GPII 1981 Insegnamenti - Il saluto alla "Gioventù francescana di Sicilia" - Città del Vaticano (Roma)

Il saluto alla "Gioventù francescana di Sicilia" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Voi siete una forza per la Chiesa

Carissimi giovani! Sono lieto di accogliere tutti voi, appartenenti alla "Gioventù Francescana" di Sicilia e di dare il mio cordiale benvenuto a voi e ai Frati Minori Conventuali, che vi hanno accompagnati a questo incontro, alla vigilia del raduno nazionale ad Assisi.

So che state realizzando nelle varie sedi siciliane, in cui operate, un interessante cammino di fede e di formazione francescana, ispirandovi, in particolare, alla spiritualità del beato Massimiliano Kolbe, nella duplice ricorrenza del 40° della morte e del decennio della sua elevazione agli onori degli altari. So che siete impegnati nell'insegnamento della catechesi e in diverse opere di promozione sociale.

Mi compiaccio sinceramente con voi non solo perché alimentate questi ideali cercando di tradurli in pratica, ma anche perché, ciò facendo, siete una forza per la Chiesa e date sicure garanzie per l'avvenire del mondo. Il vostro prodigarvi per i fratelli è un segno che, nonostante tante ombre, la luce sfolgora nel mondo, la buona volontà predomina sull'ignavia e si rafforzano le premesse per un nuovo umanesimo, che faccia ritrovare i valori dell'amore, dell'amicizia, della preghiera e della contemplazione: altrettante note queste, che furono segni distintivi del Poverello di Assisi e di quanti, come voi, seguono oggi le tracce della sua affascinante avventura, ad otto secoli dalla sua nascita.

Voi che vi ispirate alla figura serafica di Francesco, non abbiate timore di testimoniare sempre e dappertutto quello stile di vita, che fu proprio del santo, e che è rimasto caratteristico attraverso i secoli per uno straordinario senso di povertà evangelica, di umiltà e di anticonformismo; e si distingue altresì per la dignitosa semplicità personale, per l'attenzione verso il fratello e per la fedele comunione con la Chiesa.

Dal giorno in cui il Crocifisso della Cappella di san Damiano disse al giovane Francesco: "Va' e ripara la mia Chiesa" (2Cel, n. 10), egli si fece intrepido difensore e restauratore della Chiesa del suo tempo. Anche voi fate lo stesso camminando sulla strada da lui tracciata. Nel vostro soggiorno ad Assisi, rinnovate i vostri buoni propositi; e una volta ritemprati alle sorgenti della ispirazione francescana, portate alle vostre case e alle vostre associazioni l'esempio della bontà e la testimonianza delle vostre certezze cristiane.

Vi accompagni sempre la mia speciale benedizione apostolica che volentieri imparto a voi e ai vostri cari.

Data: 1981-10-29
Giovedì 29 Ottobre 1981



Ai Vescovi del Sudan in visita "ad limina" - Gesù Cristo nostra speranza


Amatissimi fratelli,

1. Ci siamo riuniti oggi in nostro Signore Gesù Cristo sotto il segno della speranza. La nostra stessa presenza qui insieme è davvero una celebrazione di "Gesù Cristo nostra speranza" (1Tm 1,1), e tutte le nostre considerazioni sono fatte in comunione con lui.


2. La storia della Chiesa nel Sudan è una storia di speranza. La evangelizzazione del vostro popolo è stata compiuta nella speranza, e il seme della Parola di Dio è stato seminato nella speranza. E' stata la speranza che ha fatto sorgere l'alba dell'evangelizzazione; è stata la speranza ad ispirare tutti gli sforzi apostolici che sono seguiti. I missionari, che a loro volta "erano ben fondati e saldi nella fede, incrollabili nella speranza promessa dal Vangelo" (Col 1,23), hanno trasmesso questa speranza ai vostri predecessori. Essi stessi hanno sperato in Colui che predicavano e nel cui nome venivano per servire. Fra gli eroi della speranza nella vostra terra c'era l'apostolo del Sudan, il Vescovo Daniele Comboni, il centenario della cui morte abbiamo commemorato in questo mese.


3. Sebbene ben lontana dall'essere completa e nonostante innumerevoli difficoltà, la messe è stata ricca. Si è predicato il nome del Signore Gesù, e si è proclamata la speranza della salvezza. Per grazia divina quest'opera continua, mentre generazioni successive sono condotte ad avere percezione e ad incontrare - anche se solo in modo graduale - Colui che è il termine di tutta la rivelazione profetica, il Signore della speranza: "Io già lo vedo, ma non al presente; io lo contemplo, ma non da vicino" (Nb 24,17).


4. Il centenario della morte del Vescovo Comboni è divenuto un simbolo di speranza nel Sudan. Proprio in quel giorno, tre settimane or sono, la speranza missionaria ha trovato compimento quando l'Arcivescovo Zubeir è succeduto al suo amato predecessore, l'Arcivescovo Baroni, quale Metropolita di Khartoum. E'inoltre una gioia per me prendere visione dei vari progetti concreti che si stanno realizzando in connessione con questa importante celebrazione centenaria, così come le zelanti iniziative che la vostra Conferenza Episcopale ha promosso secondo il piano pastorale del novembre 1979. Tutti questi progetti e queste iniziative sono indissolubilmente legati alla speranza che è rivelata nel Vangelo di Cristo. Altri eloquenti motivi di speranza e di gioia sono dovuti al fatto che recentemente delle Suore missionarie della Beata Vergine si sono stabilite nel Sudan e che altri generosi religiosi si sono resi disponibili ad un'opera di assistenza.


5. Si, cari fratelli, nonostante tutti gli ostacoli e le difficoltà che si incontrano a causa del Vangelo, è evidente che il Mistero Pasquale di Gesù è una sempre efficace sorgente di speranza per voi e per il vostro popolo. Non ci dice forse san Paolo che "noi siamo stati rigenerati mediante la risurrezione da morte di nostro Signore Gesù Cristo ad una speranza vivente" (1P 1,3)


6. Il desiderio del mio cuore oggi è di confermarvi in questa "speranza vivente", di darvi assicurazione della mia fraterna solidarietà sostenuta dalla preghiera in Gesù Cristo, e di testimoniarvi l'amore della Chiesa universale per quelle comunità ecclesiali alle quali presiedete e per le quali donate le vostre vite in un amorevole servizio pastorale. Il mio messaggio è un messaggio di speranza motivato dall'amore per voi, per i vostri sacerdoti, le vostre religiose e il vostro laicato. Attraverso di voi e attraverso tutto il vostro popolo, unito dalla parola e dal Sacramento come comunità, il Signore Gesù desidera mantenere viva l'invincibile speranza del suo Vangelo. E nella presente congiuntura storica, voi stessi siete chiamati a pascere il gregge del vostro popolo, ad aiutarlo a riporre la sua speranza nel Salvatore misericordioso del mondo, nel Redentore dell'uomo.

Si, il vostro servizio pastorale è quello di condurre il gregge affidato alle vostre cure alla speranza nell'efficacia della Passione di Cristo, nella potenza della sua Risurrezione, nella verità delle sue promesse, nell'amore per la sua Persona.

Amati fratelli, il vostro e il mio ministero è quello di proclamare incessantemente il Verbo Incarnato di Dio, il Figlio dell'eterno Padre, "Gesù Cristo nostra speranza"

Data: 1981-10-30
Venerdi 30 Ottobre 1981


Ai partecipanti al Convegno ecclesiale dalla Cei - Operare per una presenza sempre più coerente nella realtà sociale italiana


Cari fratelli e sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale saluto a tutti voi, Delegati delle diocesi italiane e delle Associazioni cristiane, che siete convenuti a Roma nel segno della novantesima ricorrenza anniversaria dell'enciclica "Rerum Novarum" del mio predecessore Leone XIII, recentemente ricordata anche dalla mia Lettera "Laborem Exercens".

L'iniziativa, indetta dalla Commissione della Conferenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e il lavoro, è degna di compiacimento, perché intende dare un aiuto alle comunità cristiane ed ai singoli cristiani in ordine ad una loro presenza sempre più coerente nella realtà sociale italiana. Come, infatti, ha insegnato il Concilio Vaticano II, "da dissociazione, che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo... Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte e la vita religiosa dall'altra" (GS 43). Secondo il Concilio, la dissociazione fra la fede da una parte e il proprio impegno sociale dall'altra è un errore, poiché implica e presuppone una concezione della fede non conforme alla Tradizione della Chiesa e una visione dell'uomo non unitaria ne completa. A ragione, perciò, i Padri conciliari hanno parlato di una "opposizione artificiale", cioè non fondata sulla verità intera della persona umana.

Questo insegnamento conciliare è molto ricco di conseguenze che devono orientare il cristiano nel suo impegno sociale. Solo quando il cristiano conserva fedelmente la propria identità, sarà in grado di dare il suo apporto specifico alla costruzione di una società, che sia veramente conforme alla misura intera della verità e della dignità della persona umana; il cristiano, così, forte di questa sua identità, potrà più efficacemente confrontarsi con quanti altri sono impegnati a concorrere alla edificazione della medesima società ed al vero progresso dell'uomo. Diversamente egli diventa quel sale insipido, di cui parla il Vangelo, buono solo ad essere gettato via e calpestato dagli uomini (cfr. Mt 5,13 e LG 33).

La coerenza con la propria fede non solo non impedisce al cristiano di essere presente ed impegnato nella costruzione della società, ma questa coerenza, vissuta senza compromessi, assicura dentro alla città degli uomini la presenza di una luce, di una verità, di una vita nella quale i rapporti sociali nascono e si costruiscono sul riconoscimento della dignità dell'uomo. Sta in questo la responsabilità della comunità cristiana; se essa non è se stessa, se non realizza una presenza autentica, viene a mancare alla società, da parte dei cristiani, ciò che le consente di essere una vera comunione di persone.

L'unità più importante che oggi si deve continuamente ricostruire è quella tra fede ed impegno sociale, per evitare quella "dissociazione" o "opposizione artificiale" di cui parla il Concilio.


2. Se cerchiamo di scoprire le radici di tale dissociazione, non ultima fra esse si pone l'idea che la fede non offra reali orientamenti per guidare l'impegno del cristiano nella società, criteri oggettivi di valutazione per la coscienza.

Ma, come ancora il Concilio Vaticano II insegna, "solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo... Cristo... proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche plenamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione" (GS 22). La fede quindi porta a compimento, purificandolo da eventuali errori, quanto anche la ragione umana può conoscere dell'uomo. E precisamente l'intera verità dell'uomo, con le esigenze morali, incondizionate ed assolute, che ne scaturiscono, costituiscono l'orientamento primo e fondamentale delle scelte concrete del cristiano impegnato nella società. "Se la soluzione o, piuttosto, la graduale soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa sempre più complessa, deve essere cercata nella direzione di rendere la vita umana più umana" (LE 3), allora è facile comprendere che ogni incertezza, ambiguità, compromesso nel campo della visione dell'uomo ha effetti assai negativi in ogni aspetto della vita sociale. Né si deve pensare che riferirsi alla verità sull'uomo ed alle esigenze incondizionate da essa conseguenti abbia scarsa incidenza sulla soluzione dei problemi quotidiani e concreti posti dalla società.

Al contrario ogni rapporto sociale, nella sua sostanza etica, consiste precisamente nel riconoscimento della dignità di ogni uomo, nel riconoscere a ciascuno - realmente - il suo essere persona. Se il cristiano, dunque, non si lascia guidare nella sua attività sociale da questa visione dell'uomo, egli potrà anche elaborare soluzioni parziali e tecniche di singoli problemi. Ma, in ultima analisi, non avrà resa più umana la società, ma solo, al massimo, tecnicamente più efficiente l'organizzazione sociale.

Alla luce di questi essenziali richiami comprendiamo il dovere-diritto del Magistero nei riguardi del problema sociale. Chiamati come sono a rendere testimonianza alla Verità, i Pastori della Chiesa hanno da Cristo stesso la missione e l'autorità di dire all'uomo la verità intera sull'uomo e le esigenze di questa verità (cfr. Discorso di apertura alla Conferenza di Puebla, 9). Queste esigenze, in quanto scaturiscono dalla perenne identità della persona umana, trascendono ogni situazione storica e proprio per questo sono capaci di guidare l'impegno del cristiano in ogni luogo e tempo, essendo questi chiamato ad "inscrivere la legge divina nella città terrena" (GS 43).

La dottrina sociale proposta dalla Chiesa, pertanto, deve essere fedelmente seguita, né ci potranno essere ragioni di ordine storico che possano giustificare la infedeltà alla medesima. Sarebbe costruire sulle sabbie mobili delle ideologie e non sulla roccia di una verità che è prima e al di sopra di tutte le ideologie e di tutti i sistemi e dei medesimi e criterio di giudizio.

Solo da questa unità col Magistero, che insegna per mandato di Cristo la verità sull'uomo, può nascere un impegno del laico veramente efficace, capace cioè di promuovere realmente la dignità della persona.


3. Sulla base di questo insegnamento del Magistero si crea la vera unità tra tutti i cristiani impegnati nella società e con tutti gli uomini di buona volontà.

Esiste, deve esistere una unità fondamentale, che è prima di ogni pluralismo e sola consente al pluralismo di essere non solo legittimo, ma auspicabile e fruttuoso. Questa unità consiste nella fedeltà a quella verità intera sull'uomo di cui ho parlato ed alle esigenze e norme morali che da essa scaturiscono. Nei confronti di esse e dell'insegnamento del Magistero che le propone, il pluralismo non è legittimo, dal momento che, in questo modo, ci si divide su ciò che costituisce il fondamento stesso dell'impegno del cristiano nella società. Si vede, pertanto, il legame assai profondo che esiste fra l'unità che deve esserci in ogni cristiano, di cui ho parlato all'inizio, e l'unità di cui sto parlando ora. La "dissociazione" o la "opposizione artificiale", di cui parla il Concilio, tra la fede e l'impegno sociale è spesso all'origine di una dissociazione anche nelle comunità cristiane. Il pluralismo infatti, deve, in ogni caso, rispettare i suoi limiti intrinseci e non può non tener conto del contesto storico, in cui il cristiano è chiamato ad operare.

Esso, in particolare, non può rendere legittime, per il cristiano, scelte incompatibili con la fede cristiana o con i valori irrinunciabili dell'uomo e che, pertanto, in pratica significherebbero e costituirebbero una rinuncia alla propria specificità cristiana, favorendo l'affermarsi nella teoria e nella pratica di una visione di società, che contraddice le più profonde esigenze della persona umana.

La coerenza con i propri principi e la conseguente concordia nell'azione ad essi ispirata sono condizioni indispensabili per la incidenza dell'impegno dei cristiani nella costruzione di una società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio.

Il recupero della propria identità di cristiani, la convinzione che in Cristo ogni uomo e tutto l'uomo è salvato, non solo professata ma testimoniata con una vera presenza cristiana nella società, sono la base di ogni impegno del cristiano nel mondo.

La ricorrenza del novantesimo della "Rerum Novarum" sia l'occasione e lo stimolo per questa presenza e per questo impegno, che auspico sempre più incisivi e fruttuosi con l'ausilio della feconda grazia di Dio.

Di questi voti è pegno la benedizione apostolica che di cuore imparto a voi tutti ed estendo a quanti condividono la vostra generosa sollecitudine.

Data: 1981-10-31
Sabato 31 Ottobre 1981


Recita dell'"Angelus" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La santità dono misterioso dello Spirito Santo



1. "Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita": Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et Vivificantem.

Le parole della professione di fede che ripetiamo nella Santa Messa ci ricordano il I Concilio Costantinopolitano svoltosi nell'anno 381, il cui anniversario si celebra, dopo sedici secoli, nell'anno in corso. La giornata di ringraziamento per l'opera di questo Concilio è stata solennemente celebrata nella festa di Pentecoste di quest'anno, sia a Costantinopoli che a Roma.

Nella festa di oggi, le parole della professione che dobbiamo a questo Concilio gettano una luce particolare sul Mistero di Tutti i Santi. Chi sono, infatti, coloro ai quali la Chiesa dedica la solennità odierna, se non il frutto dell'opera santificante dello Spirito di Verità e di Amore che è lo Spirito Santo? Che cosa è la santità di tanti fratelli e sorelle - noti per nome o meno - che onoriamo particolarmente in questo giorno, se non la matura pienezza di quella vita che proprio Lui, lo Spirito Santo, innesta nell'anima dell'uomo? Lui "che è Signore e dà la vita"!


2. "Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna... Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza" (Ps 23,3-5).

La liturgia della solennità odierna ci infonde una grande gioia ed una lieta speranza quando, mediante le parole dell'Apocalisse, osserviamo con gli occhi dell'anima quella "moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7,9).

"Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Ps 23,6).

E tutti i santi che oggi onoriamo, recano in sé il dono misterioso dello Spirito Santo, al quale hanno testimoniato eroica fedeltà. così, come frutto della vita terrestre, allo stesso modo è frutto del medesimo dono dello Spirito Santo la celeste "Communio" di tutti: "Communio Sanctorum" la Comunione dei Santi.


3. Avendo davanti al nostro sguardo spirituale questa splendida immagine che la liturgia della Chiesa ci offre nel giorno 1° novembre, cerchiamo ora nella preghiera dell'"Angelus" di manifestare allo Spirito Santo una fervida gratitudine per Tutti i Santi, per tutti i frutti cioè della santità che sono nati nel corso della storia della salvezza sotto l'influsso della sua grazia.

Ringraziamo specialmente per quel particolarissimo frutto della santità nato e maturato dalla presenza dello Spirito Santo, la Vergine di Nazareth, piena di Grazia, santissima, Theotokos, Madre di Dio.


4. La solennità di Tutti i Santi ci introduce anche alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, di coloro che riposano in Cristo e che si affidano alla sua clemenza e che si affidano anche alle nostre preghiere.

Data: 1981-11-01
Domenica 1 Novembre 1981


Al cimitero del Verano

Titolo: Le Beatitudini, codice evangelico della santità

Trovandomi sulla soglia di questo cimitero romano a cui oggi si recano in visita innumerevoli fedeli della nostra città, desidero ricordare le parole di Cristo nel discorso della montagna, che la liturgia della solennità di Tutti i Santi ci fa leggere: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi a causa mia.

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,3-12).

Le otto beatitudini sono il codice evangelico della santità, al quale si ispirarono e si mantennero fedeli sino alla fine tutti coloro che la Chiesa ricorda oggi con tanta venerazione e amore.

Che per tutti i nostri fratelli e sorelle, che riposano in questo Campo Verano e in tutti i cimiteri dell'Urbe e dell'Orbe, le parole di Cristo nel sermone della montagna diventino la Buona Novella dell'eterna salvezza.

Che sia di essi il regno dei cieli.

Che lo posseggano come una "Terra promessa".

Che godano la gioia eterna.

Che siano saziati nella loro fame e sete di giustizia.

Che siano chiamati in eterno figli di Dio.

Che vedano Dio faccia a faccia.

Che la loro letizia e felicità siano piene e senza limiti.

Preghiamo: "O Dio, gloria dei credenti e vita dei giusti, che ci hai salvati con la morte e risurrezione del tuo Figlio, sii misericordioso con i nostri fratelli defunti; quando erano in mezzo a noi essi hanno professato la fede nella risurrezione, e tu dona loro la beatitudine senza fine. Per Cristo nostro Signore".

Celebrero ora la Santa Messa nella Basilica di san Lorenzo fuori le mura, attigua al Campo Verano, nella quale si svolgerà al tempo stesso la visita pastorale alla parrocchia.

I sacerdoti di Roma qui presenti per ricordare i defunti delle singole parrocchie della nostra Città concelebreranno insieme con me l'Eucaristia.

Data: 1981-11-01
Domenica 1 Novembre 1981


Omelia a san Lorenzo fuori le mura

Titolo: Vivere gli insegnamenti di Cristo significa vocazione alla santità



1. "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell'Agnello" (Ap 7,14).

E' uno dei vegliardi che stanno davanti al trono dell'Altissimo a pronunciare queste parole: le persone biancovestite, che Giovanni vede con occhio profetico, sono i redenti e costituiscono una "moltitudine immensa", il cui numero è incalcolabile e la cui provenienza è quanto mai varia. Il sangue dell'Agnello, che per tutti si è immolato, ha esercitato in ogni angolo della terra la sua universale ed efficacissima virtù redentiva, apportando grazia e salvezza a questa "moltitudine immensa". Dopo esser passati attraverso le prove di questa vita ed essersi purificati nel sangue di Cristo, essi - i redenti - sono al sicuro nel Regno di Dio e lo lodano e benedicono nei secoli.

La parole della prima lettura dell'odierna liturgia esprimono così la gioia escatologica della salvezza ormai raggiunta: salvezza che viene partecipata da persone "di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7,9). E' la gioia di tutti i santi, che stanno in piedi "davanti all'Agnello" ed a gran voce gridano: "La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello" (Ap 7,9-10).

Per opera dell'Agnello, che toglie i peccati del mondo, tutti essi partecipano della santità di Dio stesso.

"Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen" (Ap 7,12).

Partecipando della santità di Dio stesso, tutti coloro che oggi la Chiesa ricorda come tra loro intimamente associati nella Comunione dei santi (Communio Sanctorum), partecipano al tempo stesso della gloria di Dio. E godono della sua gloria.


2. Tra di essi si trova il grande santo, a cui è dedicata questa storica Basilica: Lorenzo, diacono e martire, di cui si vanta la Chiesa Romana così come la Chiesa gerosolimitana si vanta di santo Stefano, pure diacono e protomartire. Ha scritto in proposito san Leone Magno: il Signore "ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo che dall'Oriente all'Occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano e toccata anche a Roma per merito di Lorenzo" (Omelia 85,4: PL 54,486).

Veramente Lorenzo, al pari di Stefano, è passato "attraverso la grande tribolazione" ed ha lavato le sue vesti "rendendole candide col sangue dell'Agnello" (cfr. Ap 7,14). La storia ci conferma quanto sia glorioso il nome di Lorenzo, come glorioso è il sepolcro, presso il quale siamo ora riuniti e sul quale sorge l'altare papale. La sua sollecitudine per i poveri, il suo generoso servizio alla Chiesa di Roma nell'importante settore dell'assistenza e della carità, la fedeltà a Papa Sisto II, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l'eroica testimonianza del sangue, resa a Cristo solo pochi giorni dopo, sono cose universalmente note, ben al di là dei particolari della più nota tradizione iconografica.

Davvero, Lorenzo passo attraverso la "grande tribolazione" e ne usci vittorioso, sicché la sua memoria è benedetta nei secoli. Quante sono le Chiese, le parrocchie, le cappelle, le località che da lui prendono nome nel mondo? Quante sono le Chiese a lui intitolate qui in Roma? Voglio limitarmi solo a questa Basilica, che a distanza di tanti secoli e dopo varie trasformazioni ed anche distruzioni (purtroppo), ci riporta col pensiero a quella primitiva Basilica che l'imperatore Costantino "fecit... Beato Laurentio martyri via Tiburtina, in agrum Veranum" ("Liber Pontificalis").

Ho detto "distruzioni", perché non posso dimenticare i gravissimi danni subiti da questo Tempio, come dalla zona circostante del "Quartiere san Lorenzo" nel bombardamento del 19 luglio 1943. Tuttora è vivo il ricordo di quella giornata drammatica, allorché la bianca figura di Pio XII, accompagnato da colui che dopo un ventennio sarebbe stato suo successore col nome di Paolo VI, comparve immediatamente tra la popolazione atterrita e sgomenta, portando conforto, speranza e soccorso in mezzo alle rovine ancora fumanti. Né dimentico che questa stessa Basilica, sempre cara ai Romani Pontefici, accoglie nell'ipogeo le spoglie mortali del Servo di Dio Pio IX.


3. Ed ecco, in questo giorno solenne che oggi vive tutta la Chiesa, Lorenzo, arcidiacono e martire, testimone eroico di Cristo crocifisso e risorto, sembra parlare a noi con le parole della prima lettera di san Giovanni: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente" (1Jn 3,1).

Nel compimento della salvezza eterna, nella gloria del regno celeste, si riconferma e realizza in definitiva pienezza ciò che abbiamo accettato mediante la fede: "Noi fin da ora siamo figli di Dio" (1Jn 3,2).

Siamo tali già mediante la grazia santificante nel tempo della vita terrestre, al riparo della fede. Ma ancora non si è manifestato in pienezza ciò che saremo un giorno. Quando lo vedremo così come Egli è, noi saremo simili a lui così come il Figlio è simile al Padre.

Così sembra parlare a noi in questa veneranda Basilica, in diretta vicinanza col Campo Verano, san Lorenzo, diacono e martire romano e, insieme con lui, parlano oggi tutti i santi.

E poi a queste parole giovannee aggiungiamo un fervido incoraggiamento a tutti noi, che in questa terra "pellegriniamo mediante la fede e la speranza".

Sembrano allora dire: "Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro" (1Jn 3,3).


4. La solennità di Tutti i Santi porta con sé una particolare chiamata alla santità. Noi dobbiamo ricordare che si tratta di una chiamata universale, cioè valida per tutti gli esseri umani senza distinzione di età, di professione, di razza e di lingua. Come i salvati, così i chiamati. Accogliete questa chiamata voi tutti, che costituite la comunità parrocchiale del Popolo di Dio che si aduna presso la Basilica di san Lorenzo. Nel giorno della celebrazione dei santi e della santità, è giusto ed opportuno questo richiamo che col saluto più cordiale desidero ora rivolgere a ciascuno di voi.

E' presente con me il Signor Cardinale Vicario di Roma, che sempre mi accompagna in queste visite pastorali, e con lui sono anche il Vicegerente, i Vescovi Ausiliari e specialmente il Vescovo Ausiliare del settore Nord. Unito a loro, miei fratelli e collaboratori nell'Episcopato, io riprendo questo appello alla santità, emergente dall'intima significazione ecclesiale e spirituale della festività odierna, e lo ripeto in forma ed in tono di vivissima esortazione a tutte le componenti della parrocchia. Questa, al confronto di altre parrocchie dell'Urbe, non è molto numerosa, ma quanti problemi essa conosce e deve affrontare per la prevalente sua composizione operaia e per la sua tipica collocazione nelle immediate adiacenze del centro storico, inglobando nel suo ambito - oltre al Cimitero del Verano - importanti strutture scolastiche, ospedaliere e civili.

Mi rivolgo, innanzitutto, al reverendo parroco, ai vice-parroci ed a tutti i confratelli della Comunità Cappuccina, che so impegnati in un delicato e non facile lavoro: per loro la via della santità è legata non già alla segregazione dal mondo, ma ad un multiforme e ben esigente apostolato in favore di tanti fedeli che versano, a volte, in situazione precaria e sono, in non pochi altri casi, soggetti a dispersioni e pericoli. Coraggio, io dico loro, assicurando il mio apprezzamento, il mio ricordo e la mia preghiera di comunione a sostegno del loro lavoro che, proprio in ragione delle accennate difficoltà, è più meritorio e genuinamente evangelico.

E raccomando, poi, a tutti i parrocchiani di corrispondere con generosa disponibilità a queste cure dei loro sacerdoti, reagendo alle insidiose minacce di scristianizzazione e dimostrando con la loro vita di esser degni delle tradizioni cristiane che si incentrano nel nome glorioso del santo titolare di questa Basilica. La vocazione alla santità, infatti, vuol dire messa in pratica, nella concretezza della propria esistenza, degli esempi e degli insegnamenti di Gesù Cristo. così han fatto i santi, così dobbiamo fare tutti noi.


5. Nella solennità di Ognissanti, dunque, viviamo particolarmente la presenza di Cristo, che è diventato la causa della salvezza eterna per tutti quanti hanno accolto il messaggio del suo Vangelo della croce e della risurrezione.

A noi che viviamo in questo mondo lo stesso Cristo non cessa di dire: "Venite a me, voi tutti, che siete afffaticati e oppressi, e vi ristorero" (Mt


11,28).

Che il nostro incontro odierno intorno a Cristo, il quale nell'Eucaristia rinnova la sua morte e risurrezione, possa diventare per tutti - affaticati e oppressi - la fonte della speranza. Che tutti possiamo in lui trovare il ristoro e la grazia della salvezza eterna. Amen. Data: 1981-11-01
Domenica 1 Novembre 1981


Ai Cardinali ricevuti per la presentazione degli auguri onomastici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Testimonianza evangelica adeguata ai tempi difficili

Venerati fratelli del Sacro Collegio!

1. Permettete che ringrazi innanzitutto il vostro illustre Decano, il carissimo Cardinale Carlo Confalonieri, al quale, a mia volta, presento di gran cuore gli stessi auguri onomastici a me rivolti con tanta nobiltà di sentimenti, mentre formo il vivo auspicio che il Signore prolunghi ancora di molto la sua età già veneranda e pur sempre frescamente vigorosa.

Ma la mia riconoscenza, cordiale e profonda, va anche a tutti voi, che oggi siete cortesemente venuti di persona a recarmi una ulteriore testimonianza della vostra benevolenza e della vostra comunione. Si rinnova così, per grazia di Dio, la quarta ricorrenza della Festa di san Carlo, dacché la divina Provvidenza, servendosi della vostra responsabile mediazione, mi ha chiamato a sedere sia pur indegnamente sulla Cattedra di Pietro.


2. L'anno appena trascorso, che, con la differenza di pochi giorni, quasi coincide con il terzo del mio pontificato, è stato segnato, come ha appena ricordato il Cardinale Decano, da un gesto di violenza contro la mia persona. Adesso che la Provvidenza mi ha permesso di ritornare alla salute ed alle normali occupazioni del mio ministero, desidero ringraziarvi, venerati fratelli, in modo tutto particolare per quanto avete fatto nei miei confronti. Ho grandemente apprezzato la premurosa cura, con la quale avete seguito la mia degenza ospedaliera specialmente con la quotidiana presenza dello stesso vostro Decano, il quale ha così testimoniato il costante legame del Sacro Collegio con il Papa. Vi sono grato altresì per le attestazioni di fraterna partecipazione, con le quali vi siete uniti alla letizia per la recuperata salute e per la ripresa delle mie incombenze apostoliche. In modo speciale, è stato per me motivo di compiacimento, e ve ne esprimo vivissima riconoscenza, il fatto che, durante la mia malattia e la forzata diminuzione della mia attività, il lavoro della Sede Apostolica non ha subito alcuna stasi sostanziale; al contrario, ciascuno di voi e in particolare il Cardinale Segretario di Stato, ha dato prova di rinnovata, responsabile solerzia nel proseguire puntualmente l'espletamento dei propri gravi uffici.

Tutto ciò è espressione di quella communio, che Cristo ha creato tra gli apostoli e continuamente crea tra i suoi discepoli, dando loro la grazia di dedicare tutte le loro forze e sollecitudini a vantaggio del Vangelo e della Chiesa. Vi sono grato anche per le preghiere che mi hanno accompagnato, in modo speciale dal 13 maggio, e mi accompagnano nel giorno del mio santo patrono; e non cesso di pregare che, per sua intercessione, il Buon Pastore consolidi e accresca il mio amore verso la Chiesa e verso ogni uomo redento a prezzo del sangue prezioso di Cristo (cfr. 1P 1,18-19).


3. Nell'evento che mi ha colpito non posso non ricordare un parallelo con il santo Arcivescovo, di cui porto il nome e che domani gioiosamente festeggeremo. Narrano le cronache che il giorno 26 ottobre dell'anno 1569, mentre egli era in preghiera nella sua cappella privata e per opporsi ad una riforma da lui promossa, fu esploso contro di lui un colpo di archibugio, che lo lascio pero miracolosamente illeso (cfr. "Bibliotheca Sanctorum", vol III, Roma 1963, col. 830). Nonostante la diversità delle circostanze, devo anch'io umilmente ringraziare il Signore per aver voluto salva la mia vita, affinché la potessi ulteriormente spendere al servizio della Santa Chiesa. E chiedo al grande Pastore milanese che, come egli fu araldo del Concilio di Trento per il suo tempo, così conceda anche a me, ma non a me soltanto, il suo zelo indefesso e illuminato, per attuare sempre più nei fatti il Concilio Ecumenico Vaticano II a misura del nostro tempo. San Carlo, infatti, è un eminente modello di assoluta dedizione apostolica in tempi difficili, quali furono quelli della seconda metà del secolo XVI, in cui si preparo la gestazione di un nuovo assetto culturale ed anche ecclesiale della società. I tempi nei quali oggi viviamo non sono, benché sotto altri aspetti, meno difficili di quelli, e occorre ancora il suo coraggio e la sua preveggenza per una rinnovata ed efficace testimonianza evangelica.


4. Nell'esercizio della mia missione apostolica, venerati fratelli, conto moltissimo su di voi, sulla vostra costante e competente assistenza e collaborazione. Il nostro scopo, come per tutti i Pastori nella Chiesa, coincide con quello per il quale già il nostro Signore Gesù Cristo diede la propria vita: "Farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa ed immacolata" (Ep 5,27). Si tratta di una missione che vale tutte le nostre energie e tutta la nostra esistenza terrena. E come san Carlo seguendo le orme del divino Salvatore, non indietreggio di fronte ai suoi impegni pastorali neanche di fronte alle minacce, così noi "in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza" (2Co 6,4): il Vangelo è degno di ogni nostro più generoso servizio, così come degno di tutto il nostro, il mio, amore è in ogni uomo redento "a caro prezzo" dal sangue di Cristo, il Buon Pastore, nostro modello e nostra forza.

Nella festa di san Carlo, il mio pensiero va anche al momento e all importanza del Battesimo, quando, ricevendo il suo nome, sono stato inserito nella morte di Cristo per partecipare alla sua risurrezione. Proprio in questa partecipazione sacramentale alla vita donata da Cristo sta la nostra forza continua ed il movente di tutta la nostra dedizione ministeriale. Ed auguro a me ed a voi che essa diventi una acquisizione sempre più feconda ed un impegno sempre più generoso. Lasciate perciò che vi ripeta con san Paolo: "E giusto, del resto, che io pensi questo di voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa... nella difesa e nel consolidamento del Vangelo" (Ph 1,7).

Di tutti questi sentimenti è segno l'apostolica benedizione, che sono lieto di impartirvi per assicurarvi la mia profonda benevolenza.

Data: 1981-11-03
Martedi 3 Novembre 1981




GPII 1981 Insegnamenti - Il saluto alla "Gioventù francescana di Sicilia" - Città del Vaticano (Roma)