GPII 1982 Insegnamenti - Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'idea della verginità o celibato come anticipo e segno escatologico

Testo:


1. Cominciamo oggi a riflettere sulla verginità o celibato "per il regno dei cieli".

La questione della chiamata ad una esclusiva donazione di sé a Dio nella verginità e nel celibato affonda profondamente le sue radici nel suolo evangelico della teologia del corpo. Per rilevare le dimensioni che le sono proprie, occorre tener presenti le parole, con cui Cristo fece riferimento al "principio", e anche quelle, con cui egli si richiamo alla risurrezione dei corpi. La costatazione: "Quando risusciteranno dai morti..., non prenderanno moglie né marito" (Mc 12,25), indica che c'è una condizione di vita priva di matrimonio, in cui l'uomo, maschio e femmina, trova ad un tempo la pienezza della donazione personale e dell'intersoggettiva comunione delle persone, grazie alla glorificazione di tutto il suo essere psicosomatico nell'unione perenne con Dio. Quando la chiamata alla continenza "per il regno dei cieli" trova eco nell'anima umana, nelle condizioni della temporalità e cioè nelle condizioni in cui le persone di solito "prendono moglie e prendono marito" (Lc 20,34), non è difficile percepirvi una particolare sensibilità dello spirito umano, che già nelle condizioni della temporalità sembra anticipare ciò di cui l'uomo diverrà partecipe nella futura risurrezione.


2. Tuttavia di questo problema, di questa particolare vocazione, Cristo non ha parlato nel contesto immediato del suo colloquio con i Sadducei (cfr. Mt 22,23-30 Mc 12,18-25 Lc 20,27-36), quando si era riferito alla risurrezione dei corpi.

Invece ne aveva parlato (già prima) nel contesto del colloquio con i Farisei sul matrimonio e sulle basi della sua indissolubilità, quasi come prolungamento di quel colloquio (cfr. Mt 19,3-9). Le sue parole conclusive riguardano la cosiddetta lettera di ripudio, consentita da Mosè in alcuni casi. Cristo dice: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio" (Mt 19,8-9).

Allora i discepoli che - come si può dedurre dal contesto - erano attenti ad ascoltare quel colloquio e in particolare le ultime parole pronunziate da Gesù, gli dicono così: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi" (Mt 19,10). Cristo dà loro la seguente risposta: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca" (Mt 19,11-12).


3. In relazione a questo colloquio, riportato da Matteo, ci si può porre la domanda: che cosa pensavano i discepoli, quando, dopo aver udito la risposta che Gesù aveva dato ai Farisei sul matrimonio e la sua indissolubilità, espressero la loro osservazione: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi"? In ogni caso, Cristo ritenne quella circostanza opportuna per parlare loro della continenza volontaria per il Regno dei cieli. Dicendo questo, egli non prende direttamente posizione riguardo all'enunciato dei discepoli, nè rimane nella linea del loro ragionamento. Quindi non risponde: "Conviene sposarsi" o "Non conviene sposarsi". La questione della continenza per il Regno dei cieli non è contrapposta al matrimonio, né si basa su di un giudizio negativo riguardo alla sua importanza. Del resto, Cristo, parlando precedentemente della indissolubilità del matrimonio, si era riferito al "principio", cioè al mistero della creazione indicando così la prima e fondamentale fonte del suo valore. Di conseguenza, per rispondere alla domanda dei discepoli, o piuttosto per chiarire il problema da loro posto, Cristo ricorre ad un altro principio. Non per il fatto che "non conviene sposarsi", ossia non per il motivo di un supposto valore negativo del matrimonio è osservata la continenza da coloro che nella vita fanno tale scelta "per il Regno dei cieli", ma in vista del particolare valore che è connesso con tale scelta e che occorre personalmente scoprire e cogliere come propria vocazione. E perciò Cristo dice: "Chi può capire, capisca" (Mt 19,12).

Invece subito prima dice: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso" (Mt 19,11).


4. Come si vede, Cristo, nella sua risposta al problema postogli dai discepoli, precisa chiaramente una regola per comprendere le sue parole. Nella dottrina della Chiesa vige la convinzione che queste parole non esprimono un comandamento che obbliga tutti, ma un consiglio che riguarda soltanto alcune persone: quelle appunto che sono in grado "di capirlo". E sono in grado "di capirlo" coloro "ai quali è stato concesso". Le parole citate indicano chiaramente il momento della scelta personale ed insieme il momento della grazia particolare, cioè del dono che l'uomo riceve per fare una tale scelta. Si può dire che la scelta della continenza per il Regno dei cieli è un orientamento carismatico verso quello stato escatologico, in cui gli uomini "non prenderanno moglie né marito": tuttavia, tra quello stato dell'uomo nella risurrezione dei corpi e la volontaria scelta della continenza per il Regno dei cieli nella vita terrena e nello stato storico dell'uomo caduto e redento, esiste una differenza essenziale. Quel "non sposarsi" escatologico sarà uno "stato", cioè il modo proprio e fondamentale dell'esistenza degli esseri umani, uomini e donne, nei loro corpi glorificati. La continenza per il Regno dei cieli, come frutto di una scelta carismatica, è una eccezione rispetto all'altro stato, cioè a quello di cui l'uomo "dal principio" è divenuto e rimane partecipe nel corso di tutta l'esistenza terrena.


5. E' molto significativo che Cristo non collega direttamente le sue parole sulla continenza per il Regno dei cieli con il preannunzio dell'"altro mondo", in cui "non prenderanno moglie né marito" (Mc 12,25). Le sue parole, invece, si trovano - come abbiamo già detto - nel prolungamento del colloquio con i Farisei, in cui Gesù si è richiamato "al principio", indicando l'istituzione del matrimonio da parte del Creatore e ricordando il carattere indissolubile che, nel disegno di Dio, corrisponde all'unità coniugale dell'uomo e della donna.

Il consiglio e quindi la scelta carismatica della continenza per il Regno dei cieli sono collegati, nelle parole di Cristo, con il massimo riconoscimento dell'ordine "storico" dell'esistenza umana, relativo all'anima e al corpo. In base all'immediato contesto delle parole sulla continenza per il Regno dei cieli nella vita terrena dell'uomo, occorre vedere nella vocazione a tale continenza un tipo di eccezione a ciò che è piuttosto una regola comune di questa vita. Cristo rileva soprattutto questo. Che poi tale eccezione racchiuda in sé l'anticipo della vita escatologica priva di matrimonio e propria dell'"altro mondo" (cioè dello stadio finale del "Regno dei cieli"), Cristo non ne parla qui direttamente. Si tratta, invero, non della continenza nel Regno dei cieli, ma della continenza "per il Regno dei cieli". L'idea della verginità o del celibato, come anticipo e segno escatologico (cfr., ex. gr., LG 44 PC 12), deriva dall'associazione delle parole qui pronunziate con quelle che Gesù proferirà in un'altra circostanza, ossia nel colloquio con i Sadducei, quando proclama la futura risurrezione dei corpi.

Riprenderemo questo tema nel corso delle prossime riflessioni del mercoledi.

Sui problemi più dettagliati dell'esegesi di questo brano, vedi per esempio L. Sabourin, "Il Vangelo di Matteo. Teologia e Esegesi", vol. II, pp. 834-836; "The Positive Values of Consecrated Celibacy", in "The Way", Supplement 10, summer 1970, p. 51; J. Blinzler, "Eisin eunuchoi. Zur Auslegung von Mt 19,12", "Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft" 48 (1957) 268ss.

"Parimenti la santità della Chiesa è in modo speciale favorita dai molteplici consigli, che il Signore nel Vangelo propone all'osservanza dei suoi discepoli. Tra essi eccelle il prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cfr. Mt 19,11 1Co 7,7), perché più facilmente con cuore indiviso si consacrino solo a Dio nella verginità o nel celibato" (LG 42).

[Omissis. Seguono i saluti in altre lingue: francese, inglese, tedesca, spagnola e portoghese] Ai gruppi italiani Desidero rivolgere, oggi, un particolare saluto agli Ufficiali dell'Esercito Italiano e di altre nazioni, i quali frequentano la scuola militare di Civitavecchia. Con loro, saluto anche l'Ordinario Militare, Monsignor Gaetano Bonicelli.

Questa mattina, in san Pietro, avete partecipato, assieme alle vostre famiglie, anch'esse qui presenti, alla Celebrazione Eucaristica che vi ha introdotti nel clima della Pasqua.

Il Signore Risorto, Vincitore delle potenze del male e della morte, Principe della Pace, vi invita a collaborare con lui per fare trionfare il bene sul male, l'amore sull'odio, la vita sulla morte, la vera pace. La pace è la condizione indispensabile perché la vita delle persone sia preservata e si consolidino tra i popoli relazioni di mutua collaborazione, nella ricerca del bene comune. Non lasciatevi mai prendere dall'ebbrezza della forza e del potere, che promana dagli strumenti di distruzione e di morte in vostro possesso. Su tale strada, fratello contro fratello, si può giungere a sopprimere quanto di più caro e bello l'uomo possiede.

Desidero, poi, salutare i sacerdoti che hanno partecipato al seminario di studio promosso dall'Azione Cattolica Italiana.

A voi che avete riflettuto, alla luce delle difficili situazioni economiche e sociali dei nostri giorni, sull'importanza del lavoro nell'attuale società, voglio ricordare ciò che ho sottolineato nella mia enciclica "Laborem Exercens": il lavoro è a servizio dell'uomo, e non l'uomo del lavoro. Il lavoro ha come fine di creare una società più giusta, in cui l'acquisizione dei beni di consumo permetta di trovare una risposta ad alcuni dei problemi più gravi dell'uomo e della famiglia.

Il mio saluto va anche ai pellegrini di Prato, accompagnati dal Rettore del Santuario di santa Maria del Giglio, e a quelli che provengono dalla parrocchia fiorentina di Nostro Signore Gesù Cristo Buon Pastore: in particolare al gruppo di chierichetti che, con la loro veste liturgica, ricordano a tutti l'alta dignità del servizio che compiono.

La primavera, che in questo mese comincia a ornare con colori meravigliosi la terra in cui vivete, sia per voi tutti l'invito del Creatore a far fiorire le opere, ancora più belle, della santità, in continuità con la tradizione lasciatavi dall'immensa schiera di Santi che hanno ornato la vostra Regione.

Saluto, poi, i ragazzi del Centro Medico Psico-pedagogico "Frank Doria Pamphili", di Roma, e i loro accompagnatori.

In questi giorni di Quaresima, la Chiesa vi invita ad offrire al Signore, con la generosità che è propria della giovinezza, le sofferenze che la vita comporta e le penitenze che liberamente scegliete, come segno di amore a Dio e al prossimo.

Voglio, poi, salutare tutti gli ammalati, soprattutto il gruppo organizzato dall'UNlTALSI di santa Maria Capua Vetere.

Siate per tutti un monito vivente di una realtà fondamentale per il cristiano: la croce portata per amore del Signore e dei fratelli, è la strada per ottenere una vera ed autentica serenità.

Infine, il mio sincero saluto va agli sposi novelli, convenuti qui numerosi, quasi a continuazione del sacro rito che hanno compiuto per unirsi in sacro matrimonio. Che il Signore vi sia sempre di luce e di conforto nella vita che vi auguro lunga, serena e proficua, mentre io nel nome del Signore tutti cordialmente vi benedico.




1982-03-10 Data estesa: Mercoledi 10 Marzo 1982




La preghiera alla Madonna di Jasna Gora

Testo:

Signora di Jasna Gora, Madre della mia patria! Desidero oggi raccomandarti i problemi che hanno espresso i Vescovi polacchi nel loro comunicato al termine dell'ultima conferenza.

Essi guardano con la massima sollecitudine la situazione in cui si è trovato il nostro Paese ed io condivido con loro questa sollecitudine e la manifesto dinanzi a te, Madre. La manifesto anche dinanzi alla Chiesa e al mondo - così come manifesto altre sollecitudini, di cui ad alta voce parlano i Pastori dei Paesi e delle Nazioni più minacciate.

Le difficili prove storiche e contemporanee della mia patria mi hanno insegnato a risentire ancor più in me le sofferenze delle altre nazioni.

E' necessario che nel mondo cresca la solidarietà degli uomini e la solidarietà dei popoli, perché soltanto essa può spezzare l'odio, l'ostilità e le minacce di dimensioni interumane e internazionali.

E' necessario anche che la Chiesa sia solidale prima di tutto con coloro che sono nel bisogno, che soffrono - così come soffrono numerosi miei connazionali a causa dello stato di guerra e della situazione creatasi insieme ad esso.

Sono lieto che i Vescovi polacchi trovano in questa situazione la luce per sé e per la nazione nell'insegnamento del Concilio, al quale si richiamano.

Insieme con loro esprimo la convinzione - e la espongo con tutto il cuore a te, Madre della mia patria: - che con la sola forza fisica, anche la più grande, non si può risolvere onestamente e in modo duraturo i problemi della vita statale; e - che è indispensabile, particolarmente nell'attuale momento storico, l'intesa sociale basata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà e sull'amore.

Signora di Jasna Gora. Tu sai meglio di tutti quanto milioni di cuori polacchi desiderano quella verità, giustizia, libertà e amore.

Accogli il grido di questi cuori e accogli le parole dei Pastori che oggi presento a te con umiltà e fiducia. Le forze del bene devono ottenere vittoria nel paese che da secoli ti riconosce come la sua Madre e Regina.




1982-03-10 Data estesa: Mercoledi 10 Marzo 1982




A Vescovi cecoslovacchi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sull'esempio dei vostri santi e martiri restate sempre uniti e confermate i fratelli nella fede

Testo:

Venerabili fratelli nell'Episcopato.

Accolgo voi, giunti in visita "ad limina Apostolorum" dal cuore dell'Europa, con il saluto dell'apostolo Paolo: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi" (2Co 13,13).


1. Voi rappresentate parte della Chiesa edificata undici secoli fa dai santi Cirillo e Metodio, due esempi di zelo missionario, due luci che adornano la Chiesa universale. Per i loro meriti nell'evangelizzazione dell'Europa orientale, soprattutto dei popoli slavi, nel dicembre del 1980 li hodichiarati Compatroni d'Europa insieme con san Benedetto, patriarca del monachesimo dell'Occidente, per sottolineare la comune origine spirituale dei popoli europei e la necessità della loro unione nel culto dei grandi valori che formano la ragion d'essere della loro storia e della loro civiltà cristiana.

Com'è noto, san Cirillo termino la sua vita qui a Roma nell'anno 869 e fu sepolto nella Basilica di san Clemente ov'è tuttora onorato e venerato. Suo fratello Metodio, invece, ritorno nel territorio della loro comune attività apostolica, nella quale si impegno con tutte le forze sino alla morte, avvenuta nell'anno 885. Egli fu sepolto a Velehrad in Moravia.

Così, nel luogo stesso della morte e della sepoltura dei due santi Patroni sono in certo modo testimoniati gli stretti e continui rapporti che uniscono, ed hanno sempre unito, i vostri popoli con questa Sede Apostolica, che presiede nella carità alla comunione di tutte le Chiese. Come è ricordato nella Lettera indirizzata per mio incarico dal Cardinale Segretario di Stato ai fedeli di Cecoslovacchia (2 luglio 1981), i santi Cirillo e Metodio "Genere Graeci, animis Slavi, a Romano Pontifice legitime missi, mirum ii sunt christianae universitatis exemplum, quae saepta diruit, odia exstinguit et omnes in Christi, omnium Redemptoris, amore coniungit". La loro zelante attività, continuata dai discepoli, ha messo radici profonde nella coscienza dei vostri popoli e, nonostante le difficoltà del passato, ha fatto fiorire la vita della Chiesa in tutto splendore e santità. Già nei primi tempi dell'evangelizzazione delle genti slave rifulse la testimonianza apostolica di san Gorazda, successore di san Metodio. Abbiamo davanti ai nostri occhi l'esempio di santa Ludmila, che nella persona del nipote san Venceslao preparo per il suo popolo non soltanto un Re saggio e prudente, ma anche un convinto promotore del culto eucaristico e dell amore del prossimo. La beata Agnese di Praga - ho ricordato il VII centenario della sua morte con una Lettera speciale del 2 febbraio scorso - preferi le cose celesti alla gloria terrena, scegliendo una vita di umiltà e di povertà francescana. San Giovanni Nepomuceno, fedele alla sua vocazione sacerdotale sino al martirio, coraggiosamente difese i diritti e la libertà della Chiesa, e testimonio con il sangue la sua dedizione al Popolo di Dio. Infine, i beati Martiri di Kosice hanno suggellato con il sacrificio della vita la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa.

La memoria dei santi Cirillo e Metodio è rimasta sempre viva nella gratitudine del vostro popolo cristiano e vasto è tuttora l'influsso del loro pensiero nella spiritualità e nell'espressione della preghiera e del canto. Una menzione particolare merita, al riguardo, il servo di Dio Anton Ciril Stojan, Arcivescovo di Olomouc, uomo di eccezionale bontà e fedeltà alla Sede Apostolica, il quale nei tempi moderni ha diffuso nella vostra terra il pensiero cirillo-metodiano ed ha promosso l'ecumenismo tra gli Slavi. Della vitalità e del dinamismo di tale spiritualità testimonia anche il fatto che i vostri fedeli, sia in Cecoslovacchia sia in America e in Canada, hanno dedicato numerosissime Chiese parrocchiali ai due santi.


2. Questo nostro incontro, venerabili fratelli, che esprime il vostro legame con il Vicario di Cristo, mi offre l'occasione di menzionare brevemente alcuni aspetti positivi della vita religiosa delle vostre diocesi.

Penso anzitutto all'intensità della vita spirituale di tanti focolari cristiani affidati alle vostre cure, le quali custodiscono la grazia della fede, si mantengono fedeli alla loro vocazione cristiana e conoscono l'efficacia della preghiera comune per la santificazione della loro vita matrimoniale e familiare.

La famiglia che prega insieme resta unita saldamente nel Signore. E' consolante l'aumento del numero di coloro che ricevono la Sacra Eucaristia ed assistono alla santa Messa domenicale. Si registra inoltre un notevole risveglio religioso nei giovani, che cercano una risposta soddisfacente circa il senso della vita e le esigenze dell'uomo, alla luce del Vangelo. Corrispondete sempre volentieri ai bisogni di questi giovani e nutriteli con abbondanza della Parola di Dio, che offre una risposta capace di appagare appieno il loro cuore.

Di non minore importanza e consolazione è il fatto che nelle vostre diocesi continua, anzi cresce, il culto della Vergine santissima. Lo testimoniano i vari Santuari mariani, visitati ogni anno da numerosissimi fedeli. La mia preghiera è che Maria, Madre di misericordia, protegga tutti i vostri connazionali che ricorrono a lei.


3. Mentre mi unisco alle gioie ed alle speranze, non posso non condividere anche le preoccupazioni e i problemi del vostro ministero episcopale, che ciascuno di voi ha potuto personalmente espormi.

a) Questa vostra comune presenza, in occasione della visita "ad limina", è per me motivo di gioia e di ringraziamento a Dio, nelle cui mani sono le sorti di ciascun uomo e dei popoli. Ma quando vedo che siete soltanto cinque, non posso non domandarmi: "Quando verrà il momento in cui potranno essere presenti i Vescovi di tutte le diocesi cecoslovacche?". Il fatto che la maggior parte delle diocesi nel vostro paese siano ancora vacanti riempie di profondo dolore il mio animo. Da parte mia, vi assicuro, non risparmiero alcuno sforzo, come io stesso ed i miei predecessori abbiamo già fatto finora, finché tutte le circoscrizioni ecclesiastiche della vostra patria - molte delle quali ne sono prive da anni, anzi da decenni - abbiano propri, degni Pastori, i quali, come veri Padri, guidino i sacerdoti ed i fedeli loro affidati, conformemente alle esigenze e al diritto, nativo della Chiesa di Cristo.

b) Un altro problema riguarda il numero dei sacerdoti, che non sono sufficienti per un'adeguata cura pastorale dei fedeli. Molte, moltissime parrocchie sono già da lungo tempo senza parroco e tutto fa temere, purtroppo, che il numero crescerà sempre di più nel futuro. Con profonda gioia ho appreso che tanti dei vostri collaboratori sono sacerdoti buoni, fedeli e zelanti, impegnati con generosità e straordinaria dedizione al servizio del Popolo di Dio. Ma in grande maggioranza essi sono ormai avanzati in età, non di rado in cattive condizioni di salute, mentre è loro richiesto di portare un peso crescente di fatiche apostoliche. A loro desidero esprimere, tramite voi, il mio vivo apprezzamento e l'affettuoso ricordo nella preghiera, affinché il Signore li sostenga e li aiuti a portare generosamente il "peso del giorno" nella sua vigna.

Il Signore stesso sarà la loro ricompensa.

c) In stretta connessione con la penuria di clero si pone la questione dei Seminari e della formazione sacerdotale a cui non posso non fare riferimento, trattandosi di un problema essenziale per la vita della Chiesa. Nello scorso dicembre vi ho indirizzato una Lettera nella quale ho ribadito il dovere dei Vescovi di provvedere a che i candidati al sacerdozio ricevano nei Seminari un'adeguata preparazione spirituale, teologica e pastorale; ad essi spetta di nominare conformemente alle loro coscienze i superiori e i professori e di accettare nei Seminari, secondo le necessità delle loro diocesi, coloro che essi ritengono avere la vocazione sacerdotale (cfr. "Epistula", 31 dicembre 1981).

Con dolore si deve rilevare che il numero dei seminaristi non corrisponde alle esigenze reali delle vostre diocesi, e ciò non perché manchino le vocazioni, ma piuttosto per circostanze che sono indipendenti dalla vostra volontà. Come già nella menzionata Lettera, adesso anche "desidero esprimere la mia più sincera solidarietà a quei giovani che con tanta fede e con tanta generosità seguono la divina chiamata e che spesso devono aspettare con pazienza il momento in cui potranno realizzare i loro ideali sacerdotali" ("Epistula", 31 dicembre 1981).

La grave situazione venutasi a creare nella cura pastorale richiede una costante iniziativa di preghiera in tutte le parrocchie e comunità per supplicare il Signore della messe affinché chiami molti giovani generosi al sacerdozio e faccia si che questi possano corrispondere, senza ostacoli, alla loro chiamata.

d) Un altro problema di urgente importanza è quello dell'adeguata catechesi dei giovani e delle famiglie. L'attenzione di tutti i Vescovi del mondo è oggi rivolta all'istruzione religiosa della gioventù, con l'approfondimento dello studio dei problemi delle nuove generazioni e la ricerca delle vie adatte per aiutarle a trovare le risposte alle loro necessità fondamentali e per proteggerle dalle insidie del mondo contemporaneo. So bene che nelle vostre Comunità c'è un nucleo di gioventù sana e ben formata, che si sforza di risolvere i propri problemi alla luce delle verità rivelate e, allo stesso tempo, è pronta a grandi sacrifici per i suoi ideali. D'altra parte, conosco le condizioni in cui voi, venerabili fratelli, vi trovate ad esercitare il vostro dovere di assicurare ai giovani della vostra patria un'adeguata educazione religiosa. Nonostante tutto, come buoni Pastori del gregge di Cristo dovete continuare a cercare di fare fronte nel miglior modo al vostro obbligo di assicurare, a tutti coloro che la chiedono, una solida conoscenza della fede, insieme con una profonda preparazione alla vita sacramentale. Memori delle parole di san Paolo al suo discepolo Timoteo: "Praedica verbum, insta opportune, importune" (2Tm 4,2). Voi dovete rendere questo servizio ai vostri fedeli, perché, come lo stesso san Paolo esclamo, "Vae mihi est, si non evangelizavero!" (1Co 9,16).

Sappiamo, venerabili fratelli, che l'azione della Chiesa nella catechesi dei giovani non può riuscire pienamente senza il contributo diretto delle famiglie. Il nostro predecessore di venerata memoria Paolo VI ha scritto:"La famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell'intimo di una famiglia cosciente di questa missione tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell'ambito nel quale è inserita" (EN 71).

Riprendendo l'appello, da me lanciato a Puebla, il Sinodo ha ripetuto che la futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica (FC 52), perché "l'assoluta necessità della catechesi familiare emerge con singolare forza in determinate situazioni, che la Chiesa purtroppo registra in diversi luoghi".

perciò si deve fare ogni sforzo anche per salvaguardare la solidità naturale e religiosa della famiglia, affinché essa continui a trasmettere e a sviluppare nei figli il dono della fede. Il processo d'industrializzazione, che sta attuandosi anche nel vostro paese, spesso produce effetti negativi per la famiglia. Le mutazioni d'ordine socio-economico, dovute all'industrializzazione, mettono in pericolo la vita tradizionale della famiglia e ne allentano i vincoli.

A causa del lavoro dei genitori, sovente svolto in tempi diversi, i membri della famiglia si trovano insieme per breve tempo e di rado, con notevole detrimento della loro unità. Del problema voi vi siete giustamente occupati nella vostra Lettera Pastorale per il Natale dello scorso anno, invitando gli sposi cristiani a testimoniare ai loro figli la fede e l'amore di Cristo (cfr. "Katolicke noviny", 51-52, 1981).

e) Infine, non posso dimenticare i membri degli Ordini e delle Congregazioni religiose, maschili e femminili. Conosco le loro condizioni di vita e la sofferenza del loro animo. A loro va costantemente il mio pensiero affettuoso e la mia preghiera, sapendo quanto il loro cuore, offerto al Signore nella consacrazione dei voti religiosi, brami ardentemente di poter vivere ed operare in conformità di quella consacrazione. Voi potete comprendere tutto quello che io vorrei fare per soddisfare una così legittima e santa aspirazione.

Ho voluto, venerabili fratelli, svolgere con voi queste riflessioni sulle vostre gioie e speranze, difficoltà e preoccupazioni. Prima di congedarmi da voi, desidero ancora ricordare e far mia la preghiera che san Cirillo, poco prima di morire, lascio ai suoi figli spirituali: "Domine, Deu meus, exaudi meam orationem, et fidelem tibi gregem serva... Omnes in unitate collige, et fac eximium populum concordem in vera fide e recta professione..." ("Vita Constantini", XVIII, 8-11: "Fontes"). Queste parole, così belle e preziose, non sono che un'eco dei sentimenti del Cuore del Divin Salvatore espressi nella Preghiera Sacerdotale dell'ultima Cena: "Prego che siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te... affinché siano perfetti nell'unità" (Jn 17,21 Jn 17,23)..

Di cuore vi auguro di rimanere sempre uniti fra di voi e con i vostri sacerdoti e fedeli, conservandoli saldi nella professione della vera fede e fedeli a Cristo, alla Chiesa e a questa Sede Apostolica.

Affido al Signore questo augurio di pienezza di carità e della pace di Cristo per tutti voi, e di cuore imparto a voi, ai vostri sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose, e a tutti i fedeli la mia particolare paterna benedizione apostolica.




1982-03-11 Data estesa: Giovedi 11 Marzo 1982




Atto di pellegrinaggio e di Comunione

Testo:

Signori Cardinali, e voi tutti, venerabili fratelli della Conferenza Episcopale Italiana.


1. Conclusi gli incontri personali con ciascuno di voi, e quelli collegiali con le singole Conferenze Episcopali, in occasione della "Visita ad limina Apostolorum", siamo venuti pellegrini di amore e di devozione a questo luminoso "Oriente" (Dante Alighieri, "La Divina Commedia", "Paradiso", XI, v. 54), per venerare le sacre spoglie mortali del grande san Francesco, patrono d'Italia, e per rinvigorirci alle sorgenti del suo spirito e della sua vocazione.

Il nostro è un atto di pellegrinaggio e di comunione: "pellegrinaggio", come è noto, immediatamente motivato dalle celebrazioni giubilari per l'ottavo centenario della nascita del Poverello di Assisi; "comunione" come espressione dell'unità esistente tra le Chiese particolari e i loro Pastori: "Communio Ecclesiarum" e "Communio Pastorum" di tutta l'Italia.

Tale semplice atto costituisce il coronamento più alto e straordimario della "Visita ad limina" dell'anno scorso, perché in essa sono egualmente presenti la realtà della "peregrinatio" e della"communio".


2. La Chiesa universale, "Popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4), è chiamata a vivere interiormente e visibilmente il grande mistero della comunione, di cui il successore di Pietro è principio e fondamento, e per cui "chi sta in Roma, sa che gli Indi sono sue membra" (San Giovanni Crisostomo, "In Io. Hom.", 65,1: PG 55, 361). Si tratta di un rapporto articolato, molteplice e semplice al tempo stesso, che nel rispetto delle singole vocazioni, missioni, compiti e carismi, crea l'universale unità di un solo Popolo di Dio, proteso ad accentrare tutta l'umanità in Cristo Capo (cfr. LG 13).

Nell'ambito di tale unità cattolica, esistono le Chiese particolari con i loro legittimi Vescovi che "lo Spirito Santo ha costituiti..." (Ac 20,28). Essi con la visita "ad limina" recano al successore di Pietro l'espressione viva e concreta di quella "comunione ecclesiale", che vige nell'ambito della Chiesa particolare stessa, tra il Vescovo, il clero ed i fedeli, nei diversi ordini e compiti, per riceverne visibilmente la conferma, insieme con la tutela delle legittime verità, ed esprimere in pari tempo l'estremo inserimento nella comunione dell'unica Chiesa cattolica.


3. Ma nella "visita ad limina" è presente anche l'aspetto pellegrinante della Chiesa medesima: la Chiesa che è in via; che, come nuovo Israele, cammina alla ricerca della città futura, e permanente, tra tentazioni e tribolazioni, e non cessa di rinnovarsi ogni giorno, nella fedeltà al disegno di Cristo, per essere sacramento di salvezza per il mondo intero (cfr. LG 8 LG 9 LG 44).

In queste "Visite", infatti, abbiamo ripercorso idealmente il cammino di ogni Chiesa particolare nel corso degli ultimi cinque anni, in vista di una più profonda sintonia di fede, di ministero e di carità, nel quadro delle dinamiche di sviluppo e di maturazione del tipo di società proprio di ciascuna Regione. Amore nel vincolo della comunione ecclesiale e faticosa corresponsabilità nell'affrontare il cammino quotidiano, hanno trovato espressione nei colloqui e nei discorsi, come pure nelle conversazioni che ne sono seguite.


4. Ora, riuniti in assemblea straordinaria, si affaccia naturale e pressante per noi il bisogno di formulare un quadro d'insieme ed una sintesi, proprio ispirandoci al patrono d'Italia, che è indiscutibilmente un testimone eccezionale del pellegrinaggio bimillenario del Popolo di Dio su questa privilegiata Penisola.

Egli infatti rappresenta una delle più alte espressioni di quell'umanesimo cristiano, vissuto ed arricchito da tante generazioni di italiani, che hanno visto e continuano a vedere in Francesco il genuino interprete dei loro valori etici e delle loro aspirazioni, come avete efficacemente messo in evidenza nel vostro odierno Messaggio alla Comunità italiana.

La circostanza dell'ottavo centenario francescano invita naturalmente anzitutto a volgere lo sguardo al passato, per individuare quei contenuti sempre validi che restano una costante di viaggio anche per le successive tappe del pellegrinaggio ecclesiale. Certo, l'impegno più sollecitante resta quello di delineare con realismo la tappa presente del cammino, in vista di programmare ed animare il percorso futuro. Tale triplice attenzione ha segnato i "ritmi" dei nostri incontri ormai conclusi, e qualifica anche il senso dell'incontro nazionale odierno. In questo atteggiamento, ci sia ancora una volta di luminoso sostegno la testimonianza di san Francesco. Egli, per un verso, fu un uomo "di frontiera" - come si direbbe oggi - per cui esercita tuttora un grande fascino anche presso i lontani, ma fu soprattutto uomo di fede in Dio, discepolo ardente di Cristo, figlio devoto della Chiesa, fratello affettuoso di tutti gli uomini, anzi di tutte le creature. Nei suoi confronti, ogni rigido schema di collocazione diventa incongruo. Fedele senza riserve, proprio a ragione di tale fedeltà, si senti libero di osservare alla lettera il Vangelo, di seguire una sua strada, indicatagli solo dallo Spirito di Cristo, e potè essere così "quell'uomo nuovo, donato dal cielo al mondo" (san Francesco, "Leg. Maior", XII, 8), al cui apparire "i popoli - come si esprime Tommaso da Celano - furono ripieni di stupore davanti ai segni della rinnovata età apostolica" (3 "Cel." 1). Francesco fu dunque uomo di Chiesa, che visse in pieno questa triplice dimensione: coscienza del passato, apertura alle esigenze del presente, proiezione dinamica verso le prospettive del futuro; e tutto ciò nel contesto di una vivissima sensibilità cattolica.


5. Chi non vede la rilevanza ecclesiologica di un simile atteggiamento? La Chiesa, infatti, vive in ogni sua parte la realtà totale del Corpo mistico di Cristo, sia nella dimensione temporale in quanto attualizza nell'oggi la redenzione compiuta dal suo Fondatore, preannunziandone il compimento escatologico, sia nello spazio, in quanto in ogni Chiesa particolare essa è totalmente presente.

Le conseguenze che da questo dato ecclesiologico possono derivare, per la particolare situazione dell'Italia, sono facilmente intuibili. Nel contesto sociale della nazione si pongono in evidenza alcune tensioni e contrapposizioni, che sembrano ostacolare piuttosto che favorire la costruzione di un insieme armonico: paradigmatica al riguardo è la tensione esistente tra Nord e Sud, legata a molteplici cause sociali, culturali, economiche e politiche.

La Chiesa, costituendo per natura sua "un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza" (LG 9), è chiamata ad operare incessantemente per il superamento di ogni divisione, favorendo con mezzi perspicaci l'integrazione e l'unione, ai diversi livelli della Città umana, nello spirito della luminosa frase paolina: "Portate i pesi gli uni degli altri" (Ga 6,2).

La Conferenza Episcopale Italiana svolge certamente un'opera di integrazione in tal senso, ma i mezzi adoperati fino ad ora possono dirsi realmente adeguati e sufficienti? E' necessario studiare ogni opportuna iniziativa di carattere nazionale che possa condurre al desiderato traguardo di un'unità di spiriti, sempre più profonda ed operante, anche nel campo della convivenza civile, sull'esempio del Poverello di Assisi, al cui riguardo così si esprimeva il contemporaneo, Tommaso da Spalato: "In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie ed a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace" ("Fonti Francescane", 2252).


6. Desidero, inoltre, sempre con sguardo sintetico, accennare ad un altro problema d'insieme, che attiene direttamente alla missione della Chiesa, e che si ricollega con le considerazioni svolte sopra al riguardo dei due aspetti della "comunione" e del "pellegrinaggio". Sorge spontanea la domanda: quale tipo di comunione deve cercare di realizzare la Chiesa in Italia per poter esercitare la sua presenza stimolante lungo l'attuale tratto di cammino della società nazionale, entro i confini che corrono dalle Alpi alla Sicilia? Abbiamo ricevuto da Cristo una missione. Missione e comunione si richiamano a vicenda con intimo rapporto, essendo ambedue costitutive dell'unico mistero della Chiesa. "Il Verbo incarnato - avete detto con parole incisive nel Documento "Comunione e Comunità", pubblicato nell'ottobre scorso - mentre accoglie nella comunità divina la Chiesa, la rende partecipe della missione di salvezza ricevuta dal Padre, e in essa e per essa la realizza continuamente nella storia" (n. 2).

Ora, la condizione per compiere tale missione di animazione, di lievito evangelico, di ispirazione cristiana è appunto la realizzazione di un'attiva presenza nei diversi momenti e strutture della vita sociale. Tale dinamica e illuminata presenza dobbiamo saperla contrapporre in pratica, con azione umile e serena, ma informata e decisa, ai programrni che vorrebbero eliminare questa presenza, e rendere la Chiesa "assente", vanificandone l'influsso ispiratore.

Tale è la caratteristica della missione, cioè dell'apostolicità: essa non contrasta né col dialogo, né con la libertà di coscienza, anzi è in certo senso richiesta da tali atteggiamenti, non potendo esistere rispetto per gli altri se non si consente loro di esprimere se stessi nelle forme dovute. Ecco allora che questo nostro incontro, accanto alla tomba del patrono d'Italia, ci sospinge a formulare la domanda circa le vie più adatte per assicurare una presenza efficace del Vangelo e della Chiesa nell'intera Penisola, nelle ultime decadi del secolo XX.

Un'altra lezione proviene a noi da san Francesco, anche se viviamo in un'epoca tanto diversa dalla sua: ed è il messaggio di amore alla povertà.

Francesco comprende Cristo proprio nei poveri, quando, scendendo a san Damiano, incontra il lebbroso e lo bacia, donandogli tutto quello che ha. Il ricco figlio di Pietro di Bernardone, davanti al Vescovo di Assisi, rinuncia ad ogni bene del mondo, offrendo una splendida lezione di distacco, di interiore libertà, di vera povertà, tanto che, nell'eco stupefatta dei contemporanei, la sua scelta è stata vista alla luce di un rapporto nuziale con "Madonna Povertà".

perciò anche oggi la Chiesa italiana, nel suo insieme, è chiamata a riflettere su questa grande lezione di Francesco per incarnare sempre piu nel suo contesto e nella sua vita tale valore evangelico, da cui è sbocciata nei secoli una mirabile tradizione di ascesi ecclesiale, sia nelle persone singole che nelle istituzioni. E' necessario che anche le nuove generazioni siano educate alla sobrietà ed al sacrificio, virtù indispensabili in un sano processo pedagogico, che intenda formare personalità mature.

A questo riguardo, mi piace rendere omaggio alla semplicità di vita del clero italiano, che con mezzi in genere molto limitati sa svolgere dignitosamente il proprio ministero e sostenere opere pastorali spesso di vasta entità. Una Chiesa povera infatti non può non suscitare un atteggiamento di responsabile solidarietà tra i fedeli, resi consapevoli dell'impegno di offrire il proprio appoggio. L'esperienza della Chiesa in varie epoche e in diverse nazioni lo dimostra ampiamente.

La scelta di Francesco, radicale e rivoluzionaria, ha quindi un profondo significato anche oggi per la Chiesa in Italia e nel mondo.


7. Tali vie del Vangelo e della Chiesa per l'odierna generazione e per le successive sono state tracciate dal Concilio Vaticano II, che - come dissi all'inizio del mio pontificato - "è... una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa ed anche culturale del mondo" ("Discorso", 17 ottobre 1978: "Insegnamenti", I [1978] 5).

A questo preciso riguardo, merita riflettere fino a che punto sia stato assimilato dal Popolo di Dio, che è in Italia, il significato autentico dell'orientamento pastorale del Concilio, che purtroppo è stato subito segnato da elementi di divisione.

Gli orientamenti del Concilio devono essere studiati, meditati, riletti ed attuati: non soltanto seguendo gli specifici Documenti conciliari, già in se stessi così ricchi di indicazioni e di suggerimenti pastorali, ma anche con l'aiuto di quella che possiamo chiamare la "chiave sinodale" di lettura del medesimo Concilio, cioè mediante le indicazioni emerse dai lavori dei Sinodi dei Vescovi, finora celebrati, e proposte da Documenti di vasto respiro quali l'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI, dopo il Sinodo del 1974; la mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae", dopo quello del 1977; l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio", dopo quello del 1980; tenendo anche presenti le Dichiarazioni del Sinodo del 1971 per quanto concerne l'"identità" dei sacerdoti, come pure il problema della "giustizia nel mondo", problema questo dalle vaste implicazioni e che ha trovato la Chiesa sempre sensibile ed attenta alle ispirazioni del Vangelo e della Tradizione, sempre fedele al suo originale insegnamento nel campo sociale, in una coerente continuità che, nell'epoca più recente della nostra storia, va dall'enciclica "Rerum Novarum" di Leone XIII alla "Quadragesimo Anno" di Pio XI, ai Radiomessaggi di Pio XII, alle encicliche "Mater et Magistra" e "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII, all'enciclica "Populorum Progressio" e alla lettera apostolica "Octogesima Adveniens" di Paolo VI, fino alla mia recente enciclica "Laborem Exercens".

Sarà proprio con l'aiuto di questa "chiave sinodale" che occorrerà sviluppare, evitando i pericoli della già accennata divisione, le esigenze fondamentali del Concilio Vaticano II. Si tratta di applicare "nel piccolo" quei "grandi" orientamenti che hanno segnato la storia recente della vita della Chiesa; perché, effettivamente, è nel piccolo che si realizza il grande, e perciò proprio il piccolo è sempre cosa grande! Ecco quindi l'importanza ed urgenza che riveste il lavoro pastorale nei singoli settori delle vostre Chiese. Accenno anzitutto alla sollecitudine per le vocazioni ecclesiastiche e per i Seminari. La Chiesa che è in Italia deve impegnarsi ad un'azione sempre più metodica, incisiva e capillare per la ricerca e la cura delle vocazioni. E' noto che, mentre nella nazione i problemi pastorali ed ecclesiali aumentano, non si hanno invece sempre sacerdoti in numero sufficiente per far fronte alle molteplici esigenze spirituali dei fedeli.

Voi dovete dimostrare ogni cura, predilezione e premura a questi sacerdoti, che sono i vostri collaboratori immediati, gli autentici "educatori nella fede" (cfr. PO 6). In questo momento così solenne dell'incontro del Vescovo di Roma con i Vescovi di tutta l'ltalia, il mio pensiero va, con profonda stima e con fraterno affetto, ai circa quarantamila sacerdoti italiani - ed ai ventimila Religiosi - i quali, parroci nelle grandi parrocchie urbane o in quelle piccole di campagna o di montagna, o animatori di piccole o grandi Comunità e soprattutto di gruppi di giovani, di operai, o impegnati nella pastorale a qualsiasi livello - insegnanti di scuola, di Liceo, di Università - lavorano ogni giorno per il Regno di Dio. L'Italia, per la sua plurisecolare tradizione storica e culturale, ha bisogno della presenza e della testimonianza dei sacerdoti, i quali in questa nazione hanno dato prove di grande spiritualità e carità verso i bisognosi, gli ammalati, gli emarginati.

Ai sacerdoti è affidato, in modo speciale, il culto a Cristo Eucaristia, fonte, centro ed apice della vita cristiana (cfr. LG 11 AGD 9). Il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale, che si svolgerà a Milano, contribuisca a rendere più intenso l'amore adorante per il Sacramento dell'Altare, non solo in tutti i fedeli, ma soprattutto nei sacerdoti.

Rinnovo l'espressione della mia sollecitudine per le religiose e per quante vivono una vocazione di consacrazione, le quali, nel dono di sé a Cristo, e seguendo le orme di Maria santissima, portano alla Chiesa di Dio una ricchezza di spiritualità, di carità, di dedizione nei vari campi dell'assistenza agli infermi, ai poveri, agli anziani, ai bambini; o nell'insegnamento, o in quelle situazioni in cui la delicata sensibilità femminile può superare difficili barriere; o nel volontario silenzio della clausura; ma specialmente nella preghiera continua e nel sacrificio riparatore.

Auspico che le giovani di questa nazione, desiderose di dare alla vita il suo vero, pieno significato, sappiano rispondere con entusiasmo e generosità all'invito di Cristo, che le chiama al dono di sé nelle varie forme di vocazione consacrata. Insisto poi ancora sulla catechesi e, in particolare, sulla formazione catechistica dei giovani, che tenga presenti i loro problemi, le loro esigenze, le loro attese, la loro cultura. Come pure insisto sul problema della pastorale universitaria, sulla costituzione o rivitalizzazione dei centri di cultura, e sulla sempre più urgente pastorale nel mondo del lavoro. Cioè, occorre un sempre maggiore impegno comune di voi Pastori per la formazione e la promozione del Laicato. I Laici debbono rendere testimonianza a Cristo con la loro vita, nella famiglia, nel ceto sociale a cui appartengono e nell'ambito della professione che esercitano. Essi debbono assumere la instaurazione dell'ordine temporale come compito proprio e, guidati dalla luce del Vangelo e dalla dottrina della Chiesa, operare direttamente e in modo concreto; come cittadini cooperare con gli altri cittadini, secondo la loro specifica competenza e responsabilità; cercare dappertutto e in ogni cosa la giustizia del Regno di Dio (cfr. AA 7). I laici cattolici italiami hanno una magnifica ed esemplare storia di azione, di impegno, di fedeltà alla Chiesa, nonché alla Nazione. Occorre rendere più intensa e profonda la loro formazione culturale e spirituale mediante opportune iniziative a carattere permanente, perché essi siano sempre più seriamente preparati ad assumere quelle responsabilità ecclesiali, che voi Vescovi reputerete di affidare loro.


8. Da quanto abbiamo considerato emerge, in un certo senso, un'ulteriore dimemsione del "pellegrinaggio e della comunione". Siamo venuti qui, alla tomba gloriosa di san Francesco, per meditare su questa dimensione, per riflettere insieme sui nostri compiti ed i nostri impegni e per gioire di essi, come della prospettiva della nostra missione e della nostra comunità.

Cerchiamo di vedere questa nostra "via" comune: la via del Vangelo e della Chiesa degli anni ottanta attraverso la Penisola, dalle Alpi alla Sicilia ed alla Sardegna.

Tuttavia, se dobbiamo rimanere nella verità della nostra vocazione, occorrerà cercare di approfondire e considerare questa "via"ancora nella relazione agli altri: alle altre Chiese, alle altre Società. Poiché la Provvidenza divina ha donato alla terra italiana san Francesco e tanti altri innumerevoli santi, e poiché essa ha misteriosamente guidato a questo paese i passi di Pietro, il Pescatore di Galilea, non possiamo meravigliarci se gli altri "guardano" a questa Chiesa che è in Italia, e se con essa spesso misurano se stessi nei diversi problemi. Nei confronti degli altri abbiamo quindi una autentica e seria responsabilità.

Per rispondere pienamente ed adeguatamente a questa perrnanente responsabilità, la Chiesa di Dio che è in ltalia deve vivere intensamente la propria dimensione "missionaria". Dimensione missionaria "ad extra", quale si è manifestata nei secoli, e si manifesta ancor oggi, nella generosità di tanti figli e figlie di questa nazione, che hanno abbandonato la patria, la famiglia, gli amici, la sicurezza, per lanciarsi nel mondo a predicare il Vangelo: l'ltalia può legittimamente esser fiera dei Missionari e delle Missionarie, che in tutte le plaghe della terra hanno portato e portano, come san Francesco, la pace e il bene, quali sono proclamati dal messaggio di Cristo. Ma tali notissimi meriti dell'Italia nel campo della sua plurisecolare dimensione missionaria "ad extra" sono il frutto di quella che possiamo chiamare la dimensione missionaria "ab intra", cioè il suo dinamismo e la sua vitalità, per cui la Chiesa di Dio che è in Italia - come d'altronde tutta la Chiesa - è perennemente "in statu missionis": "La Chiesa che vive nel tempo per sua natura è missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il Piano di Dio Padre, deriva la propria origine" (AGD 2). Tale dimensione missionaria "ab intra" si contrappone perciò al tradizionalismo e all'immobilismo; si trova confrontata col profilo della "secolarizzazione" programmata della vita nei diversi settori; e scopre inoltre non soltanto il suo "ieri" sacrale e cristiano, ma anche l'"oggi" tormentato ed esaltante, e il "domani" ancora imprevisto ed imprevedibile.

E' in questa prospettiva che bisognerà cogliere i sintomi della solidarietà che sta allacciandosi con diverse Società e Chiese dell'Europa e del mondo, e secondarne lo sviluppo per una intesa sempre più intelligente e fattiva.


9. Tutta la comunità ecclesiale in Italia - i Vescovi, i sacerdoti, le anime consacrate, i laici - in questo momento di crisi di valori, di disorientamento morale, ma anche di ansiosa ricerca di nuove sintesi culturali, di tensione verso una vita più conforme alle profonde aspirazioni del cuore umano, è chiamata a partecipare attivamente alla ricostituzione del tessuto civile della nazione, fondato sui valori etici dell'umanesimo cristiano.

E questa sua missione storica essa potrà adempiere solo se sarà sempre più consapevole della sua identità, sempre più obbediente alla sua chiamata alla testimonianza, sempre più convinta dell'intrinseca ed insostituibile genuinità e forza dei propri valori, sempre più generosa nel suo impegno di presenza e di partecipazione, sempre più coerente e tenace nell'azione, perché l'Italia riscopra e viva, con rinnovato fervore, la sua ricchezza umana e il suo volto cristiano.

Come non è possibile comprendere in tutta la sua pienezza la figura del Poverello di Assisi senza il suo essere credente, cristiano, cattolico, così non è possibile esaurire la comprensione della storia e della vita dell'Italia, se si prescinde dalla Fede.

Alla fine di questa nostra riunione, che rappresenta quasi una sintesi ideale di tutti gli incontri, personali e collegiali con voi avuti in occasione delle vostre visite "ad limina", rivolgo la mia preghiera ardente ai Santi ed alle Sante, che la terra d'Italia ha dato alla Chiesa ed al mondo attraverso venti secoli, e in particolare la rivolgo qui, accanto alla sua tomba, al patrono d'Italia, san Francesco, perché estenda a tutta la sua patria terrena quella Benedizione che, morente, rivolse alla sua diletta Assisi: "...Signore... per la tua copiosa misericordia... la città è diventata rifugio e soggiorno di quelli che ti conoscono e danno gloria al tuo nome e spandono profumo di vita santa, di retta dottrina e buona fama in tutto il popolo cristiano. Io ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordare solo l'abbondanza della tua bontà che le hai dimostrato. Sia sempre questa città, terra e abitazione di quelli che ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e glorioso nei secoli dei secoli" ("Leggenda perugina", 99).

Ed affido questi miei voti e questi miei pensieri alla Madonna santissima, la "Castellana d'Italia", verso la quale il buon popolo di questa nazione nutre una devozione tenera e forte, carica di sentimento, ma alimentata altresi da autentici contenuti teologici. La Vergine santissima tenga sempre il suo sguardo materno su questo paese.

La mia benedizione apostolica accompagni sempre voi, carissimi fratelli nell'Episcopato, e tutto il Popolo di Dio che è in Italia.




1982-03-12 Data estesa: Venerdi 12 Marzo 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)