della popolazione, che in breve tempo ha raggiunto quasi le ottomila unità, e che aumenterà ancora notevolmente secondo il progetto di un nuovo insediamento nella parte agricola del territorio, richiede di fare passi concreti per l'attuazione di questa tanto desiderata e necessaria costruzione.

Vi auguro di cuore che essa possa presto realizzarsi! Anzi sarei veramente lieto se questa domenica del Buon Pastore, se questa visita del Papa desse un valido impulso alla soluzione di questa così sentita esigenza.

Non manchi il vostro impegno e la vostra preghiera anche per quanto riguarda la costruzione della nuova Chiesa. La Provvidenza divina non lascerà mancare l'aiuto necessario, come è avvenuto anche per tante altre comunità.


3. Sono certamente molto familiari a noi le parole del Salmo 22 che nell'Antico Testamento costituisce quasi una preparazione alla allegoria evangelica del Buon Pastore.

Lo abbiamo appena letto, in forma responsoriale, dopo la prima lettura Biblica. Esso è ricco di immagini, che appartengono a due ambiti diversi. Prima di tutto si parla di "pascoli", che significano il sicuro nutrimento spirituale fornitoci dal Signore; di "acqua", che disseta ogni nostra arsura; di "cammino", che fa vedere come la nostra vita sia in movimento verso un traguardo; e di "valle oscura", che rappresenta le varie difficoltà da noi incontrate. Queste immagini derivano dall'ambito del rapporto tra pastore e gregge. Ma poi ci sono immagini, che richiamano una gioiosa situazione conviviale: perciò si parla di "mensa" imbandita, che significa l'abbondanza offertaci dalla comunione col Signore; di "olio", in riferimento alla sua accogliente ospitalità - e di "calice" traboccante, poiché il Signore con noi è sempre magnanimo e generoso.

Il Salmo intero e soprattutto l'ultimo versetto, "Felicita e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abitero nella casa del Signore per lunghissimi anni", manifesta la felicità illimitata che suscita Cristo, Buon Pastore, il quale guida l'uomo per le vie della "felicità e grazia" durante la vita terrestre, per farlo giungere definitivamente "alla casa del Signore".

Cristo Risorto, dopo la sua passione, ha suscitato tale fiducia illimitata negli apostoli e nei discepoli e in coloro ai quali, per la loro opera, è giunta la testimonianza del Vangelo. Anche nei tempi difficili di oggi, quando spesso ci capita di passare per "una valle oscura" - e più di una volta può anche farsi sentire in noi "il timore del male", preghiamo con la stessa fiducia.


4. Cristo nella liturgia odierna chiama se stesso non soltanto "il pastore", ma anche "la porta delle pecore" (Jn 10,7).

In questo modo, Gesù combina insieme due metafore diverse, particolarmente espressive. L'immagine del "pastore" è contrapposta a quella di "mercenario" e serve a sottolineare tutta la profonda sollecitudine di Gesù per il suo gregge, che siamo noi, fino al punto da dare completamente se stesso per la nostra salvezza: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Jn 10,11). In questa linea si esprimerà anche la lettera agli Efesini: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ep 5,25). Spetta a noi riconoscere in Lui l'unico nostro Signore e seguire "la sua voce" (Jn 10,4), evitando di attribuire queste caratteristiche ad un qualunque mercenario umano, al quale in definitiva "non gli importa delle pecore" (Jn 10,13), ma solo il proprio tornaconto. E questa riflessione ci introduce a capire anche l'altra immagine della "porta".

Gesù dice: "Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" (Jn 10,9). Con queste parole Egli afferma ciò che annunceranno poi i suoi Apostoli: "Non vi è altro nome dato agli uomini... nel quale possiamo essere salvati" (Ac 4,12). Egli è l'unico nostro accesso al Padre (cfr. Ep 2,18 1P 3,18). Ed in Lui tutta la nostra vita trova la sua più autentica libertà di movimento: "Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù" (Col 3,17).


5. Questo quadro così ricco della verità pasquale è steso davanti ai nostri occhi dalla liturgia della domenica odierna. Basta soltanto guardare questo quadro? e forse lasciarsi incantare da esso? Bisogna in più ricavare da esso quella chiamata di Dio, che è iscritta profondamente in questo splendido quadro biblico. Bisogna sentire questa chiamata.

Bisogna accoglierla come indirizzata a ciascuno di noi. Accettarla con il cuore e con la vita.

Tutto questo ha dei risvolti concreti per la nostra esistenza cristiana.

Innanzitutto, bisogna rafforzare continuamente il nostro legame con Cristo Buon Pastore, e farlo in ogni circostanza della nostra vita: sia quando ci troviamo presso "acque tranquille", sia quando veniamo a trovarci "in una valle oscura"; Egli, infatti, è sempre il nostro Pastore, e noi dobbiamo anche essere sempre pecore di sua proprietà.

In secondo luogo, occorre pregare per coloro che nella Chiesa svolgono il servizio pastorale: questo, infatti, è insieme il loro grande onore ed il loro peso: partecipare al ministero di Pastore di Cristo, un compito che ha assolutamente bisogno della collaborazione e del sostegno di tutta la comunità ecclesiale.

In terzo luogo, è necessario pregare in modo particolare per le vocazioni al sacerdozio ministeriale, affinché non manchino i Pastori della Chiesa. "La messe è molta" (Lc 10,2) ed occorrono operai nel campo del Signore.

Proprio stamattina si è aperto in san Pietro un Congresso Internazionale sulle Vocazioni nelle Chiese Particolari, e la vostra preghiera può contribuire ai suoi risultati positivi.


6. Tuttavia, oltre queste importanti conclusioni pratiche, si devono dedurre dalla liturgia odierna ancora altre conclusioni importanti, che riguardano ogni cristiano. Infatti ognuno in qualche modo partecipa alla missione e alla sollecitudine di Cristo Buon Pastore.

Ciascun battezzato, infatti, ha una sua parte di responsabilità nella Chiesa, che viene tanto più riconosciuta ed esercitata quanto più si ha coscienza della propria conformazione a Cristo e la si vive. Come scrive san Paolo, "a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune... Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1Co 12,


7.27). Ed è possibile realizzare questa funzione a livello molto pratico.

Per esempio, i genitori hanno una missione pastorale nei confronti dei figli, poiché sono preposti alla loro educazione non solo umana ma anche cristiana; d'altra parte, anche i figli devono avere una speciale sollecitudine verso i genitori, soprattutto quando questi sono anziani e vanno amorevolmente accuditi, ma pure in via normale per ricambiare le cure e l'affetto di cui sono stati circondati. Inoltre, anche tra marito e moglie è necessaria una vicendevole attenzione, che non si esprime solo mediante l'amore sponsale, ma altresì con atteggiamenti di sostegno nelle difficoltà, di comune crescita nella fede e di reciproca esortazione alla vita cristiana. Una sollecitudine tutta particolare deve caratterizzare il mondo degli ammalati; qui, prima di tutto, sono i sani, cioè i medici e gli infermieri, oltre ai parenti, a dover prendersi cura del sofferente in modi non solo professionali ma anche umani. Ma in più, agli stessi malati spetta una originale funzione ministeriale nei confronti della comunità cristiana, come scrive san Paolo: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Co 12,10), cioè in grado di far servire le proprie sofferenze per il bene di tutti. E devo dire che io stesso molte volte sperimento i buoni effetti di questa "sollecitudine" esercitata verso di me da persone diverse, in particolare dai sofferenti ed ammalati. E ne ringrazio il Signore.


7. E in questo senso, a conclusione dell'omelia, rivolgo il mio vivo augurio alla vostra parrocchia con le parole di san Pietro.

Carissimi: "Se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo pati per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme" (1P 2,20-21).

Parrocchia di san Tommaso d'Aquino! Ti auguro che lo Spirito di Cristo, Buon Pastore, ti penetri sempre più profondamente! Ti auguro che tu viva la sua "felicità e grazia"! Amen!

Data: 1981-05-10
Domenica 10 Maggio 1981


Udienza alla Delegazione della Università Jagiellonica di Cracovia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella verità servire il bene dell'uomo

Salutando la delegazione dell'Università Jagiellonica di Cracovia desidero ripetere quanto mi è cara la giornata odierna proprio per la vostra presenza, per quello che voi rappresentate, e per quelli che rappresentate.

Chiamavo sempre l'Università Jagiellonica la mia "Alma mater" con profonda convinzione; per cui voi rappresentate in un certo senso questa "mia madre". E' una espressione metaforica ma nello stesso tempo è piena di significato autentico.

Risponde ad una grande realtà, una grande realtà spirituale, storica, culturale.

Vi accolgo come inviati appunto di questa "Alma mater", a cui sono profondamente legato, alla quale devo molto della mia vita. Questa eredità, che ho portato qui con me e che porto in me ovunque, dovunque mi guida il mio servizio attuale, la mia missione attuale.

Chiedo a lor Signori, al Signor Decano, al Signor Professore, al Dottore, a Lei rappresentante degli studenti di filologia polacca, quindi dei miei più giovani colleghi, di voler essere di fronte a tutta la Società accademica, di fronte al Magnifico Rettore, al Senato Accademico, a, tutti i professori, scienziati e studenti, messaggeri della mia più grande gratitudine.

Contemporaneamente chiedo che siate messaggeri del mio legame con il grande centro accademico dell'Università Jagiellonica e di tutta Cracovia. Per di più il fatto che questo incontro odierno, si svolge l'11 maggio, cioè, nel 617°, anniversario della fondazione dell'Università Jagiellonica, rende ciò ancora più eloquente.

Ancora una volta vi ringrazio; come avevo detto precedentemente, così ripeto ora all'attuale generazione della nostra "Alma mater" e alle generazioni a venire: come la nostra possano essere fiere di quest'eredità, e auguro che siano fedeli a quest'eredità, perché in questo modo costruiranno, e nel migliore dei modi, le fondamenta per il futuro della nazione, dello stato in ogni settore.

Settori che del resto sono sempre più numerosi a testimonianza anche della necessità di dividere la vecchia università in diversi atenei. Ciononostante alla base di tutti i settori specializzati sta una comune realtà, organicamente legata all'università e cioè la realtà di servire la verità ed in questa verità di servire il bene dell'uomo e della nazione.

Di cuore auguro la benedizione divina nelle diversificate attività dell'Università Jagiellonica, della mia "Alma mater".

Data: 1981-05-11
Lunedì 11 Maggio 1981





Istituzione del Pontificio Consiglio per la Famiglia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Studio e orientamento pastorale riguardo ai problemi della famiglia

Desidero ora annunziarvi che, allo scopo di venire incontro nella maniera più adeguata alle attese circa i problemi riguardanti la famiglia espresse dall'episcopato del mondo intero, soprattutto in occasione dell'ultimo Sinodo dei Vescovi, ho ritenuto opportuno istituire il Pontificio Consiglio per la Famiglia, il quale sostituirà il Comitato per la Famiglia, che, come è noto, faceva capo al Pontificio Consiglio per i Laici.

A tale nuovo Organismo - che sarà presieduto da un Cardinale, coadiuvato da un Consiglio di Presidenza composto da Vescovi delle varie parti del mondo - spetterà la promozione della cura pastorale delle famiglie e dell'apostolato specifico in campo familiare, in applicazione degli insegnamenti e degli orientamenti manifestati dalle competenti istanze del Magistero ecclesiastico, in modo che le famiglie cristiane siano aiutate a compiere la missione educativa, evangelizzatrice ed apostolica, a cui sono chiamate.

Ho deciso inoltre di fondare presso la Pontificia Università Lateranense, che è l'Università della diocesi del Papa, un Istituto internazionale di studi su matrimonio e famiglia, il quale inizierà la sua attività accademica col prossimo ottobre. Esso intende offrire a tutta la Chiesa quel contributo di riflessione teologica e pastorale, senza la quale la missione evangelizzatrice della Chiesa verrebbe a mancare di un ausilio essenziale. Esso sarà il luogo nel quale si approfondirà la conoscenza della verità sul matrimonio e sulla famiglia, alla luce della fede, con l'aiuto anche delle varie scienze umane.

Chiedo a tutti di accompagnare con le proprie preghiere queste due iniziative, che vogliono essere un nuovo segno della sollecitudine e della stima della Chiesa nei confronti dell'istituzione matrimoniale e familiare, e della importanza che Ella le attribuisce sia in ordine alla propria vita che a quella della società.

Data: 1981-05-13
Mercoledì 13 Maggio 1981


La celebrazione per il 90° anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annunciare il Vangelo al mondo del lavoro

Nella commemorazione del novantesimo anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum" di Leone XIII, sua Eminenza Agostino Casaroli ha pronunciato il seguente discorso che il Santo Padre aveva intenzione di rivolgere ai gruppi di lavoratori riuniti per l'occasione in Piazza san Pietro: Cari fratelli e sorelle! Liebe Bruder und Schwestern! Queridos Irmaos e Irmas! Dierbare Broeders en Zusters!

1. Permettetemi innanzitutto di esprimere la mia grande gioia per questo incontro con voi, carissimi lavoratori. Voi siete qui convenuti da differenti Paesi per testimoniare insieme, in questa Piazza san Pietro, la cattolicità della vostra fede e la vostra fedeltà alla Chiesa. Per questo vi ringrazio con particolare intensità di affetto. In modo speciale saluto innanzitutto voi, provenienti dalla cara Italia e appartenenti a diverse organizzazioni e movimenti di ispirazione cristiana. Sappiate che sono lieto della vostra presenza, perché ogni incontro con i lavoratori ed ogni sosta in mezzo a loro significa sempre per me un'intima gioia. Voi occupate un posto speciale nel mio cuore. Io mi sento interamente uno di voi. E spesse volte ho già avuto modo di dire che cosa rappresenta per me la mia personale esperienza di lavoratore. Perciò mi sono costantemente presenti i diritti ed i bisogni di chi presta il proprio lavoro, come ho sottolineato in diverse occasioni qui a Roma, in altri luoghi d'Italia ed anche nei miei pellegrinaggi in vari Paesi e Continenti. Possa anche l'incontro odierno essere una testimonianza dell'amore e della speranza, con i quali il Papa è legato ai lavoratori. Questo amore e questa speranza derivano dalla profonda convinzione che oggi i valori cristiani del Vangelo trovano un nuovo posto nel mondo del lavoro.

Abbiamo sentito poco fa la lettura biblica tratta dal Genesi, che allude allo stretto rapporto esistente tra la creazione del mondo ad opera di Dio ed il conseguente lavoro dell'uomo. Per noi cristiani c'è un intimo intreccio tra le due realtà: da una parte, Dio consegna il mondo all'uomo, alla sua iniziativa e responsabilità, perché lo trasformi e lo migliori sempre più, ponendolo al proprio servizio; dall'altra, l'uomo, così operando, dev'essere consapevole della propria nobiltà di collaboratore alle intenzioni stesse di Dio. E come Dio non vuole agire senza uno specifico apporto umano, così l'uomo non può comportarsi come se egli fosse l'esclusivo sovrano del creato. Una tale frattura sarebbe, come già è stata ed è, il più profondo e deprecabile motivo di ogni ingiustizia, perché squilibrando i rapporti con Dio, si dissestano anche quelli tra gli uomini.


2. Cari lavoratori, siamo qui radunati per celebrare il novantesimo anniversario di un documento del Magistero ecclesiastico in campo sociale, che fu e resta di eccezionale importanza e attualità per la lucidità ed il coraggio con cui insegna a guardare i problemi nuovi che il divenire storico pone alla Chiesa e all'umanità. Infatti, esattamente il 15 maggio 1891, il mio predecessore Papa Leone XIII pubblico quella fondamentale enciclica intitolata "Rerum Novarum", che doveva diventare la "magna charta" del pensiero sociale cristiano. La voce di Leone XIII allora si levo alta in difesa degli operai, degli oppressi, dei poveri, degli sfruttati. La sua voce era l'eco chiara e sonora della voce di Cristo stesso, che si faceva carico dei problemi del tempo.

Annunciare il Vangelo al mondo del lavoro: questo fu lo stimolo del Papa Leone XIII, quando emano la sua profetica enciclica per formulare i principi sociali della Chiesa. Egli volle rimarcare il contributo della fede per la soluzione delle questioni sociali. Analizzo i difficili problemi, che i mutamenti della società avevano suscitato. E così poté anche offrire proposte concrete per rimediare ai mali insorgenti, mettendo pure in rilievo gli elementi positivi che stavano delineandosi.

La Chiesa del XIX secolo si trovava di fronte ad una sfida decisiva. Per secoli essa era rimasta radicata in una società di tipo agricolo. Ma si scopri allora annunciatrice del Vangelo ad una nuova forma di società, quella industriale. Le tocco il compito di smascherare le nuove strade dell'egoismo, della cupidigia e della volontà di potenza. Si trattava di difendere dallo sfruttamento il lavoro ed i lavoratori. I grandi profitti dovevano essere posti al servizio del benessere comune. Bisognava risolvere gli insorgenti conflitti mediante l'amore e la giustizia. Ci si doveva opporre a ideologie, che non potevano soddisfare la dimensione globale dell'uomo e dei suoi bisogni. C'era da richiedere il giusto salario, la sicurezza per il sostentamento della famiglia, il diritto di associazione, la protezione dei più deboli ed una legislazione sociale.


3. Anche oggi questi vari imperativi non sono superati; essi vanno sempre ancora ricordati, anche se la situazione sociale di allora è difficilmente confrontabile con quella presente. La storia ha fatto progressi enormi. E così anche la dottrina sociale della Chiesa doveva continuare ad essere scritta: il Papa Pio XI compose l'enciclica "Quadragesimo anno" (1931); Pio XII lancio il messaggio radiofonico del 1° giugno 1941; Giovanni XXIII pubblico le encicliche "Mater et Magistra" (1961) e "Pacem in Terris" (1963), Paolo VI la "Populorum Progressio" (1968) e la lettera Apostolica "Octogesima Adveniens" (1971).

E' importante, pero, che questi Documenti siano conosciuti e soprattutto che la loro ansia pastorale si trasfonda in ciascuno di voi, anzi in ciascun cristiano. E' mediante la vita che bisogna verificare la fecondità della Dottrina Sociale Cristiana; ed è mediante l'impegno concreto, la testimonianza sul lavoro, l'azione di promozione, che bisogna irradiare sugli altri la benefica luce del Vangelo. Ai nostri giorni la questione sociale ha assunto una dimensione complessa e universale che ha sempre più bisogno di una norma etica. così, non è possibile perseguire la giustizia soltanto ad un puro livello economico, quando essa venne poi conculcata sul piano delle libertà individuali o associative o dei bisogni spirituali di ciascuno. Se si vuole promuovere l'uomo, bisogna farlo in maniera integrale, senza mai perdere di vista la pienezza della sua dignità e l'intera sua verità storica. Occorre non perdere mai di vista Cristo, che ha voluto essere conosciuto come il "Figlio del carpentiere" ed essere egli stesso uomo del lavoro.

Questo occorre sempre tenere presente, per questo impegnarsi: affinché l'uomo non sia mai umiliato in nessuna delle sue componenti, tra cui quella religiosa è fondamentale perché ne condiziona molte altre.

Il lavoro deve diventare un mezzo efficace per realizzare la propria personalità forte e generosa. Nello stesso tempo esso gli permette anche di stabilire più saldi vincoli con la propria famiglia, che forma lo scopo amoroso delle sue fatiche; per essa, infatti, si spende: per il suo sostentamento e per la sua piena riuscita materiale e spirituale. Perciò, se è vero che il lavoro, con l'ispirazione del Vangelo, aiuta l'uomo a diventare più uomo, allora "non è un bene cercare di spingere la Chiesa ed il Vangelo del lavoro "ai margini". Ne soffre la causa dell'uomo" (Discorso agli Operai di Terni, 19 marzo 1981, 6; cfr. La Traccia p. 224/III). Al contrario, dovete inserire profondamente nel mondo del lavoro la vostra viva fede cristiana, ed umanizzarlo anche mediante un costante riferimento ai vostri cari.

Siccome sono presenti numerosi lavoratori di espressione tedesca, permettetemi di rivolgermi ora ad essi nella loro lingua.


4. Proseguendo ora, cari fratelli e sorelle, le mie riflessioni nella vostra lingua materna, saluto di cuore voi che avete partecipato al Pellegrinaggio nella Città eterna per il Giubileo del "Movimento cattolico lavoratori". La nostra commemorazione odierna non è soltanto grata memoria della pubblicazione della grande enciclica sociale "Rerum Novarum" di Leone XIII esattamente novanta anni fa, ma è nello stesso tempo un comune riconoscimento delle sue direttive. Ne facciamo memoria per renderle ancora più decisamente fruttuose per il mondo del lavoro nel nostro tempo in relazione alle successive dichiarazioni del Magistero sull'insegnamento sociale della Chiesa. Proprio ai nostri giorni la questione sociale ha assunto una dimensione complessa e universale. Sicuramente l'impegno della Chiesa in questo secolo ha dato i suoi frutti: si è diffusa una più decisa coscienza sociale; la legislazione sociale è mutata; i programmi del lavoro industriale hanno favorito la solidarietà e la promozione umana.

Ciò nonostante pero non si può certo affermare che ora nel mondo domini la giustizia sociale. Solo come spunto vorrei oggi ricordare alcuni errori, mancanze e necessità ancora presenti.

Vi sono regioni della terra nelle quali il superfluo ed il lusso vivono porta a porta con la povertà più degradante e disumana. Una uguale contraddizione si riscontra, forse in modo meno evidente, ma altrettanto scandaloso paragonando fra loro le varie nazioni: un ristretto numero di esse ha accumulato ricchezze mentre altrove interi popoli lottano per la sopravvivenza. L'ingiustizia nei confronti dell'individuo continua ad essere perpetrata attraverso un vero e proprio sfruttamento dell'uomo; manca una sufficiente protezione per le future madri; le condizioni di vita e di lavoro offendono il principio dell'uguaglianza e mutano a seconda della razza e a seconda delle convinzioni religiose e politiche dei lavoratori. Sembra che ci si sia abituati a condizioni di vita subumane nelle periferie delle grandi città, alla massificazione e alla emarginazione di interi strati della popolazione. Le Associazioni sindacali sono allora un diritto dell'uomo. Tuttavia esse vengono spesso usate male politicamente, la forza rappresentativa dei lavoratori organizzati nei Sindacati in molti casi lascia a desiderare. La tutela del lavoro a volte non è seriamente rivendicata, così che si verificano incidenti che potevano essere evitati e avvengono tragedie umane. La disoccupazione aumenta piuttosto che diminuire, e proprio tra la gioventù produce ingiustificabili conseguenze psicologiche e caratteriali. Il problema della automazione fa si che i lavoratori di interi rami dell'industria siano preoccupati per il proprio posto di lavoro; lavoratori qualificati e non rimangono spesso abbandonati ad una grande insicurezza economica. I lavoratori stranieri, costretti dal bisogno, devono sciogliere i legami con la famiglia, con la tradizione e con il Paese natale; si estraneano in molti casi dal loro coniuge; per i loro figli rinunciano ad una educazione adeguata e ad un futuro desiderabile. Secondo il bisogno vengono assunti, sfruttati e licenziati.

Sicuramente un tale sviluppo viene condizionato da complessi problemi di fondo di natura tecnica ed anche di economia mondiale. Non può essere compito mio, in quanto Pastore, occuparmi di essi. Ma a motivo del compito etico e religioso della Chiesa le grandi tendenze del nostro sviluppo sociale non possono tuttavia venir trascurate. Esse sono da stigmatizzare nei loro effetti negativi. L'errore ed il raggiro ideologico che esse contengono vanno depurati e denunciati. E' da smascherare l'utopia di un messianismo terreno dal quale si lasciano ingannare i fautori del materialismo dialettico e pratico. La Chiesa non può sottrarsi a questo compito.

Il confronto autentico ed impegnato con la questione sociale è senza dubbio nostro compito. Poiché la Chiesa deve difendere la dignità dell'uomo. Se trascurasse di fare questo, offenderebbe il suo dovere e perderebbe la sua credibilità nell'annuncio del Vangelo e nella preoccupazione per la salvezza eterna. Già nell'Antico Testamento e attraverso i secoli il cristianesimo ha mostrato la più grande considerazione per ogni forma di lavoro sia manuale che spirituale.


5. Per questo la fede cristiana e la Chiesa si sentono particolarmente motivate ad esortare la società: cultura, progresso e benessere dell'uomo sono veramente tali solo quando insieme ad essi progredisce una approfondita coscienza etica. Non è sufficiente porre la sola questione della giustizia sociale in senso stretto.

Nessuno può trascurare il fatto che tale questione è connessa con problemi che stanno più al fondo. Giustamente la lotta per la giustizia sociale aveva posto la prospettiva dell'"avere" in rapporto all'"essere". E oggi è importante scegliere proprio questo punto di vista, poiché l'istanza dell'ora presente e quella della preoccupazione per l'interezza dell'uomo - il volgersi all'intero bisogno della persona. L'uomo non deve più essere visto soltanto come un essere che ha bisogni materiali ma come immagine di Dio; prescelto a porsi al servizio del sorgere di cieli nuovi e terre nuove fino al ritorno di Cristo.

Per una coscienza etica approfondita si delinea quanto segue: industria, produzione e progresso economico sono certamente innanzitutto il prodotto del lavoro e dell'intelligenza umana. Ma nessun uomo da solo può attuare tali realizzazioni. Egli deve rifarsi a quanto gli è stato dato, utilizzare le leggi della natura che regnano nella creazione. Si serve della materia che gli viene offerta. Non comincia dunque in uno spazio vuoto, in nessun modo plasma il suo lavoro dal nulla ma utilizza quanto e già stato creato.

Di ciò dovrebbe essere ben conscio il cristiano nonostante tutte le opinioni contrarie; ed egli dovrebbe rammentarlo a tutti gli uomini non certo per sminuire il progresso umano ma per chiarire a tutti ciò che veramente è importante: il ponte della tua riuscita poggia su due pilastri dei quali solo uno è posto in tuo potere; l'altro cresce in un terreno del quale tu non sei il padrone ma che ti è semplicemente dato.

Perciò se sei un uomo ragionevole, devi nutrire un profondo rispetto per la realtà. Tu sai che la realtà, la creazione, cioè il mondo è posto nelle tue mani; ma tu non hai un illimitato diritto di disporre di esso. Solo il Signore del mondo ha assoluto potere su di esso poiché la vita ed il mondo sono usciti dalle sue mani.

Certamente molto abbiamo appreso. Con fervore abbiamo studiato la terra e ce ne serviamo con stupefacente perfezione. Ma non dovremmo aprirci gli occhi reciprocamente di fronte alla genialità dell'ordine della natura che abbiamo scoperto? Possono i nostri simili trascurare a lungo andare entro questo ordine colui che lo ha ordinato? E se gli occhi di molti di loro dovessero essere veramente accecati, allora noi credenti dobbiamo condannare questo atteggiamento affinché il suo nome non venga messo a tacere da un mondo che sempre meno appare una creazione e sempre più porta i segni dell'uomo soltanto.


6. Mi sembra che i tempi siano maturi per parlare di Dio come Creatore. Forse troveremo orecchi attenti presso coloro che cercano di difendersi contro uno sconsiderato sfruttamento della natura, contro la devastazione della nostra madre terra. Forse apparirà chiaro anche ad altri che la gioia per un'opera riuscita è partecipazione alla gioia del Creatore stesso, come viene espresso nel racconto della creazione del mondo prima della caduta dell'uomo con il peccato: "Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31).

Oppure ascolteranno coloro la cui fede nel potere dell'uomo è scossa.

Senza la corruzione del peccato dell'uomo la creazione sarebbe stata puro riflesso della bontà di Dio. Tuttavia dopo la caduta la creazione, come anche il nuovo mondo del progresso e della tecnica creato dall'uomo, non possiede più la sua chiara ed evidente bontà. Essa "geme e soffre" (Rm 8). Ogni terra afflitta da tribolazioni, lacerata dalla guerra, o devastata dalla tecnica può testimoniare questo: la creazione attende ancora la sua salvezza. In questo senso anche le scoperte scientifiche non sono sempre per la salvezza dell'uomo. Lavoro dell'uomo e progresso presentano due aspetti: se da una parte migliorano le nostre condizioni di vita, possono pero anche ripercuotersi sull'uomo con una brutalità insospettata, possono rivelarsi anche come suoi nemici, possono perfino annientare l'uomo. E questo vale anche quando la minaccia all'umanità avviene senza l'enorme violenza di una esplosione! Possono verificarsi anche invasioni nascoste, anche attacchi silenziosi possono provocare sciagure: quando la volontà di progresso si ripercuote quasi come un'arma contro la famiglia e quando questa volontà ci tiene in suo potere suscitando in noi un'avidità di possesso. Essa assorbe allora tutto lo spirito di un'uomo, il suo tempo, i suoi interessi, le sue energie, e ne soffrono i rapporti con coloro ai quali siamo vicini. Ma la dedizione personale al coniuge, la cura amorosa della madre per i suoi figli non devono venir meno.

Nessuno può condannare il progresso ed il benessere. Noi tutti dobbiamo molto ad essi. Ma quando essi diventano idoli, mostrano allora il loro volto demoniaco. Allora ciò che essi ci offrono non ci libera ma ci rende schiavi; allora non ci salva ma ci annienta. Forse libera per un po', ma un giorno l'uomo scopre che fatiche ed affanni non hanno portato la pienezza sognata. Al suo posto è subentrato un triste vuoto.

Perciò si deve parlare di Dio quando si pensa alla vera salvezza dell'uomo: la salvezza di Dio in Gesù Cristo va celebrata; la sua giustizia per noi uomini va annunziata; e a lui e alla sua volontà va conferito onore - nella parola ma soprattutto nella testimonianza della vita. Questo è il servizio sacerdotale che noi dobbiamo a Cristo Dio.


7. Abbiate allora il coraggio di dare testimonianza della duplice dimensione della vostra esistenza come lavoratori e come cristiani. Contribuite ad arricchire ogni forma di solidarietà con lo spirito della comunione cristiana. Annunciate il nome di Cristo, del carpentiere (cfr. Mc 6), del Figlio di Dio, del vero liberatore da tutti i mali che tengono imprigionato l'uomo e che lo minacciano. Annunciatelo nelle vostre fabbriche, nei vostri posti di lavoro e nelle vostre officine! Fate in modo che tutti i cristiani prendano parte alle necessità e alle gioie, ai problemi ed alle speranze del mondo del lavoro. Prendete posizione anche quando non sempre trovate approvazione; difendete le indicazioni della fede e della Chiesa anche quando esse suscitano opposizione e costringono ad una decisione.

Siate lievito e seme di una presenza cristiana dovunque vivono dei lavoratori.

Allora crescerà il Regno di Dio e si diffonderanno l'operare cristiano, la fraternità e la solidarietà tra tutti gli uomini. La Chiesa ha fiducia in voi, vi accompagna e vi appoggia, se vi sta a cuore di portare il Vangelo ai lavoratori e così offrire loro una liberazione integrale.


8. E ancora, ai fratelli e sorelle di lingua portoghese: anche a voi, con cordiali saluti, una affettuosa parola di apprezzamento per la vostra presenza e di esortazione: esortazione ad essere fedeli a voi stessi, a ciò che di buono vi identifica come uomini e lavoratori cristiani, con un senso di Dio e di rispetto per il prossimo, sempre e dovunque; fedeli alle vostre patrie radici ed alle loro tradizioni umane, familiari e cristiane, ma con una apertura nei confronti del bene comune, in una corretta visione della sacra dignità di tutti e di ognuno dei membri, della grande famiglia umana.

Portate nei vostri cuori, come memoria di questo incontro con il Papa, la certezza che egli vi stima, vi comprende bene e condivide con voi preoccupazioni ed ansietà, speranze e gioie; la certezza che Cristo, qualora vogliate accorgervi di lui ed accoglierlo, sta dalla vostra parte: Egli - che volle essere un lavoratore - vi comprende meglio di chiunque e, anche per voi, desidera essere sempre Verità e Vita, qualora accettiate di camminare con lui, lungo la via dell'amore, nella ricerca di un mondo sempre più giusto, più umano, e fraterno; la certezza, infine, che in Cristo, Dio vi ama: Egli è nostro Padre e vuole benedirvi sempre, come il Papa vi benedice oggi, di tutto cuore: voi, le vostre famiglie e tutti i vostri amici.

Rivolgo un saluto particolare al Movimento Lavoratori cristiani delle Fiandre, con le sue distinte sezioni per adulti e giovani.

Voi del Movimento Lavoratori cristiani celebrate quest'anno il sessantesimo anniversario del movimento - sessanta anni al servizio della Cristianità e del progresso sociale del lavoro nel vostro Paese.

Un saluto particolare va anche ai giovani del movimento di Cardjin nelle Fiandre: continuate ad esaminare sempre tutti gli aspetti della vita a partire dal Vangelo valutando secondo lo spirito del vostro Fondatore, per poi poter agire in questo spirito nel servizio dei movimenti di adulti nel vostro Paese.

Sono lieto di salutare tutti i rappresentanti del mondo del lavoro qui presenti per celebrare con noi il novantesimo anniversario dell'enciclica "Rerum Novarum" e desidero con loro che ovunque nel mondo il lavoro sia sempre più compiuto in condizioni di giustizia e di dignità che assicurino la fioritura dell'umano, la santificazione della persona, la sicurezza delle famiglie, il progresso e la pace della società.

Cari Lavoratori italiani, mi rivolgo ancora a voi per esortarvi ad arricchire ogni forma di solidarietà con lo spirito della comunione cristiana.

Annunciate il nome di Cristo nelle vostre famiglie, nelle vostre fabbriche, sui vostri posti di lavoro. Prendete posizione, anche quando non sempre trovate approvazione. Siate lievito e seme di una presenza cristiana, dovunque vivono dei lavoratori. La Chiesa ha fiducia in voi, vi accompagna e vi appoggia, se vi sta a cuore di portare il Vangelo ai lavoratori e così offrire loro una liberazione integrale.

La vostra opera di lavoratori cristiani si inserisce perfettamente in quella missione tipica, che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e richiesto ai laici. Infatti, "ai laici tocca assumere l'instaurazione dell'ordine temporale come compito proprio e, in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente e in modo concreto" (AA 7). Il mondo del lavoro fa pienamente parte di queste responsabilità laicali, ed al cristiano spetta di fare il possibile per riscattarvi ogni conseguenza del peccato, cioè le varie forme di egoismo, che si traducono in ingiustizie, sopraffazioni, violenze, o anche disinteresse e disimpegno. Il lavoro manuale, infatti, è una condizione importante, determinante, della nostra società; e oserei dire che il buon funzionamento di questo ambiente e specchio fedele e condizione necessaria per la pace ed il progresso dell'intera società umana. Ebbene, in questo compito i lavoratori cristiani hanno una parte primaria.

Sappiate, quindi, assumervi le vostre responsabilità ed essere coerenti con i vostri principi, così da potere trasformare luminosamente la realtà nella quale operate ogni giorno con fatica e con dedizione.

Amici e fratelli! Si, vi chiamo volutamente fratelli, poiché condividiamo lo stesso pane. Vi chiamo fratelli, poiché tutti noi vogliamo che il pane, diventato tale per il lavoro e l'impegno spirituale degli uomini, sia un pane giustamente ripartito. Insieme tendiamo a far si che siano appagati i bisogni di tutti gli uomini, di tutti i popoli e nazioni.

Ma noi siamo fratelli anche in un modo più profondo e radicale: perché condividiamo il Pane eucaristico, il Pane e il Vino, che diventano Corpo e Sangue del Signore. Solo questo Pane è il vero garante di una pace e di una giustizia, fondate su di un'amore infinito. Questo Pane è pegno per "i cieli nuovi e la terra nuova" (2P 3,13). Questo Pane salva la configurazione umana del mondo e completa il senso, che esso ha nel quadro dell'ordinamento divino.

Carissimi, tutti voi raccomando all'intercessione di Maria, la donna forte del Vangelo, la benedetta del Magnificat. In Lei Dio ha fatto cose meravigliose, respingendo i superbi ed i potenti, i ricchi e gli ostinati, ma innalzando gli umili ed i poveri.

A tutti i lavoratori qui raccolti, alle loro famiglie, a tutti coloro che ascoltano queste parole e sono con noi collegati, a tutti i lavoratori del mondo, imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1981-05-15
Venerdi 15 Maggio 1981



GPII 1981 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)