GPII 1982 Insegnamenti - All'Archiginnasio - Bologna

All'Archiginnasio - Bologna

Titolo: Al vertice dei valori l'amore per la verità

Testo:

Signor Sindaco, illustri Signori.

Sono lietissimo di poter fare questa pur breve sosta, nel corso della mia visita a Bologna, nell'"Archiginnasio", ove ebbe la sua originaria sede la gloriosa Università, che da secoli costituisce il vanto di questa Città. Con tale gesto simbolico rendo omaggio a tutte le Università del mondo, le quali hanno qui la loro culla, avendo tratto dall'esperienza culturale avviata fra queste mura il modello umanistico, a cui ispirare le strutture ed i programmi, come anche lo stile di studio e di convivenza dei docenti e degli alunni.

Chi varca questa soglia non può sottrarsi al fascino che promana da un passato, nel quale emergono figure insigni di studiosi e di maestri, di uomini di Chiesa, di politici, di santi, al cui apporto nel campo del pensiero e dell'azione tanto deve la storia del nostro millennio. Qui si sono dati convegno uomini di ogni parte d'Europa, per attingere alle limpide fonti del sapere. Qui sono giunti anche numerosi figli della mia Terra, sospinti dal desiderio di una conoscenza più profonda ed aggiornata, e qui non pochi di loro si sono distinti per l'attiva partecipazione alla vita accademica e per il positivo contributo al progresso degli studi. Basti ricordare fra tutti Nicolo Copernico che, proprio durante il suo soggiorno bolognese, elaboro in organico sistema la geniale intuizione, che rivoluzionava le concezioni tradizionali circa la struttura dell'universo.

Riandando col pensiero a questi Maestri del passato, la cui dedizione appassionata all'investigazione del vero costituisce per ogni tempo una testimonianza esemplare, noi prendiamo più viva coscienza del valore insostituibile che per l'essere umano ha il raggiungimento della verità, ed avvertiamo più urgente l'impegno di fare quanto è in noi perché ulteriori progressi si compiano in questo cammino, che non ha meta definitivamente appagante, se non nella contemplazione della Verità irraggiante dal volto di Dio.

Parlino dunque alle coscienze degli uomini di oggi le voci di quanti hanno speso la loro vita nella nobilissima e spesso estenuante fatica della ricerca e tutti ricordino che non v'è libertà, non dignità personale, non autentico progresso là dove l'amore per la verità non è posto al vertice dei valori per i quali solo vale la pena di vivere e operare, fino all'ultimo respiro.




1982-04-18 Data estesa: Domenica 18 Aprile 1982




Ai giovani, in piazza Maggiore - Bologna

Titolo: La forza della verità e dell'amore forma l'uomo nuovo e trasforma il mondo

Testo:

Carissimi giovani di Bologna e di tutta l'Emilia-Romagna!


1. Oggi è la seconda Domenica di Pasqua: l'ottava della Pasqua ci conduce al Cenacolo, "dove si trovavano i discepoli" ed "erano chiuse le porte... per timore dei Giudei".

"Venne Gesù, si fermo in mezzo a loro e disse: Pace a voi"! Proprio con questo saluto proveniente dal Cenacolo desidero salutare voi qui riuniti, che rappresentate la gioventù dell'intera Regione nella varietà delle sue componenti. Tra voi, infatti, ci sono gli studenti e ci sono i lavoratori: alunni delle Università, a cominciare dal famoso "Studium Bononiense"; alunni delle Scuole superiori e medie; giovani che già conoscono - come ha detto testè il vostro portavoce - le soddisfazioni e le fatiche del lavoro. E ci sono anche i componenti di una categoria mista: quella degli studenti-lavoratori, i quali non senza sacrificio hanno assunto l'impegno di prepararsi alla vita con una duplice applicazione. Tutti e ciascuno desidero salutare e chiamare per nome, senza dimenticare i gruppi ed i movimenti a cui appartenete. Venuto in visita pastorale nell'illustre ed a me tanto cara città di Bologna, non poteva né doveva mancare questo speciale incontro con voi, per il quale appare particolarmente adatta questa storica Piazza. Insieme con voi, cari giovani, saluto anche i Vescovi della Regione, con particolare pensiero per il Cardinale Antonio Poma.

Desidero che tutti accogliate questo saluto "Pace a voi" nella pienezza del suo contenuto evangelico ed, al tempo stesso, nella piena eloquenza della nostra contemporaneità. Quanto più difficile si fa oggi nel mondo la "pace", tanto più la Chiesa - cioè noi tutti - ci sentiamo chiamati a servirla "nelle opere e nella verità" (cfr. 1Jn 3,18).


2. "Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi".

Gli apostoli vengono mandati con la stessa missione con la quale Cristo è stato mandato dal Padre. Essi sono inviati in tutto quanto il mondo ad annunciare il Vangelo della pace. Ma ci possiamo chiedere: solo loro? Il Concilio Vaticano II insegna che tutto il Popolo di Dio è chiamato a partecipare alla missione di Cristo: Sacerdote, Profeta e Re (cfr. LG 10-12).

Ciò hanno capito sempre molto bene i giovani delle varie generazioni cristiane. Lo hanno capito, ad esempio, nel secolo scorso anche coloro che proprio qui in Bologna diedero vita alla "Società della Gioventù Cattolica Italiana". Chi non sa che da questa Società, proprio qui a Bologna, ebbe origine, nel 1867, l'Azione Cattolica? A tutti noto è il nome di Giovanni Acquaderni, un giovane nato a Castel san Pietro, il quale, non ancora trentenne, ne fu uno dei fondatori e il primo presidente. Ebbene, quel che allora in risposta al mandato di Cristo tanto animosamente fu fatto, segna un preciso punto di riferimento. Anche se l'epoca, per le particolari circostanze di quegli anni, è profondamente diversa dalla nostra, quel che allora fu fatto - voi capite bene, cari giovani -, costituisce un esempio ed insieme un incitamento. Il coraggio, la fedeltà, l'inventiva, il "senso ecclesiale", dimostrato dal vostro Conterraneo, sollecita le capacità e fa appello anche oggi alle energie giovanili, perché in concreto riprendano la missione di Cristo, continuandola ed attuandola nell'odierno contesto socio-culturale. Voglio dire che come allora, in simil modo l'odierna generazione dei giovani è anch'essa chiamata a partecipare alla missione di Cristo. Il Vaticano II, che ha ricordato questa verità, questo dovere, è il Concilio del nostro secolo.


3. Cristo poi riprese: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". E dopo queste parole alito su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo".

Voi avete ricevuto lo Spirito Santo? Lo avete "accolto"? Sapete bene che cosa vuol dire ricevere ed accogliere lo Spirito? Voi ricordate quel che già si è verificato nella vostra vita, proprio in forza di queste parole di Gesù.

Ricordate, in particolare, i sacramenti del Battesimo, della Cresima, della Penitenza, dell'Eucaristia, nei quali viene conferito o accresciuto il dono dello Spirito. Dovete perciò ricordare che essi appunto sono "sacramenti pasquali", che ci riportano al Cenacolo e, in particolare, a questa parola di Cristo. E ricordate ancora che lo Spirito è un dono, per ottenere il quale è sempre necessaria la preghiera: è con essa che ci si dispone ad accoglierlo come conviene.

Lo Spirito, infatti, ci è dato per partecipare attivamente alla Risurrezione di Cristo: egli è lo Spirito stesso di Cristo, è come l'anima della sua missione e la radice della nostra partecipazione ad essa.


4. Leggiamo a questo proposito: "Se dunque siete risorti con Cristo, / cercate le cose di lassù" (Col 3,1).

Al centro stesso della missione, che Cristo ha ricevuto dal Padre, si trova l'uomo nuovo: l'uomo aperto verso il Padre.

L'uomo "aperto verso il Padre" vuol dire l'uomo che vive nella piena dimensione della sua umanità. Quel "cercare le cose di lassù" è inscritto nella struttura stessa dell'uomo, che vive nella piena dimensione della sua umanità solo quando è capace di "superare" se stesso con la forza della verità e dell'amore.

Proprio a questo fine riceviamo lo Spirito Santo, perché la forza della verità e dell'amore formi la nostra vita interiore ed irradi anche verso l'esterno.

La formazione di tale uomo è, nello stesso tempo, il primo compito, la prima missione di ognuno di noi. Al dono, dunque, che ci viene dall'alto e ci sollecita verso l'alto deve seguire la risposta della nostra volontà, cioè la nostra personale collaborazione.

A seguito di ciò vengono altri compiti: solo dopo che ci è stata tale "formazione" con la forza della stessa verità e dell'amore, deve essere promossa la "trasformazione" del mondo. E', questo, un processo che dalla dimensione personale va verso la dimensione comunitaria. Trasformare il mondo vuol dire per il cristiano, aperto verso il Padre, formato nello Spirito, impegnarsi responsabilmente per elevare ed arricchire del suo stesso dono tutte le realtà e le comunità con cui viene a contatto: la famiglia, anzitutto; poi l'ambiente degli amici, l'ambiente della scuola, il luogo di lavoro, il mondo della cultura, la vita sociale, la vita nazionale.

Compito arduo, certamente, è questo; compito difficile, ma non impari alle energie dei giovani. Anche voi, giovani di Emilia e di Romagna, siete chiamati ad esso: anche a voi si offre il dono dello Spirito per operare quella duplice trasformazione: di voi stessi e del mondo.

Difatti, le caratteristiche e le qualità, che già ricordai nel gennaio scorso parlando ai Vescovi della vostra Regione convenuti a Roma, e cioè "il particolare rilievo culturale, politico ed economico all'interno della Nazione", e poi il culto dei "valori cristiani, ...la lealtà e la proverbiale schiettezza, la fedeltà agli impegni assunti ed alla parola data, la sacralità della famiglia, la laboriosità e la generosità verso i poveri" sono oggettivamente un patrimonio prezioso, che senza alcun dubbio appartiene anche a voi. Erano esse e sono qualità e caratteristiche dei padri, che sicuramente, spontaneamente, quasi per trasmissione ereditaria, sono passate ai figli.

Qui, pertanto, dico nel possesso di queste qualità è la prima risposta positiva a quel che vi ho detto intorno all'impegno di vivere secondo la dimensione dello Spirito e di contribuire, ricchi di questo dono, alla trasformazione del mondo.


5. Perché Cristo, subito dopo le parole "Ricevete lo SpiritoSanto", parla della remissione dei peccati? Egli dice: "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi".

Perché "la remissione" dei peccati suppone la conoscenza e la confessione dei peccati. E l'una e l'altra significa lo sforzo per vivere nella verità e nell'amore. Significa l'azione della "forza della verità e dell'amore", la quale forma l'uomo nuovo e trasforma il mondo.

La contraddizione - è la falsificazione della verità e la simulazione dell'amore. La contraddizione è l'obliterazione della linea di demarcazione tra il bene e il male, è il chiamare umanesimo quel che invece è "il peccato". Fin troppo facili sono, purtroppo, gli esempi che si potrebbero fare a questo riguardo: giustamente oggi si condanna il terrorismo, come attentato e violazione di elementari diritti dell'uomo; si condanna l'uccisione dell'uomo, come cosa manifestamente contraria all'esistenza stessa dell'uomo; nello stesso tempo, pero, il privare della vita l'uomo non-nato viene chiamato "umanesimo", viene considerato "prova di progresso", di emancipazione che sarebbe addirittura conforme all'umana dignità! (Carissimi, non dico queste parole per accusare qualcuno; le dico per manifestare la mia sofferenza).

Non illudiamoci! Noi tutti - ricordatelo sempre, carissimi giovani - dobbiamo avvertire, denunciare, superare simili contraddizioni. Ricordate che soltanto "la verità vi renderà liberi" (Jn 8,32). Soltanto la verità ha la forza di trasformare il mondo nella direzione dell'autentico progresso e del reale "umanesimo". E non chiamiamo le esigenze della verità, della coscienza, della dignità una scelta soltanto "politica": esse sono esigenze supreme e perciò irrinunciabili dell'uomo. Non diminuiamo mai ciò da cui dipende l'essere o il non essere dell'uorno nel profondo della stessa sua umanità.


6. Amici miei! Cristo viene nel cenacolo dei nostri tempi, si presenta in mezzo a voi e dice anche a voi: Ricevete lo Spirito Santo! Che significa ciò? Significa, da una parte, che viviamo in una situazione di rischio (ed anche nell'ambiente socio-culturale, in cui voi vivete, esiste questo pericolo); significa che anche voi, purtroppo, potreste respingere questa forza della verità e dell'amore, con la quale si forma "l'uomo nuovo" e si "trasforma il mondo" a misura della dignità umana e della somiglianza di Dio. In definitiva, ciò vuol dire che anche voi potreste "rattristare lo Spirito Santo" (cfr. Ep 4,30).

Ma ciò significa, d'altra parte, che Cristo ha fiducia in voi. Così come egli ebbe fiducia negli Apostoli nonostante la loro debolezza, così come ebbe fiducia in Pietro nonostante i suoi rinnegamenti. Si, Cristo ha fiducia in voi, carissimi giovani dell'Emilia-Romagna! Egli vi offre il suo Spirito, ed è vostro dovere non solo riceverlo, ma anche accoglierlo con apertura di cuore e con grande generosità. Non deludete mai questa fiducia! Già la vostra presenza quest'oggi, che non è certo formale, sta a dimostrare che la fiducia è ben riposta: essa è una prova di disponibilità ed io sono lieto di darvene atto anche a nome della Chiesa.

Chi ha detto che i giovani di oggi sarebbero, a questo riguardo, meno disponibili, cioè meno interessati ed attenti dei giovani del passato? La vostra presenza ed il vostro entusiasmo, carissimi, smentiscono un tale giudizio affrettato e confermano, piuttosto, che c'è in voi, figli di questa nobile Regione italiana, non solo detta attitudine, ma altresi capacità di dialogo, sensibilità ai problemi spirituali, volontà di ascoltare la voce dello Spirito, che come anche oggi vi parla, così non cessa di offrirsi a voi e di donarvi quell'interiore forza per trasformarvi e trasformare. Siate sempre degni della fiducia che Cristo ha in voi! Preghiamo ora Colei che si dimostro degna della più grande fiducia del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e che per opera dello Spirito Santo concepi e diede alla luce Cristo. Preghiamo Maria, perché Cristo irradi più ampiamente la forza del suo Spirito per la trasforrnazione del mondo nella verità e nell'amore.

Preghiamo insieme la Madre del Risorto, recitando in suo onore il saluto pasquale: "Regina coeli".




1982-04-18 Data estesa: Domenica 18 Aprile 1982




Dopo il "Regina coeli" in Piazza Maggiore - Bologna

Titolo: Dove la pace è in pericolo prevalgano ragione e saggezza

Testo:


1. Saluto con particolare effusione di affetto tutte le Comunità cristiane di rito orientale, le quali, seguendo il calendario loro proprio, celebrano oggi la solennità della Pasqua.

A queste dilette Chiese esprimo l'augurio che, rinnovate dalla partecipazione alla Risurrezione del Cristo Redentore, possano progredire in una vita sempre più fervente nello spirito e lieta nella speranza.


2. La liturgia di oggi ci porta il lieto annuncio di Gesù: "Pace a voi!"; un annuncio rivolto soprattutto a chi aspetta la pace, a chi sospira la pace.

In questi giorni la pace è sempre più in pericolo tra l'Argentina e la Gran Bretagna. Gli altri popoli si chiedono ansiosi: Ci sarà uno scontro sanguinoso? Si troverà l'intesa? La domanda è giustificata, ma insufficiente. Bisogna chiedersi ancora: che cosa possiamo fare perché si eviti il ricorso alla forza, perché ragione e saggezza prevalgano, perché le due Parti trovino una soluzione sulla base della giustizia e del diritto internazionale? La comunità dei popoli non può stare inerte, non solo nelle sue grandi istituzioni, ma anche in ciascuno dei suoi membri. La pace è un bene di tutti. Le crisi mettono in evidenza chi parla di pace, e chi veramente opera per la pace.

Vi invito a pregare perché le Autorità dei due popoli interessati siano illuminate nella ricerca di una soluzione pacifica e giusta, incoraggiati ed aiutati dall'azione concorde dei responsabili delle altre nazioni. Preghiamo perché la buona volontà degli uni e la solidarietà degli altri si esprimano in un comune sforzo teso alla pace.


3. Spiritualmente e affettuosamente unito con quanti si trovano in piazza san Pietro per la consueta preghiera mariana, con me collegati via radio, saluto tutti i pellegrini e i 30.000 partecipanti alla seconda maratona di primavera, organizzata dall'Associazione dei Genitori delle Scuole Cattoliche del Lazio.

Rinnovo loro l'augurio pasquale, esortandoli a vivere sempre nel gaudio e nella pace propri della Pasqua di Risurrezione.




1982-04-18 Data estesa: Domenica 18 Aprile 1982




Ai sacerdoti, nella Cattedrale - Bologna

Titolo: Preparazione teologica e cultura per l'annuncio della parola

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle!


1. E' per me una gioia, che ogni volta si rinnova con intatta freschezza, il poter incontrare, nel corso delle mie visite pastorali, coloro che a Cristo si sono donati nella pienezza delle loro energie spirituali e fisiche, accogliendo la sua chiamata ad un impegno senza riserve per l'avvento del Regno di Dio.


A voi rivolgo, pertanto, il mio saluto affettuoso, sacerdoti, religiosi, religiose e membri degli Istituti Secolari dell'Emilia-Romagna che vi siete raccolti in questa vetusta Basilica di san Pietro, per esprimere il vostro attaccamento e la vostra devozione all'umile suo successore, chiamato da Cristo al compito formidabile di "pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle" (cfr. Jn 21,15-17). Facendo mie le parole dell'apostolo Paolo, desidero ripetere a voi, oggi, con vivo trasporto: "Il mio amore è con tutti voi in Cristo Gesù" (1Co 16,23).

Conosco le nobili tradizioni di zelo operoso, che hanno sempre distinto il clero ed i religiosi di questa Terra, nella quale tanti secoli or sono sant'Apollinare sparse il seme della Parola di Dio, avviando un'opera di dissodamento spirituale, che doveva dare frutti preziosi di vita cristiana.

Accanto a lui e dopo di lui, una schiera gloriosa di operai evangelici si è chinata su queste zolle feconde, bagnandole col sudore di un'inesausta dedizione apostolica ed irrorandole a volte col sangue della suprema testimonianza.

Anche oggi, in tempi sotto certi aspetti non meno difficili, altre anime generose hanno rilevato dalle mani di chi le ha precedute la fiaccola dell'annuncio evangelico, assumendosi il compito di portare la luce di Cristo alla generazione attuale, attratta spesso e sviata dai fuochi fatui di ideologie ingannevoli. Queste anime generose siete voi, sacerdoti, religiosi e religiose, operanti nelle nobili Chiese dell'Emilia-Romagna! Siete voi, membri degli Istituti Secolari, che in forme nuove, dettate dalle esigenze dei tempi, perseguite il medesirno ideale, quello di essere il lievito evangelico, posto nella massa di farina "finché sia tutta fermentata" (Lc 13,21). Siete voi, Claustrali dei 46 Monasteri della Regione, spiritualmente qui presenti con la preghiera e con l'offerta della vostra vita.


2. A ciascuno di voi voglio oggi rivolgere innanzitutto un invito alla fiducia.

Cristo è risorto! L'annuncio gioioso, che la liturgia pasquale ha fatto riecheggiare nuovamente in questi giorni, è la conferma di una realtà di cui vive la storia dell'umanità. Cristo ha mantenuto la promessa fatta ai suoi discepoli: al terzo giorno dalla sua morte, egli è risuscitato ed è entrato nell'immortalità.

Egli vive e vivrà per sempre! Di più: egli è risorto non per sé soltanto, ma anche per noi. Ciascun uomo, che in lui crede, è introdotto nell'ambito della vita ulteriore che egli - "primogenito fra molti fratelli" (Rm 8,29) - ha inaugurato per noi. Il mistero della Pasqua non riguarda soltanto lui, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo: riguarda anche noi, figli degli uomini, che in lui siamo diventati figli di Dio. La forza della sua risurrezione già opera nel mondo come dinamismo vittorioso, che sospinge quanti l'accettano nella fede verso il traguardo supremo della vita piena al di là della morte.

Quale carica di ottimismo non si sprigiona da un simile messaggio! La vita, per chi ha fede, si prospetta al termine della vicenda umana, come radioso approdo oltre l'oscuro gorgo della morte. Il bene porta in sé l'assicurazione della finale vittoria sul male. La felicità si annuncia come aspirazione realizzabile ed in misura sovreminente, quale il nostro cuore neppure riesce ad immaginare (cfr. 1Co 2,9).

E che spinta alla generosità ed all'impegno non deriva da tale annuncio a coloro che vogliono recare il proprio contributo al progresso dell'umanità! Essi sanno di poter contare sullo Spirito, che il Cristo risorto ha donato alla Chiesa (cfr. Jn 20,22), perché susciti dalla città terrestre e mortale quella celeste ed immortale, vivificando e sostenendo la dedizione di quanti si sforzano di orientare l'ordine temporale verso la libertà e la giustizia, verso l'unità e la concordia, verso l'amore reciproco e la pace operosa.

Lasciatevi pervadere, carissimi, dalla gioia che scaturisce dal messaggio pasquale, così che essa si irradi da ogni vostra parola e da ogni vostro atteggiamento.


3. Questa è, appunto, la seconda parola che desidero oggi affidarvi: siate dei testimoni. Testimoni della speranza che ha le sue radici nella fede. Testimoni dell'invisibile in una società secolarizzata, che esclude troppo spesso ogni dimensione trascendente.

Si, carissimi sacerdoti, religiosi, anime consacrate: in mezzo agli uomini di questa generazione, così immersa nel relativo, voi dovete essere voci che parlano di assoluto. Non avete voi forse gettato, per così dire, tutte le vostre risorse sulla bilancia del mondo, per far si che essa pieghi felicemente verso Dio ed i beni da lui promessi? La vostra è stata una scelta decisiva sulla vostra vita: avete optato per la generosità e per il dono di fronte alla cupidigia ed al calcolo; avete scelto di contare sull'amore e sulla grazia, sfidando quanti vi reputano per questo ingenui e inconcludenti; avete puntato ogni vostra speranza sul Regno dei cieli, quando molti intorno a voi non si affannano che per assicurarsi una confortevole dimora sulla terra.

A voi, ora, di essere coerenti, nonostante ogni difficoltà. Il destino spirituale di tante anime è legato alla vostra fede e alla vostra coerenza.

Di tale destino, che si svolge nel tempo ma che ha per mèta l'eterno, voi dovete essere il costante richiamo, testimoniando con la parola, e più con la vita, il necessario orientamento verso Colui che costituisce l'ineludibile approdo della nostra parabola esistenziale. La vostra vocazione vi pone come scolte avanzate dell'umanità in cammino: nella vostra preghiera e nella vostra fatica, nella vostra gioia e nella vostra sofferenza, nei vostri successi e nelle vostre prove, l'umanità deve poter trovare il modello e l'anticipazione di quello che anch'essa è chiamata ad essere, nonostante le proprie pesantezze ed i propri compromessi.


4. In questo contesto, vorrei dire una particolare parola a coloro che l'ordinazione sacra deputa ad una specifica missione nel piano della salvezza.

Molte sono state, in questi anni, le discussioni circa la natura del presbiterato e circa la funzione che ad esso compete nella Chiesa. Non pochi sacerdoti hanno subito, in conseguenza, una "crisi di identità", che ne ha frenato l'impegno. E' tempo ormai di riscoprire la grandezza del dono che Cristo ha fatto alla Chiesa, istituendo il sacerdozio ministeriale. E' tempo, soprattutto, di ritrovare lo slancio generoso nel corrispondere alla sua chiamata e nell'accogliere dalle sue labbra la consegna: "Andate nel mondo intero e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

Questa è, infatti, la missione essenziale del sacerdote. Egli è l'annunciatore della Parola di Dio, quale è risonata da ultimo e in modo definitivo in Gesù Cristo. E' la parola dell'amore di Dio per tutti gli uomini, da lui chiamati a formare una sola famiglia: una parola che chiede di tradursi in azioni concrete ed anche in istituzioni sociali nuove e migliori. Tali conseguenze sociali innovatrici, tuttavia, non sarà di regola il sacerdote a doverle trarre: questo impegno infatti costituisce la missione propria dei laici (cfr. LG 31 AA 7 AGD 21).

Così pure: la parola del messaggio evangelico, affidata al sacerdote, è parola di perdono, che libera dalla alienazione del peccato e riaccende nel cuore la speranza. Non v'è dubbio che essa esplichi un'azione lenitiva sulle ferite che la colpa può aver lasciato nella psiche di chi se n'è reso responsabile: non sarà tuttavia il sacerdote a doversi far carico d'una specifica terapia psicologica, che miri a risolvere i traumi conseguenti ad errate esperienze del passato (cfr. "Monitum Supremae Sacrae Congregationis S. Officii", 3; 15 luglio 1961: AAS 53 [1961] 571).

La parola, che il sacerdote annuncia, raggiunge il suo vertice nel Sacrificio eucaristico nel quale il Pane, che è il Corpo di Cristo, viene "spezzato" e "dato" per gli uomini. Chi non vede in tale gesto un chiaro invito alla condivisione di tutti quegli altri beni che il Creatore ha posto sulla "mensa" della terra per gli uomini, che sono tutti egualmente suoi figli? E tuttavia l'impegno concreto per una più equa distribuzione, fra singoli e nazioni, delle risorse disponibili è compito che chiama direttamente in causa non il sacerdote, ma i responsabili della vita economica e politica nell'ambito della città, della nazione, del mondo intero (cfr. LG 36 AA 14 GS 69).

E' forse questo un discorso pavido e rinunciatario? Vi si deve forse riconoscere una fuga nell'impegno concreto? può pensare così soltanto chi non ha misurato in tutta la sua ampiezza il personale coinvolgimento, che dal prete esige la missione, a lui affidata, di "annunciare la Parola". Se a certi compiti egli deve rinunciare, è solo per poter svolgere fino in fondo il compito che gli è proprio: essere il portatore di un messaggio, che non si identifica con nessun ruolo particolare, ma che ogni ruolo giudica e richiama alla radicale serietà della norma suprema: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" (Jn 15,12).

Per poter annunciare la "parola di salvezza" (Ac 13,26) con la superiore libertà, che gli deriva dal non essere "parte in causa" nelle tensioni presenti nella Comunità e nel mondo, il sacerdote deve sottoporre se stesso ad un continuo autocontrollo ed affrontare anche il disagio di sentirsi a volte incompreso, o addirittura contestato e respinto. La generosa dedizione al proprio compito non mancherà di ottenergli da Dio quella "parresia" (cfr. Ac 4,29 Ac 4,31 Ac 28,31), che consenti al primi apostoli di affrontare un mondo ancora totalmente pagano e di trasformarlo.


5. "Annunciare la Parola", questa è la vostra missione specifica, carissimi sacerdoti. Qui sta la radice del vostro quotidiano assillo, qui la fonte inesauribile della vostra più autentica gioia. Come ministri della Parola, pero - è questo l'ultimo pensiero chevi lascio - voi dovete conoscere sia il contenuto del messaggio che ci è affidato, sia la mentalità delle persone alle quali esso è destinato. Questo significa che voi dovete sforzarvi di essere uomini di cultura e, in particolare, veri teologi.

Mi piace richiamare questo impegno, qui, in una Regione che ha al suo centro una città come Bologna che, in fatto di cultura, ha brillato nei secoli come faro di luce splendidissima. A voi la fierezza di tenere fede ad una così nobile tradizione, sia curando il costante adeguamento delle strutture formative centrali e periferiche, sia impegnandovi personalmente in quella approfondita riflessione sulla Parola di Dio nel contesto degli interrogativi emergenti dall'esperienza, che costituisce l'anima di ogni vera teologia.

Sarà grazie a tale sforzo che voi eviterete di essere o ripetitori sbiaditi di formule in sé giuste ma non calate nella problematica odierna, oppure innovatori spericolati che sanno, si, recepire gli umori del momento, ma non valutarli con maturo "discernimento" (la "diàkrisis" di cui parla san Paolo) (cfr. 1Co 12,10), alla luce del supremo criterio, che è e resterà sempre la Parola di Dio. Il rischio di essere infantilmente "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina" (Ep 4,13) non è solo del passato, ma investe ogni epoca della storia, quella nostra non esclusa.

E' necessario quindi "dedicarsi alla lettura" (1Tm 4,13), approfondendo la conoscenza delle Scritture, le quali possono "istruire per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù" (2Tm 3,15) e proclamare poi con fedeltà quanto in esse è proposto, non limitando l'annuncio a ciò che è gradito al proprio cuore, forse ancora troppo "indurito", o a ciò che si pensa possa incontrare il plauso o, almeno, il benevolo accoglimento dell'ambiente. Anche oggi, infatti, come ieri e come sempre, resta vero che il Vangelo della Croce è "scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati... potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,23-24).


6. Carissimi, nell'accomiatarmi da voi, desidero rinnovare l'esortazione alla fiducia ed all'ottimismo, con cui ho esordito. Non ci è stato ripetuto proprio oggi dalla Liturgia che nella nostra fede sta "la vittoria che ha sconfitto il mondo" (1Jn 5,4)? Abbiate fede, dunque, "pur non avendo visto" (Jn 20,29) ed ogni problema sarà alla fine risolto e superato.

La Vergine santa, che di tale fede coraggiosa è modello insuperabile, vi sia accanto col suo costante aiuto e vi accompagni lungo le strade del vostro servizio ecclesiale, affinché possiate spargere a piene mani nell'animo di tanti fratelli e sorelle il seme della speranza che "non delude" (Rm 5,5). Nel nome suo, a tutti imparto di cuore la mia apostolica benedizione.




1982-04-18 Data estesa: Domenica 18 Aprile 1982




L'omelia in Piazza VIII Agosto - Bologna

Titolo: La fede nella risurrezione di Cristo è la vittoria che sconfigge il mondo

Testo:


1. "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1Jn 5,4).

Nella liturgia della odierna ottava di Pasqua ci parla soprattutto l'evangelista Giovanni, apostolo e testimone. Testimone oculare del Risorto.

E sue sono le parole pronunziate all'inizio, concernenti la fede come vittoria che sconfigge il mondo.

Riflettendo attentamente sull'insieme dei testi liturgici di questa domenica, possiamo ritrovarvi come una "genealogia" di queste parole, forti e determinanti.


2. Ecco, Giovanni, al pari di tutti gli Apostoli, partecipa agli avvenimenti pasquali che ebbero luogo a Gerusalemme tra il Giovedi Santo e il giorno "dopo il sabato". Egli è testimone oculare della morte di Cristo: l'unico tra gli apostoli a trovarsi a fianco della Madre di Gesù, insieme con alcune donne della cerchia del Maestro. E' testimone della morte e della sepoltura.

Egli è anche uno dei primi testimoni del sepolcro vuoto. Quando Maria Maddalena accorse per darne notizia agli apostoli, lui, con Pietro, si reco per primo alla tomba. E scrive quindi: "E vide e credette" (Jn 20,8), aggiungendo subito: "Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti" (Jn 20,9).

Egli sa della risurrezione non solo dalla Scrittura, ma anche dalla visione diretta. Fu testimone oculare. Un giorno scriverà nella sua prima lettera di ciò che gli Apostoli, lui compreso, hanno udito, hanno veduto con i loro occhi, hanno contemplato e hanno toccato con le loro mani (1,1).


3. Giovanni, poi, è testimone della prima venuta di Cristo tra gli apostoli dopo la risurrezione.

In questo modo l'immagine, che egli porta nella memoria, è completa.

Facendo riferimento al Salmo dell'odierna liturgia, si potrebbero riferire a Cristo le parole: "Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, / ma il Signore è stato mio aiuto" (117 [118],13).

Giovanni fu testimone oculare dell'uno e dell'altro fatto: e del momento in cui il suo Maestro è stato "spinto con forza" nell'abisso della morte, e, in seguito, del momento in cui "il Signore è stato il suo aiuto" mediante la "risurrezione dai morti". Tutto il mistero della Pasqua si è svolto sotto gli occhi di Giovanni, apostolo ed evangelista.

Il Mistero della Pasqua si è rivelato ai suoi occhi come "la vittoria che ha sconfitto il mondo".

Ha sconfitto il mondo con la sua obiettiva realtà.

E ha riportato la vittoria anche negli intelletti e nei cuori degli uomini. Prima, di quelli più vicini, che - come anche lui - "non avevano... compreso la Scrittura", ossia tutto ciò che nell'Antico Testamento preannunciava la risurrezione. L'eloquenza della morte di Cristo - e per di più di quella terribile morte sulla croce - fu così schiacciante, così umanamente "convincente" e univoca, da rendere loro difficile di accettare questa nuova, inaudita realtà: prima il sepolcro vuoto, e poi Cristo tra i vivi, "inter mortuos Vivens".


4. Giovanni fu testimone della prima venuta del Risorto nel Cenacolo "la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato". Fu anche testimone dell'incredulità di Tommaso. Tommaso non era con gli apostoli nel Cenacolo quella prima sera. Quando gli altri gli dissero: "Abbiamo visto il Signore!" (Jn 20,25), reagi in modo assai significativo. Ecco le sue ben note parole: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credero" (Jn 20,25).

Otto giorni dopo, Giovanni fu testimone dell'avvenimento che è stato da lui descritto in maniera molto dettagliata. Cristo venne un'altra volta nel Cenacolo, a porte chiuse, e, dopo aver salutato gli apostoli, si rivolse direttamente a Tommaso. Si rivolse come se avesse conosciuto la sua reazione di una settimana prima e avesse sentito le parole che allora pronuncio Tommaso.

"Metti qua", disse Gesù, "il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" (Jn 20,27).

Giovanni ha visto tutto ciò con i propri occhi. Ed ha sentito con le proprie orecchie anche la risposta di Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!" (Jn 20,28), una professione di fede nella Divinità di Cristo, che è forse ancora più risoluta e immediata di quella di Pietro a Cesarea di Filippo! E infine le parole del Signore: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" (Jn 20,29).

Proprio in base a tali esperienze, Giovanni doveva scoprire i pensieri e le parole, scritte poi nella sua prima lettera: "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede". Tale sembra essere la prima "genealogia" di queste parole di Giovanni, apostolo ed evangelista, che rileggiamo nell'odierna Liturgia.


5. "Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?" (1Jn 5,4-5).

L'uomo contemporaneo può chiedersi: E' veramente necessario sconfiggere il mondo? Non si tratta soltanto ed esclusivamente di "sistemare il mondo", e di "sistemarsi nel mondo"? Forse che l'uomo contemporaneo non si fa una tale domanda? Si, egli pensa così. Anzi questa domanda la ritiene fondamentale e definitiva. Poniamola quindi adesso anche noi, per vedere quanto lontano arriva il suo giusto senso.

Dato che il Creatore disse all'essere umano, uomo e donna: Soggiogate la terra (cfr. Gn 1,28), allora, senza alcun dubbio, il compito dell'uomo e del cristiano è di "sistemare il mondo". L'insegnamento dell'ultimo Concilio è pieno di pensieri autenticamente cristiani a questo proposito.

Anche nell'odierna liturgia, la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, fa vedere come la prima generazione dei discepoli di Cristo, già a Gerusalemme, intendeva cristianamente "sistemarsi nel mondo": "Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune... Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (Ac 4,32 Ac 4,34-35).

In tal modo cercano di "sistemare il loro mondo" coloro, in mezzo ai quali gli Apostoli stessi con grande forza "rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande stima" Ac 4,33).

E' noto che sin dai tempi più remoti, permane nella Chiesa la ferma convinzione circa la destinazione dei beni materiali all'"utilità comune", circa la subordinazione di essi al bene comune: un argomento, che sempre, ma soprattutto nell'ultimo secolo, è tornato tanto vitale.

Ed è anche noto, per esempio dalle lettere di san Paolo, come era apprezzato e come veniva inteso il lavoro. La stessa cosa vale per quanto riguarda il matrimonio, la vita familiare. Sono tutte componenti umane, che potrebbero essere viste come risposta concreta alla domanda su come "sistemare il mondo" e su come "sistemare la vita umana nel mondo".


6. In tali condizioni, prima gli apostoli e poi i loro successori, di generazione in generazione, incessantemente e "con grande forza rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù"; una testimonianza che, allo stesso tempo, non cessa di essere una sfida che accompagna la vittoria che sconfigge il mondo (cfr. 1Jn 5,4).

Questa vittoria è qualcosa di più di un "sistemare il mondo", cioè accettarlo come un bene uscito dalle mani del Creatore, che è stato riconfermato e di nuovo dato all'uomo da Colui che ha amato e ha "redento il mondo".

La risurrezione di Cristo - e la fede nata da essa, come scrive meravigliosamente l'apostolo Giovanni - fu allo stesso tempo la conferma che l'uomo non può ridursi soltanto a "sistemare la sua vita nel mondo".

L'uomo non può consegnare del tutto e definitivamente se stesso e la propria essenza al mondo, anche se ritenesse che, così facendo, egli riprende se stesso in maniera esclusiva e completa in pieno possesso. E' una grande illusione del pensiero materialistico contemporaneo.

Infatti il mondo, in definitiva, tradisce l'uomo. Non esiste alla fine un'altra parola per l'essere umano, se non soltanto la parola "morte" - la realtà della morte.

La realtà della morte è un grande tema dell'esistenza umana. E' uno di quei temi-chiave, con i quali bisogna aprire l'enigma dell'essenza dell'uomo.

Alcuni orientamenti del pensiero contemporaneo, non necessariamente cristiani, ritrovano di nuovo questa chiave.

E anche ognuno di noi la ritrova quotidianamente e sempre di nuovo, anche se non sempre sa che questa è anche la chiave della sapienza: la chiave della domanda sull'uomo, sull'essenza stessa dell'uomo e della sua dignità.

A volte la morte viene a noi come un grande sconquasso. così, per esempio, avvenne in questa città, quasi due anni or sono, quando mani assassine fecero saltare in aria un'ala della stazione ferroviaria e, precedentemente, causarono la strage del treno "Italicus", per non dire di quella più lontana di Marzabotto. In tali casi siamo sconvolti, parliamo di una catastrofe, di un grande dramma... e giustamente. E' così. L'elemento essenziale della drammaticità dell'esistenza umana nel mondo è la morte.

In questo caso, o in altro modo, il mondo cessa di essere la dimensione adeguata dell'esistenza umana. L'uomo si separa da essa. Il mondo, il mondo visibile, lo butta giù dalla sua superficie. Si potrebbe dire: "riporta su di lui, sull'uomo, la sua vittoria". Se è vero che l'essere umano appartiene completamente al mondo, in tal caso il mondo, mediante la morte, lo sottomette completamentea sé, riporta su di lui la propria vittoria.

può trattarsi, dunque, soltanto del fatto che l'uomo si "sistemi nel mondo"?


7. Quando l'apostolo ed evangelista Giovanni scrive: "La vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1Jn 5,4), afferma con queste parole che l'essere umano non appartiene completamente al mondo: appartiene a Dio. La risurrezione di Gesù Cristo ha riconfermato questa fondamentale verità sull'uomo. Erano necessarie la morte e la risurrezione di Gesù perché l'uomo riconoscesse il senso definitivo della sua trascendenza. Perché capisse che deve "sistemare il mondo" e può anche (e deve) "sistemarsi nel mondo", senza pero consegnargli completamente la propria essenza. Senza abbandonargli se stesso. L'uomo può affidare se stesso soltanto a Dio. Come ha fatto Gesù Cristo.

La morte e la risurrezione di Cristo sono un'incessante sfida all'uomo nella sua essenza umana, nella sua umanità. E nel suo rapporto col mondo, nel suo stile di vita.

Come vivete voi, cari fratelli e sorelle? Come viviamo noi tutti? L'orizzonte della nostra vita non si racchiude soltanto nel desiderio di "sistemarsi nel mondo"? Non diamo forse completamente a questo mondo la nostra essenza umana? La morte di ogni uomo è una sfida per gli altri. La morte violenta di tanti nostri fratelli, che sono morti per la deflagrazione nella stazione di Bologna, fu una sfida per tutta la città, per la società italiana, per gli altri...

E la morte di Cristo, insieme con la sua risurrezione, è una sfida e insieme una chiamata.

Ecco, la "vittoria che sconfigge il mondo".


8. Il cristianesimo non è un "insieme da museo". Non può essere considerato come una tradizione tollerabile in tanto in quanto non impedisce di "sistemarsi in questo mondo". Non lo è. Non lo è affatto! E' invece una grande realtà: è la realtà di Gesù Cristo per ogni uomo.

E' la realtà che tocca sempre e continuamente il problema dell'uomo. Lo tocca proprio nel punto, che molti invece schivano. I sistemi di pensiero e le ideologie lo eludono in modo sistematico, asserendo allo stesso tempo di rappresentare il progresso.

E Gesù Cristo, incessantemente - mediante la sua morte e risurrezione -, pone dinanzi all'uomo e all'umanità il problema della "vittoria che sconfigge il mondo". E l'uomo deve scegliere: o esistere in questo mondo come colui che sarà in definitiva vincitore, oppure come colui che sarà in definitiva vinto dal mondo.

Questa è la scelta più importante per il futuro dell'uomo. Anche per la pace e la guerra. Anche per la giustizia sociale. E, soprattutto, è la scelta fondamentale per la morale, per la cultura e per la dignità dell'uomo.


9. "Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio" (1Jn 5,1). L'uomo ha una sua grande genealogia, che Cristo ha riconfermato con il Vangelo e sigillato con la morte e risurrezione.

L'uomo ha la sua grande genealogia, nel nome della quale non può consegnare al mondo tutta la sua essenza. Non può affidare alla sola "materia cosmica" questa immagine e somiglianza con Dio, che porta in sé.

L'uomo ha la sua grande genealogia che festeggiamo ogni anno, particolarmente quando celebriamo il mistero pasquale di Cristo.

Nel nome di questa genealogia - chiunque "ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato" (1Jn 5,1).

E' veramente così? Amiamo chiunque è stato generato da Dio? Ciascuno che è stato concepito nel seno della madre?


10. Oggi, nella liturgia, parla soprattutto Giovanni; testimone del Cristo risorto. Ecco le altre sue parole: "Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi" (1Jn 5,2-3).

Così scrive Giovanni, testimone della risurrezione di Cristo. La risurrezione rende testimonianza all'amore - la testimonianza della risurrezione si compie mediante l'amore: l'amore di Dio e dell'uomo.

La vittoria che vince il mondo si ottiene, in definitiva, mediante l'amore. La fede, infatti, conduce all'amore e vive grazie all'amore. Grazie all'amore, essa respira con l'alito dello Spirito. "E' lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità" (1Jn 5,6).

L'amore costituisce pure l'insostituibile forza della costruzione di una cultura nella costruzione del mondo, in cui l'uomo vive a misura della sua vera dignità. così, dunque, quella "vittoria che sconfigge il mondo" riguarda contemporaneamente il mondo: un mondo sempre "migliore", in cui la vita umana è pure più umana.

Di ciò sapevano Dante Alighieri e Nicolo Copernico, i cui volti ci guardano dal vestibolo dell'antichissima Università di Bologna.

A ciò pensava Paolo VI, quando proclamava la "civiltà dell'amore" come programma per il mondo contemporaneo.


11. Cari fratelli e sorelle! Figli e figlie di questa venerabile città, per la quale sono passati, oltre a Dante ed a Copernico, i santi Vitale e Agricola, Petronio e Domenico, e molti Papi, tra i quali ricordo soprattutto Benedetto XIV.

Oggi il successore di Pietro celebra insieme a voi l'Ottava della Pasqua.

Oggi pure, insieme col Salmista, cantiamo le parole: "La pietra scartata dai costruttori / è divenuta testata d'angolo. / Questo è il giorno fatto dal Signore / rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Ps 117 [118],22.24).

La testata d'angolo è Cristo: crocifisso e risorto, "Pascha nostrum"! E perciò, poniamoci la domanda. Si chieda ciascuno di voi, che qui "sistemate il mondo" e "sistemate la vostra vita umana in questo mondo": costruiamo noi su questa testata d'angolo? Oppure scartiamo noi questa testata d'angolo? Una volta, in una sera simile a quella di oggi, nell'Ottava del giorno pasquale, venne Cristo di nuovo nel Cenacolo, dove erano riuniti gli apostoli, e disse a Tommaso: "Noli esse incredulus, sed fidelis".

Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio" (Jn 20,28).

Da allora Cristo è divenuto la testata d'angolo per la sua vita.

Che su ognuno di noi si compiano le parole dette da Cristo a Tommaso: "Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno" (Jn 20,29).

Che tutti voi, "credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Jn 20,21).


Amen. 1982-04-18 Data estesa: Domenica 18 Aprile 1982





GPII 1982 Insegnamenti - All'Archiginnasio - Bologna