GPII 1982 Insegnamenti - Ai parrocchiani di sant'Andrea delle Fratte - Roma

Ai parrocchiani di sant'Andrea delle Fratte - Roma

Titolo: La quaresima, richiamandoci all'esempio di Cristo, è la via della verità, dell'amore e della misericordia

Testo:


1. Con parole quanto mai concise, l'evangelista Marco allude a quel digiuno di Gesù di Nazaret, durato quaranta giorni, che ogni anno trova il suo riflesso nella liturgia di Quaresima: "Lo Spirito lo spinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano" (1,12).

Poi, dopo l'incarcerazione di Giovanni Battista, Gesù ando in Galilea e incomincio a insegnare. Diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15).

Il digiuno di quaranta giorni di Gesù di Nazaret fu una introduzione all'annunzio del Vangelo del Regno di Dio. Egli ha tracciato nelle anime degli uomini la strada della fede, senza la quale il Vangelo del Regno rimane come un grano gettato su una terra sterile.


2. Questo inizio del Vangelo del Regno, che viene alla Chiesa attraverso il digiuno dei quaranta giorni, la liturgia odierna lo paragona all'arcobaleno, che fu un segno dell'alleanza di Dio con i discendenti di Noè dopo il diluvio.

All'arca di Noè viene anche paragonata nella prima lettera di san Pietro Apostolo la Chiesa, in cui Cristo - dopo aver riportato la vittoria sulla morte e sul peccato - compie continuamente l'opera della Redenzione.

Tuttavia l'arca di Noè fu uno spazio chiuso. L'opera di Cristo è illimitata nello spazio e nel tempo. La Chiesa serve questa opera come segno e strumento.

Ecco Cristo: - morto una volta per sempre per i peccati, - il Giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio.

Ecco Cristo: - ucciso, è vero, nel corpo, ma chiamato alla vita con lo Spirito.

Ecco Cristo: - seduto alla destra di Dio, perché è salito al cielo, ove gli sono stati sottoposti gli Angeli e le Potenze e le Dominazioni.

Quel Cristo, nello Spirito Santo, "ando ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere" (1P 3,19), proprio come nei giorni di Noè.

Lo stesso Cristo nel battesimo ci salva, cioè ci redime "non per rimozione di sporcizia del corpo, ma per invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza" (cfr. 1P 3,21): ci salva e ci redime grazie alla sua risurrezione.


3. così, dunque, la liturgia della Domenica odierna apre il digiuno della Quaresima, richiamandosi prima all'esempio di Cristo, e poi alla potenza redentrice di Cristo, operante nella Chiesa e in tutto il creato: - alla sua potenza redentrice e santificatrice.

La Quaresima è la via che si apre davanti a noi. Per questa via desidera camminare la Chiesa intera durante i quaranta giorni.


4. E perciò prega oggi: "Fammi conoscere, Signore, le tue vie, / insegnami i tuoi sentieri. / Guidami nella tua verità e istruiscimi, / perché sei tu il Dio della mia salvezza, / in te ho sempre sperato" (Ps 25 [24],4-5).

La Quaresima è la via della verità.

L'uomo deve ritrovarsi in tutta la propria verità davanti a Dio. Deve anche rileggere la verità degli insegnamenti divini, dei comandamenti divini, della volontà divina - deve confrontare con essi la propria coscienza.

Di qui passa la via della salvezza. Essa è la via della speranza.


5. così, dunque, prega ancora la Chiesa: "Ricordati, Signore, del tuo amore, / della tua fedeltà che è da sempre.

/ Ricordati di me nella tua misericordia / per la tua bontà, Signore" (Ps 25 [24],6-7).

La Quaresima è la via della verità, è il tempo del risveglio delle coscienze.

Soprattutto, essa è la via dell'Amore e della Misericordia. Soltanto mediante l'Amore la verità risveglia l'uomo alla vita. Soltanto l'Amore, che è Misericordia, accende la speranza.

Il digiuno della Quaresima è un grande grido dell'Amore. Un grido penetrante. Un grido definitivo. E' il grande tempo della misericordia.

Che tutti riconoscano questa via!


6. E perciò la Chiesa nella Liturgia odierna continua a pregare: "Buono e retto è il Signore, / la via giusta addita ai peccatori; / guida gli umili secondo giustizia, / insegna ai poveri le sue vie" (Ps 25 [24],8-9).

La Chiesa prega per l'umiltà del cuore umano. Prega perché l'uomo, mediante l'umiltà, si trovi nella verità, perché si trovi nella verità interiore, perché in questo modo possa incontrarsi con l'Amore, che è più forte del peccato e della morte, più forte di ogni male, e perché si lasci guidare dalla Parola Divina: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4).


7. Ecco il programma della Prima Domenica di Quaresima. Con tale programma vengo oggi come Vescovo di Roma alla vostra Comunità parrocchiale per visitarla.

So che la parrocchia di sant'Andrea delle Fratte è di antica origine. Il mio predecessore Papa Sisto V ne affido la cura ai benemeriti Padri Minimi di san Francesco di Paola, e la costruzione di questa magnifica Chiesa duro per quasi tutto il secolo XVII. Mi piace qui ricordare due avvenimenti, che hanno felicemente contrassegnato la storia della Basilica: l'improvvisa conversione di Alfonso Ratisbonne nel secolo scorso, in seguito alla misteriosa apparizione della Vergine Immacolata, e la celebrazione della prima Messa del Beato Massimiliano Kolbe all'altare della Madonna miracolosa.

Questi fatti del passato pongono a tutti i parrocchiani di oggi l'esigenza di una vita cristiana sempre più impegnata e gioiosa. E di questo scopo so che sono investiti con dedizione tutti i Responsabili della parrocchia stessa, ai quali rivolgo il mio cordialissimo saluto: dal Cardinal Vicario al Vescovo di Zona Filippo Giannini, e in particolare dal Parroco ai suoi Collaboratori più diretti. In modo speciale, saluto i rappresentanti delle varie Famiglie religiose maschili e femminili qui operanti, i membri del Consiglio parrocchiale, i Catechisti e tutti gli appartenenti ai diversi movimenti cattolici. Voglio ricordare poi i giovani, e tutti i lavoratori qui residenti, impiegati e professionisti, i malati e le persone anziane. A tutti va il mio più sentito incoraggiamento ed augurio, insieme all'assicurazione della mia preghiera, perché possiate scoprire sempre di nuovo la bellezza di essere cristiani e ne offriate una conseguente e luminosa testimonianza.


8. In questa Prima Domenica di Quaresima desidero ripetere le parole di san Pietro Apostolo, primo Vescovo della Chiesa di Roma: Carissimi "Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio" (1P 3,18).


Amen. 1982-02-28 Data estesa: Domenica 28 Febbraio 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Santo Padre invoca la pace per El Salvador

Testo:


1. "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio...

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza" (2Co 5,20-21 2Co 6,2).


2. Queste parole dell'Apostolo, dalla seconda lettera ai Corinzi, risuonano ogni anno all'inizio della Quaresima, nel giorno del mercoledi delle Ceneri. Nell'anno corrente esse rivestono un particolare significato, a motivo del lavoro intrapreso dal Sinodo dei Vescovi, in vista della VI Assemblea generale che si terrà l'anno prossimo, sul tema "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa". Fin dall'autunno dello scorso anno, è stato inviato a tutte le Conferenze Episcopali il primo schema, i cosiddetti "lineamenta", delle questioni collegate con questo importante tema.

Certamente la Quaresima di quest'anno costituirà uno speciale periodo di riflessione sul problema della riconciliazione e della penitenza nella Chiesa. E' infatti importante che, insieme alle Conferenze Episcopali, tutta la Chiesa sia invitata, particolarmente in questo periodo, non soltanto alla riconciliazione e alla penitenza nello spirito della Quaresima, ma al tempo stesso ad una riflessione intensa e perspicace sulla questione della riconciliazione e della penitenza nella vita e nella missione della Chiesa.

E che questo sia un aspetto fondamentale della vita di ogni cristiano e dell'azione pastorale di tutta la Chiesa, lo indicano a sufficienza le prime parole con le quali, secondo la versione di san Marco, Gesù Cristo incomincia la sua predicazione: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15).

Convertitevi - "paenitemini": in ogni epoca storica, quest'invito si pone alle basi stesse della missione della Chiesa. Come annunzia e come realizza tale invito la Chiesa dei nostri tempi? Preghiamo con fervore affinché il lavoro del Sinodo dei Vescovi si inscriva con larga risonanza nella Chiesa, e ci conduca alla vera profondità della vita divina nell'uomo.


3. Alla vostra preghiera raccomando anche gli esercizi spirituali che si terranno in Vaticano, per l'intera prima settimana di Quaresima, incominciando da questa sera.


4. Desidero rivolgere ora un pensiero tutto particolare al popolo di El Salvador.

El Salvador: un nome che evoca in tutti i cristiani un senso profondo di riverenza e di amore; è l'unico Paese del mondo che porta il nome santo di Gesù, Figlio di Dio e Salvatore dell'uomo. In questi mesi, il popolo salvadoregno, angustiato da una guerra fratricida che non accenna a placarsi, sembra essere stato associato alla passione del Signore. Quasi ogni giorno sono uccise centinaia di persone, e si allarga la schiera dolorosa delle vedove, degli orfani, mentre una folla di profughi, che supera già le centinaia di migliaia - in un Paese che ha tre milioni e mezzo di abitanti - cerca riparo sulle montagne o nelle nazioni vicine. La guerriglia lascia lutto nelle città e nei villaggi e distruzione di ponti, strade, istallazioni economiche di vitale importanza; dall'altro lato non è meno dura e severa l'azione dei gruppi armati intesa a soffocare i focolai di opposizione.

Più volte i Vescovi del Salvador hanno levato la loro voce angosciata di pastori per supplicare che si ponga fine alle violenze e che il Paese sia messo in condizione di darsi un assetto sociale giusto e pacifico. Il dramma del Salvador provoca una vasta eco nel mondo, con differenti reazioni a favore dell'una o dell'altra parte, mentre la popolazione locale, vittima incolpevole, paga un prezzo altissimo di lacrime e di sangue. "Le armi vengono dall'estero - ha gridato l'Amministratore Apostolico di San Salvador, Monsignor Rivera Damas - ma i morti sono tutti della nostra gente!". Non sarebbe da augurare che questa emozione internazionale, anziché riprodurre su scala più grande la contrapposizione che lacera il piccolo Paese, si volgesse a uno sforzo comune perché abbiano a cessare le stragi e il popolo di El Salvador possa risolvere, senza strumentalizzazioni esterne, i gravi problemi che lo affliggono? Se prevarrà questa ricerca del bene di tutti non sarà impossibile superare gli ostacoli, anche quelli che appaiono insormontabili, per ritrovare la strada della pacificazione e della riconciliazione.

Faccio mio l'appello dei Vescovi salvadoregni e affido l'invocazione e l'anelito di pace di quella nazione martoriata all'intercessione della Vergine santissima, Madre della Chiesa e Rifugio dei Tribolati.

Al gruppo di membri de "L'Opera della Chiesa".

Saluto con tutto il cuore il gruppo dei membri dell'Opera della Chiesa, accompagnati dalla loro Fondatrice, con i quali oggi pomeriggio il Cardinale Vicario inaugurerà una nuova parrocchia al Quartiere Portuense, con il nome di "Nostra Signora di Valme a Villa Bonelli".

A tutti il mio incoraggiamento e la mia benedizione.


[Omissis, a gruppi giovanili di studenti panamensi, pronunciato in lingua spagnola]




1982-02-28 Data estesa: Domenica 28 Febbraio 1982




Lettera all'Arcivescovo - Praga (Cecoslovacchia)


Titolo: Custodite gelosamente l'eredità spirituale tramandatavi dalla beata Agnese di Boemia

Testo:

Al venerabile fratello Frantisek Cardinale Tomasek, Arcivescovo di Praga.

Venerabile e diletto fratello.

Nell'anno in cui la Chiesa celebra l'ottavo centenario della nascita del serafico Francesco d'Assisi, è opportuno ricordare che il 2 marzo prossimo venturo ricorreranno anche settecento anni dalla santa morte della beata Agnese di Boemia, la quale, come santa Chiara, cammino fedelmente nelle sue orme, avendo come lui lasciato casa, fratelli, sorelle, madre e padre per amore del Cristo e per rendere testimonianza al suo Vangelo (cfr. Mc 10,29). Visse e mori a Praga, ma la fama delle sue virtù si diffuse, ancora durante la sua vita, in tutta l'Europa.

Desidero pertanto anch'io, seguendo l'esempio dei miei predecessori e, in particolare del Papa Gregorio IX, suo contemporaneo, onorare questa Beata, che da secoli viene invocata dai praghesi e dal popolo ceko come patrona presso Dio, e che è allo stesso tempo anche una delle figure più nobili della vostra nazione.

La vita della beata Agnese fu straordinaria, come lo fu anche la sua personalità. Figlia del re di Boemia Premysl Otakar I, nata allo scadere della prima decade del secolo tredicesimo, Agnese era imparentata con le principali famiglie reali e principesche dell'Europa Centrale e della Danimarca. Da parte del padre proveniva dal celebre casato dei santi Boemi Ludmilla e Venceslao; sant'Edvige di Slesia era sua prozia, mentre sant'Elisabetta di Turingia era sua cugina e santa Margherita d'Ungheria sua nipote. Potè, pero, godere per poco la serenità della vita familiare. All'età di soli tre anni fu, insieme con Anna, sua sorella maggiore, inviata presso le monache cistercensi di Trebnica presso Breslavia, dove in quel tempo viveva sant'Edvige. Fu questa sua parente ad insegnarle le verità fondamentali della fede e le prime preghiere, ed a formarla alla vita cristiana. L'esempio della santa zia s'impresse profondamente nel cuore di Agnese e l'accompagno poi per tutta la sua vita. Quando compi sei anni, passo al monastero premonstratense di Doksany, dove imparo a leggere ed a scrivere. Già in quel tempo prediligeva tanto la preghiera che la preferiva ai giochi con le compagne.

Il fidanzamento con Enrico, re di Sicilia e di Germania, figlio dell'imperatore Federico II, tolse pero Agnese, ad otto anni, dalla tranquillità del monastero e la trasferi nell'ambiente mondano della corte di Vienna, dove doveva acquistare l'educazione degna di una futura imperatrice. Ma Agnese non vi si senti a sua agio. Faceva molte elemosine, si mortificava con frequenti digiuni, e si consacro totalmente alla Madre di Dio desiderando di conservare intatta la sua verginità. Il fidanzamento fu quindi annullato, ma con ciò la principessa boema non fu liberata da speculazioni politiche che si facevano sul suo conto alla corte reale di Praga. Lo stesso imperatore Federico II la volle sua sposa, e il progetto fu vanificato soltanto grazie allo stesso Papa Gregorio IX, il quale, dietro sua istanza, intevenne presso il fratello. La notizia di questo rifiuto, motivato dalle parole dell'Apostolo: "Quelli che usano del mondo, vivano come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo" (1Co 7,31), si diffuse comunque in tutta l'Europa suscitando grande ammirazione.

Agnese desiderava con tutto il cuore di vivere l'ideale del Vangelo e di "preoccuparsi delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito" (1Co 7,34), sapendo bene che chi si fa vincere dall'amore dei beni terreni non è in grado di godere nel Signore (cfr. san Gregorio Magnio, "In Ezechielem", II, XVIII, IX, 16. CCL 142, p. 896). Avendo appreso da nobili boemi, reduci dall'Italia, di san Francesco e del nuovo Ordine di santa Chiara, si accese di desiderio di seguire anche lei in totale povertà il Cristo povero. Si disfece, quindi, di tutti i suoi gioielli, ornamenti e vesti preziose e distribui il ricavato ai poveri, ben sapendo che le opere buone, anche provenienti da beni perituri, non periscono mai. L'esempio di sant'Edvige e di sant'Elisabetta di Turingia, "consolatrice degli indigenti", la condusse alla fondazione a Praga di un ospedale con l'annessa confraternita dei Crocigeri della Stella Rossa (divenuti più tardi Canonici Regolari) (cfr. "Annuario Pontificio" 1981, p. 1207), per la cura dei malati. Agnese dal canto suo entro poi nel monastero delle Clarisse, che prima lei stessa aveva costruito a Praga sulla riva della Moldava nella borgata che fino a oggi si chiama "Na Frantisku", san Francesco. "Come una colomba se ne volo dal diluvio del mondo corrotto nell'arca dell'Ordine sacro" (J. Kapistran Vyskocil, "Legenda blahoslavené Anezky a ctyri listy svaté Klary", Praha 1932, p.107), accompagnata da altre cinque giovani, figlie delle principali famiglie nobili di Praga. Le raggiunsero nel monastero cinque Clarisse provenienti da Trento, mandate appositamente da santa Chiara. Questa poi le invio da san Damiano una lettera in cui si compiaceva della fama di Agnese, "nota non soltanto a lei ma a quasi tutto il mondo" e la elogiava con entusiasmo per aver preferito lo sposalizio con Cristo a tutti gli onori del mondo, scegliendo con tutto il cuore "la santissima povertà e gli strazi corporali" per diventare sposa "delloSposo più nobile" (Vyskocil, o. c., Ep. I, p. 139).

In tal modo sorse tra le due donne di Dio una delle più belle amicizie.

Anche se non fu loro dato incontrarsi su questa terra, e nonostante la grande diversità della loro vita, esse si trovarono unite nel medesimo amore a Cristo e nel medesimo desiderio di santità.

Il monastero delle Clarisse di Praga divenne, grazie all'esempio di Agnese, un focolaio che diede origine ad altri monasteri dello stesso Ordine in Boemia, in Polonia ed in altri paesi.

Agnese, da parte sua, rinuncio anche al suo diritto sull'ospedale da lei fondato, il quale avrebbe dovuto fornire alle Clarisse il cibo necessario, affermando "di preferire a soffrire indigenza e miseria piuttosto che declinare dalla povertà di Cristo" (Vyskocil, o.c., p. 109).

La carità che ardeva nel suo cuore non le permise, tuttavia, di chiudersi in una sterile solitudine, ma la spinse a mettersi al servizio di tutti.

Assisteva suore malate, curava lebbrosi ed afflitti da malattie contagiose, lavava i loro indumenti e li rattoppava di notte, dando prova che l'edificio della sua vita spirituale poggiava sul solido fondamento dell'umiltà. In tal modo divenne la madre degli indigenti, conquistandosi nel cuore dei poveri e degli umili di Praga un posto che le è rimasto riservato per secoli.

La sua carità fu nutrita dalla preghiera incentrata sulla passione di Cristo. Il Cristo sofferente fu per lei infatti la espressione del supremo amore e la sua Croce le dava conforto specialmente negli ultimi anni della sua vita, quando con una pazienza eroica, senza mai lagnarsi, sopportava disgrazie, ingiustizie, indigenza e malattie, seguendo Cristo fino all'estremo. Amava la solitudine come occasione di dedicarsi alla preghiera e contemplazione, durante la quale cadeva spesso in estasi. Non parlava troppo con le consorelle, ma quando le capitava, le sue parole erano infuocate dall'amore a Cristo e dal desiderio del paradiso, tanto che a stento nascondeva le lacrime. Custodiva come una preziosa eredità di Francesco e di Chiara la venerazione dell'Eucaristia, e fu suo merito se essa penetro anche in altri monasteri dell'Ordine, culminando più tardi nel desiderio della comunione quotidiana.

La sofferenza accompagnava Agnese continuamente. Spesso si ammalava.

Quando una volta, convinta che la fine era vicina, volle ricevere il Viatico, una voce interiore l'assicuro che sarebbe stata preceduta all'eternità da tutti i membri della sua famiglia. Ed infatti, durante la sua lunga vita, vide morire suo padre, diversi parenti, suoi fratelli e sorelle, e tra questi lo stesso re Venceslao, che era riuscita a riconciliare con il figlio ribelle Premysl Otakar nel suo stesso monastero, dove fu testimone del loro bacio di pace, e quasi tutti i loro figli. Per bere il calice del dolore fino in fondo, il 26 agosto 1278, durante l'ufficio vespertino, ebbe la visione della tragica morte del suo nipote re Premysl Otakar II, caduto quel giorno nella battagila di Moravske Pole.

Anche Chiara, la sua sorella prediletta, mori molti anni prima di lei nel 1253, l'anno di morte di suo padre. L'amicizia tra Agnese e Chiara duro due decenni e si rafforzo purificandosi, in modo che la Santa italiana amava la Beata boema come se fosse ad un tempo sua madre e figlia. Prima di morire si congedo da lei con una lettera commovente, in cui la chiamo "metà della sua anima" (Vyskocil, o.c., Ep. IV, p. 147).

La vita di Agnese si spense come una candela votiva in circostanze particolarmente tristi. Dopo la morte di Premysl Otakar II la Boemia fu occupata da eserciti stranieri, vi regno disordine e violenza, si moriva di fame e di peste, e davanti alla porta delle Clarisse che avevano le dispense vuote, si ammassavano moribondi affamati in cerca di aiuto. In mezzo a questi orrori Agnese, venerata ormai come santa, chiuse la sua esistenza terrena il 2 marzo 1282. La sua dipartita fu rasserenata dall'affetto delle suore e dei Frati Minori che l'assistevano, e dal suo ardente desiderio di raggiungere lo Sposo celeste. Prima di morire esortava ancora le suore ad amarlo fedelmente ed a seguirlo nell'umiltà e povertà, rimanendo - dietro l'esempio dei santi Francesco e Chiara - sempre sottomessi al suo Vicario ed alla Sede di Roma.

Così, in quel tempo tanto triste, i Boemi, vessati ed abbandonati, che scongiuravano il loro patrono nazionale san Venceslao di "non lasciar perire né loro né i posteri" ("Inno a san Venceslao), potevano aprire il loro cuore anche ad Agnese, figlia della stessa famiglia reale, la quale dalla tribolazione di quei giorni era passata all'eternità per poter aiutarli presso il trono del suo Sposo divino. E così avvenne anche più tardi. I suoi connazionali, memori della sua bontà e misericordia dimostrata durante la vita terrena, cercavano da lei rifugio ed aiuto, dando origine ad un culto che il mio predecessore Pio IX confermo ed approvo nel 1874.

Ed ora, mio venerabile e diletto fratello, che cosa dice la vostra Beata a voi che vivete nella sua terra nel tempo di oggi? Innanzitutto, essa rimane il modello della donna perfetta (cfr. Pr 31,10), la quale sa realizzare la sua femminilità in un servizio generoso e disinteressato che, nel suo caso, abbracciava tutta la nazione, dalla famiglia reale fino ai più umili ed emarginati. In lei la verginità consacrata, rendendo libero il suo cuore, lo accese maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini (cfr. "Perfectae Caritatis" cit. in FC 16), testimoniando "che il Regno di Dio e la sua giustizia sono quella perla preziosa che va preferita ad ogni altro valore sia pure grande, e va anzi cercato come l'unico valore definitivo" (FC 16). Fondatrice dell'Ordine dei Crocigeri della Stella Rossa, finora esistente, e del primo Monastero delle Clarisse in terra boema, Agnese dimostra anche il valore dell'istituto religioso, in cui fratelli e sorelle, "sull'esempio della Chiesa primitiva in cui la moltitudine dei credenti era d'un cuor solo e di un'anima sola (cfr. Ac 4,32), conducono la vita in comune perseverando nell'orazione e nella comunione dello stesso spirito" (cfr. Ac 2,42 PC 15). Da vera figlia di san Francesco, Agnese seppe "usare saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni" ("Oratio" in Dominica XVII "Temporis Ordinarii"), sfamando i poveri, curando gli ammalati, assistendo gli anziani, spronando gli affranti e divenendo in tal modo capace di portare pace e riconciliazione e di donare conforto e nuova speranza.

Orbene, venerabile fratello, non si ha bisogno di questo servizio generoso e disinteressato anche nei nostri giorni? Anche dove non vi fossero affamati nel senso materiale, quanti si sentono soli ed abbandonati, tristi e disperati, senza il calore di un sincero affetto e senza la luce di un ideale che non inganna. Non hanno bisogno di incontrare nella loro vita un'Agnese che porti loro pace e gioia, sorriso e speranza? Il segreto della beata Agnese fu la sua unione con lo Sposo Divino, la sua preghiera. Preghiera che aveva imparato ancora piccola da sant'Edvige, preghiera che divento respiro della sua anima e sorgente inesauribile dell'immensa forza dimostrata durante tante prove della sua vita. Quale esempio per i sacerdoti e i religiosi, per gli educatori, per le famiglie. Non si è cristiani senza Cristo, ma non si può avere Cristo se non lo si cerca in preghiera costante ed assidua. "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5).

La beata Agnese, avendo scelto il Vangelo, ne ha vissuto anche le beatitudini. Le beatitudini dei poveri, degli afflitti, dei miti, di quelli che hanno fame e sete della giustizia, le beatitudini dei misericordiosi, degli operatori di pace, dei perseguitati (cfr. Mt 5,3-10). La sua vita e specialmente i suoi ultimi anni non furono facili. Ma lei, essendo pura di cuore, riusciva a vedere Dio dietro tutte le vicende umane e rimaneva forte e fiduciosa, sapendo che "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).

Agnese non fu un episodio marginale della vostra storia. Essa rappresenta piuttosto uno degli ultimi e più bei fiori della dinastia dei premislidi, entrati nella storia con san Venceslao e la sua nonna santa Ludmilla, battezzata da san Metodio. Si tratta delle radici della vostra cultura nazionale, si tratta della vostra identità spirituale. Custodite gelosamente questa eredità, tramandatela intatta ai vostri figli! E la beata Agnese vi assista dal cielo, come ha assistito tante generazioni prima di voi durante la movimentata storia della vostra patria.

Trattandosi poi di un'apostola del francescanesimo nella vostra terra, mi è caro, diletto e venerabile fratello, di usare le parole del Poverello di Assisi: "Il Signore vi benedica e vi custodisca, vi mostri la sua Faccia ed abbia misericordia di voi. Volga a voi il suo sguardo e vi dia pace". Di cuore invio a te, agli eccellentissimi fratelli nell'Episcopato, ai sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli di Cecoslovacchia la mia particolare benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 2 febbraio 1982, anno quarto del Mio Pontificato.



IOANNES PAULUS PP. II




1982-03-01 Data estesa: Lunedi 1 Marzo 1982




Nella Cappella Matilde - Città del Vaticano (Roma)


Titolo: Conclusi in Vaticano gli esercizi spirituali

Testo:

"Gloria tibi verbum Dei". Sono le parole che ripetiamo durante la Quaresima, le ripetiamo ogni giorno, e vogliamo ripeterle specialmente oggi: "Gloria tibi Verbum Dei".

E' significativo che queste parole nella liturgia siano riservate alla Quaresima. Forse ciò deriva da un'antica tradizione catecumenale: la Quaresima era, specialmente nei primi secoli, un tempo molto intenso del catecumenato, un tempo in cui abbondava la Parola di Dio. Forse la nostra tradizione contemporanea di fare gli Esercizi Spirituali durante la Quaresima è in sé un'eco, anzi una continuazione di quella tradizione dei primi secoli e delle prime generazioni cristiane.

"Gloria tibi Verbum Dei" diciamo alla fine di questi nostri Esercizi Spirituali per rendere lode alla Parola di Dio, della quale siamo stati resi abbondantemente partecipi. E in questo momento pensiamo alla Parola di cui parla il profeta Isaia: la parola uscita dalla mia bocca che non ritornerà a me senza effetto. Ecco il testo più completo: "Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (55,10).

In questo momento voglio esprimere la riconoscenza di noi tutti, che abbiamo partecipato a questi Esercizi Spirituali in Vaticano, al nostro predicatore. Certamente Isaia ci parla di un solo seminatore che è Dio, ma noi sappiamo che Dio ha parlato attraverso la bocca degli uomini e parla attraverso la bocca degli uomini. Coloro che parlano nel nome di Dio, coloro che parlano per l'abbondanza della Parola di Dio sono i seminatori di questa stessa Parola.

Vogliamo ringraziare lei, nostro seminatore. Devo confessare che all'inizio di questi Esercizi Spirituali ho provato un certo rimorso di coscienza pensando ai suoi tanti lavori e ai suoi tanti anni, ma lei ci ha edificato con la sua giovinezza: non si vedevano i suoi anni, si vedeva un giovane e si vedeva come la Parola di Dio, vissuta profondamente come lei la vive, ringiovanisce come lo Spirito di Dio ringiovanisce lo spirito umano e anche il corpo, e non si contano più gli anni. La ringraziamo, Padre, Professore, per questo compito che lei ha voluto accettare e compiere durante questi giorni con tanto frutto spirituale. La ringraziamo per questa magnifica catechesi quaresimale, per questa catechesi così profondamente biblica, nella quale la Bibbia si è sentita in ogni momento. Tutto era permeato profondamente della Bibbia, della Parola, della Parola di Dio studiata, scientificamente studiata, meditata, vissuta. Lei ci ha così avvicinato la Parola di Dio, ci ha avvicinati alla Parola di Dio, alla sua originalità, alla sua forza, alla sua bellezza. Tutto questo ci ha mostrato con le sue parole, con il suo seminare. Per questo la ringraziamo. La ringraziamo perché, essendo Professore, è stato con noi predicatore e pastore; essendo scienziato in ogni momento del suo lavoro, è stato con noi apostolo e ha mostrato quel compito profetico che è proprio del Popolo di Dio, è nel seno del Popolo di Dio, specialmente di noi Vescovi e sacerdoti, in un modo ancora più specifico di voi Teologi. Ringraziamo lei, Professore, nostro carissimo predicatore degli Esercizi Spirituali in Vaticano 1982. Ringraziamo il Signore che ha dato le forze necessarie per adempiere a questo compito così importante.

"Gloria tibi Verbum Dei". Se dobbiamo augurare al nostro predicatore, a noi tutti una cosa penso che questo augurio si trovi già nelle parole di Isaia: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato tutto ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandato. Ecco il nostro augurio, il nostro augurio reciproco, vicendevole. Ce lo rivolgiamo tutti, vicendevolmente, ognuno a ognuno, nella profondità della nostra fraterna comunione. Lo rivolgiamo anche, certamente, al nostro predicatore. E questo augurio si fa preghiera, preghiamo che sia così: "Gloria tibi Verbum Dei".




1982-03-06 Data estesa: Sabato 6 Marzo 1982




Ai delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con l'ebraismo - Città del Vaticano (Roma)


Titolo: Una catechesi oggettiva sugli ebrei e sull'ebraismo

Testo:

Cari fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio, care sorelle, Signore e Signori.

Venuti da diverse regioni del mondo, siete qui riuniti a Roma per fare il punto sull'importante questione dei rapporti tra la Chiesa cattolica e l'Ebraismo. E l'importanza di questo problema è ugualmente sottolineata dalla presenza, in mezzo a voi, di rappresentanti della Chiesa ortodossa, della Comunione anglicana, della Federazione luterana mondiale e del Consiglio ecumenico delle Chiese, che sono felice di salutare in particolar modo ringraziandoli della loro collaborazione.

A voi Vescovi, preti, religiosi, laici cristiani, esprimo ugualmente tutta la mia riconoscenza. La vostra presenza qui come i vostri impegni nelle attività pastorali, o nel campo della ricerca biblica e teologica, mostrano a quale punto i rapporti tra la Chiesa cattolica e l'Ebraismo toccano differenti aspetti della vita e delle attività della Chiesa.

E lo si capisce molto bene. Il Concilio Vaticano II ha detto in effetti nella sua dichiarazione sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane (NAE 4): "Scrutando il mistero della Chiesa, il Concilio ricorda il legame che collega spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo". E ho avuto io stesso l'occasione di dirlo più di una volta: le nostre due comunità religiose "sono legate anche a livello della loro propria identità" (Ai rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche, 12 marzo 1979: "Insegnamenti", II [1979] 529)). In effetti - prosegue ancora il testo della dichiarazione "Nostra Aetate" (NAE 4) -: "la Chiesa di Cristo riconosce che le premesse della sua fede e della sua elezione si trovano, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, Mosè e i profeti... E' perché la Chiesa non può dimenticare che essa ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento attraverso questo popolo... E ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe dei quali è l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse e i patriarchi, e da cui è nato, secondo la carne, il Cristo (Rm 9,4-5), il Figlio della Vergine Maria".

Vale a dire che i legami tra la Chiesa e il popolo ebraico sono fondati sul disegno del Dio dell'alleanza, e - come tali - necessariamente hanno lasciato dei segni in certi aspetti delle istituzioni della Chiesa, specialmente nella sua liturgia.

Certo, dopo l'apparizione duemila anni or sono di un nuovo ramo sul ceppo comune, le relazioni tra le nostre due comunità sono state segnate da incomprensioni e risentimenti che ben conosciamo. E se ci sono stati, dopo il giorno della separazione, dei malintesi, degli errori, e anche delle offese, si tratta ora di superarle nella comprensione, nella pace e nella stima reciproca. Le terribili persecuzioni subite dagli ebrei nei diversi periodi della storia hanno al fine aperto molti occhi e sconvolto molti cuori. I cristiani sono su una buona strada, quella della giustizia e della fraternità, cercando, con rispetto e perseveranza, di ritrovarsi con i loro fratelli semiti attorno all'eredità comune, così ricca per tutti. C'è bisogno di precisare, soprattutto per coloro che rimangono scettici, a volte anche ostili, che questo riavvicinamento non deve essere confuso con un certo relativismo religioso e ancor meno con una perdita d'identità? I cristiani, da parte loro, professano la loro fede senza equivoci nel carattere salvifico universale della morte e della resurrezione di Gesù di Nazaret.

Si, la chiarezza e il mantenere la nostra identità cristiana sono una base essenziale, se vogliamo allacciare rapporti autentici, fecondi e duraturi con il popolo ebraico. In questo senso, sono felice di sapere che voi vi impegnate notevolmente, studiando e pregando insieme, al fine di cogliere e di formulare meglio i problemi biblici e teologici, a volte difficili, che sono suscitati dal progresso del dialogo tra ebrei e cristiani. In questo campo, l'imprecisione e la mediocrità nuocerebbero enormemente al dialogo. Che Dio doni ai cristiani e agli ebrei di incontrarsi sempre più, di avere degli scambi in profondità e a partire dalla propria identità, senza mai dimenticarla da una parte e dall'altra, ma cercando veramente la volontà del Dio che si è rivelato! Sono questi rapporti che possono e devono contribuire ad arricchire la conoscenza delle nostre proprie radici, e a meglio mettere in luce certi aspetti della nostra identità di cui abbiamo parlato. Il nostro patrimonio spirituale comune è considerevole. Facendo il suo inventario, ma anche tenendo conto della fede e della vita religiosa del popolo ebraico tale e quale sono professate e vissute anche ora, può essere di aiuto a meglio comprendere certi aspetti della vita della Chiesa. E' il caso della liturgia, le cui radici ebraiche sono ancora da approfondire, e soprattutto devono ancora essere meglio conosciute e apprezzate da parte dei fedeli. Questo vale ugualmente per quanto riguarda la storia delle nostre istituzioni, che dalle origini della Chiesa, sono state ispirate a certi aspetti dell'organizzazione comunitaria della sinagoga. Infine, il nostro patrimonio spirituale comune è soprattutto importante a livello della nostra fede in un unico Dio, buono e misericordioso, che ama gli uomini e si fa amare da loro (cfr. Sg 11,24-26), maestro della storia e del destino degli uomini, che è nostro Padre, e che ha scelto Israele, "l'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvaggio che sono i gentili" (NAE 4; cfr. anche Rm 11,17-24).

Ecco perché vi siete preoccupati, durante la vostra sessione, dell'insegnamento cattolico e della catechesi nei confronti degli ebrei e dell'ebraismo. Su questo punto, come su altri ancora, siete guidati e incoraggiati dagli "Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate" (NAE 4)", pubblicati dalla Commissione per le relazioni religiose con l'Ebraismo (c. III). Bisognerebbe arrivare a fare in modo che questo insegnamento, ai differenti livelli di formazione religiosa, nella catechesi data ai bambini e agli adolescenti, presenti gli ebrei e l'ebraismo, non solamente in maniera onesta e obiettiva, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma più ancora con una viva coscienza dell'eredità che abbiamo descritto a grandi linee.

E' finalmente su una tale base che si potrà stabilire - come comincia a farsi felicemente sentire - una stretta collaborazione verso la quale ci spinge la nostra comune eredità, cioé il servizio dell'uomo e dei suoi immensi bisogni spirituali e materiali. Per vie diverse, ma in fin dei conti convergenti, noi potremo pervenire - con l'aiuto del Signore che non ha mai cessato d'amare il suo popolo (cfr. Rm 11,1) - a questa vera fraternità nella riconciliazione, il rispetto, e alla piena realizzazione del disegno di Dio nella storia.

Sono felice di incoraggiarvi, cari fratelli e sorelle in Cristo, a continuare sul cammino iniziato, facendo prova di discernimento e confidenza, e nello stesso tempo di una grande fedeltà al magistero. Così voi compirete un autentico servizio di Chiesa, che deriva dalla sua misteriosa vocazione e deve contribuire al bene della Chiesa stessa, del popolo ebraico e dell'intera umanità.




1982-03-06 Data estesa: Sabato 6 Marzo 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ai parrocchiani di sant'Andrea delle Fratte - Roma