GPII 1982 Insegnamenti - A Vescovi del Benin in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A Vescovi del Benin in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siate portatori di una fede ben chiara capace di resistere al discorso dell'ateismo

Testo:

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Secondo la bella consuetudine africana, voi siete venuti a ricambiare la visita che vi ho fatto a Cotonou un mese fa! Ne sono molto lieto. Siate i benvenuti nella casa del Papa! Avete anche preso importanti contatti con i diversi Dicasteri della Curia, su precise questioni del vostro ministero episcopale: spero che voi abbiate trovato, in questi scambi con il centro della cattolicità, comprensione, appoggio e conforto per proseguire sulla via dell'evangelizzazione nel vostro paese.

Infine, la preghiera sulle tombe degli Apostoli e dei primi martiri cristiani è sempre una grazia per la vostra comunione ecclesiale, la vostra forza e la vostra speranza.


2. Il nostro incontro è dominato dal comune ricordo del mio recente viaggio nel Benin. Certamente, lo scalo è stato purtroppo di breve durata, limitato a Cotonou, per un incontro globale con il popolo cristiano. Ma quelle ore sono state molto ricche, ed io ne conservo un ricordo commosso e confortante. Penso in particolare alla qualità della celebrazione liturgica nello stadio: partecipazione attiva di tutti, intenso raccoglimento, gioia dei sacerdoti, dei religiosi, delle religiose, dei catechisti, dei giovani e degli adulti, di esprimere la loro fede in tutta serenità, attorno al successore di Pietro. Prego il Signore di far fruttificare queste grazie, e auguro che il popolo cristiano del Benin, custodendo nel suo cuore la memoria di questa celebrazione religiosa, vi attinga il coraggio di cui ha bisogno, giorno dopo giorno, nella sua vita quotidiana.


3. Non ho bisogno di sviluppare con voi una serie di incoraggiamenti o di consigli che vi ho già dato, sia nell'omelia della Messa a Cotonou, sia nel testo che ho voluto inviare all'Arcivescovo.

Certamente, la realizzazione della fede si compie ora presso di voi in condizioni difficili, che obbligano tutta la comunità cattolica a reagire vigorosamente contro il materialismo ideologico o dei costumi, testimoniando il proprio senso di onestà, di giustizia, di carità per contribuire all'autentico sviluppo del paese.

E' buona cosa allora, come gli Apostoli al tempo della Trasfigurazione che abbiamo meditato domenica scorsa, saper discernere già da ora la gloria del Signore, presente in mezzo a voi, e i frutti della sua grazia, o almeno le promesse del raccolto; voi mi avete informato, e ho tenuto a sottolinearlo io stesso, della vitalità attuale della Chiesa nel Benin in molti settori: rinnovato senso della preghiera, della partecipazione alle funzioni, qualità della liturgia e della catechesi, zelo dei catechisti, conversioni, vocazioni, desiderio di approfondire la fede e coraggio nel testimoniarla. Bisogna poggiarsi su questi segni positivi per rafforzarsi e progredire.


4. L'anno passato, Monsignor Adimou aveva indicato quali erano le priorità pastorali per la Chiesa nel Benin: le vocazioni sacerdotali e religiose, la famiglia cristiana, i giovani, l'approfondimento della fede e il rafforzamento della azione evangelizzatrice. Penso che questi sono gli obiettivi fondamentali da perseguire costantemente.

Bisogna fare tutto il possibile infatti perché i cristiani posseggano una fede ben chiara, capace di resistere al discorso dell'ateismo, una fede nutrita dalla preghiera, perchè è lo Spirito Santo che ispira la risposta profonda e dona la forza, una fede dinamica che sappia rendere testimonianza e faccia prendere delle responsabilità.

Bisogna anche estendere l'evangelizzazione aiutandovi vicendevolmente tra sud e nord tenendo conto delle forze apostoliche. E bisogna soprattutto intensificare gli sforzi per un miglioramento qualitativo dell'evangelizzazione: il discernimento che voi esercitate per esempio nel contatto con i vostri usi e costumi, familiari o d'altro genere, vi permetterà di vedere se essi si prestano - e a quali condizioni - a una sana acculturazione del messaggio evangelico che toccherà allora in profondità l'animo beninese e le realtà della vita personale e comunitaria. Nutro la fiducia che voi progredirete su questo cammino, tenendo conto anche degli altri paesi africani e rimanendo in dialogo con la Santa Sede.

Le esigenze evangeliche non dovranno essere diminuite, ma dovranno apparire come una buona novella, una benedizione alla quale tutti debbono sentire la possibilità di avvicinarsi.

Infine, voi vi ricordate certamente della consegna che vi ho lasciato a Cotonou: che l'unità tra i Pastori e tra tutti gli operai apostolici sia senza difetto. E' il testamento di Cristo ed è il segreto della vostra forza.

Che il Signore vi doni la pace e vi mantenga nella speranza! E' sempre presente nella mia preghiera la sollecitudine per la Chiesa che è nel Benin, vi sono sempre molto vicino e vi rinnovo di tutto cuore la mia benedizione.




1982-03-13 Data estesa: Sabato 13 Marzo 1982




A un pellegrinaggio dall'Alaska - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra visita a Roma sia un reale viaggio di fede

Testo:

Cari fratelli e sorelle.

Sono lieto di dare questa mattina il benvenuto a tutti voi. Poco più di un anno fa voi mi avete accolto nella città ricoperta di neve di Anchorage. In quella occasione ho invitato il vostro coro a farmi visita a Roma, e sono lieto che voi abbiate accettato di venire e che canterete domani nella Basilica di san Pietro. Ringrazio l'Arcivescovo Hurley per aver organizzato la visita e di aver allargato il gruppo fino ad includere tutti voi che siete qui. Per me voi rappresentate tutto il popolo dell'Alaska.

Voi siete venuti qui oggi come pellegrini in un cammino di fede. Per questo vi esorto con le parole di san Paolo: "Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per voi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" (Ep 5,2).

Il periodo della Quaresima che stiamo vivendo è un tempo privilegiato di pellegrinaggio, un tempo di cammino nell'amore di Cristo. In Quaresima noi ricordiamo il viaggio del popolo ebreo attraverso il deserto verso la Terra Promessa. In Quaresima noi riviviamo gli eventi della Passione di Cristo, la sua via della Croce, mediante la quale i nostri peccati ci sono rimessi e la nostra salvezza è ottenuta.

In questi quaranta giorni, i pellegrini qui a Roma continuano la sacra consuetudine di visitare le stazioni delle Chiese. Questa pratica trova parte del suo significato nel fatto che i partecipanti vanno in pellegrinaggio alle varie Chiese e Basiliche. Il vostro viaggio ha in sé un simile carattere religioso, e per questa ragione prego che esso sia per tutti voi un reale viaggio di fede, una ricerca di ciò che alimenta, rafforza e approfondisce la vostra fede in Cristo.

Mettersi in pellegrinaggio significa lasciare molte cose dietro di sé.

Quando si viaggia, si possono portare con sé poche cose. Si deve scegliere proprio ciò che è indispensabile, altrimenti viaggiando si è appesantiti da un bagaglio eccessivo.

Sono lieto di sapere che tra ciò che voi avete ritenuto indispensabile per questo pellegrinaggio a Roma vi sono la musica e il canto - il suono gioioso e il canto nuovo di speranza e di promessa. Tanto spesso la gente del nostro mondo è come bombardata dai rumori assordanti della moderna tecnologia che offuscano i sensi e intristiscono lo spirito umano. Vi sono le grida della violenza e della disperazione, le voci del consumismo e dell'avidità, e le stridenti esigenze di un eccessivo individualismo.

Ma il vostro canto porta speranza quando trova il suo fondamento in Cristo, è nutrito dalla preghiera e ispirato dall'amore per il prossimo. Questo è il suono che il mondo ha bisogno di udire - è un contributo di vitale importanza che voi fate durante il vostro pellegrinaggio.

Infine il vostro pellegrinaggio vi ricondurrà a casa a riprendere di nuovo la vita alla quale Dio vi ha chiamato. Quando ritornerete, sappiate che le preghiere del Papa vi accompagnano.

Quando sono stato in Alaska, tra coloro che mi hanno indirizzato il loro saluto vi era una bambina di cinque anni, la piccola Mollie Marie, che mi ha porto un mazzolino di non-ti-scordar-di-me. Recentemente sono stato informato che questa bambina è morta poco dopo Natale; il suo breve pellegrinaggio terreno è terminato.

Lasciate che vi assicuri che il Papa non dimenticherà: non dimenticherà questa bambina e non dimenticherà voi. Voi siete presenti nelle mie preghiere; voi siete nel mio cuore. Siamo tutti pellegrini nel nostro cammino verso la casa del Padre celeste. Camminiamo nella via dell'amore. Camminiamo con fede. Camminiamo in Gesù Cristo.




1982-03-13 Data estesa: Sabato 13 Marzo 1982




Recita dell'"Angelus Domini" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riconciliazione e penitenza per liberare gli uomini dal torpore delle coscienze

Testo:


1. Rivolgiamo la nostra mente ed il nostro cuore al Verbo che per opera dello Spirito Santo si è fatto carne sotto il cuore della Vergine di Nazaret; per questo ci siamo riuniti per la recita dell'"Angelus Dornini".

Nello stesso tempo - seguendo il pensiero-guida della Quaresima - meditiamo il tema del prossimo Sinodo dei Vescovi: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa". Nel contesto di questo tema sentiamo il bisogno di mettere in evidenza il significato della coscienza umana, strettamente legata alla libertà dell'uomo, di cui si è parlato una settimana fa, in base alla sua relazione con la verità. Per questo la coscienza in misura principale sta alla base della dignità interiore dell'uomo e, nello stesso tempo, del suo rapporto con Dio.


2. Rileggiamo la concisa enunciazione sulla coscienza, contenuta nella costituzione "Gaudium et Spes".

"Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve ubbidire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa' questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore, obbedire alla quale è la dignità stessa dell'uomo e secondo questa egli sarà giudicato.

La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità.

Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato" (n. 16).


3. Conviene rimeditare queste parole nel periodo della Quasima, che è un tempo particolarmente adatto al risveglio e alla cura delle coscienze. Abbiamo noi un'idea giusta della coscienza? Intendiamo correttamente la sua libertà? Nella vita personale, familiare, sociale ci lasciamo guidare dalla coscienza vera e retta? L'uomo contemporaneo non vive sotto la minaccia di un'eclisse della coscienza? Di una deformazione delle coscienze? Di un intorpidimento, o di un'"anestesia" delle coscienze? Queste e simili domande conviene porsi nel periodo della Quaresima, facendo contemporaneamente, con l'aiuto di esse, una riflessione sul tema della "Riconciliazione e Penitenza nella missione della Chiesa".

Preghiamo oggi per ogni coscienza umana e per ogni coscienza cristiana, invocando lo Spirito Santo, il Verbo che si fece carne, e la Serva del Signore Maria dl Nazaret.

Ai partecipanti al convegno indetto a Roma dal "Movimento dei Maestri dell'Azione Cattolica Italiana" E' presente a questo incontro di preghiera un gruppo di Insegnanti appartenenti al "Movimento Maestri dell'Azione Cattolica", venuti a Roma per un loro convegno.

Carissimi, vi auguro che dal vostro incontro possiate trarre copiosi frutti che vi facciano scoprire sempre meglio l'importanza e la delicatezza della vostra attività educatrice tra i bambini della scuola. Per meglio riuscire in questa vostra missione, fatevi poi pure discepoli del Maestro divino, che vi insegnerà la vera scienza per essere autentici formatori di uomini nuovi.

Vi accompagni la mia benedizione.




1982-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1982




All'appuntamento mariano in piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Appello del Santo Padre per la liberazione di due sequestrati

Testo:

Oggi, come ho già avuto purtroppo occasione di fare altre volte, elevo la mia voce in favore di persone che sono ancora sequestrate e, in particolare, per i signori Antonio Masturzo, di Napoli, e Felice Alberto Martelli, di Locri.

In nome di Dio, mi rivolgo ai loro carcerieri, perché vogliano riconsiderare il proprio gesto, alla luce non solo dell'angoscia dei congiunti in pena, ma ancor più della semplice dignità umana dei sequestrati stessi, vilmente ridotti a merce di scambio. Questo non è cristiano! Anzi, non è umano! Li invito, pertanto, a restituire finalmente le persone sequestrate all'affetto dei loro cari, alla pacifica convivenza civile, restituendo così anche serenità alle proprie coscienze.




1982-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1982




Ai parrocchiani del santissimo Crocifisso a Bravetta - Roma

Titolo: Comprendere e amare sempre più profondamente i comandamenti divini che sono la via dell'uomo

Testo:


1. "...Noi predichiamo Cristo crocifisso" (1Co 1,23).

In queste parole della lettera ai Corinzi, Paolo di Tarso pronunzia il suo messaggio apostolico.

"Noi predichiamo Cristo crocifisso" che è "potenza e sapienza di Dio" (1Co 1,24).

Questo messaggio incontra opposizione: per i Giudei, che chiedono i miracoli, Cristo crocifisso è "scandalo"; per i Greci, che cercano la sapienza, egli è "stoltezza".

Paolo di Tarso è consapevole dell'opposizione che incontra il suo messaggio agli occhi dei suoi contemporanei.

Tuttavia lo annunzia con la forza tanto più grande della fede: "Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Co 1,25).

Oggi mi avviene di visitare la parrocchia del "santissimo Crocifisso".

Lo faccio, come Vescovo di Roma, per amore alla vostra comunità e con profonda venerazione per Cristo Crocifisso.

La vostra Parrocchia non rispecchia forse, già con lo stesso nome, il messaggio di Paolo ai Corinzi, e quindi a tutti i cristiani, a tutti gli uomini? Parrocchia del "santissimo Crocifisso"!


2. "Predichiamo Cristo..."! Questo Cristo che sapeva e sa "quello che c'è in ogni uomo".

Nell'odierno Vangelo leggiamo infatti così: "Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù pero non si confidava con loro perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo" (Jn 2,23-25).

Così fu durante la vita terrena di Gesù.

Da quel tempo molti altri ancora "credettero nel suo nome".

Qui a Roma tanti credono in Gesù Cristo. Anche in questa parrocchia ce ne sono tanti. Forse perfino quanti non sanno di credere, in qualche modo, credono; anche coloro che pensano di non credere. A volte facciamo agli uomini domande circa tale loro fede, si fanno persino speciali inchieste. E riceviamo delle risposte, certamente sincere.

Tuttavia, in ultimo, solo lui, Cristo sa "quello che c'è in ogni uomo".

Lo sa con la scienza che è propria soltanto di lui. Scienza divina ed insieme umana, la scienza del Vangelo e della Redenzione.

Egli sa, poiché ha redento ciascuno di noi. Infatti siamo stati comprati a caro prezzo (cfr. 1Co 6,20 1Co 7,23).

E perciò "predichiamo Cristo Crocifisso". Lo predichiamo continuamente, senza sosta. Lo predichiamo anche questa domenica di Quaresima, qui, in questa parrocchia.

Bisogna che l'uomo, guardando nel profondo di se stesso, pensi a ciò che c'è in lui; forse la pace della coscienza o forse l'inquietudine, il carico dei peccati, il peso di una grande responsabilità, i rimorsi.

Bisogna tuttavia, che al tempo stesso, ognuno guardi il Crocifisso e pensi che anche per lui c'è sempre il "caro prezzo". A tale prezzo, infatti, siamo comprati mediante la Croce!


3. L'odierna domenica ci ricorda il Decalogo, la legge di Dio data ad Israele per mezzo di Mosè sul monte Sinai; data a tutti gli uomini.

Conosciamo questi comandamenti. Molti li ripetono quotidianamente nelle preghiere. Volesse il cielo che lo facessero tutti! E' una abitudine molto buona.

Ripetiamoli adesso, così come sono scritti nel libro dell'Esodo, per riconfermare e rinnovare ciò che ricordiamo. I comandamenti sono stati dati durante l'uscita di Israele dall'Egitto, per opera di Dio; perciò le prime parole ricordano questo episdio.

"Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù": "Non avrai altri dèi di fronte a me...".

"Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio...".

"Ricordati del giorno di sabato per santificarlo...", qui noi diciamo: "Ricordati di santificare le feste".

"Onora tuo padre e tua madre...".

"Non uccidere".

"Non commettere adulterio".

"Non rubare".

"Non pronunziare falsa testimonianza contro il tuo prossimo".

"Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo" (Ex 20,2-3 Ex 20,7-8 Ex 20,17). L'ultimo comandamento noi lo pronunziamo con due formule. La prima: non desiderare la donna d'altri, e la seconda: non desiderare la roba d'altri.

Tutti questi comandamenti sono forse stati incisi soltanto sulle due tavole che Mosè ricevette, e Israele conservava come la cosa più sacra nell'Arca dell'alleanza? Non soltanto! Questi comandamenti sono, al tempo stesso, iscritti nel cuore, nella coscienza di ogni uomo.

Perché Dio ci ha dato il suo Figlio Unigenito, come ricorda la odierna liturgia nel canto al Vangelo? Affinché non si cancellasse dalle coscienze umane l'incisione dei divini comandamenti; affinché l'uomo conoscesse e praticasse questi comandamenti, e così avesse "la vita eterna".

A un giovane che chiede a Gesù: "Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?", il Maestro risponde: "Osserva i comandamenti".

"Quali?". Gesù enumera quelli stessi che nell'antica alleanza Mosè ricevette sul monte Sinai (cfr. Mt 19,16-22).


4. Gesù Cristo sa "quello che c'è in ogni uomo"; sa che nel suo cuore sono iscritti i comandamenti del Padre.

Nel Vangelo di oggi Cristo si dimostra severo nei confronti di coloro che violano il comandamento del culto e dell'adorazione dovuti a Dio stesso: comandamento iscritto più nella coscienza che nella semplice legge.

Infatti, quei venditori e cambiavalute erano forse a posto con la legge umana, ma Cristo è Colui che sa "quello che c'è in ogni uomo" e nello stesso tempo lo divora lo zelo per la casa di Dio (cfr. Jn 2,17).

Conducendo l'uomo sulla via dei comandamenti, egli gli insegna non soltanto a compiere la legge di Dio, ma anche a comprendere sempre meglio e amare sempre più profondamente questa legge, così come afferma il Salmo responsoriale della santa Messa.

Nella misura in cui l'uomo comprende i divini comandamenti, si rende conto quanto deve ad essi nella vita personale, familiare e sociale. Essi sono veramente la via dell'uomo; sono per l'uomo.

"La legge del Signore è perfetta, / rinfranca l'anima; / la testimonianza del Signore è verace / rende saggio il semplice. / Gli ordini del Signore sono giusti, / fanno gioire il cuore; / i comandi del Signore sono limpidi, / danno luce agli occhi. / Il timore del Signore è puro, dura sempre, / i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti, / più preziosi dell'oro, di molto oro fino, / più dolci del miele e di un favo stillante" (Ps 18 [19],8-11).

Varrebbe la pena di soffermarci più a lungo su questi versetti del Salmo. Vedremo allora meglio quale è la via che conduce all'amore dei divini comandamenti, particolarmente del più grande comandamento del Vangelo, a quella potenza e a quell'amore divino che è diventato per noi Cristo crocifisso.

La Croce non è forse la suprema coscienza dell'umanità? Non è essa la voce di Dio che parla in maniera più potente delle stesse coscienze umane? Voce che parla in modo particolare quando le diverse "misure umane" diminuiscono questa coscienza e la soffocano? Ha dunque ragione l'Apostolo quando grida: "Noi predichiamo Cristo crocifisso... potenza di Dio e sapienza di Dio".


5. Mediante la meditazione sulla legge divina, sulla coscienza umana e sulla Croce di Cristo, la liturgia quaresimale di oggi ci prepara al mistero pasquale.

Dopo l'espulsione dei mercanti e dei cambiavalute, alcuni Giudei si rivolsero a Gesù con questa domanda: "Quale segno ci mostri per fare queste cose? Rispose loro Gesù: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo faro risorgere. Gli dissero allora i Giudei: Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura ed alla parola detta da Gesù" (Jn 2,18-22).


6. Cari fratelli e sorelle! Accettate questa meditazione che pronuncio, seguendo le parole dell'odierna liturgia, per venerare Cristo crocifisso nella parrocchia del "santissimo Crocifisso".



7. Da questo altare desidero ora rivolgere il mio cordiale saluto a tutti voi fedeli presenti e a tutta la famiglia parrocchiale. Porgo prima di tutto il mio saluto riconoscente al Cardinale Vicario, al Vescovo responsabile di questa Zona della diocesi, al Parroco, Padre Ferdinando Castaldi, ed ai suoi collaboratori, tutti appartenenti alla Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata e approfitto di questa circostanza per salutare il Superiore Generale della Congregazione. Saluto poi con grande gioia le


5.000 famiglie componenti la parrocchia: innanzitutto gli appartenenti ai vari gruppi del Laicato organizzato e responsabile e poi i vari membri della grande Comunità, specialmente i malati e tutti coloro che in qualche modo soffrono. Si sentano vicini al mio cuore di Padre e di Amico anche tutti i religiosi che hanno le loro Case nell'ambito parrocchiale e i vari Istituti femminili, che, per quanto è loro possibile, mantengono ottimi rapporti con i sacerdoti responsabili, venendo in aiuto alle iniziative ed alle attività catechistiche, formative e ricreative. Tutti ricordo con affetto e per tutti offro le mie preghiere.

Considerando le prospettive della pastorale attualmente in fase di realizzazione nella vostra parrocchia, la mia esortazione, carissimi fedeli, non può essere che una e semplice: assecondate le iniziative dei vostri sacerdoti! Esse coprono l'intero anno liturgico e intendono raggiungere ogni ceto di persone: dalla settimana per i bambini della Prima Comunione a quella dei ragazzi della Cresima; dalla preparazione dei genitori per il Battesimo dei figli a quella dei fidanzati per il matrimonio; dagli incontri di catechesi per i giovani a quelli per gli adulti; dalla pastorale della famiglia a quella per i malati; dalla cura per le Vocazioni all'attività liturgica. E' un piano di lavoro assillante, in cui i vostri sacerdoti impegnano tutto il loro tempo, l'intera loro vita! Molto validi ritengo il "cammino di preparazione alla Cresima"; la "Scuola per i Catechisti" e la"Settimana Biblica": sono mezzi importanti, specialmente oggi, per approfondire in modo globale ed esauriente la vostra fede per viverla poi con coerenza e coraggio nella società moderna. Partecipate con spirito di autentica dedizione alle attività parrocchiali, per essere e sentirvi sempre più cristiani convinti, lieti e fervorosi, aperti alla carità ed all'aiuto reciproco.

In particolare desidero raccomandare la partecipazione alla santa Messa festiva. Impegnatevi a non mancare mai. Il cristiano è l'uomo della santa Messa, perché ha capito che Cristo rinnova per lui il suo sacrificio redentore.

Termino con l'augurio sincero che in questa parrocchia non si desista mai di annunziare Cristo Crocifisso. Che egli rimanga per tutta la comunità, per ciascuno e per tutti, "potenza di Dio e sapienza di Dio" e porti copiosi frutti nelle coscienze umane, malgrado le diverse opposizioni che egli incontra nel mondo contemporaneo. Infatti le incontro non soltanto tra i "Giudei" e i "Greci", di cui scrive l'Apostolo; ma le incontra anche nel mondo contemporaneo. Ma questo non scoraggi il nostro impegno nell'annuncio di Cristo, Cristo Crocifisso.




1982-03-14 Data estesa: Domenica 14 Marzo 1982




Lettera all'Arcivescovo - Spoleto (Perugia) Per il centenario di santa Rita da Cascia - 10 febbraio 1982


Al venerabile fratello Ottorino Pietro Alberti Arcivescovo di Spoleto e Vescovo di Norcia.

Con la recente lettera, relativa alle celebrazioni tuttora in corso per il VI Centenario della nascita di santa Rita da Cascia, Ella ha voluto rinnovarmi l'amabile invito, già manifestato nel marzo dello scorso anno, perché con una speciale visita o con altra iniziativa partecipassi di persona all'unanime coro di lodi che si leva nel mondo cristiano in onore di Colei, che il mio predecessore Leone XIII di venerabile memoria chiamo "la perla preziosa dell'Umbria".

Tale richiesta, che so condivisa non solo dai figli delle diocesi, a lei affidate, ma dall'innumerevole schiera dei devoti della Santa, si incontra con il mio vivo desiderio di non lasciar passare il presente "Anno Ritiano" senza che io ricordi ed esalti la sua mistica e tanto cara figura. perciò, unendomi spiritualmente ai pellegrini che anche da terre lontane giungono in gran folla a Cascia, sono lieto di deporre un fiore di pietà e di venerazione sulla sua Tomba, nel ricordo degli insigni esempi delle sue alte virtù.

E sono anche grato alla Provvidenza divina per alcuni singolari collegamenti, che uniscono il presente Centenario ad altre ricorrenze altamente suggestive per chi sappia leggere nella giusta prospettiva le vicende della storia umana. Non dimentico, infatti, la visita da me compiuta a Norcia per celebrare, a quindici secoli dalla sua nascita, il grande patriarca del monachesimo occidentale, san Benedetto. Né posso omettere la recente apertura del Centenario di san Francesco d'Assisi. Sono due figure, queste, a fianco delle quali l'umile Donna di Roccaporena si colloca come una sorella minore, quasi a comporre un "trittico ideale" di radiante santità, che attesta ed insieme sollecita ad approfondire, nel senso della coerenza, l'ininterrotto filone di grazia che solca la terra feconda dell'Umbria cristiana.

Ma non posso neppure tralasciare un'altra felice coincidenza, ravvisabile nel fatto che Rita viene al mondo un anno dopo la morte di Caterina da Siena, quasi a segnare una continuità non priva di meraviglioso spirituale significato.

E' noto a tutti come l'itinerario terreno della santa di Cascia si articoli in diversi stati di vita, cronologicamente successivi e - quel che più conta - disposti in un ordine ascendente, che segna le diverse fasi di sviluppo della sua vita d'unione con Dio. Perché Rita è santa? Non tanto per la fama dei prodigi che la devozione popolare attribuisce all'efficacia della sua intercessione presso Dio onnipotente, quanto per la stupefacente "normalità" dell'esistenza quotidiana, da lei vissuta prima come sposa e madre, poi come vedova ed infine come monaca agostiniana.

Era una sconosciuta giovinetta di codesta Terra, che nel calore dell'ambiente familiare aveva appreso l'abitudine alla tenera pietà verso il Creatore nella visione, che è già una lezione, del suggestivo scenario della catena appenninica. Dove fu allora la ragione della sua santità? E dove l'eroicità delle sue virtù? Vita tranquilla ed umbratile era la sua, senza il rilievo di avvenimenti esterni, allorché, contro le personali sue preferenze, abbraccio lo stato matrimoniale. Così divenne sposa, rivelandosi subito come vero angelo del focolare e svolgendo un'azione risolutiva nel trasformare il costume del coniuge.

E fu anche madre, allietata dalla nascita di due figlioli, per i quali, dopo la proditoria uccisione del marito, tanto trepido e sofferse, nel timore che nelle loro anime insorgesse fin l'ombra di un desiderio di vendetta contro gli assassini del padre. Da parte sua, li aveva generosamente perdonati, determinando anche la pacificazione delle famiglie.

Già vedova, rimase poco dopo priva dei figli, sicché, essendo libera da ogni vincolo terreno, decise di darsi tutta a Dio. Ma anche a questo riguardo soffri prove e contraddizioni, finché potè realizzare l'ideale che le era arriso fin dalla prima giovinezza, consacrandosi al Signore nel monastero di santa Maria Maddalena. L'umile esistenza, che qui trascorse per circa quarant'anni, fu del pari sconosciuta agli occhi del mondo ed aperta solo all'intimità con Dio. Furono, quelli, anni di assidua contemplazione, anni di penitenze e di preghiere, che culminarono in quella piaga che le si stampo dolorosa sulla fronte. Appunto questo segno della spina, al di là della sofferenza fisica che le procurava, fu come il sigillo delle sue pene interiori, ma fu soprattutto la prova della sua diretta partecipazione alla Passione del Cristo, centrata - per così dire - in uno dei momenti più drammatici, quale fu quello della coronazione di spine nel pretorio di Pilato (cfr. Mt 27,29 Mc 15,17 Jn 19,2 Jn 19,5).

E' qui, pertanto, che bisogna ravvisare il vertice della sua mistica ascesa, qui la profondità di una sofferenza, che fu tale da determinare una traccia somatica esterna. E qui ancora si scopre un significativo punto di contatto tra i due figli dell'Umbria, Rita e Francesco. In realtà, quel che furono le stigmate per il Poverello, fu la spina per Rita: cioè un segno, quelle e questa, di diretta associazione alla Passione redentiva di Cristo Signore, coronato di pungenti spine dopo la cruenta flagellazione e, successivamente, trafitto dai chiodi e colpito dalla lancia sul Calvario. Tale associazione si stabili in entrambi i santi sulla comune base di quell'amore, che ha un'intrinseca forza unitiva, ed appunto per quella spina dolorosa la Santa delle rose divenne simbolo vivente di amorosa compartecipazione alle sofferenze del Salvatore. Ché la rosa dell'amore allora è fresca e olezzante, quando è associata alla spina del dolore! così fu in Cristo, modello supremo; così fu in Francesco; così fu in Rita.

Invero, anche Ella ha sofferto ed amato: ha amato Dio ed ha amato gli uomini; ha sofferto per amore di Dio ed ha sofferto a causa degli uomini.

Pertanto, il graduale succedersi dei vari stadi nel suo cammino terreno rivela in lei una parallela crescita d'amore fino a quello stigma che, mentre dà la misura adeguata della sua elevazione, spiega al tempo stesso perché la sua dolce figura eserciti tanta attrattiva tra i fedeli, che ne celebrano il nome e ne esaltano il mirabile potere presso il trono di Dio.

Figlia spirituale di sant'Agostino, Ella ne ha messo in pratica gli insegnamenti, pur senza averli letti nei libri. Colui che alle donne consacrate aveva tanto raccomandato di "seguire l'Agnello dovunque vada" e di "contemplare con gli occhi interiori le piaghe del Crocifisso, le cicatrici del Risorto, il sangue del Morente..., tutto soppesando sulla bilancia della carità" (cfr. "De Sancta Virginitate", 52.54.55: PL 40,428), fu ubbidito "ad litteram" da Rita che, specialmente nel quarantennio claustrale, dimostro la continuità e la saldezza del contatto stabilito con la vittima divina del Golgota.

La lezione della Santa - giova precisare - si concentra su questi elementi tipici di spiritualita: l'offerta del perdono e l'accettazione della sofferenza, non già per una forma di passiva rassegnazione o come frutto di femminile debolezza, ma per la forza di quell'amore verso Cristo, che proprio nel ricordato episodio della coronazione ha subito, con le altre umiliazioni, un'atroce parodia della sua regalità.

Alimentato da questa scena, che non senza motivo la tradizione della Chiesa ha inserito al centro dei "misteri dolorosi" del santo Rosario, il misticismo ritiano si ricollega allo stesso ideale, vissuto in prima persona e non semplicemente enunciato, dall'apostolo Paolo: "Ego... stigmata Domini Iesu in corpore meo porto (Ga 6,17); "Adimpleo ea, quae desunt passionum Christi, in carne mea pro corpore eius, quod est Ecclesia" (Col 1,24). Anche questo ulteriore elemento occorre rilevare, cioè la destinazione ecclesiale dei meriti della santa: segregata dal mondo ed intimamente associata al Cristo sofferente, Ella ha fatto rifluire nella comunità dei fratelli il frutto di questo suo "compatire".

Davvero Rita è ad un tempo la "donna forte" e la "vergine saggia", delle quali ci parla la Sacra Scrittura (Pr 31,10ss; Mt 25,1ss), che in tutti gli stati di vita indica, e non già a parole, quale sia la via autentica alla santità come sequela fedele di Cristo fino alla croce. Per questo a tutti i suoi devoti, sparsi in ogni parte del mondo, ho desiderato riproporne la dolce e dolente figura con l'augurio che, ad essa ispirandosi, vogliamo corrispondere - ciascuno nello stato di vita che gli è proprio - alla vocazione cristiana nelle sue esigenze di chiarezza, di testimonianza e di coraggio: "sic luceat lux vestra coram hominibus..." (Mt 5,16).

A questo stesso scopo affido a lei la presente Lettera che, nella luce del Centenario Ritiano, Ella vorrà portare a conoscenza dei fedeli con l'incoraggiamento e il conforto della benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 10 febbraio dell'anno 1982, quarto di pontificato.


IOANNES PAULUS PP. II




1982-03-15 Data estesa: Lunedi 15 Marzo 1982


GPII 1982 Insegnamenti - A Vescovi del Benin in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)