GPII 1981 Insegnamenti - Ai partecipanti alla plenaria del Segretariato per l'unione dei cristiani - Città del Vaticano (Roma)


Ai pellegrinaggi da Milano ed Alessandria ed a giuristi francesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tornare alla pedagogia eucaristica riscoprendo la certezza delle virtù cristiane

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Grande è la mia gioia, oggi, nell'incontrarmi con voi in questa udienza straordinaria che vede uniti nella comune fede e letizia così numerosi pellegrini di due amatissime diocesi: Milano e Alessandria.

Saluto cordialmente l'Arcivescovo di Milano, Monsignor Carlo Maria Martini, rivolgendo un particolare pensiero al caro Cardinale Giovanni Colombo, ai Vescovi Ausiliari e ai Vicari Episcopali. Saluto insieme i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi, i rappresentanti dei Collegi e delle varie Associazioni, i fedeli della vasta arcidiocesi, venuti alla Sede di Pietro per iniziare in modo solenne, con la benedizione del Papa, i preparativi per una degna ed efficace celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale, nel maggio 1983 e poi nell'anno seguente, del quarto centenario della morte di san Carlo.

Saluto il Vescovo di Alessandria, Monsignor Ferdinando Maggioni, insieme con le Autorità religiose e civili e i fedeli della diocesi, venuti a Roma per onorare il grande Papa Alessandro III, dal quale la Città prese il nome, ricorrendone quest'anno l'ottavo centenario della morte.

Rivolgendomi a voi tutti qui presenti, desidero abbracciare col mio affetto anche le Comunità che voi rappresentate: portate il saluto del Papa ai vostri parenti ed amici, a tutti gli abitanti delle vostre terre, così industriose e feconde, ai piccoli e agli adulti, ai lavoratori delle fabbriche e dei campi, agli intellettuali ed ai professionisti, ai responsabili della vita civile e sociale, e particolarmente ai malati e a coloro che soffrono. Portate loro l'assicurazione che il Papa ha tutti presenti, per tutti prega e su ognuno invoca l'abbondanza dei celesti favori di cristiana e fiduciosa serenità.

Al saluto che vi porgo è unito il più vivo ringraziamento per il vostro pellegrinaggio, segno di convinta e appassionata fedeltà alla Chiesa. Infatti, se siete qui, è perché la vostra fede vuol essere viva e vissuta: voi siete cristiani e cattolici; voi volete sentirvi strettamente legati al messaggio di Cristo e al magistero indefettibile della sua Chiesa, "colonna e fondamento della verità" (1Tm 3,15). E' veramente una grande cosa credere in Cristo e nella Chiesa! E' una ricchezza impareggiabile, un privilegio stupendo, una vocazione meravigliosa, che dà luce alla vita e significato alla storia intera. E' anche un merito, che troverà l'eterna ricompensa, ed insieme è pure una responsabilità. Il cristiano, che ha compreso il valore definitivo della fede in Cristo e nella Chiesa, sente continua ed assillante la preoccupazione di esserne degno, di viverla con coerenza e con coraggio, di testimoniarla con ansia apostolica.

Perciò il mio compiacimento per la vostra fede va unito all'esortazione di un sempre più fervoroso impegno di autentica vita cristiana, nella grazia di Dio, nell'approfondimento della dottrina, nell'esercizio generoso della carità.


2. Vorrei ora suggerirvi alcune riflessioni, che vi possano servire per la vostra condotta pratica, prendendo lo spunto dai motivi del vostro pellegrinaggio romano.

Tra due anni, dunque, si celebrerà a Milano il Congresso Eucaristico Nazionale: un Convegno di tale caratteristica è sempre un avvenimento sacro di grande importanza, tanto più quando è a livello nazionale. Esso infatti deve impegnare tutta la Comunità, ed ognuno singolarmente deve sentirsi responsabilizzato per la sua buona riuscita. Ma in che cosa deve consistere tale buona riuscita? Nel contesto della società agnostica in cui viviamo, dolorosamente edonistica e permissiva, è essenziale approfondire la dottrina riguardante l'augusto mistero dell'Eucaristia in modo da acquistare e mantenere integra la certezza circa la natura e la finalità del Sacramento che si può dire giustamente il centro del messaggio cristiano e della vita della Chiesa. L'Eucaristia è il mistero dei misteri, perciò la sua accettazione significa accogliere totalmente il messaggio di Cristo e della Chiesa, dai preamboli della fede fino alla dottrina della Redenzione, al concetto di Sacrificio e di Sacerdozio consacrato, al dogma della "transustanziazione", al valore della legislazione in materia liturgica.

Oggi è necessaria prima di tutto la certezza, per riportare al suo esatto posto centrale l'Eucaristia e il Sacerdozio, per valutare nel loro giusto senso la Santa Messa e la Comunione, per ritornare alla pedagogia eucaristica, sorgente di vocazioni sacerdotali e religiose, e forza interiore per praticare le virtù cristiane, tra cui specialmente la carità, l'umiltà e la castità. Oggi è tempo di riflessione, di meditazione, di preghiera per ridare ai cristiani il senso dell'adorazione e il fervore: solo dall'Eucaristia profondamente conosciuta, amata e vissuta si può attendere quell'unità nella verità e nella carità voluta da Cristo e propugnata dal Concilio Vaticano II. Tocca a voi, milanesi, fare in modo che il prossimo Congresso Eucaristico sia fonte di chiarezza dottrinale e centro propulsore di fervore liturgico per tutta la cara Italia. Il Papa ha fiducia in voi! Il Signore benedica i vostri sforzi ed i vostri propositi! Vi aiutino e vi ispirino i vostri grandi Arcivescovi: Sant'Ambrogio e san Carlo Borromeo, e i Servi di Dio Andrea Ferrari e Ildefonso Schuster, la cui azione e le cui memorie sono tuttora presenti ed efficaci nella terra milanese.


3. I pellegrini di Alessandria sono venuti a Roma per celebrare con particolare solennità un avvenimento di natura e di portata ecclesiale. L'ottavo centenario della morte di Alessandro III, il Papa in cui onore fu costruita la città avendo accettato di presiedere alla celebre "Lega Lombarda" contro l'imperatore Federico Barbarossa, ci fa riandare con la memoria ad un periodo assai difficile e complicato della storia della Chiesa. Il Cardinale Rolando Bandinelli di Siena, dotto teologo ed insigne giurista, divenuto Pontefice il 7 settembre 1159, ebbe una ben pesante croce da portare: il suo lungo pontificato fu contrassegnato dalle continue lotte contro l'imperatore per salvaguardare i diritti della Chiesa, dallo scisma che perduro con la successione di ben quattro antipapi, dalla corruzione che serpeggiava in ogni luogo, dalle frequenti guerre che spargevano miserie, crudeltà, persecuzioni. Ma alla fine l'imperatore si sottomise ad Alessandro III, si fece pace nella Chiesa ed il Papa, tornato definitivamente a Roma ebbe modo di convocarvi il Concilio Lateranense III, l'undicesimo Concilio Ecumenico. Questo periodo di storia turbinoso e drammatico, ormai così lontano, ci insegna tuttavia ad essere sempre ed ovunque portatori di pace. Per quanto siano turbati gli avvenimenti della storia umana, il cristiano sa che il suo dovere è di possedere la pace e di portarla ai fratelli, strettamente unito al Papa, che nella Chiesa intera è il garante e l'animatore della pace. Sia questo il proposito, che nasce per tutti voi dalle cerimonie commemorative.


4. Carissimi! Ecco ciò che mi premeva di dirvi in questo incontro così colmo di letizia e di affetto! "Per il resto - concludero con san Paolo - state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi!" (2Co 13,11).

Vi accompagni e vi sostenga la materna protezione di Maria santissima, insieme con la mia propiziatrice benedizione apostolica, che di cuore vi imparto e che volentieri estendo a tutte le persone a voi care! Sono lieto di salutare anche un gruppo di giuristi cattolici francesi: professori, magistrati, avvocati, notai, ufficiali giudiziari e studenti che hanno desiderato venire qui a Roma per studiare, insieme agli organismi responsabili, come la Santa Sede considera la giustizia, e per riflettere sui diritti dei genitori nei confronti del problema educativo. In quanto laici cattolici, voi avete a cuore d'affrontare questi problemi giuridici con la competenza che la vostra professione esige e con le convinzioni di fede e di etica cristiana che vi animano. Vi auguro che la vostra testimonianza produca i frutti migliori, in questi tempi in cui molti valori religiosi e morali sono offuscati, e che questo si verifichi nel dialogo e nella collaborazione con le altre istanze che perseguono il medesimo fine, e in comunione con coloro che sono stati costituiti Pastori delle vostre Comunità cristiane e che sono innanzitutto responsabili del modo di formare le coscienze. In questo luogo, santificato dagli apostoli Pietro e Paolo, dico a voi come a tutti i miei visitatori: "Contribuite per parte vostra ad edificare la Chiesa", ed invoco sulle vostre persone, le vostre famiglie e le vostre responsabilità professionali ed apostoliche la luce e la forza di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Data: 1981-11-14
Sabato 14 Novembre 1981




Recita dell'"Angelus" - Corresponsabilità e condivisione dei cristiani per i problemi che angustiano gli emigranti



1. Nel Vangelo dell'odierna domenica ascoltiamo la parabola dei talenti.

I pensieri, che suscita in noi questa parabola, li vogliamo dirigere oggi, ancora una volta verso il lavoro umano, con particolare riguardo al lavoro degli emigrati. Ci invita a ciò la circostanza che in questa domenica in Italia si ricordano questi figli e figlie della Patria, che per diversi motivi hanno dovuto lasciare la loro terra natia. Il più delle volte appunto in cerca di un lavoro.

Per una simile strada camminavano - e continuano a camminare - gli uomini di diverse nazioni, paesi e continenti. L'emigrazione è un rilevante problema sociale a livello internazionale. Ed esso è attuale nel nostro tempo non meno di quanto lo era nel passato, anzi ha assunto oggi dimensioni imponenti.


2. Il fenomeno emigratorio ha senza dubbio aspetti positivi in quanto procura un lavoro a chi ne manca e fomenta i legami di contatto tra i popoli. Esso pero presenta anche aspetti negativi, in quanto - come ho scritto nell'enciclica "Laborem Exercens" - "costituisce, in genere, una perdita per il Paese dal quale si emigra. Si allontana un uomo e insieme un membro di una grande comunità, ch'è unita dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, per iniziare una nuova vita in mezzo ad un'altra società, unita da un'altra cultura e molto spesso anche da un'altra lingua" (LE 23).

Ciò non avviene senza contraccolpi di ordine psicologico, ai quali si accompagnano non di rado situazioni di emarginazione sociale, che urtano contro le fondamentali esigenze della giustizia. E' necessario, pertanto, ribadire che al lavoratore migrante si deve riconoscere, oltre al diritto a lasciare il proprio Paese d'origine e a stabilirsi in un nuovo Paese d'elezione, anche quello ad avere una dimora conveniente in cui poter abitare con la propria famiglia; ed inoltre il diritto al lavoro e ad un uguale trattamento economico e previdenziale con i lavoratori del Paese ospite, come anche il diritto alla sicurezza dell'impiego e del soggiorno, ad un'adeguata formazione e promozione professionale, alle varie forme di previdenza e di assistenza sociale.

Non va, peraltro, sottaciuto che a questi diritti corrispondono pure dei doveri da parte del lavoratore migrante verso il Paese in cui lavora, per quanto concerne la realizzazione del bene comune e la tutela dell'ordine pubblico.

Giustamente desideroso che siano salvaguardate le proprie tradizioni culturali, il lavoratore migrante assumerà un atteggiamento di rispetto cordiale ed aperto verso il patrimonio di valori, di lingua, di costumi della Nazione che lo ha accolto.


3. In questa domenica in cui la Commissione per le Migrazioni e il Turismo della Conferenza Episcopale Italiana intende richiamare l'attenzione sui molteplici problemi, soprattutto di ordine morale, derivanti dal forzato abbandono della propria terra natale per la ricerca di un onesto sostentamento, noi vogliamo rivolgerci col pensiero e col cuore a quanti vivono lontani dalla loro Patria, sparsi nei diversi Paesi del mondo.

La nostra preghiera, mentre affida al Signore le trepidazioni, le ansie e le speranze di quanti sono coinvolti nella vicenda migratoria, vuole chiedergli di suscitare nel cuore dei cristiani un vivo senso di corresponsabilità e di condivisione, grazie al quale sia affrettata la soluzione dei problemi che angustiano molti di questi nostri fratelli.


4. Nel corso del mese di novembre i nostri pensieri e le nostre preghiere permangono vicino ai nostri morti. I defunti che riposano nei cimiteri della terra natale costituiscono anche un particolare anello di unione spirituale con la grande famiglia dei nostri emigrati. Perfino quando si sono già rotti gli altri legami, il ricordo dei morti, le visite alle loro tombe, gli anniversari e le altre circostanze familiari fanno tornare questi nostri fratelli e sorelle nella terra dei Padri.

Pregando oggi secondo le loro intenzioni, raccomandiamo, nello stesso tempo, a Dio quei defunti, le cui tombe li uniscono costantemente con la Patria che hanno lasciato.


5. La festa liturgica di san Alberto Magno, che ricorre oggi, richiama alla mente il ricordo del viaggio compiuto in Germania lo scorso anno esattamente in questi giorni. Rimangono incancellabili nel mio animo i momenti di quel pellegrinaggio apostolico, durante il quale ho potuto costatare la grande vitalità di quella cara Nazione e quanto profondo sia l'attaccamento alla Chiesa da parte di quei cattolici, come sia generoso il loro contributo per le molteplici iniziative di carità in favore della Comunità ecclesiale universale e come sia fervido il loro impegno per promuovere la causa dell'unità con tutti i fratelli cristiani.

A quel nobile Paese rivolgo, in questo primo anniversario della mia visita pastorale, il più cordiale saluto, unito a fervidi voti di serena prosperità e di ordinato progresso, mentre assicuro uno speciale ricordo nella preghiera alla Vergine Maria.

(Al termine della preghiera mariana il Santo Padre ha aggiunto:) Vorrei oggi attirare la vostra attenzione e chiedere le vostre preghiere per il secondo incontro ecumenico europeo, che si svolgerà a Logumkloster in Danimarca dal 16 al 20 di questo mese, per iniziativa congiunta della Conferenza Episcopale delle Chiese Europee e del Consiglio delle Conferenze Episcopali dell'Europa.

L'incontro di riflessione comune è imperniato soprattutto sulla preghiera ed avrà per tema la speranza cristiana, così come la presentava san Paolo alla Chiesa di Efeso: "Siete chiamati a una sola speranza" (Ep 4,4).

Preghiamo perché la comune vocazione ad una sola speranza illumini i lavori del suddetto incontro e riscaldi i cuori di tutti i partecipanti, favorendo un'azione di reciproca comprensione, di collaborazione e di unità fra i cristiani per la riconciliazione e l'attiva convivenza di tutti i popoli europei nel vincolo della pace.

Data: 1981-11-15
Domenica 15 Novembre 1981


L'omelia alla parrocchia santa Maria della Salute a Primavalle - Roma

Titolo: Nell'attesa della venuta del Signore esercitiamo la nostra responsabilità nel mondo

Carissimi fedeli,

1. "Beato chi cammina nelle vie del Signore" (Ps 127,1). Con queste parole della sacra liturgia vi esprimo la mia gioia di trovarmi quest'oggi in mezzo a voi, romani del quartiere di Primavalle, e di potervi manifestare personalmente la mia profonda affezione, realizzando così una promessa da me fatta a una vostra rappresentanza nel dicembre dell'anno scorso, in occasione della benedizione in Vaticano della immagine della Madonna del vostro Centro sportivo: avevo detto loro che vi sarei venuto a trovare nella vostra sede parrocchiale.

Desidero perciò salutare anzitutto il Cardinale Poletti e il Vescovo Ausiliare di questo settore della diocesi di Roma, Monsignor Remigio Ragonesi; il parroco, padre Cosma di Mambro, che, insieme ai suoi confratelli del Terz'Ordine Regolare, dirige questa parrocchia, che ormai da un trentennio è diventata punto di riferimento spirituale e sociale per la popolazione di questa zona.

Rivolgo anche un saluto cordiale a quanti lavorano e si prodigano per l'annunzio del Vangelo, per la salvezza e la santificazione della anime, e per l'aiuto caritatevole a coloro che hanno bisogno di pane e di conforto. In particolare, saluto le Suore Sacramentine di Bergamo, quelle del Preziosissimo Sangue di Monza, e dell'Amore di Dio, le Piccole Operaie dei Sacri Cuori e le Figlie della Sapienza, i cui benemeriti Istituti si dedicano fra voi all'educazione dei bambini della Scuola materna e dei ragazzi delle Scuole elementari, oppure attendono all'accoglienza dei poveri e dei pellegrini; saluto altresì i rappresentanti del Consiglio Pastorale, i Catechisti, i vari gruppi di Azione cattolica e di altre Associazioni ecclesiali, tra cui sono il gruppo Caritas parrocchiale e quello dell'Impegno Missionario, la Corale "Canto Sacro", il gruppo Ministranti, come pure quelli delle Acli. della Crociata anti-blasfema, dei Cristiani nella scuola, della Stampa "Giovani d'Europa", e tanti altri.

Estendo il mio saluto poi a tutta la grande famiglia parrocchiale, con particolare pensiero verso i bambini che sono il conforto e la speranza della famiglia, i malati e quelle persone anziane che soffrono per le molteplici difficoltà in cui vengono a trovarsi, a causa della malattia e della solitudine.

Tutti stringo al mio cuore, nel nome di Cristo e della Vergine santissima della Salute, vostra celeste Protettrice.


2. "Beato l'uomo che teme il Signore" (Ps 127,4). Nella liturgia dell'odierna XXXIII domenica "per annum", che ci prepara all'Avvento, ormai vicino, la Chiesa ci richiama a un vigile e dinamico impiego dei talenti che il Signore ha affidato a ciascuno di noi e ad essere generosi nella corrispondenza alle grazie e ai doni che Egli ci destina. Non sono degni del Signore, perciò, quella comunità o quel singolo individuo che, per paura di compromettersi, si rinchiudono in se stessi e si alienano dalla realtà di questo mondo. Nel Vangelo di oggi, abbiamo il tipico atteggiamento di colui che non mette a frutto i doni ricevuti: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra" (Mt 25,24-25). Si può dire di lui che è "beato", perché "ha temuto il Signore"? Certamente no! lo fanno capire le stesse parole di Cristo. Il Signore della parabola, infatti, biasima il comportamento di quel servo. E' un servo "malvagio ed infingardo", che non ha utilizzato affatto il suo denaro, non lo ha sfruttato, ma lo ha addirittura sprecato. Ed ecco, che cosa dice il Signore: "Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha dieci talenti. Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha" (Mt 25,28-29).

Questa parabola dei talenti ci insegna a distinguere il vero timore di Dio da quello falso. Il vero timore di Dio non è paura, ma piuttosto dono dello Spirito, per cui si teme di offenderlo, di rattristarlo e di non fare abbastanza per essere fedeli alla sua volontà; mentre il falso timore di Dio è fondato sulla sfiducia in lui e sul meschino calcolo umano. Vero timore di Dio ha colui che "cammina nelle vie del Signore" (Ps 127,1), così come si è manifestato nel comportamento del primo e del secondo servo, entrambi lodati dal Signore con le parole: "Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti daro potere sul molto" ().


3. Ma qual è il significato di questi talenti evangelici? Come è noto, essi hanno un senso analogico e perciò possono prestarsi a varie applicazioni. La parabola risponde anzitutto alle istanze del Regno: si ingannano coloro i quali credono di assolvere il loro dovere nei confronti di Dio, dandogli quello che credono il "suo", come dice il servo infingardo "ecco qui il tuo" (Mt 25,25), senza cioè pensare che si tratta di un rapporto esistenziale, in cui l'uomo deve corrispondere con tutto se stesso, senza soluzioni di comodo o di paure. Infatti la parabola, inserita com'è nel contesto della parusia, fa pensare alla pienezza del Regno, come premio di una vigilanza che è attesa operosa, in vista della quale non ci si può accontentare di conservare il tesoro, tanto che lasciare infruttuosi i doni dei vari talenti è colpa che merita "pianto e stridore di denti" (Mt 25,30). Tutto ciò comporta per ogni cristiano non solo l'impegno di corrispondere alle grazie divine in ordine alla perseveranza finale, ma esige anche la volontà di costruire un mondo nuovo. In questo quartiere di Primavalle, per esempio, si tratta di operare per trasformare, sempre maggiormente la parrocchia in un centro di promozione spirituale, in una vera comunità di redenti che lodano il Signore e che, in suo nome, si amano vicendevolmente, sempre solleciti gli uni delle necessità degli altri. Tale sforzo mira a contribuire alla soluzione dei più gravi problemi sociali che assillano gli abitanti di questa zona, come i problemi della casa, della disoccupazione, della carenza di mezzi di trasporto e di scuole superiori, la tutela dei cittadini di fronte al fenomeno ricorrente della violenza, della droga e del malcostume, che minacciano spesso i più deboli, inesperti ed innocenti.


4. Questi fenomeni negativi minacciano soprattutto la santità e l'integrità della famiglia. Il brano del Libro dei Proverbi e il Salmo responsoriale che abbiamo letto poco fa, sono molto istruttivi, a questo riguardo. In essi viene descritta la donna ideale, in seno alla famiglia, e ne esalta i meriti e la gioia di cui essa sa colmare il suo focolare. Le sue principali qualità: la laboriosità, l'interesse per i poveri, la saggezza, la bontà e la donazione totale al marito e ai figli. In questo modo, essa, impiegando sapientemente il suo talento, realizza pienamente la sua vocazione di donna nell'ambito della sua famiglia e in quello più vasto della Chiesa e della società. Ovunque facendo la donna fruttificare il suo talento di fede e di carità operosa, la famiglia, di cui essa è sapiente custode ed ispiratrice, e "nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa ed a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, diventa veramente il fondamento della società" (GS 52).


5. Perciò dall'odierna liturgia nasce un duplice appello a permanere in Cristo, come abbiamo ascoltato nel canto dell'Alleluia: "Vegliate e state pronti, perché non sapete in quale giorno il Signore verrà", e a vigilare, secondo le parole di san Paolo ai Tessalonicesi. Anche qui ritorna il tema generale dell'impiego generoso dei talenti, dati da Dio. Il cristiano non è colui che perde tempo a discutere sul giorno e sull'ora della venuta del Signore, ma piuttosto colui che, istruito dalle parole di Gesù, vive in comunione con lui, vigilando costantemente.

Questa attesa, per essere autentica, deve essere operosa. Paolo insiste con i Tessalonicesi perché siano attivi nel bene: il bene concreto, quello di ogni giorno. Saranno salvi coloro che sono vigilanti e sobri, non quelli che dormono.

Una certezza guida la vita del cristiano e determina la sua condotta: il Signore verrà! E la sua venuta non è da considerare solo in termini escatologici, cioè quella che avverrà alla fine del mondo, ma anche quella che avviene nel nostro tempo e nella nostra vicenda quotidiana. Di qui nasce anche la nostra responsabilità di fronte al mondo per la sua pace e la sua sicurezza; (cfr. 1Th 5,3); ma non per "quella pace che regna fra gli uomini, infida, instabile, mutevole e incerta... Ma per quella pace proveniente da Gerusalemme", come spiega sant'Agostino (Enarr. in Ps 127,16), cioè per quella pace che è garantita dal Signore. Continua il santo Vescovo d'Ippona: "E' questa la pace che noi vi predichiamo, che noi stessi amiamo e desideriamo sia amata da voi. E' una pace che conseguiranno coloro che qui in terra sono stati pacifici. Per essere di là nella pace, occorre essere pacifici di qua. Tali pacifici attorniano la mensa del Signore" (Ps 16).


6. Carissimi fedeli di Primavalle, con questa pace nel cuore anche noi accostiamoci ora al santo altare per prendere parte alla celebrazione eucaristica.

Preghiamo il Signore Gesù, che fra poco si renderà presente in mezzo a noi sotto le specie del pane e del vino, di confermare nei nostri cuori gli auspici espressi in questa liturgia della Parola, che si possono riassumere nell'impegno quotidiano per saper valutare sempre meglio e sempre di più la funzione insostituibile della famiglia nella Chiesa e nella società contemporanea; l'attesa operosa e fiduciosa del giorno del Signore, che sia tale da guidare la vita e determinare la condotta, e infine l'impiego sapiente dei talenti ricevuti da Dio con amorevole fiducia nel Padre, senza lasciarsi prendere dalla paura del terzo servo, perché la paura nel cristiano non deve sussistere, essendo egli diventato, col Battesimo, figlio di Dio e coerede di Cristo.

Che le parole del Signore: "Bene, servo buono e fedele... prendi parte alla gioia del tuo padrone" () si avverino e si realizzino anche per ciascuno di voi! Affido questi voti a Maria santissima della Salute. Ella vi aiuterà a scoprire e a mettere in atto tutti i vostri talenti. Vi aiuterà a farne l'uso migliore. Ella, che è salute degli infermi, non mancherà di salvare le vostre anime e di condurvi a Gesù, frutto benedetto del suo seno. Amen. Data: 1981-11-15
Domenica 15 Novembre 1981


All'Associazione "Aiuto alla Chiesa che soffre" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'opera caritativa testimonianza ecclesiale indispensabile

Cari fratelli e sorelle, Se la vostra gioia di trovarvi uniti qui nella Casa del Papa è grande, credete che la mia, nell'accogliervi oggi, è altrettanto sentita. Nella bimillenaria storia della carità ecclesiale, voi portate, infatti, un contributo commovente ed efficace, che il solo nome dato alla vostra Associazione: "Aiuto alla Chiesa che soffre", traduce molto bene.

Durante questo incontro, vorrei innanzitutto pormi sulla traccia dei miei amati predecessori. Da che è nato il vostro vasto movimento - cioè già da più di trentaquattro anni -, gli sono state manifestate stima e riconoscenza per un'opera che desidera, con altri e per mezzo di altri, incarnare la carità di Cristo per la sua Chiesa. A questo proposito, è cosa a me gradita ricordare le parole che Papa Paolo VI pronuncio il 5 novembre 1967, nel corso di una udienza concessa al Moderatore generale e al suo Consiglio: esse hanno il potere di mantenere viva la fiamma che arde nei vostri cuori: "Noi vi conosciamo, sappiamo della generosità che vi anima. Siamo al corrente di ciò che siete capaci di realizzare in circostanze difficili, per sollevare quella "sofferenza" della quale avete compreso l'implorazione dolorosa e tanto spesso silenziosa. Non tutti ascoltano i cristiani che soffrono in silenzio. Bisogna avere la sensibilità, lo spirito, soprattutto il cuore attenti alla sofferenza di quei nostri fratelli la cui voce non riesce quasi mai ad attraversare gli spazi e a valicare le barriere per arrivare sino a noi. Voi non vi accontentate di denunciare, di rimandare ad altri l'opera di aiuto a quei fratelli nel bisogno. Voi agite, raccogliete offerte, approntate spedizioni che testimoniano a coloro che le ricevono l'assicurazione che i loro fratelli nella fede conoscono i loro bisogni e non li abbandonano...".

Così, da più di trent'anni, come il piccolo grano di senapa che crescendo diventa un grande albero sul quale gli uccelli del cielo possono ripararsi (cfr. Mt 4,30-32), l'Associazione "Aiuto alla Chiesa che soffre", non ha cessato di stendere i rami delle sue opere di carità. Sono lieto di condividere la vostra gioia e il vostro ardore... Voi proverete sempre "più gioia nel dare che nel ricevere" (cfr. Ac 20,35). E questa solidarietà a causa di Cristo e della sua Chiesa, viene e deve venire sempre dallo Spirito Santo "effuso nei vostri cuori".

Questa carità concreta e multiforme (cfr. Mt 25,31-46) che fu quella delle prime comunità cristiane e che è continuata attraverso i secoli - è una testimonianza ecclesiale indispensabile, in tutte le epoche ma soprattutto nella nostra.

La vostra Assemblea generale vi avrà confermati nelle vostre convinzioni, generatrici di entusiasmo evangelico. So inoltre che avete lavorato molto attivamente alla messa a punto del nuovo Statuto, che vi aiuterà a far fronte sempre meglio al vostro grave compito ed alle sue nuove esigenze. Avete poi eletto un nuovo Presidente, nella persona di Monsignor Henri Lemaître, che saluto in modo tutto particolare e al quale presento gli auguri più cordiali per un lavoro fruttuoso al servizio dell'Associazione. Egli si adopererà certamente a far si che l'azione della vostra Associazione continui a svilupparsi in uno spirito di solidarietà verso i fratelli che soffrono e con un generoso sforzo di evangelizzazione per contribuire a riportare a Cristo coloro che restano sempre dei fratelli ma che non credono in colui che, in seguito ad un infelice sconvolgimento sul piano spirituale, sono giunti a combattere.

Permettetemi ancora di salutare e di ringraziare Monsignor Norbert Calmels. Quale Abate generale dei Premostratensi e diretto Superiore del fondatore dell'"Aiuto alla Chiesa che soffre", ha reso a quest'opera importanti servizi ai quali desidero rendere omaggio.

Infine, mi rivolgo al caro Padre Werenfried van Straaten per esprimergli la mia più profonda gratitudine che non è solamente mia ma anche di tanti Vescovi, di migliaia di sacerdoti, religiosi, religiose, novizi, seminaristi e milioni di fedeli. Chi potrà valutare tutte le fatiche dedicate alla organizzazione di una tale opera, così come tutta la generosità suscitata, in Occidente ed anche oltre, per i cristiani che soffrono? Tutto questo, noi lo sappiamo, è scritto nel "libro della vita". Il Signore stesso è la ricompensa dei suoi discepoli! Nel momento in cui Padre Werenfried viene ad affidare il suo compito di Moderatore in altre mani per consacrarsi ai compiti d'animazione spirituale dell'opera, gli auguro un fruttuoso servizio alla Chiesa.

A voi tutti che siete ferventi collaboratori di questa bella opera di solidarietà cristiana, rinnovo i miei incoraggiamenti ed accordo una particolare benedizione apostolica, da estendere a tutti coloro che portate nel vostro cuore e nella vostra preghiera.

Data: 1981-11-16
Lunedì 16 Novembre 1981





Ai Vescovi della Costa d'Avorio in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le Chiese d'Africa strettamente legate con la Chiesa di Roma

Cari fratelli nell'Episcopato, Accogliendovi oggi in Vaticano, come non ricordare l'ospitalità calorosa che mi avete riservato in occasione della mia visita nel vostro Paese? E intorno a voi erano radunati non solamente una moltitudine di fedeli, ma anche un gran numero di vostri compatrioti di tutti gli orizzonti spirituali. Lasciate che io li ringrazi ancora una volta per vostro tramite: la mia gratitudine si rivolge in particolare alle Autorità pubbliche e agli organizzatori.

Un tale entusiasmo spontaneo attorno al successore di Pietro testimonia ciò che, presso di voi, rappresenta la Chiesa, strettamente unita alla Cattedra di Roma e percepita come una realtà africana ben al di là delle comunità cristiane.

In questo riconosco un motivo di incoraggiamento a non lasciarvi impressionare da coloro che, col pretesto di conservare e di favorire le tradizioni culturali africane, vorrebbero accusare le Chiese locali di essere infeudate ad una tutela straniera. Il carattere di gioia popolare della vostra accoglienza, le relazioni libere e permanenti che voi intrattenete tanto con Roma che con le Chiese di altri continenti in un clima di scambi e, forse più ancora, l'opera che viene compiuta col vostro incoraggiamento presso l'Istituto cattolico dell'Africa occidentale - che ho avuto la gioia di visitare - negano queste insinuazioni. Aggiungero che senza dubbio non è lontano il giorno in cui le giovani Chiese d'Africa renderanno un prezioso servizio a quelle dell'antica cristianità che hanno fatto conoscere loro il Vangelo che avevano esse stesse ricevuto e che continuano a mettere a vostra disposizione sacerdoti, religiose e laici il cui impegno disinteressato è totale. Non vediamo già i felici inizi di questo scambio apostolico nella testimonianza resa in Europa dai lavoratori cristiani d'Africa e nell'aiuto arrecato dal ministero dei sacerdoti delle vostre diocesi durante i loro studi sul continente europeo? E su questa strada d'aiuto fraterno autenticamente ecclesiale che bisogna progredire, senza alcun complesso.

Mi è quindi cosa gradita esprimervi come io apprezzi lo sforzo che avete intrapreso e che va sostenuto con tenacia, in favore delle vocazioni. Avete riscontrato un calo del numero delle giovani che iniziano il noviziato. Anche se vi sono speranze di risveglio nelle vocazioni sacerdotali - sebbene non ugualmente ripartite nelle varie diocesi -, continuate ad essere vigilanti. I giovani, quando si interrogano sull'autenticità di una eventuale chiamata del Signore, sono esigenti nei confronti di se stessi come in quelli degli altri. Bisogna che essi possano vedere con i loro occhi queste esigenze realizzate nella gioia da parte dei sacerdoti e delle religiose che li circondano. Bisogna poi, in questa nostra epoca di cambiamenti profondi nel campo dell'affettività, che il dono di se stessi, fatto totalmente al Signore, venga ricompensato dalla certezza di una vita fraterna tra i sacerdoti e le religiose. Il ruolo del Vescovo è in questo caso essenziale, come voi ben sapete. Come si affermava negli Statuta Ecclesiae Antiqua al tempo di san Cesare d'Arles: "Che il Vescovo sappia di essere il primo quando celebra l'Eucaristia, e uno dei suoi fratelli quando è a tavola". La vostra vicinanza a vostri fratelli sacerdoti è simbolo della loro fraternità malgrado le tensioni inevitabili e talvolta necessarie. Questa fraternità tra sacerdoti è d'esempio per la comunità cristiana tutta intera e sarà una notevole ragione per sostenere in modo particolare la disponibilità dei giovani che vorranno imitarli.

Le vocazioni numerose sono un segno della generosità e della maturità di una comunità cristiana: si ha dunque il diritto di attendere che esse si manifestino ancora in molti altri aspetti e, in particolare, nella apertura del cuore dei cristiani verso il povero e lo straniero e nella presa di coscienza delle loro responsabilità apostoliche. Mi sembra che vi sia un invito pressante alla Chiesa della Costa d'Avorio poiché, nonostante la attuale crisi economica mondiale, il vostro Paese gode di una situazione invidiabile tra i vari Paesi africani. Questo si spiega in parte con l'afflusso di abitanti da Paesi vicini in particolare dall'Alto Volta, venuti presso di voi per lavorare. E' quindi importante che il vostro zelo pastorale nei loro confronti non venga smentito da nulla e che sia sostenuto da una stretta e stabile cooperazione coi Vescovi dell'Alto Volta. Non dimenticate mai che l'accoglienza dello straniero è una benedizione di Dio, un bene sia per chi dà accoglienza che per chi viene accolto! Analogamente ad altri Paesi poi voi siete posti di fronte alle conseguenze di una urbanizzazione rapida con tutto ciò che essa comporta: sradicamenti, problemi sociali, e, soprattutto, inquietudini.

L'attrazione delle sette che si moltiplicano rivela in parte questo sentimento di insicurezza che l'uomo, disorientato, avverte nelle grandi città a qualunque ambiente sociale egli appartenga. E' necessario quindi che grazie ai sacerdoti, alle religiose e ai vostri così zelanti catechisti, la Chiesa, come al tempo dei primi cristiani, sia per tutti coloro che vi si accostano, accogliente, comprensiva e gioiosa. Per questo scopo occorrono delle strutture adatte e flessibili e ciò richiede soprattutto, come fortunatamente nel vostro caso, che i catechisti stessi ricevano una solida formazione biblica onde potere, con la loro vita e le loro parole, rendere conto senza ambiguità della speranza che è in noi.

Resta ben inteso che una tale attenzione portata dalla Chiesa alle popolazioni delle città suppone un realismo, fondato sulla coscienza precisa dei fattori economici e sociologici, che non elude mai la dimensione religiosa dell'uomo, e una volontà tenace di lottare per la giustizia, non tralasciando di rispondere con sollecitudine ai bisogni attuali attraverso l'azione caritativa.

Con avvedutezza avete sostenuto gli sforzi di coloro che sono convinti della importanza fondamentale della famiglia. Sono al corrente del fatto che avete incoraggiato la costituzione di associazioni di famiglie cristiane. Non si dirà mai abbastanza quanto dipenda dall'equilibrio della famiglia la possibilità di trovare la soluzione delle numerose difficoltà che ho menzionato. Non dimenticate che salvaguardando e promuovendo i valori della famiglia, si lavora sicuramente per la promozione dell'uomo per l'umanizzazione della società. E quando la famiglia è cristiana, voi lo sapete bene, diventa una "chiesa domestica" e dunque la prima cellula missionaria.

Prima di impartirvi la Benedizione, vorrei cogliere questa occasione per esprimervi il mio affetto, la mia profonda stima per tutto il lavoro apostolico che si realizza sotto la vostra direzione in Costa d'Avorio. Quando si pensa alla abnegazione dei genitori, al coraggio dei catechisti, alla carità delle religiose che lavorano nei dispensari e nelle scuole, alla serietà degli insegnanti che si occupano dei giovani, alle responsabilità assunte dai laici, allo zelo dei sacerdoti - sia che provengano dalla vostre comunità o che siano giunti da lontano - e in definitiva alla preghiera e alla fede di tutto il popolo cristiano della Costa d'Avorio come non provare un sentimento di fierezza e di ammirazione? Dite ai vostri fedeli che il Papa li pensa, che prega per loro e con loro e che li benedice di tutto cuore come benedice tutti voi!

Data: 1981-11-19
Giovedì 19 Novembre 1981


GPII 1981 Insegnamenti - Ai partecipanti alla plenaria del Segretariato per l'unione dei cristiani - Città del Vaticano (Roma)