GPII 1982 Insegnamenti - Ai sacerdoti secolari e religiosi e alle suore della diocesi livornese, nel santuario di Montenero - Livorno

Ai sacerdoti secolari e religiosi e alle suore della diocesi livornese, nel santuario di Montenero - Livorno

Titolo: Docili strumenti del Signore per salvare la società contemporanea

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono venuto qui, su questo colle, come pellegrino, per venerare l'immagine della Madonna di Montenero, insieme con voi, sacerdoti, religiosi e suore, che saluto con intenso affetto, uno per uno. Rivolgo un pensiero riconoscente al Vescovo Mons. Ablondi per avermi dato la gioia di questo incontro pellegrinaggio tra fratelli e sorelle vicino alla Madre di Gesù e Madre della Chiesa.

Saluto cordialmente i Padri della Congregazione monastica di Vallombrosa, che, come custodi del Santuario di Montenero, da due secoli accolgono con amore e dedizione i pellegrini sempre più numerosi provenienti da varie parti d'Italia.

Tutti noi siamo in cammino per le vie del mondo, verso la nostra ultima destinazione, che è la patria celeste. Quaggiù siamo soltanto di passaggio. Per questa ragione, nulla può darci il senso profondo della nostra vita terrena, lo stimolo a viverla come una breve fase di sperimentazione e insieme di arricchimento, quanto l'atteggiamento interiore di sentirci pellegrini.

I Santuari mariani, sparsi in tutto il mondo, sono come le pietre miliari poste a segnare i tempi del nostro itinerario sulla terra: essi consentono una pausa di ristoro, nel viaggio, per ridarci la gioia e la sicurezza del cammino, insieme con la forza di andare avanti; come le oasi nel deserto, nate ad offrire acqua ed ombra.


2. Sulla scia dei Pontefici, che, da Innocenzo II a Pio IX, mi hanno preceduto in questa terra, sono venuto a questo Santuario della Madonna di Montenero, che il mio venerato predecessore Pio XII proclamo "principale Patrona presso Dio di tutta la Toscana", e che è meta di tanti pellegrinaggi.

Nella terra di Toscana, dove l'arte e la poesia hanno raggiunto i vertici - arte e poesia ispirate in grandissima parte ai valori religiosi, in special modo alla Madre di Dio - non poteva mancare un Santuario dedicato a Maria, su questo colle, dove, per un meraviglioso quadro di natura, s'incontrano il cielo limpido e azzurro, dipinto da Giotto e ammirato da Dante, e il mare dalle molte vie, che da tempi lontani hanno portato la gente toscana in ogni continente conosciuto. Per la sua benevolenza verso gli uomini del mare, la Madonna di Montenero è chiamata anche "Stella del mare".

Ebbene, qui, a contatto diretto con la natura, l'anima è portata spontaneamente alla contemplazione, al colloquio con Dio, ad approfondire il senso del nostro pellegrinaggio terreno, ad elevarsi dal livello delle preoccupazioni quotidiane, per collocarsi più da vicino di fronte alla realtà dei valori che non tramontano mai.


3. La Vergine di Montenero è venerata come la Madonna delle Grazie, ed il Vangelo della sua festa è il cantico del "Magnificat". "L'anima mia magnifica il Signore, / e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, / perché ha guardato l'umiltà della sua serva.../ Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente / e Santo è il suo nome".

Cari sacerdoti, religiosi e suore della diocesi di Livorno, in questo nostro incontro, anche noi, come Maria, rendendo grazie all'Onnipotente, il cui nome è Santo, vogliamo innalzare insieme l'inno della nostra esultanza, perché ha guardato all'umiltà dei suoi servi.

La Vergine santa intona il "Magnificat", consapevole che, per dare compimento al disegno di salvezza per tutti gli uomini, il Signore ha voluto associare lei, umile fanciulla del suo popolo. Noi siamo qui a intonare, sull'esempio di Maria, il nostro "Magnificat", sapendo di esser chiamati da Dio a un servizio di redenzione e di salvezza, nonostante la nostra insufficienza.

Quanto più grandiosa è l'opera da compiere, tanto più poveri sono gli strumenti scelti a collaborare al piano divino. Come è vero che la potenza del braccio di Dio è messa in rilievo dalla debolezza dei mezzi impiegati, così, anche, quanto più piccole sono le persone umane invitate a servire, tanto più grandi sono le cose che l'Onnipotente, per mezzo nostro, è disposto a realizzare.

E' per questa ragione che i ricchi sono rimandati a mani vuote, i superbi dispersi nei pensieri del loro cuore, e, al contrario, gli umili sono innalzati e gli affamati ricolmati di beni. Per compiere la missione e rendere il nostro servizio, a noi non è tanto richiesto un patrimonio di doti materiali o umane, quali potrebbero essere il denaro, l'intelligenza, la cultura, la capacità organizzativa o l'efficienza, quanto piuttosto il senso della propria inutilità e l'impegno generoso nell'abbandono fiducioso e totale all'amore dell'Onnipotente.

La salvezza dell'umanità, alla quale pure gli uomini sono chiamati a collaborare, è un'opera eminentemente divina, di una grandezza tale che supera le dimensioni e le possibilità delle forze umane; e, pertanto, si può compiere solo se i collaboratori umani accettano e sviluppano l'alleanza con l'onnipotenza di Dio.

E' questo il senso del cantico e del messaggio mariano, che noi oggi vogliamo raccogliere e meditare. La nostra povertà è colmata dalla ricchezza di Dio, la nostra debolezza dalla sua forza, il nostro "niente" da Colui che è "tutto".

"Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente", afferma Maria. Ella è pienamente consapevole della grandezza della sua missione; ma nello stesso tempo, riconoscendosi e rimanendo "umile serva", ne attribuisce tutto il merito a Dio salvatore. La grandiosità della missione redentiva si compie, in Maria, con l'accordo perfetto tra l'onnipotenza divina e l'umile docilità umana.


4. Cari sacerdoti, religiosi e suore, queste considerazioni, scaturite dalla meditazione dei contenuti essenziali del "Magnificat", assumono un significato di pressante attualità, se noi ci soffermiamo a istituire un rapporto tra le necessità spirituali della società contemporanea, della Chiesa universale e locale, e la disponibilità delle braccia dei collaboratori.

Certo, l'opera della salvezza continua incessante nel mondo, oggi come ieri, e come sarà domani. E anche oggi dobbiamo ripetere con Gesù: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi".

Nella società contemporanea c'è tanto da fare. Evangelizzare o rievangelizzare. Anche entro i confini della vostra comunità ecclesiale. Il compito è difficile, complesso, e non a breve termine. E non può essere risultato di semplici sforzi umani. E' opera di Dio, anche se Dio chiede la collaborazione degli uomini.

Ma Dio vuole salvare la società contemporanea, qualunque sia la natura delle difficoltà sociali o ideologiche. Dio può tutto. Non si è dimenticato della sua misericordia, e la potenza del suo braccio non si è indebolita. E quando chiama i collaboratori umani ad aderire al piano dell'evangelizzazione e della salvezza, li desidera in atteggiamento di umiltà e di docilità, come Maria.

Fratelli e sorelle, Dio ha chiamato anche voi, anzi vi chiama di continuo. Da quando lo sguardo del Signore si è posato con amore su ciascuno di voi, personalmente, e voi avete detto "Si", siete divenuti apostoli del Vangelo in servizio permanente.

Associandovi all'opera di salvezza, Dio intende compiere attraverso di voi "grandi cose". Certo, cose impossibili all'uomo, ma non impossibili a Dio onnipotente. Affidandovi una porzione della sua vigna, il Signore intende, insieme con voi, evangelizzare il mondo contemporaneo, le vostre città e i vostri paesi, del mare o di montagna, tutti scossi dall'ateismo ideologico o dal materialismo pratico del benessere.

Se le difficoltà sono molte, non abbiate paura. Dio è con voi.

Compirete in maniera degna la vostra missione, adempirete il vostro servizio, se, come la santa Vergine, la vostra dedizione sarà totale; se, mettendovi in atteggiamento di servi umili e docili, non farete affidamento sulle vostre capacità personali, sulle scienze o le tecniche degli uomini, sull'impiego dei mezzi economici, sulla ricerca del successo pubblicitario, anche se il saggio impiego dei mezzi umani può offrire il suo contributo. La vostra insufficienza umana non vi sgomenti. Abbiate lo sguardo costantemente rivolto alla misericordia ed alla potenza di Dio, che sa trarre i suoi figli anche da cuori apparentemente duri come pietre. Cercate il regno di Dio. Il resto sarà dato in soprappiù.


5. La messe è molta, nel mondo, in Europa, in Italia, in Toscana, nella vostra diocesi di Livorno. E gli operai sono pochi. A guardare il gruppo dei sacerdoti diocesani e, dal punto di vista delle statistiche, a confrontarlo con i bisogni spirituali della popolazione o con le percentuali di altre diocesi, viene subito in mente l'immagine evangelica del piccolo gregge. Ma io so, cari sacerdoti della diocesi, che voi, spinti dallo zelo delle anime e dalle preoccupazioni pastorali dei fedeli, cercate di supplire all'insufficienza del numero con la moltiplicazione di voi stessi, con l'intensificazione delle attività. Tuttavia, ricordandovi delle parole del "Magnificat" ora meditate, sono sicuro della vostra personale convinzione che l'attività esterna non deve essere a scapito della vita interiore. Il sacerdote, se non vuole diventare un bronzo risonante a vuoto, sa trovare il tempo per la meditazione e per la preghiera. Riesce anche a trovare il tempo per il necessario aggiornamento, perché i problemi nuovi, su cui avere idee chiare e linee corrette di soluzione, sono molti; e se non tiene il passo, rischia di restare indietro, con danno della stessa incidenza di lavoro pastorale.

Vi raccomando, dunque, la vita interiore e l'aggiornamento. Cercate poi di supplire alla scarsità del numero anche con la formazione di nuclei di buoni catechisti, che siano in grado di alleggerire il vostro lavoro, sostituendovi in molte attività.

Voi, religiosi, in particolare, senza perdere le caratteristiche del vostro originale carisma di fondazione, siete chiamati a dare man forte al Clero diocesano, a inserirvi nella Chiesa locale, per dare il vostro contributo sostanziale allo sviluppo dell'unica Chiesa.

In special modo voi, suore, così numerose a questo incontro, e così sollecite e pronte in tanti campi della vita diocesana, avete davanti compiti insostituibili e destinati ad allargarsi. Mi compiaccio tanto con voi per il prezioso aiuto che offrite alla pastorale d'insieme.

Il Signore, cari fratelli e sorelle, sparga su voi tutti, su ciascuno di voi, l'abbondanza delle sue grazie. La Vergine Madre vi sia di esempio e di sprone; e la mia speciale benedizione segno della benevolenza divina.




1982-03-19 Data estesa: Venerdi 19 Marzo 1982




Alle autorità civili - Livorno

Titolo: In piazza della Repubblica

Testo:

Signor Sindaco di Livorno! Onorevole signor Ministro! Apprezzo sinceramente le cortesi espressioni con le quali, interpretando i sentimenti rispettivamente della cittadinanza livornese e del Governo Italiano, avete voluto darmi il benvenuto in questa Città, prima di iniziare la celebrazione della santa Messa in questa piazza antistante l'antica mole della Cattedrale, ideale punto di riferimento della vita spirituale e sociale di Livorno.

Desidero esprimere il mio deferente saluto anche ai Membri del Consiglio Comunale ed a tutte le Autorità civili e militari della Provincia e della Regione toscana per la rispettosa e gentile accoglienza. A tutti e a ciascuno di voi, cari livornesi, esprimo con intensità di sentimenti il mio saluto.

Sono veramente lieto di trovarmi in questa Città! Posso così ammirarne le bellezze naturali, posta com'è a specchio del mare ligure, ove sono incastonate le sette isole dell'Arcipelago, il cui fascino non è mancato di rimbalzare nella storia e nella letteratura e tra cui una si gloria di recare il nome di Cristo; ma soprattutto ho l'occasione di prendere diretta conoscenza della fede cristiana che anima questo popolo e del coraggio che esso ha saputo dimostrare nelle ripetute difficoltà, dalle quali è stato provato nei secoli e, in particolare, in questi ultimi decenni nella dura opera di ricostruzione ed ingrandimento della città in seguito alle devastazioni dell'ultima guerra mondiale.

L'incontro mi permette anche di manifestare il mio apprezzamento per lo sforzo che voi, o livornesi, non vi stancate di compiere per mantenere la vostra città all'altezza delle antiche virtù dei vostri antenati, i quali seppero assicurare ad essa gloriose tradizioni civili, sociali e culturali, come dimostra la benemerita istituzione dell'Accademia Nazionale, che proprio in questo anno celebra i cento anni di vita. Mi fa piacere constatare che, nonostante le difficoltà di vario genere, avete saputo dare vita ed incremento a numerose imprese industriali, che offrono possibillità di impiego e sicurezza economica a numerosi lavoratori. Ma noto pure con rammarico che neppure questa città sfugge al grave fenomeno della disoccupazione, che affligge soprattutto gli abitanti dei quartieri più poveri, nei quali si sta aggravando. E' particolarmente verso questi quartieri che il mio pensiero e il mio cuore si volgono con maggiore attenzione e con sollecita partecipazione.

Con questa mia visita, nella ricorrenza di san Giuseppe, desidero rendere onore soprattutto ad essi, rivendicare nella Chiesa e nella società il posto che loro spetta e dare voce alle giuste richieste e ai diritti al pane, alla casa, al lavoro, alla scuola, all'assistenza sanitaria, cioè al comune benessere materiale e spirituale.

Sono certo che le competenti Autorità civili e religiose non lasceranno nulla di intentato per la completa soluzione di questi problemi. Da parte mia, vi assicuro che non cessero di pregare il Signore perché assista ogni buon proposito ed ogni iniziativa destinata ad un maggiore progresso sociale ed alla vostra continua elevazione umana e spirituale, carissimi livornesi, e su voi tutti invoco pienezza di grazie e di conforti celesti.




1982-03-19 Data estesa: Venerdi 19 Marzo 1982




L'omelia alla Messa per il popolo livornese - Livorno

Titolo: San Giuseppe per la sua fede fu testimone del compimento della promessa

Testo:

Cari fratelli e sorelle!


1. Sono qui oggi, insieme con voi per venerare san Giuseppe nel giorno in cui lo venera la Chiesa intera. Essa lo venera come merita quell'ammirevole "uomo giusto", sposo - dinanzi alla legge - di Maria, Vergine di Nazaret, Madre del Figlio di Dio.

Contemporaneamente la Chiesa venera Giuseppe di Nazaret come "artigiano", come uomo del lavoro, forse falegname di professione. Egli è stato il solo e l'unico - tra tutti gli uomini del lavoro sulla terra - presso il cui banco di lavoro si presentava ogni giorno Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo.

Proprio lui, Giuseppe, gli ha fatto imparare il lavoro della sua professione, lo ha incamminato in essa, gli ha insegnato a superare le difficoltà e la resistenza dell'elemento "materiale" e a trarre dalla materia informe le opere dell'artigianato umano. E' lui, Giuseppe di Nazaret, che ha legato una volta per sempre il Figlio di Dio al lavoro umano. Grazie a lui, lo stesso Cristo appartiene anche al mondo del lavoro e rende testimonianza della sua altissima dignità dinanzi agli occhi di Dio.

Livorno è un grande ambiente di lavoro. Desideriamo proprio qui rendere venerazione a san Giuseppe. Desideriamo esprimere in questo modo che il mondo affidato in compito all'uomo dal Creatore sempre e in ogni luogo della terra, e in mezzo ad ogni società e nazione, è "il mondo del lavoro". "Mondo del lavoro" vuol dire contemporaneamente "mondo umano". Proprio su questo "mondo" si è pronunciato il Concilio nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, intitolata "Gaudium et Spes", che indica il "mondo", cioè il "mondo umano" (che in misura principale è "il mondo del lavoro"), come il luogo della Chiesa e come oggetto del suo compito pastorale.

La Chiesa è in questo mondo. E' mandata a questo mondo, perché "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16); e ciò è avvenuto, si è compiuto nel corso di 30 anni nella casa nazaretana di Giuseppe. perciò veneriamo oggi in san Giuseppe quel mondo, al quale sono mandati Cristo e la Chiesa.


2. E questo "uomo giusto", nello stesso tempo, rimane inserito con tutta la sua vita e la sua vocazione nel mistero della Chiesa. Conosciamo la sua vita "nascosta" e la sua vocazione "silenziosa". La conosciamo sufficientemente dal Vangelo; ma non leggiamo nel Vangelo nessuna parola pronunciata da san Giuseppe di Nazaret. Invece siamo testimoni degli avvenimenti che dicono quanto profondamente Dio stesso consolido la vocazione di san Giuseppe nel mistero della Chiesa. Ne rendono testimonianza in particolare le letture della Liturgia odierna.

Il mistero della Chiesa, cioè la realtà della Chiesa è nata già in qualche modo dalla promessa che Dio fece ad Abramo, e contemporaneamente da quella fede, con la quale Abramo rispose alla chiamata di Dio. Giustamente, nel giorno di san Giuseppe, leggiamo la seguente frase dalla lettera ai Romani: "Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo e alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede...

Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo" (4,13.16).

E, più avanti, dello stesso Abramo scrive l'Apostolo: egli "è padre di tutti noi. Infatti sta scritto: ti ho costituito padre di molti popoli; è nostro padre davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono" (Rm 4,16-17).

Di pari passo con la fede va la speranza. Abramo è "padre" della nostra fede e della nostra speranza: "Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli" (Rm 4,18).

E san Paolo continua: "Ecco perché gli fu accreditato come giustizia" (4,22).


3. Giustamente rileggiamo queste parole nella Liturgla della festa odierna. Le rileggiamo con il pensiero a san Giuseppe di Nazaret, il quale fu "uomo giusto", a cui fu accreditato "come giustizia" il fatto che credette nel Dio, "che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono". Queste parole, scritte da Paolo nei riguardi di Abramo, le rileggiamo oggi con il pensiero a Giuseppe di Nazaret, che "ebbe fede, sperando contro ogni speranza". Ciò avvenne nel momento decisivo per la storia della salvezza, quando Dio, Padre eterno, compiendo la promessa fatta ad Abramo, "ha mandato il suo Figlio al mondo".

Proprio allora si è manifestata la fede di Giuseppe di Nazaret, e si è manifestata a misura della fede di Abramo. Si è manifestata maggiormente quando il Verbo del Dio Vivente si fece carne in Maria, sposa di Giuseppe, la quale all'annuncio dell'Angelo "si trovo incinta per opera dello Spirito Santo". E questo avvenne - come scrive l'evangelista Matteo - dopo le nozze di Maria con Giuseppe, ma "prima che andassero a vivere insieme".

Così, dunque, la fede di san Giuseppe si doveva manifestare dinanzi al mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio.

Proprio allora Giuseppe di Nazaret passo la grande prova della sua fede, così come l'aveva passata Abramo.

E' allora che Giuseppe, "uomo giusto", credette a Dio come a colui che "chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono".

Infatti, Dio stesso, con la potenza dello Spirito Santo, ha chiamato all'esistenza nel seno della Vergine di Nazaret, Maria, promessa sposa di Giuseppe, l'umanità che fu propria dell'unigenito Figlio di Dio, il Verbo Eterno del Padre.

Egli, Dio, è colui che chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono.

E Giuseppe di Nazaret credette a Dio. Credette così come una volta già aveva fatto Abramo. Credette quando Dio gli parlo con la parola dell'Angelo del Signore. Queste parole suonano così: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-22).


Giuseppe, che prima "non volendo ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (Mt 1,19), ora "fece come gli aveva ordinato l'Angelo del Signore" (Mt


1,24).

Prese con sé Maria - e Quel che era stato generato in lei.

Si dimostro così un vero discendente di Abramo secondo la fede. Un discendente privilegiato. Infatti gli fu dato di diventare il testimone più diretto, e quasi il testimone oculare del compimento della promessa, data una volta ad Abramo e accolta mediante la fede.

Questi "ebbe fede sperando contro ogni speranza" - e Giuseppe credette in egual modo. Egli è stato chiamato con la voce di Dio, perché la speranza della salvezza potesse compiersi nel mondo.


4. La Chiesa vive dalla eredità della fede di Abramo.

La Chiesa è sorta ed esiste perché la promessa data una volta ad Abramo potesse compiersi nel mondo. La Chiesa lega il suo inizio - il compimento della speranza nel mondo - anche con la fede di Giuseppe di Nazaret.

Ciò che spira da tutta la sua figura è la fede, la vera eredità della fede di Abramo. La sua fede è la più vicina somiglianza e analogia con la fede di Maria di Nazaret. Ambedue - Maria e Giuseppe - sono uniti con questo mirabile vincolo. Dinanzi agli uomini, il loro vincolo è quello matrimoniale. Dinanzi a Dio ed alla Chiesa, sono le nozze nello Spirito Santo.

Mediante queste nozze nella fede sono diventati ambedue, Maria e accanto a lei Giuseppe, i testimoni e dispensatori del mistero, mediante il quale il mondo creato e soprattutto i cuori umani diventano di nuovo dimora del Dio Vivente.

Giuseppe di Nazaret è "uomo giusto", perché totalmente "vive dalla fede". E' santo, perché la sua fede è veramente eroica.

La Sacra Scrittura parla poco di lui - poco più di quello che leggiamo nella Liturgia di oggi. Non registra neanche una parola che abbia pronunciato Giuseppe, falegname di Nazaret. E tuttavia, anche senza parole, egli dimostra la profondità della sua fede, la sua grandezza.

San Giuseppe è grande con lo spirito. E' grande nella fede, non perché pronuncia parole proprie, ma soprattutto perché ascolta le parole del Dio vivente.

Ascolta in silenzio. E il suo cuore persevera incessantemente nella prontezza ad accettare la Verità racchiusa nella parola del Dio vivente. Per accoglierla e compierla con amore.

perciò, Giuseppe di Nazaret diventa veramente un mirabile testimone del Mistero Divino. Diventa un dispensatore del Tabernacolo, che Dio ha scelto per sé sulla terra per compiere l'opera della salvezza.


5. Guardando oggi con venerazione e con amore la figura di san Giuseppe, dobbiamo in questo sguardo rinnovare la nostra propria fede. Vediamo come la Parola del Dio vivente cade profondamente nell'anima di quell'Uomo - di quell'Uomo giusto.

E noi, sappiamo ascoltare la Parola di Dio? Sappiamo assorbirla con la profondità del nostro "io" umano? Apriamo dinanzi a questo verbo la nostra coscienza? Oppure - al contrario - ci fermiamo soltanto alla superficie della Parola di Dio? Non le dischiudiamo un più profondo accesso all'anima? Non accogliamo questa Parola nel silenzio della prontezza interiore, così come Giuseppe di Nazaret? Non creiamo le condizioni perché essa possa agire dentro di noi e portare frutti? Ascoltiamo la Parola di Dio? Come l'ascoltiamo? Leggiamo la Sacra Scrittura? Partecipiamo alla catechesi? Abbiamo tanto bisogno della fede! E' tanto necessaria la fede all'uomo dei nostri tempi, della difficile epoca odierna! E' tanto necessaria una grande fede! Proprio oggi una grande fede è necessaria agli uomini, alle famiglie, alle comunità, alla Chiesa.

Ed è proprio per prepararci allo sguardo maturo della fede sui problemi della Chiesa e del mondo contemporaneo che la Provvidenza Divina ci ha dato il Concilio Vaticano II, il suo insegnamento e il suo orientamento.

E' necessario che ora, nelle singole comunità che pure sono le Chiese - almeno nelle "Chiese domestiche" -, il lavoro perseveri sull'assimilazione di questo insegnamento.

Bisogna leggere, bisogna ascoltare, e accettare nel silenzio della prontezza interiore quella Parola, che lo Spirito Santo "dice alla Chiesa" dei nostri tempi.

So che in questo senso lavora il Sinodo diocesano della Chiesa in Livorno.

Raccomando oggi a san Giuseppe i frutti di tale lavoro.


6. "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria... perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo (Mt 1,20).

Popolo di Dio! Chiesa livornese! Non temere di prendere, insieme con Giuseppe di Nazaret, Maria. Non temere di prendere Gesù Cristo, il suo Figlio, in tutta la tua vita.

Non temere di prenderlo in una fede simile alla fede di Giuseppe.

Non temere di prenderlo sotto i tetti delle tue case - così come Giuseppe ha accolto Gesù sotto il tetto della casa nazaretana. Non temere di prendere Cristo nel tuo lavoro quotidiano. Non temere di prenderlo nel tuo "mondo".

Allora questo "mondo" sarà veramente "umano". Diventerà sempre più umamo.

Infatti, soltanto il Dio-Uomo può fare il nostro "mondo umano" pienamente "umano".




1982-03-19 Data estesa: Venerdi 19 Marzo 1982




Al grande pellegrinaggio da Terni Narni e Amelia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preparare i giovani alla vita sociale significa soprattutto formare la loro volontà

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle delle diocesi di Terni, Narni ed Amelia.


1. Sono lieto di incontrarmi con voi oggi, per ricordare insieme la mia Visita di un anno fa a Terni, in occasione della festa di san Giuseppe, patrono del mondo del lavoro, e richiamare in pari tempo quei motivi che devono sostenere ed animare la vostra testimonianza cristiana.

Voi siete venuti numerosi a Roma per tornare alle origini delle vostre Chiese locali, fondate dai santi Pastori, i quali, partendo dalla Città eterna, raggiunsero le vostre contrade, per compiervi la loro missione evangelizzatrice.

Voi volete incontrarvi con "Pietro", che presiede alla carità di tutte le Chiese e che vive nei suoi successori.

Siate dunque i benvenuti ed accogliete il mio affettuoso saluto e ringraziamento, che rivolgo anzitutto al vostro caro Vescovo Mons. Santo Quadri, anche per le nobili parole che ha voluto indirizzarmi a nome vostro; ed a tutti, con particolare pensiero per le diverse associazioni di Lavoratori e di Giovani, qui largamente rappresentate, ed i cui cordiali sentimenti sono stati così bene interpretati.

La mia riconoscenza vivissima si rivolge poi alle Autorità Civili, con speciale menzione per il signor Prefetto, il signor Presidente della Provincia, il signor Sindaco di Terni, nella rievocazione del contributo offerto in occasione della mia Visita alla vostra Città, e per la loro presenza oggi, la quale sottolinea l'importanza di un'azione comune per la salvaguardia dei valori morali della Comunità civile. Saluto altresi il Presidente dell'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), ed i Dirigenti delle Acciaierie di Terni.


2. Conosco la situazione delle vostre Chiese locali ed anche il contesto sociale delle vostre comunità, descritti anche recentemente dal vostro Vescovo in occasione della "visita ad limina Apostolorum", e mi sono note, dunque, le difficoltà tra cui si deve svolgere una azione perseverante ed efficiente, diretta non solo all'incremento del benessere economico, ma anche alla maturazione umana e cristiana, specialmente delle giovani generazioni, di personalità aperte sul mondo e sui fratelli.

In particolare conservo nel mio cuore un caro e incancellabile ricordo dell'incontro al banco di lavoro di molti di voi e, poi, durante il pomeriggio, presso lo stadio nella celebrazione eucaristica, insieme anche con le famiglie.

A tutti i lavoratori rinnovo l'espressione del mio affetto, assicurando ad essi che la Chiesa è sempre al loro fianco, ed auspicando per ciascuno una sempre maggiore adesione al Vangelo del lavoro, proclamato dal Figlio di Dio che ha voluto lavorare con le proprie mani ed essere considerato dai suoi contemporanei come il figlio del carpentiere di Nazaret.

Oggi, tuttavia, desidero rivolgermi in modo speciale ai giovani, sia per soddisfare la promessa, ricordata dal Vescovo, di un incontro particolare con loro, sia perché essi sono qui in proporzione considerevole, sia perché in essi è presente la comunità di oggi e soprattutto quella di domani, mentre le altre componenti sociali sono, in certo senso, polarizzate dalla volontà di contribuire alla formazione dei giovani medesimi.

Nel parlare a voi, cari giovani, intendo non indulgere all'analisi, ripetuta da troppe parti, degli aspetti negativi della vostra presente condizione.

E' senz'altro giunto il tempo di porre mano ai rimedi, con energica azione, e soprattutto con intrepida speranza, fondata sulla ricerca comune del vero bene e sulla sicurezza dell'aiuto di Dio, che non può mancare a quanti mettono le proprie risorse a servizio di cause nobili e meritevoli.


3. I giovani si formano nella famiglia, nella scuola e nella Chiesa.

Di fronte a questa semplice costatazione, si presenta anzitutto logica la necessità, da parte dei giovani, di riconoscere e di accettare l'impegno educativo e formativo degli adulti, che hanno responsabilità di guida in seno ai tre menzionati organismi sociali. Il giovane, istintivamente portato all'affermazione esagerata della propria autonomia personale, nella sua crescita e nella sua maturazione dipende da chi gode di maggiore età, esperienza, conoscenza e metodo. Egli dovrà quindi porsi in un atteggiamento di fiducia, di umiltà, di collaborazione, di obbedienza, pur nel quadro del dialogo e della reciproca estimazione. Per allontanare sia i pericoli dell'autoritarismo, che quelli dell'anarchia e dell'individualismo, è necessario ricuperare il valore dell'obbedienza responsabile, della pazienza fiduciosa, che non possono esistere senza la preghiera e la formazione al sacrificio. D'altra parte, i genitori, gli insegnanti ed i sacerdoti dovranno assumere totalmente le proprie responsabilità, offrendo una preparazione pedagogica, psicologica e spirituale, quale è richiesta da un impegno tanto arduo ed esaltante, che, avvalorato dalla testimonianza, cioè dall'esemplarità vitale, esige continuità, metodologia e soprattutto spirito di generosa dedizione. Di fronte alla crisi giovanile, che, rettamente interpretata, presenta tra le righe la richiesta di valide e nuove proposte di corresponsabilità educativa, gli operatori della famiglia, della scuola e della pastorale ecclesiale, pur tra le difficoltà del "pragmatismo" e del "permissivismo", devono realizzare un accordo circa autentiche proposte formative, fondate sulla dignità dell'uomo e sul suo trascendente destino, in maniera che i giovani si sentano sorretti, da ogni parte, con indicazioni e stimoli ugualmente orientati. La prevalente preoccupazione, perciò, sarà quella di creare l'armonia tra i diversi responsabili dell'educazione giovanile, senza stupirsi se gli effetti non sono sempre così consolanti e visibili.


4. La formazione dei giovani è finalizzata al lavoro ed alla vita sociale, cioè ad un impegno che, mentre soddisfa le necessità e le aspirazioni dei singoli, realizza, in pari tempo, il bene di tutti. L'importanza del lavoro, che occupa un larghissimo margine della medesima vita sociale, è stato oggetto di attenta riflessione da parte della Chiesa anche in Documenti recenti. Nella lettera enciclica "Laborem Exercens" si legge: "La Chiesa è convinta che il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra. Essa si conferma in questa convinzione, anche considerando tutto il patrimonio delle molteplici scienze... ma soprattutto alla fonte della Parola di Dio rivelata e, perciò, quella che è una convinzione dell'intelletto acquista il carattere di una convinzione di fede" (LE 4).

La tendenza generale, logica, delle aspirazioni umane, anche a riguardo del lavoro, è quella del benessere soddisfatto e realizzato, col pericolo di una idealizzazione sproporzionata di traguardi solamente terreni ed edonistici.

Tale tendenza si accompagna sempre con un'emotiva esasperazione per ogni forma di disagio e sacrificio, prospettati anche da un futuro carico di minacce.

Per quanto riguarda da vicino il mondo del lavoro, si prospettano attualmente due gravi difficoltà: la disoccupazione e la "disaffezione" per un lavoro pesante, monotono, meno libero e meno responsabile.

Da questa descrizione sintetica, ne deriva che svolgere un'opera formativa dei giovani al lavoro ed alla vita sociale, significa soprattutto formare la loro volontà: volontà di acquistare faticosamente con lo studio e l'esperienza le qualità professionali necessarie; volontà di contribuire con la propria operosità al bene dell'intera comunità, nella coscienza di essere parte di un tutto, nel quale si è responsabilmente inseriti; volontà, infine, di accettare le caratteristiche dialettiche e conflittuali della storia, senza pretendere né la facilità né la perfezione. Nulla è facile e nulla è perfetto. Tutto esige fatica, impegno e sofferenza.


5. Di fronte ad un programma di formazione tanto esigente, la missione della Chiesa è quella di incoraggiare ed alimentare, mediante la Parola di Dio e la vita di Grazia, tali giuste prospettive e tali necessari impegni. Il cristianesimo è anzitutto un messaggio di salvezza, una proposta ad una chiamata, un buon seme tra la zizzania, seminato nel campo della storia e perciò delle nostre città, delle nostre diocesi, dei luoghi ove si svolge la vita quotidiana.

E' necessario quindi che i responsabili della pastorale: sacerdoti, religiosi, religiose e laici aumentino il loro zelo, moltiplichino le loro iniziative, dirette a presentare quel messaggio ed a deporre quel seme, in altre parole, alla vera formazione della "coscienza cristiana", illuminata dalla Rivelazione divina e dall'insegnamento autentico e perenne della Chiesa, proiettata verso i grandi ideali evangelici della vita di grazia e dell'impegno nella carità.

Con lo svolgimento di una tale opera formativa, si creano dei presupposti validi ed efficaci per l'interiore animazione della scuola, dei gruppi di amicizia, di cultura, di solidarietà e di preparazione professionale, mentre si presentano ai giovani più dotati e chiamati a ideali più esigenti, quali un responsabile impegno in campo politico e sindacale, a servizio della comunità civile, ed una vita totalmente consacrata a Dio ed alla Chiesa.


6. Cari giovani, ho voluto, in questo incontro, affrontare più direttamente i vostri problemi che sono anche quelli della famiglia, della scuola e della Chiesa, luoghi fondamentali della vostra formazione; e parlando a voi ho avuto presenti i vari settori delle comunità civili e delle Chiese locali di Terni, Narni ed Amelia.

Desidero, infine, incoraggiare tutti a proseguire il proprio cammino di fede, con vigore sempre maggiore, superando i momenti ed i motivi di crisi, confidando nell'aiuto del Signore e nel patrocinio della Vergine santissima, tanto venerata a Terni sotto il titolo di Madre della Misericordia.

Vi auguro quella felicità che scaturisce dalla retta coscienza e che invoco dal cielo per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e le vostre case, mentre vi accompagno lungo i quotidiani sentieri del vostro impegno umano e cristiano con la mia affettuosa benedizione apostolica.




1982-03-20 Data estesa: Sabato 20 Marzo 1982





GPII 1982 Insegnamenti - Ai sacerdoti secolari e religiosi e alle suore della diocesi livornese, nel santuario di Montenero - Livorno